Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p., infatti, consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato.
La pronunzia assolutoria per il delitto di cui all'art. 612-bis c.p., passata in giudicato, non preclude la celebrazione del giudizio per il reato di minaccia che ne costituisca una porzione di condotta, quando gli atti persecutori si siano sostanziati, oltre che nel profferire frasi intimidatorie, anche in ulteriori comportamenti molesti e minatori determinanti uno o più degli eventi tipici dello "stalking", non sussistendo identità del fatto storico rilevante per la violazione del divieto di "bis in idem", secondo l'interpretazione data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016: la possibilità di concorso formale tra i due reati non ha implicazioni automatiche sulla soluzione della questione di bis in idem. La Consulta, infatti, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., ha escluso che la possibilità astratta che due fattispecie, commesse con un'unica azione od omissione, concorrano tra loro consenta di prescindere dalla verifica circa la medesimezza del fatto nella chiave "materiale" sopra evidenziata e di processare comunque nuovamente l'imputato già condannato per il primo reato. La Corte costituzionale, di contro, ha anche escluso che automaticamente si possa giungere a conclusioni contrarie, e cioè non è corretto ritenere che, ogni qualvolta vi sia concorso formale tra due reati, vi sia necessariamente medesimezza del fatto e debba operare, pertanto, il divieto di bis in idem.
Nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione.
Cassazione penale
sez. V, ud. 30 novembre 2022 (dep. 22 febbraio 2023), n. 7825
Presidente De Gregorio – Relatore Pilla
Ritenuto in fatto
1.Con sentenza del 9 dicembre 2020, la Corte di appello di Palermo ha parzialmente riformato la condanna pronunciata in data 6 dicembre 2017 dal Tribunale di Marsala in composizione monocratica nei confronti del ricorrente P.M. assolvendolo dal reato di danneggiamento di cui al capo D) e, ha rideterminato la pena complessiva in anni uno e mesi cinque di reclusione, condannandolo alle spese di costituzione e rappresentanza in favore delle parti civili, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Il Tribunale di Marsala con la sentenza di primo grado, previa affermazione della penale responsabilità dell'imputato per i reati ascritti unificati dal vincolo della continuazione, lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, statuendo anche sulle richieste delle costituite parti civili.
L'accusa attiene a condotte persecutorie poste in essere dal P. , nei confronti della vicina di casa e persona offesa L.A. , realizzate attraverso pedinamenti, false accuse, aggressioni verbali, dispetti, minacce che costringevano quest'ultima a limitare le proprie uscite da casa e ad installare una telecamera di sicurezza ed un piccolo cancello sulla rampa delle scale nonché ad episodi di minacce di morte anche aggravate dall'uso di una sega da potatura nei confronti della donna e di un altro vicino di casa, M.M. .
2.Avverso tale decisione l'imputato ha proposto ricorso, attraverso il difensore di fiducia deducendo i seguenti motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione di legge in ordine alla mancata rinnovazione istruttoria in appello in relazione alle medesime prove che aveva richiesto al giudice di primo grado ex art. 507 c.p.p., richieste anche in quel caso disattese.
In particolare, evidenzia il ricorrente che il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta di acquisizione di una serie di prove volte a dimostrare la inattendibilità della vicina di casa persona offesa nonché la preesistenza di motivi di astio e di acredine della donna nei confronti del P. . Anche la Corte territoriale ha respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria impedendo così di dimostrare che al più le condotte del ricorrente potevano ricondursi alla meno grave fattispecie di cui all'art. 393 c.p. in ragione di un errato esercizio da parte del P. di un preteso diritto condominiale.
2.2.Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. per vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di atti persecutori.
La Corte di appello, nel motivare in ordine alla sussistenza della fattispecie di atti persecutori, non avrebbe correttamente individuato la sussistenza degli elementi costitutivi del reato in esame.
La istruttoria dibattimentale avrebbe semplicemente rivelato una accesa conflittualità legata ai rapporti di vicinato e dunque le condotte del ricorrente rappresenterebbero unicamente la sua reazione "alle offese e alle angherie subite".
Difetterebbe conseguentemente in capo al ricorrente l'elemento psicologico del reato da individuarsi nella coscienza e volontà di arrecare molestie o nocumento alla L. .
2.3.Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 606 lett. b) c.p.p. per violazione ed erronea applicazione di legge penale in relazione ai reati di minaccia di cui ai capi B) e C) in cui risulta parte lesa non solo la L. , ma anche l'altro vicino di casa M.M. .
Osserva il ricorrente che erroneamente le due minacce di morte ("scendi che ti scanno" e "prendo una pistola e vi ammazzo tutta la famiglia"), la prima delle quali pronunciata con l'utilizzo di una sega da potatura, sarebbero state considerate come due distinte condotte criminose di minaccia unite dal vincolo della continuazione, ma avrebbero dovuto piuttosto essere valutate come un'unica azione criminosa, realizzatasi attraverso il compimento di plurimi atti aventi un unico fine con la conseguenza di ricondurre i reati di cui ai capi B) e C) ad un unico capo di imputazione con riduzione della pena.
3. La difesa del ricorrente ha depositato motivi aggiunti con i quali ha dedotto violazione di legge con riferimento all'art. 649 c.p.p..
Ha evidenziato che una parte della condotta risulta coperta da giudicato avuto riguardo alla sentenza n. 88/19 R.G. sent. del Giudice di Pace di Marsala in relazione alle seguenti imputazioni: A) del delitto p. e p. dall'art. 594 c.p. perché offendeva l'onore ed il decoro di L.A. , proferendo nei suoi confronti parole del seguente tenore "fitusa, ingrasciata e pezza di merda"; B) del delitto p. e p. dall'art. 612 c.p. perché minacciava un male ingiusto a L.A. , ed in particolare proferendo nei suoi confronti frasi del seguente tenore "ti stocco pezza pezza".
Sulla base di siffatti elementi la difesa ha richiesto a questa Corte una rivalutazione della complessiva condotta tenuta dal ricorrente sì da escludere la sua riconducibilità al reato di atti persecutori; in alternativa la rimodulazione del trattamento sanzionatorio.
Considerato in diritto
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
1.II privo motivo è inammissibile per difetto di specificità.
1.1. Lo stesso, invero, ripropone il medesimo motivo dedotto avverso la sentenza di primo grado e in relazione al quale la sentenza impugnata ha fornito esaustiva motivazione (p.6 della sentenza impugnata) chiarendo analiticamente le ragioni per le quali le richieste istruttorie formulate già in primo grado ai sensi dell'art. 507 c.p.p. non fossero da considerarsi necessarie ai fini del decidere.
1.1.1. Nel giudizio d'appello, infatti, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603, comma 1, c.p.p., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230).
Va infine evidenziato che, per come formulato rispetto all'atto di appello, il motivo appare inedito in quanto per la prima volta il ricorrente evidenzia che la decisività della rinnovazione istruttoria rileverebbe ai fini della riqualificazione dei fatti nella meno grave fattispecie di cui all'art. 393 c.p., circostanza del tutto nuova e mai prospettata.
2. Egualmente inammissibile perché generico si presenta il secondo motivo.
2.1.11 ricorrente non si confronta con le esaustive motivazioni della sentenza impugnata(p.10 e ss.) la quale, ripercorrendo e aderendo al percorso motivazionale già illustrato nella sentenza di primo grado, con motivazione logica e coerente, ha chiarito come tutti gli episodi contestati al ricorrente, sia relativi agli appostamenti presso l'ingresso dell'abitazione della persona offesa, sia le aggressioni verbali, sia i dispetti consistiti nel citofonare senza motivo, nel chiedere l'intervento delle forze di polizia ingiustificatamente, siano stati puntualmente descritti dalla persona offesa, indicando altresì la sussistenza di riscontri con le altre prove testimoniali, superando anche le criticità ravvisate nei motivi di appello con riferimento alla prova dichiarativa e alla esistenza di rapporti di amicizia e conoscenza della persona offesa con i testi, rapporto chiaramente giustificato dalla sussistenza di corretti rapporti di vicinato spesso caratterizzati anche da rapporti amicali.
2.1.1. Quanto alla esatta qualificazione giuridica del reato di atti persecutori, la sentenza impugnata evidenzia la ripetitività e consistenza dei comportamenti persecutori che in quanto tali avevano destabilizzato la donna, costretta a ricorrere alle cure di uno specialista per il grave stato di ansia prodottosi.
In punto di esatta qualificazione giuridica del fatto reato, deve rilevarsi che la Corte di appello ha indicato chiaramente le condotte tenute dall'imputato, aggiungendo che ha procurato l'evento che integra il reato, nella specie il timore per l'incolumità della persona offesa, il mutamento delle abitudini di vita, con la necessità di ricorrere a sistemi di videosorveglianza e di difesa dell'abitazione quali un cancello.
Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p., infatti, consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021 Rv. 281029).
2.1.2 Anche con riferimento alla insussistenza dell'elemento psicologico la sentenza ha fatto buon governo dei principi fissati da questa Corte avuto riguardo al dolo in base ai quali: "Nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione." (Sez.5, n. 43085 del 24/09/2015, Rv.265230; Sez.1, n. 28682 del 25/09/2020, Rv.279726).
3.Inammissibile in quanto privo di specificità estrinseca il terzo motivo di ricorso.
Contrariamente a quanto esposto nel richiamato motivo, la Corte territoriale ha spiegato in maniera completa ed esaustiva che l'imputato ha tenuto una pluralità di comportamenti minacciosi, intervenuti in diversi tempi che consentono di ritenere configurabili più reati riuniti nel vincolo della continuazione.
4.In data 11 novembre 2011 sono pervenuti motivi aggiunti nell'interesse del ricorrente.
Gli stessi risultano depositati fuori termine.
Si richiama al riguarda la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale:" In tema di impugnazioni, il termine per la presentazione dei motivi nuovi deve essere calcolato avendo riguardo alla prima udienza in cui l'imputato viene ritualmente citato, a nulla rilevando che detta udienza sia rinviata per legittime esigenze di difesa. (Sez. 2, n. 47108 del 04/11/2021, Rv. 282323).
4.1. Va, tuttavia rilevata che la doglianza avanzata relativa alla violazione del principio del ne bis in idem deve essere valutata da questa Corte attenendo ad una questione rilevabile anche di ufficio.
La censura è manifestamente infondata non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte in relazione allo specifico tema.
Questa Corte ha chiarito che "La pronunzia assolutoria per il delitto di cui all'art. 612-bis c.p., passata in giudicato, non preclude la celebrazione del giudizio per il reato di minaccia che ne costituisca una porzione di condotta, quando gli atti persecutori si siano sostanziati, oltre che nel profferire frasi intimidatorie, anche in ulteriori comportamenti molesti e minatori determinanti uno o più degli eventi tipici dello "stalking", non sussistendo identità del fatto storico rilevante per la violazione del divieto di "bis in idem", secondo l'interpretazione data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016. (Sez. 5, n. 20859 del 17/03/2021, Rv.281267; analogamente in relazione ai rapporti tra le fattispecie di stalking e di violazione di domicilio Sez. 5, n. 22043 del 30/6/2020, Napoletano, Rv. 279357)"
Dunque, la soluzione del quesito circa la possibilità di concorso formale tra i due reati non ha implicazioni automatiche sulla soluzione della questione di bis in idem eventualmente proposta.
La Consulta, infatti, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., ha escluso che la possibilità astratta che due fattispecie, commesse con un'unica azione od omissione, concorrano tra loro consenta di prescindere dalla verifica circa la medesimezza del fatto nella chiave "materiale" sopra evidenziata e di processare comunque nuovamente l'imputato già condannato per il primo reato.
La Corte costituzionale, di contro, ha anche escluso che automaticamente si possa giungere a conclusioni contrarie, e cioè non è corretto ritenere che, ogni qualvolta vi sia concorso formale tra due reati, vi sia necessariamente medesimezza del fatto e debba operare, pertanto, il divieto di bis in idem.
E tali conclusioni sono coerenti con una concezione del principio suddetto che i giudici costituzionali auspicano che si sviluppi "in una dimensione esclusivamente processuale", precludendo una seconda iniziativa penale, laddove uno stesso "fatto" sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo. Nell'ottica di verifica suddetta, dunque, è necessario valutare se il fatto già giudicato con pronuncia assolutoria sia il "medesimo" di quello sottoposto all'esame del Collegio, secondo lo schema della coincidenza della triade fenomenica "condotta-nesso causale evento naturalistico".
Ebbene, nel caso del ricorrente, già l'analisi della "condotta" conduce a ritenere insussistente /'idem factum ai sensi della lettura costituzionalmente legittima dell'art. 649 c.p.p.: nell'ottica di verifica suddetta, dunque, è necessario valutare se il fatto già giudicato sia il "medesimo" di quello sottoposto all'esame del Collegio, secondo lo schema della coincidenza della triade fenomenica "condotta-nesso causale evento naturalistico".
La condotta di stalking è diversa, in quanto integrata da comportamenti molteplici e non coincidenti, se non in una piccola parte, con quella dei reati di minaccia ed ingiurie, (per il reato di ingiuria è stata già emessa sentenza di assoluzione per depenalizzazione), oltre che da un coefficiente soggettivo differente che, per il reato di stalking è quello, integrato dal dolo generico, della volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire (cfr. Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265230 e Sez. 1, n. 28682 del 25/9/2020, S., Rv. 279726); mentre, per il reato di cui all'art. 612 c.p., l'elemento soggettivo corrisponde al dolo generico consistente nella cosciente volontà di minacciare un male ingiusto, indipendentemente dal fine avuto di mira.
6.Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresì, a norma dell'art. 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità dei ricorsi, nella misura di Euro tremila.
Il ricorrente va altresì condannato alle spese di rappresentanza processuale della costituita parte civile che saranno liquidate dalla Corte di appello dal momento che la persona offesa risulta ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile L.A. , ammessa al patrocinio a Spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Palermo con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.