Due cessioni di cocaina da 20 euro è fatto lieve ma non tenue: lievità e speciale tenuità non sono concetti identici.
La circostanza attenuante del lucro e dell'evento di speciale tenuità di cui all'art. 62, n. 4, c.p. è compatibile con la fattispecie di lieve entità, prevista dall'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 - perché è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti.
La valutazione della lieve entità del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990 è relativa alla condotta e all'oggetto materiale del reato mentre la verifica della speciale tenuità rilevante per il riconoscimento dell'attenuante di cui alla seconda parte dell'art. 62, n. 4 c.p. attiene ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) e all'evento (dannoso o pericoloso) del reato; per la sussistenza della circostanza attenuante, nelle ipotesi exart. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, occorra la prova dell'elemento specializzante costituito dall'avere l'agente agito per conseguire o l'avere conseguito un lucro di speciale tenuità e che l'evento, dannoso o pericoloso, sia anch'esso di speciale tenuità.
Chi invoca l'applicazione di una circostanza attenuante con l'impugnazione deve indicare, a pena di inammissibilità, gli elementi di fatto che sorreggono la richiesta, gli elementi costitutivi della circostanza attenuante, e le ragioni di diritto.
Cassazione penale
sez. III, ud. 6 luglio 2021 (dep. 20 settembre 2021), n. 34663
Presidente Di Nicola – Relatore Semeraro
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza del 25 maggio 2020 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella del 3 maggio 2019 del Tribunale di Nola, ha ridotto la pena inflitta a B.N. ad un anno e 5 mesi di reclusione ed Euro 2500 di multa, per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, con le circostanze attenuanti
generiche, per la cessione a G.A. di quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente tipo cocaina, il (omissis) ed il (omissis) in (omissis), in concorso con P.G. .
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata deducendo i vizi di violazione di legge e della motivazione sul rigetto del motivo di appello con cui si chiese il riconoscimento della circostanza attenuante della speciale tenuità ex art. 62 c.p., n. 4. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, dall'istruttoria non
sarebbe emerso che la ricorrente fosse dedita con abitualità e professionalità al traffico di sostanze stupefacenti; la ricorrente avrebbe svolto solo l'attività di intermediaria nelle due cessioni; relative ad un modesto quantitativo di cocaina. Per le altre ipotesi di reato era stata emessa sentenza di non luogo a
procedere. La Corte territoriale non avrebbe offerto adeguata giustificazione del rigetto, tenuto conto dell'entità del lucro perseguito e della gravità dell'evento dannoso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato. Il ricorrente deduce i vizi di violazione di legge e della motivazione sul rigetto del motivo di appello con cui si chiese l'applicazione della circostanza attenuante ex art. 62 c.p., n. 4.
1.1. Va affermato il principio per cui se la circostanza attenuante del lucro e dell'evento di speciale tenuità di cui all'art. 62 c.p., n. 4, è compatibile con la fattispecie di lieve entità, prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, - perché è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene
oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti (così Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, Rv. 279499 - 01) - però l'applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, non implica automaticamente la sussistenza della suindicata circostanza attenuante.
1.2. Come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza Dabo, mentre la valutazione della lieve entità del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è relativa alla condotta - avuto riguardo ai mezzi, alla modalità e alle circostanze dell'azione - e all'oggetto materiale del reato - in relazione
alla qualità e quantità delle sostanze - la verifica della speciale tenuità rilevante per il riconoscimento dell'attenuante di cui alla seconda parte dell'art. 62 c.p., n. 4, attiene ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) e all'evento (dannoso o pericoloso) del reato.
Per la sussistenza della circostanza attenuante, nelle ipotesi D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, occorra la prova
dell'elemento specializzante costituito dall'avere l'agente agito per conseguire o l'avere conseguito un lucro di speciale tenuità e che l'evento, dannoso o pericoloso, sia anch'esso di speciale tenuità.
1.3. Va altresì ricordato che l'impugnazione, a pena di inammissibilità, ex art. 581 c.p.p., lett. d), deve contenere
l'enunciazione specifica dei motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta: il che implica che, a fronte del rigetto della sentenza di merito, chi invoca l'applicazione di una circostanza attenuante con l'impugnazione deve indicare, a pena di inammissibilità, gli
elementi di fatto che sorreggono la richiesta, gli elementi costitutivi della circostanza attenuante, e le ragioni di diritto.
1.4. Nel ricorso si fa riferimento all'obbligo di motivazione richiamando un passo della sentenza delle Sezioni Unite Dabo che concerne la motivazione sulla sussistenza della circostanza
attenuante, non la sua esclusione; affermano le Sezioni Unite: "Esclusa l'incompatibilità logica e normativa tra la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e l'attenuante del lucro/offesa di speciale tenuità, il riconoscimento di tale attenuante nel caso concreto resta tuttavia affidato ad una puntuale ed esaustiva verifica, della quale il giudice di merito deve offrire adeguata giustificazione, che dia consistenza
sia all'entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall'agente, che alla gravità dell'evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta considerata.
Dovendosi tale ultimo elemento riferire alla nozione di evento in senso giuridico, esso è infatti idoneo a comprendere qualsiasi offesa penalmente rilevante, purché essa, come concretamente accertata, si riveli di tale particolare modestia da risultare
"proporzionata" alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l'autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito".
1.5. Orbene, dalla sentenza impugnata risulta che il giudice di primo grado ha ritenuto lieve il lucro conseguito: lievità e speciale tenuità non sono concetti identici, sicché il ricorrente
avrebbe dovuto dimostrare che la sussistenza dell'elemento consistente nell'avere l'agente perseguito, o effettivamente conseguito, un lucro di speciale tenuità.
In punto di fatto, nel ricorso, al di là del richiamo ai principi delle Sezioni Unite, non vi è alcuna indicazione concreta degli elementi di prova in base ai quali può ritenersi sussistente la circostanza attenuante ex art. 62 c.p., n. 4, sia quanto al lucro di speciale tenuità che quanto all'evento, dannoso o pericoloso, di speciale tenuità, posto che l'applicazione del D.P.R. n. 309 del
1990, art. 73, comma 5, non impone affatto la sussistenza di tale circostanza attenuante.
1.6. La Corte territoriale ha correttamente escluso la sussistenza della circostanza attenuante in quanto, pur in presenza
di due cessioni da 20 Euro ciascuna, la lesione al bene protetto non può ritenersi di speciale tenuità, a fronte della duplicità di condotte di cessione e della prosecuzione dell'attività illecita da parte dell'imputata anche successivamente e nonostante la restrizione agli arresti domiciliari per reati relativi alla cessione
delle sostanze stupefacenti, a conferma del contestato inserimento in ambienti criminali.
2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., si condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.