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Sottrazione d'acqua: furto o illecito amministrativo? (Tr. Trento, 17/2/2015)

17 febbraio 2015, Tribunale di Trento

Il prelievo di acqua potabile oltre il limite autorizzato integra non il delitto di furto aggravato ma l'illecito amministrativo di cui all' art. 17 R.D. n. 1775 del 1933, come modificato dall' art. 23 D.Lgs. n. 152 del 1999.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TRENTO


Il Tribunale, in composizione monocratica, presieduto dal Giudice dr. ENRICO BORRELLI alla pubblica udienza del 17.02.15 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale
CONTRO
S.C., nato a F. (B.) il (...) e residente a T. (T.) in Via P. nr. 13/2, socio e legale rappresentante con delega per la salute e sicurezza in azienda della società E. s.n.c. dei F.lli S.C. e G., con sede legale in loc. Caseri nr. 66/L Canal S. Bovo Fraz, Caoria, fino al 02.05.2011, e Amministratore unico e responsabile per la salute e sicurezza in azienda della società E. S.r.l., così denominata in seguito alla trasformazione di società in nome collettivo a responsabilità limitata, dal 02.05.2011; elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia.
difeso di fiducia dall'Avv. CANESTRINI Nicola del Foro di Rovereto con studio in Piazza Podestà a Rovereto (TN)
LIBERO ASSENTE
imputato
9) per il reato di cui all'art. 81 cpv, 624 e 625 n. 7 c.p. perché in esecuzione del medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto, si impossessava di circa 8.723 mc. di acqua potabile in ca. 150 giorni, dal 20.01.11 al 25.01.11 e dal 03.03.2011 al 03.08.2011 data del distacco, con un consumo di punta di 190 mc. nelle 24 ore antecedenti al 02.08.2011, sottraendola all'acquedotto del Comune di Canal S.Bovo, con quantità superiori ai 50 mc/d a quanto prescritti nel provvedimento di autorizzazione allacciamento idrico n. 6732/06/R/I di data 18.01.2007 rilasciato dal Comune di Canal S.Bovo, utilizzando abitualmente anche gli idranti antincendio o bocche antincendio, che debbono essere utilizzati solo ed in caso di emergenza ed informando, se utilizzati, l'Amministrazione comunale la quale provvede alla nuova sigillatura, commettendo il fatto su cosa destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità.
In Canal S.Bovo fino al 03.08.2011 (data della comunicazione di prot. 4554/11 del Comune di Canal S.Bovo di sospensione, alla E. S.r.l., dell'erogazione dell'acqua potabile ad uso industriale).

Svolgimento del processo

Con citazione diretta ex art. 550 c.p.p. S.C. ed altri erano tratto in giudizio innanzi al Tribunale di Trento, sez. dist. di Borgo Valsugana, per rispondere di una pluralità di reati. A séguito di scelte processuali differenziate, veniva disposto un primo stralcio in ordine a diverse posizioni e reati. Il processo, proseguito limitatamente a S.C., era successivamente trasferito in sede centrale per soppressione dell'ufficio ai sensi dell' art. 9 D.Lgs. n. 155 del 2012.
Nel corso dell'istruttoria, l'imputato formulava istanza di messa alla prova per i tutti i reati, con eccezione del capo 9, per il quale si chiedeva lo stralcio e l'emissione di sentenza di proscioglimento.
Disposto lo stralcio, il giudice invitava le parti a concludere; all'udienza del 17.2.15 le parti concludevano come in epigrafe ed il giudice emetteva il dispositivo, letto in udienza.


Motivi della decisione

In fatto, è da ritenere pacifico che la E. srl, di cui era legale rappresentante l'imputato, fosse titolare di utenza idrica (per uso industriale) e di autorizzazione comunale 18.1.07 per il prelievo di acqua, con un limite quantitativo giornaliero.
All'imputato è contestato l'impossessamento di circa 8.273 metri cubi di acqua potabile ad uso industriale nel periodo 20-25.1.11 e 3.3-3.8.11 (data del distacco dell'utenza) prelevati dall'acquedotto comunale, con consumi giornalieri superiori alla quantità giornaliera autorizzata (50 mc), con utilizzazione abituale degli idranti antincendio o bocche antincendio.
In diritto, è in contestazione se le condotte di prelievo oltre il limite autorizzato integrino il delitto di furto aggravato o l'illecito amministrativo di cui all' art. 17 R.D. n. 1775 del 1933, come modificato dall' art. 23 D.Lgs. n. 152 del 1999.

La giurisprudenza si è occupata a più riprese della questione.

L' art. 17 R.D. n. 1775 del 1933 (nel testo originario) prevedeva, nel caso di derivazioni o utilizzazioni in tutto o in parte abusive, una procedimentalizzazione volta alla regolarizzazione, salvo il pagamento del canone e di una serie di importi, a titolo di spese della procedura.
L' art. 23 D.Lgs. n. 152 del 1999, lasciando fermi la procedimentalizzazione e gli obblighi di sanatoria e di rimborso, aveva introdotto un illecito amministrativo per i casi di violazione. L'ulteriore modifica della norma con l' art. 96 co. 4 D.Lgs. n. 152 del 2006 non innovava in ordine all'illecito amministrativo.
Nella giurisprudenza anteriore al 1999, l'utilizzazione abusiva di acque pubbliche integrava il delitto di furto. Sul punto, si era osservato che "in materia di acque demaniali destinate a pubblica utilità, ... l'attingimento senza titolo delle acque sotterranee realizza la ... condotta della sottrazione al legittimo proprietario (nel caso il demanio regionale) dell'acqua sotterranea. E poiché l'acqua ha natura di bene economico suscettibile di scambi e di diritti patrimoniali, essa può ben formare oggetto del delitto di furto "(Cass. 4.10.93, n. 9381, Alè, Rv. 196004).
Dopo la modifica normativa del 1999, la S.C. si era occupata della questione con una prima decisione (in sede cautelare) in cui si era affermata la tesi della depenalizzazione (Cass. 9 febbraio 2000, n. 767, D'Arduino) e poi con una decisione di merito in cui aveva confermato la rilevanza penale del fatto, affermando che "risponde del furto aggravato ex art. 625 c.p. , n. 7, e non di mero illecito amministrativo previsto dal R.D. n. 1775 del 1933, artt. 17 e 219, il presidente di un consorzio di acquedotti che utilizzi l'acqua di un fiume in misura superiore a quanto stabilito nell'atto di concessione, trattandosi di norme che tutelano beni giuridici diversi, ossia la proprietà, con la sanzione penale, e l'ambiente e la salubrità delle acque, con quella amministrativa" (Cass. 21 novembre 2001, n. 37237/02, Bricca, Rv. 222611).
Nella giurisprudenza immediatamente successiva alla sentenza Bricca, ed in consapevole contrasto con tale decisione, si era formato un orientamento di segno contrario, secondo cui l'illecito amministrativo introdotto nel 1999 costituiva norma speciale rispetto all'art. 624 c.p. Nella relazione dell'Ufficio del Massimario (Relazione su orientamento della giurisprudenza n. 1021/05, citata da Cass. 46950/09, Cariello) si precisava che il principio di diritto emerso nella "sentenza Bricca" era rimasto isolato e che nelle successive decisioni si era ritenuto che il furto d'acqua pubblica fosse da ritenere depenalizzato. In tal senso si erano espresse:
- Cass. 5 maggio 2004, n. 26877, Rv. 229878, Modaffari;
- Cass. 11 ottobre 2005, n. 39977, Rv. 232341, La Rocca.
Le ulteriori decisioni avevano confermato la tesi della depenalizzazione:
- Cass. 29 novembre 2006, n. 186/07, Furfaro, Rv. 236046;
- Cass. 7 marzo 2007, n. 25548, Lanciani, Rv. 237702;
- Cass. 25 giugno 2008, n.32974, Garifo (non massimata);
- Cass. 13 ottobre 2009, n. 46950, Cariello (non massimata);
- Cass. 10 aprile 2013, n. 17580, Caramazza, Rv. 256928.
Da ultimo è emersa una decisione contraria, nella quale si precisa il concetto di impossessamento di acqua, con la differenziazione dei casi di attingimento di acque (superficiali o sotterranee) da quelli di allacciamento abusivo a condutture, con acqua già convogliata. Secondo tale decisione ricorrono le seguenti ipotesi:
a) ove si tratti di acque sotterranee o superficiali, cui vanno assimilate, ex art. 1 co. 1 D.P.R. n. 238 del 1999 le acque "raccolte in invasi o cisterne", l'acqua è da qualificarsi pubblica, in quanto appartenente al demanio, sicché l'attingimento abusivo integra l'illecito amministrativo di cui all' art. 17 R.D. n. 1775 del 1933;
b) ove si tratti di acque convogliate in acquedotti, l'attingimento abusivo integra il delitto di furto.
In particolare, secondo la Corte, "a ritenere diversamente si finirebbe per sovrapporre la nozione di acqua pubblica valevole ai fini dell' art. 17 R.D. n. 1775 del 1933 con quella che trae causa dalla natura pubblica dell'ente proprietario " (Cass. 14 novembre 2012, n. 6965/13, Procopio, Rv. 254397).
Già in epoca anteriore risulta un'altra decisione (di inammissibilità del ricorso) nella quale - senza alcun richiamo ai precedenti - la sottrazione abusiva (senza utenza) di acqua dall'acquedotto comunale è qualificata in termini di furto aggravato (Cass. 3 marzo 2009, n. 20404, Dolce, Rv. 244215).
Nel segno della "sentenza Procopio" si collocano altre decisioni, tutte relative all'allacciamento illecito (senza utenza) all'acquedotto comunale, con qualificazione della condotta in termini di furto:
- Cass. 26 novembre 2013, n. 2822/14, Giovinazzo (non massimata);
- Cass. 2 luglio 2014, n. 35712, Ferrara (non massimata)
Nel caso in esame, come già indicato, si tratta di un attingimento da parte di un utente oltre i limiti autorizzati.
In termini cronologici e ricostruttivi, si rileva:
1) che la prima decisione successiva al 1999 riguardava un caso - in termini analoghi a quelli del presente giudizio - di superamento dei limiti autorizzati; secondo tale decisione, il superamento comportava furto aggravato (Cass. n. 37237/02, Bricca);
2) le successive decisioni della S.C. riguardavano ipotesi di maggiore gravità (utilizzazione di acque pubbliche senza utenze o autorizzazioni); il principio di diritto emerso era quello della intervenuta depenalizzazione del fatto (cfr. Cass. n. 26877/04 e successive già citate);
3) i quattro precedenti penali di segno opposto riguardano anch'essi le più gravi ipotesi di attingimento abusivo, senza utenza o autorizzazione, dagli acquedotti comunali (Cass. n. 20404/09, Dolce; n. 6965/13, Procopio; n. 2822/14, Giovinazzo; n. 35712/14, Ferrara).
Da tale disamina consegue che la più risalente lettura della modifica dell'art. 17 TU acque - secondo cui per l'attingimento di acqua pubblica permaneva la qualificazione in termini di delitto - è stata rapidamente superata da una serie di decisioni di segno opposto, secondo cui la modifica normativa aveva eliminato la rilevanza penale all'utilizzo di acqua pubblica. Detta giurisprudenza, con interventi conformi dal 2004 al 2013, si è formata sulla più grave delle ipotesi di abusivo attingimento di acque pubbliche, costituita dall'assenza ab origine sia di un contratto (attivazione dell'utenza, corresponsione di spese di attivazione e di canoni) sia di un titolo autorizzativo (in ordine alle modalità di utilizzazione e di eventuali tetti massimi).
Sulla diversa ipotesi per cui è processo (presenza in capo alla società sia dell'attivazione dell'utenza sia di un'autorizzazione disciplinatoria dell'accesso alla rete idrica, con superamento in concreto dei tetti autorizzati), l'unico precedente rinvenuto dopo la depenalizzazione del 1999 è costituito dalla più volte richiamata sentenza Bricca. Sul punto il collegio aveva affermato che "è infondata del tutto l'ulteriore tesi della configurabilità nel caso in esame del delitto di appropriazione indebita o, comunque, della insussistenza dell'aggravante contestata destinazione a pubblica utilità del quantita tivo di acqua in più prelevato. Vale infatti, il rilievo che il consorzio era possessore della cosa solo nei limiti della concessione e non per il quantitativo in più, sicché di questo illecitamente si impossessò commettendo furto e non appropriazione indebita". L'intero assetto della sentenza, come più volte indicato, era sottoposto a mutamento di giurisprudenza sin dalle decisioni immediatamente successive.
Ritiene il giudicante che il principio emerso nella sentenza Bricca, seconso cui sussiste un'equiparazione fra l'allacciamento abusivo tout court (mancanza di contratto e di autorizzazione/concessione) e la mera violazione del titolo abilitativo (per superamento dei tetti massimi consentiti), alla luce del dettato normativo, non possa trovare conferma.
Una prima lettura, proposta nella memoria difensiva 16.2.15, secondo cui l'acqua contenuta in "invasi e cisterne" (ex lege qualificata come acqua pubblica) coinciderebbe con quella contenuta negli acquedotti, non può trovare séguito. Il richiamo all'acqua convogliata in "invasi e cisterne" ha la chiara ratio di estendere la regolamentazione delle acque pubbliche non solo al punto di attingimento (corsi d'acqua superficiali e sotterranei) ma anche ai suoi luoghi di conservazione. Al contrario, gli acquedotti pubblici costituiscono un'attività di gestione del servizio idrico, con regolamentazione dell'accesso (allacciamento con utenze; eventuali limiti all'utilizzazione in termini quantitativi o di usi consentiti).
Sotto altro profilo, va rilevato che con l'introduzione dell'illecito amministrativo il legislatore ha inteso sanzionare espressamente condotte abusive relative all'utilizzazione di acque pubbliche; l'abusivo allacciamento comporta effetti negativi per la P.A., sia per il mancato pagamento di canone e consumi, sia per la riduzione dell'acqua disponibile in favore dei soggetti autorizzati.
Per l'ipotesi di attività svolta oltre i limiti dell'autorizzazione, la ricostruzione normativa induce a ritenere che il superamento dei limiti ha effetti civilistici (sul contratto di somministrazione) ed amministrativi (sulla concessione/autorizzazione), mentre, sotto il profilo sanzionatorio, sin dal 1999 ha perso rilevanza penale per intervenuta depenalizzazione.
Va infine segnalata Cass. civ. 20 gennaio 2015, n. 905 (emessa in data successiva al dispositivo del presente giudizio), resa dal giudice civile in sede di opposizione a sanzione amministrativa, in ordine all'integrazione dell'illecito amministrativo per l'abusiva utilizzazione di acque convogliate in acquedotto.
Consegue l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
La presente sentenza è stata redatta in collaborazione con la dr.ssa C.A., tirocinante ex art. 73 D.L. n. 69 del 2013 convertito nella L. n. 98 del 2013 .

P.Q.M.

Visto l'art. 529 c.p.p.
assolve l'imputato per il reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato;
trasmissione atti alla P.A. competente per illecito amministrativo; motivazione gg. 40.
Così deciso in Trento, il 17 febbraio 2015.
Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2015