Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Spese processuali della parte civile simmedaitamente esecutive anche in primo grado (Tr Treviso, 22/10/2018)

25 ottobre 2018, Tribunale di Treviso

Alle spese processuali liquidate dal giudice penale vanno applicati i principi civilistici delle sentenze di condanna, in quanto trattasi di una statuizione di natura civilistica che trova la sua genesi all'interno di un processo, in coerenza con la funzione che è propria dell'azione civile nel processo penale, a mezzo della quale si fanno valere le propria doglianze e pretese privatistiche e risarcitorie nella parentesi del procedimento penale.

  

TRIBUNALE ORDINARIO di TREVISO

SEZIONE SECONDA CIVILE

Sez. II, Sent., 25/10/2018

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandro Bagnoli

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5379/2017 promossa da:

S.M. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ID, elettivamente domiciliato in *

ATTORE/I

contro

M.S. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. AE, elettivamente domiciliato in V**

F.P. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. AE

CONVENUTI

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Avverso l'atto di precetto in data 23.05.2017, notificato in uno con il titolo esecutivo - costituito dalla sentenza n. 30/2017 del Tribunale di Treviso, emessa nel procedimento penale n. 4607/2016 R.G.N.R. - n. 3305/2016 R.G. GIP, in data 05.06.2017, ha spiegato opposizione il Signor S.M., con atto di citazione notificato mediante posta elettronica certificata in data 18.06.2017, per effetto del quale pende avanti al Tribunale di Treviso la causa rubricata al numero n. 5379/2017 R.G., nella quale l'odierno attore ha dedotto che l'azione esecutiva posta in essere dagli odierni attori opponenti sarebbe "illegittima", poiché riunirebbe due crediti distinti, " accomunando arbitrariamente posizioni e somme diverse".

Ha contestato, altresì, l'asserito arbitrario inglobamento delle spese legali liquidate in sentenza a favore degli odierni convenuti opposti quali spese legali, per "complessivi Euro 5.000,00, oltre spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge" in primis perché tale somma non sarebbe da considerarsi provvisoriamente esecutiva e poi perché non sarebbe stata indicata la "necessaria differenziazione del regime dei beneficiari".

Ha richiesto infine la sospensione dell'esecuzione allegando, quale presupposto integrante il periculum in mora, il fatto che la sentenza costituente il titolo esecutivo sia oggetto di appello.

Si sono costituiti in giudizio i convenuti opposti contestando integralmente quanto dedotto, eccepito e richiesto ex adverso.

All'udienza del 26.6.2018 il procuratore degli opponenti ha precisato le conclusioni, mentre nessuno è comparso per parte opponente.

Il giudice ha trattenuto la causa in decisione.

In data 11.7.2018 è stata depositato atto di revoca del mandato al proprio avvocato da parte dell'opponente, senza contestuale nomina di altro difensore.

Sul punto si osserva che la revoca della procura da parte del cliente o la rinuncia alla stessa da parte del difensore, a norma dell'art. 85 c.p.c., non fanno perdere al procuratore (revocato o rinunciante) lo ius postulandi e la rappresentanza legale del cliente per tutti gli atti del processo fino a quando non si sia provveduto alla sua sostituzione con altro procuratore e tale sostituzione non sia stata ufficialmente comunicata (Cass. n. 5410/2001).

In merito alla qualificazione della opposizione svolta da parte attrice, va premesso che criterio distintivo fra l'opposizione all'esecuzione (articolo 615 c.p.c.) e l'opposizione agli atti esecutivi (articolo 617 c.p.c.) si individua considerando che con l'opposizione all'esecuzione si contesta il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo ovvero, nell'esecuzione per espropriazione, della pignorabilità dei beni.

Con l'opposizione agli atti esecutivi, invece, si contesta solo la legittimità dello svolgimento dell'azione esecutiva attraverso il processo, deducendosi l'esistenza di vizi formali degli atti compiuti o dei provvedimenti adottati nel corso del processo esecutivo e di quelli preliminari all'azione esecutiva (cfr. Cass. numero 16262/05, nonché, tra le più recenti, Cass. numero 13205/12, numero 13938/12, numero 20989/12).

Non c'è dubbio che, nel caso di specie l'opponente non contesti il quomodo della procedura esecutiva in questione, bensì le ragioni sottese sia all'an che al quantum debeatur.

L'azione non può tuttavia ritenersi inammissibile, in ragione del fondamentale principio in base al quale il giudice deve, preliminarmente, procedere sulla base della prospettazione operata dalle parti, alla qualificazione giuridica della domanda, deve, cioè, in base a quanto affermato inquadrare la fattispecie concreta in un paradigma normativo astratto disciplinato dal legislatore per individuare la normativa applicabile al caso concreto e ciò, a prescindere dalla formula adottata dalle parti stesse.

Nell'interpretazione della domanda giudiziale, il giudice, in altre parole, deve tenere conto della reale volontà dell'attore risultante dall'intero contenuto dell'atto e dallo scopo pratico perseguito.

Ebbene, nel caso di specie, l'azione proposta configura senz'altro un'opposizione ex art. 615 c.p.c. (e non già, come erroneamente qualificata dal debitore, ex art. 617 c.p.c.).

L'azione è pertanto da ritenersi ammissibile in rito.

Nel merito, tuttavia, le domande di parte attrice devono essere respinte.

M.S. e F.P. hanno agito esecutivamente, con un unico atto di precetto, per la riscossione di tre distinti crediti, agli stessi facenti capo, nascenti dalla sentenza penale del Tribunale di Treviso, n. 30/2017, emessa nel procedimento penale n. 4607/2016 R.G.N.R. - n. 3305/2016 R.G..

Dall'atto di precetto notificato al debitore si evince chiaramente come i due convenuti siano portatori di due distinti crediti, l'uno di Euro 8.000,00, l'altro di Euro 5.000,00 che, tuttavia, vengono azionati con una unica procedura esecutiva.

Una tale possibilità di azionare esecutivamente, con un unico atto di precetto, diversi crediti vantati da diversi creditori, nei confronti di un medesimo debitore, non appare invero esclusa dall'ordinamento, ed anzi consegue il sicuro effetto di condurre ad una concentrazione dell'attività esecutiva in un'unica procedura espropriativa, apparendo quindi conforme ad un principio di economia processuale (cfr. Tribunale di Roma sentenza n. 7757/2017).

Anzi, come correttamente rilevato dagli opponenti, nel caso in cui fossero state poste in essere più procedure esecutive a fronte dell'unico citato titolo esecutivo, si sarebbe creata una illegittima frammentazione della situazione debitoria del Signor M.S., con un ulteriore aggravio di spese a suo esclusivo carico (cfr., ex multis, Cass., sent. 8576/2013).

Peraltro l'art. 49 del Codice deontologico forense, stabilisce che "l'avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziarie la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita".

Va da sé allora che i creditori procedenti abbiano legittimamente operato, incardinando un'unica azione esecutiva ai fini di attuare le rispettive pretese creditorie.

Controparte contesta, altresì, l'asserito arbitrario inserimento delle spese legali liquidate in sentenza a favore degli odierni convenuti opposti quali spese legali, per "complessivi Euro 5.000,00, oltre spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge", in primis perché tale somma non sarebbe da considerarsi provvisoriamente esecutiva e, inoltre, perché non sarebbe stata indicata la "necessaria differenziazione del regime dei beneficiari".

Sul primo punto si osserva che, per la Suprema Corte, anche nella condanna alle spese relativa all'azione civile nel processo penale, vanno applicate le norme processuali civili, in tal senso statuendo che "in relazione alla condanna di natura civile del giudice penale trovano applicazione le norme processuali civili" (Cass. Pen. Sez. I, 31/01/2013, n. 4908).

Ai sensi dell'art. 540 c.p.p., infatti, la provvisionale è immediatamente esecutiva, così come recita lo stesso titolo dell'articolo il quale evidenzia a chiare lette la seguente dicitura "Provvisoria esecuzione delle disposizioni civili".

Il giudice penale, inoltre, in accoglimento della richiesta della parte civile ed in accessione alla condanna civilistica appena statuita, applica altresì l'art. 541 c.p.p. titolato "Condanna alle spese relative all'azione civile", a mezzo del quale condanna l'imputato e l'eventuale responsabile civile, in solido fra loro, alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civili: statuizione che viene ritenuta organica alle anzidette statuizioni civilistiche disposte dal giudice penale, così come sancito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha messo in risalto che sono "statuizioni accessorie anche quelle relative alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile" (Cass. Sez. Un., n. 40228 del 14/07/2011, Tizzi, Rv. 250680).

Pertanto anche e soprattutto in ordine alle spese processuali liquidate dal giudice penale vanno applicati i principi civilistici delle sentenze di condanna, in quanto trattasi di una statuizione di natura civilistica che trova la sua genesi all'interno di un processo, in coerenza con la funzione che è propria dell'azione civile nel processo penale, a mezzo della quale si fanno valere le propria doglianze e pretese privatistiche e risarcitorie nella parentesi del procedimento penale.

Appare pertanto pacifico che anche la condanna alle spese relative all'azione civile nel processo penale sia provvisoriamente esecutiva, in perfetta aderenza all'art. 282 c.p.c. secondo il quale le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive tra le parti, la cui esecuzione provvisoria si estende anche alle spese processuali, a prescindere dal tipo di sentenza che sia stata emanata.

Quindi, contrariamente, ad una prima, superficiale lettura del codice di procedura penale dove qualche interprete ritiene che le spese non siano provvisoriamente esecutive perché il testo dell'art. 541 c.p.p. nulla dice espressamente al riguardo, soccorre l'autorevole interpretazione della Suprema Corte di Cassazione, per la quale in ordine alle statuizioni civilistiche, seppur contenute in una sentenza penale e all'intero del solco di un processo penale, vadano applicate le normative ed i principi propriamente civilistici.

A riprova di ciò, sempre nella citata sentenza del 2013 summenzionata, la Cassazione si spinge oltre e mette in risalto, in relazione alla fattispecie della sospensione dell'esecuzione della condanna civile ex art. 612 c.p.p., che è il potere di sospensione dell'esecutività del giudice è limitato a quest'ultima e non anche "alle spese processuali sostenute dalla parte civile" (Cass. Pen. Sez. I, 31/01/2013, n.4908; Cass. Pen. Sez. V, 31/10/1991, rie. Benevento): avvalorando in modo sostanzioso e solenne l'implicita esecutività delle spese relative all'azione civile liquidate dal giudice penale, anche in primo grado.

Sulla fattispecie fa chiarezza anche il Ministero della Giustizia, con la circolare 25 gennaio 2006, n. 009522/U del Min. Giustizia, Dip. Aff. Giustizia, Dir. Gen. Giust. Civ., Uff. I., il quale sottolinea che è dovuto il rilascio di copia in forma esecutiva di una sentenza di primo grado non passata in giudicato, ma provvisoriamente esecutiva ex art. 282 c.p.c., recante esclusivamente condanna al pagamento delle spese processuali: "in considerazione della immediata efficacia endoprocessuale di qualsiasi pronuncia di condanna, tale essendo inconfutabilmente, quella alle spese".

Sicché si precisa che "ai sensi del novellato art. 282 c.p.c., deve ritenersi oggi legittimamente sussistente la provvisoria esecutività di tutti i capi delle sentenze di primo grado aventi portata condannatoria (quale quello relativo alle spese di giudizio), trattandosi di un meccanismo del tutto automatico e non subordinato all'accoglimento della domanda introdotta dalle parti".

L'immediata esecutività di diritto della provvisionale nei confronti di imputato esclude, pertanto, la necessità di ulteriori dichiarazioni da parte dell'organo decidente. La notifica della sentenza di condanna provvisionale unitamente al precetto è idonea a fondare l'esecuzione forzata.

In ordine al secondo punto in contestazione, si rileva che le spese legali sono state liquidate in favore di entrambi gli odierni convenuti opposti, quali "parti civili costituite" i quali sono due persone fisiche, nessuna di esse titolare di partita iva.

È bene ricordare che, ai fini Iva, qualsiasi professionista che abbia prestato la propria opera al cliente deve corrispondere all'Erario l'imposta sul proprio onorario ed è obbligato a rivalersene nei confronti dello stesso cliente (articoli 17 e 18 del D.P.R. n. 633 del 1972).

Più specificatamente, l'avvocato deve "emettere fattura al proprio cliente vittorioso, in cui deve essere evidenziato che la solutio avviene (sia per ciò che riguarda l'onorario sia per ciò che concerne l'imposta che vi accede) con danaro fornito dal soccombente" e deve addebitare al cliente l'Iva a titolo di rivalsa, anche se la suddetta fattura, di fatto, viene pagata dalla parte soccombente (cfr circolare 203/1994 e risoluzione 106/2006).

In realtà, possono verificarsi due ipotesi:

1) se il cliente vittorioso è titolare di partita Iva e la vertenza è inerente all'esercizio della propria attività d'impresa, arte o professione, il soccombente non deve pagare alla controparte vittoriosa l'importo addebitato a titolo di Iva dal legale alla propria cliente

2) se, invece, il cliente vittorioso non è titolare di partita Iva o la sentenza non è inerente all'esercizio della propria impresa, arte o professione, il soccombente deve pagare alla controparte anche l'importo addebitato dal legale al suo cliente a titolo di Iva.

Quanto sopra evidenziato trova giustificazione nel fatto che, nel primo caso, il cliente vittorioso ha il diritto di detrarre e, quindi, di recuperare l'Iva addebitata dal proprio avvocato, mentre nel secondo il cliente vittorioso non ha il diritto di detrarre l'imposta addebitata dal suo legale a titolo di rivalsa, pertanto ciò configura per il cliente in questione un vero e proprio onere.

Nel caso di specie, non essendo i clienti vittoriosi titolari di partita I.V.A., il soccombente è senz'altro tenuto a pagare anche l'importo addebitato dal legale a titolo di I.V.A. (cfr.: Cass., sent. n. 5027/1990): pertanto, l'I.V.A. rientra nel computo degli onorari di lite dovuti dalla parte soccombente, ovvero, è anch'essa a carico del debitore, Signor S.M. (cfr.: Cass., sent. n. 10336/2009).

Sull'asserita notificazione del precetto senza informare la controparte, è ben vero che esiste l'obbligo deontologico di informare la controparte prima di avviare un'azione esecutiva.

La violazione di tale precetto da parte del difensore produce, tuttavia, solo conseguenze eventuali sul piano disciplinare, da escludersi senz'altro nel caso in cui la mancata informativa sia dipesa da un disguido non addebitale al legale.

Quanto alla domanda di condanna dell'attore opponente al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 96 c.p.c., si rileva che è indubitabile che l'opposizione svolta dal debitore sia del tutto pretestuosa e defatigatoria: il debitore, infatti, ha palesemente agito ai fine di bloccare il pignoramento, in quanto le eccezioni svolte da questi ab origine possono essere ritenute palesemente infondate.

Proporre un'azione giurisdizionale malgrado la conoscenza o l'ignoranza gravemente colposa della sua insostenibilità, è fonte di responsabilità ex art. 96, comma 3, c.p.c., per avere agito sapendo di perorare una tesi infondata.

Nel caso di specie, l'opponente ha formulato un atto di citazione nel quale:

- ha sostenuto tesi giuridicamente molto originali, come quella secondo cui l'azione esecutiva posta in essere dagli odierni attori opponenti sarebbe "illegittima", poiché riunirebbe due crediti distinti; - ha affermato a sproposito che la somma richiesta non sarebbe da considerarsi provvisoriamente esecutiva;

- ha in definitiva (quel che più rileva, ai fini della responsabilità aggravata) proposto una opposizione a fini meramente defatigatori, violando, fra l'altro, il diritto alla ragionevole durata dei processi.

Sul punto la giurisprudenza ha affermato che "l'art. 96 comma 3 c.p.c. risponde ad una funzione sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori o del tutto strumentali, contribuendo così ad aggravare il volume del contenzioso e, conseguentemente, ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti". (Tribunale Milano 10 maggio 2017 ).

Si ritiene pertanto, alla luce dei motivi sopra indicati, di dover condannare parte opponente al pagamento, a favore dei convenuti opposti, della somma di Euro 1.000,00 ex art. 96 comma 3 c.p.c.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

- respinge l'opposizione;

- condanna parte opponente a rimborsare ai convenuti opposti le spese di lite, che si liquidano in Euro 4.835,00, oltre 15 % per spese generali, i.v.a., c.p.a.;

- condanna parte opponente a corrispondere ai convenuti opposti, ex art. 96 comma 3 c.p.c., la somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Treviso, il 25 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2018