Nel caso della sentenza predibattimentale di appello adottata de plano manca il confronto dialettico delle parti (anche) sulla causa di estinzione, con conseguente la nullità assoluta.
La sentenza predibattimentale di appello assunta de plano, stabilizza un fenomeno, costituito dalla pronuncia di una sentenza in assenza del giudizio, che pone il sistema in tensione col principio costituzionale del contraddittorio e quindi del giusto processo.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 30 ottobre – 17 novembre 2020, n. 32262
Presidente Di Tomassi – Relatore Santalucia
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Milano, in accoglimento della richiesta scritta del Procuratore Generale, ha dichiarato, con sentenza predibattimentale e senza la partecipazione delle parti, il non doversi procedere nei confronti di B.A. e L.S.A. in ordine al delitto a loro ascritto al capo A) - in concorso con, tra gli altri, Ba.Ho. - di associazione per delinquere, con il ruolo di promotori e organizzatori, finalizzata alla commissione di più delitti di illegale esportazione di materiali di armamento e comunque di illegale contrattazione finalizzata alla suddetta esportazione nonché di esportazione non autorizzata di materiale a duplice uso, civile e militare, verso la Repubblica islamica dell’Iran, perché estinto per prescrizione. Ha in particolare osservato che, nelle more della celebrazione del processo di appello, era maturato il termine di prescrizione.
2. Già in esito all’udienza preliminare era stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, nei confronti dei due imputati, con la formula piena della insussistenza dei fatti in ordine ai capi B), C) e D) relativi a distinti episodi di esportazione di materiali di armamento.
3. Successivamente, con la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, il Tribunale di Como assolse i due imputati, per non aver commesso il fatto, dal delitto-fine di cui al capo F), riqualificato come episodio di concorso nel tentativo di esportazione di materiali di armamento verso la Repubblica Islamica dell’Iran, e dichiarò l’estinzione per prescrizione del delitto-fine di cui al capo E), relativo ad un episodio di concorso nell’esportazione, con destinazione finale nella Repubblica Islamica dell’Iran, di beni a duplice uso, civile e militare, in particolare respiratori subacquei e relativi accessori, in violazione dell’embargo internazionale esistente verso il Paese destinatario e comunque senza la prescritta autorizzazione.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello hanno proposto ricorso i difensori di B.A. e di L.S.A. .
5. Il difensore di L.S.A. ha dedotto vizio di violazione di legge. La sentenza è viziata da nullità assoluta e insanabile per essere stata pronunciata all’esito di una camera di consiglio svoltasi senza dare avviso alle parti e quindi in loro assenza.
Dagli atti del processo emergono comunque le cause che escludono la sussistenza del fatto e la sua rilevanza penale, in modo da dover essere soltanto constatate, sicché non può trovare applicazione il principio per il quale, nel caso della contestuale ricorrenza nel giudizio di legittimità di una causa estintiva del reato e di una nullità assoluta, occorre dare prevalenza alla prima.
Dalle due sentenze di merito si rileva che i tre imputati del delitto associativo non concordarono la commissione di un numero indeterminato di reati ma, eventualmente, soltanto una unica esportazione verso l’Iran di materiale a duplice uso, effettuata l’11 agosto 2009. Per questa ragione non si può attribuire al ricorrente e agli imputati B. e Ba. la qualità di associati: costoro, al più, possono essere ritenuti concorrenti nel reato in contestazione al capo E). Lo stesso pubblico ministero chiese in primo grado l’assoluzione degli imputati dal fatto associativo, per la mancanza, venuti meno gli episodi di cui ai capi B), C) e D), dell’estrinsecazione operativa della supposta associazione.
Per i giudici di merito, invece, la sussistenza del delitto associativo si ricaverebbe dalla finalizzazione alla commissione di un numero indeterminato di operazioni, come quelle di cui ai capi B), C) e D), la cui liceità era stata già affermata con la sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare.
6. Il difensore di B.A. ha dedotto vizio di violazione di legge nella parte in cui, con una sentenza viziata da nullità assoluta, è stata dichiarata l’estinzione dei reato nonostante l’evidenza della insussistenza del reato associativo; ha quindi svolto argomentazioni sovrapponibili a quelle del ricorso proposto nell’interesse di L.S.A. e appena prima riassunte.
7. L’esame dei ricorsi, inizialmente fissato per l’udienza camerale ex art. 611 c.p.p. del 10 luglio 2020, è stata poi rinviato, con provvedimento presidenziale del 25 giugno 2020, all’odierna pubblica udienza. Si è così disposto sia perché con trattazione in pubblica udienza hanno proceduto le Sezioni unite in una vicenda del tutto simile - v. Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, Rv. 269809/10 -, sia per restituire le parti al contraddittorio orale, di cui sono state private in grado di appello.
Considerato in diritto
1. La vicenda oggetto dei ricorsi è pienamente sovrapponibile a quella che ha dato luogo alla pronuncia delle Sezioni unite (Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, Rv. 269809-10) secondo cui, fermo il divieto di pronunciare in appello sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell’art. 469 c.p.p., non può riconoscersi in capo all’imputato l’interesse al ricorso per cassazione ove con detta sentenza, emessa de plano, sia dichiarata, in riforma della condanna di primo grado, l’estinzione del reato per prescrizione; e ciò per la prevalenza della causa estintiva del reato sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza pronunciata in violazione del contraddittorio, sempre che non risulti evidente la prova dell’innocenza, spettando in tal caso alla Corte di cassazione di adottare la formula di merito di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2.
2. Il Collegio ritiene di non poter condividere tale principio di diritto, sulla base delle seguenti considerazioni che, proponendo una diversa ricostruzione, impediscono la valutazione in termini di inammissibilità dei ricorsi.
3. Due sono gli aspetti meritevoli di riconsiderazione.
3.1. Anzitutto, l’assunto che la sentenza predibattimentale d’appello, emessa de plano, sia affetta da nullità assoluta e non sia invece abnorme.
Secondo una prospettiva maggiormente persuasiva, l’essere la sentenza emessa de plano al di fuori di uno schema normativo del tipo di quello che il sistema ha modellato con esclusivo riferimento al giudizio di primo grado - art. 469 c.p.p., - la connota di imprevedibile eccentricità e non la qualifica pertanto e semplicemente per la violazione di specifiche norme processuali, quelle in tema di contraddittorio e quindi di citazione in giudizio dell’imputato e di partecipazione al procedimento del pubblico ministero. A nulla può rilevare, per sottrarla all’area dell’eccezionalità dei provvedimenti abnormi, il fatto che, come nel caso in esame, sia adottata su richiesta (scritta) del procuratore generale, perché questa iniziativa non ha certo la capacità di render consentito un provvedimento non previsto dal sistema, e specificamente non previsto per quel dato momento della progressione processuale in cui va ad innestarsi.
3.1.1. La collocazione della sentenza nell’ambito degli atti abnormi, seppure non inibisca la preliminare indagine, ai fini delle verifiche di ammissibilità dell’impugnazione, sulla sussistenza di un interesse attuale e concreto alla rimozione dell’atto, e specificamente del ricorso, impone una nuova riflessione sul tema della prevalenza della causa estintiva su eventuali patologie,.pur gravi, occorse nei gradi di merito, e della sua giustificazione per mezzo dell’osservazione che, pur rimosso l’atto viziato, il giudice del rinvio non potrebbe che ribadire la sussistenza della causa estintiva già dichiarata sia pure al di fuori di un corretto schema procedimentale.
3.2. Il secondo aspetto che necessita di maggiore attenzione, per l’ipotesi in cui si intenda riaffermare che la sentenza predibattimentale di appello assunta de plano sia non abnorme ma inficiata da nullità assoluta e insanabile, attiene alla affermazione della prevalenza della causa estintiva. Proprio con la premessa dei principi espressi dalla giurisprudenza delle Sezioni unite che ha dato corpo a detta regola, e che si trovano ribaditi anche nella sentenza Iannelli da cui si dissente, occorre chiedersi se la regola della prevalenza possa valere pur quando, come nel caso di specie, la nullità sia l’immediata e diretta conseguenza dell’assenza del preliminare contraddittorio per la emissione della sentenza.
4. In base alla giurisprudenza delle Sezioni unite il nucleo che connota l’abnormità, nella sua duplice forma dell’abnormità strutturale e di quella funzionale, è sempre e comunque il difetto di potere decisorio in capo al giudice che emette l’atto.
Da questa premessa discende che, ove possa dirsi esistente l’attribuzione, gli eventuali vizi dell’atto sono quelli previsti dalla legge secondo il principio di tipicità; se, di contro, è proprio essa a far difetto, e quindi se mancano le condizioni per il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale, il provvedimento non può che essere abnorme e, come tale, deve essere rimosso - Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, P.M. in proc. Toni e altro, Rv. 243590 -.
Lo stesso principio fu anni prima formulato da Sez. U, n. 28807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999, che definì abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento di restituzione degli atti al pubblico ministero a fronte di una nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio conseguente all’inosservanza del termine per comparire, sulla base dell’assunto che a tali nullità deve porre rimedio lo stesso giudice il quale, pertanto, non ha il potere di restituire gli atti. In quest’ambito il provvedimento di restituzione si pone fuori del sistema e per tale ragione determina una indebita regressione.
È appena il caso di precisare che il difetto di potere a cui si fa riferimento in queste due pronunce non rimanda alla situazione radicale dell’assenza del potere giurisdizionale, evocativa piuttosto della categoria dell’inesistenza, quanto all’assenza di una determinata potestà decisoria o, pur ammessa l’esistenza di una attribuzione, alla carenza nella specifica scansione della progressione processuale delle condizioni che ne concretizzano e ne giustificano l’esercizio.
5. Con l’attenzione specificamente rivolta ai rapporti tra giudice e pubblico ministero la sentenza Toni ha individuato l’abnormità strutturale sia nel "caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto)" che in quello "di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto)". E ha limitato l’abnormità funzionale all’ipotesi in cui il provvedimento del giudice imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.
Su queste premesse ha escluso l’abnormità ove l’atto, che comporti una regressione, sia espressione di un potere riconosciuto dall’ordinamento seppure i presupposti che ne legittimano l’emissione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato. Non è dunque abnorme, ma soltanto illegittimo, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, ritenuta la mancata notificazione all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, disponga la restituzione degli atti al Pubblico Ministero dopo avere dichiarato, erroneamente, la nullità del decreto di citazione a giudizio.
5.1. Il cattivo esercizio del potere, situazione ben diversa dall’esercizio di un potere inesistente, eventualmente per difetto dei presupposti che lo collocano in uno stadio della progressione processuale, segna l’ambito della mera illegittimità, a cui si contrappone l’abnormità che apre al controllo impugnatorio sulle manifestazioni di un potere invero mancante nella duplice accezione appena prima indicata.
6. La carenza di potere in concreto può aversi anche nel caso in cui il giudice adotti provvedimenti che eccedano i limiti del proprio potere, ledendo prerogative di altri organi, in specie del pubblico ministero, come ha stabilito Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, P.M. in proc. Minervini, Rv. 231163, rilevando l’abnormità dell’ordinanza con la quale il Gip, all’esito dell’udienza camerale fissata sull’opposizione della persona offesa per il mancato accoglimento della richiesta di archiviazione del P.M., dopo aver ordinato l’espletamento di nuove indagini e l’iscrizione nel registro delle notizie di reato di altri soggetti non indagati, fissi contestualmente una nuova udienza di rinvio per l’ulteriore corso, dal momento che, così provvedendo, crea un imprevedibile e non previsto vincolo per le valutazioni conclusive del pubblico ministero in punto di esercizio dell’azione.
E come successivamente ha chiarito Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013, dep. 2014, P.M. in proc. L. e altro, Rv. 257786, definendo abnorme, appunto perché eccedente i poteri del giudice per le indagini preliminari, l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata e l’ordine d’imputazione coatta emesso sì nei confronti dell’indagato ma per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione.
Non è dubbio che al giudice spetti il potere - dovere di controllo sulle indagini preliminari, che il suo sindacato si estenda all’integralità dei risultati delle indagini e non sia confinato nei limiti della notizia di reato sì come delineata dal pubblico ministero.
Occorre però che il controllo non trasmodi nella compressione della sfera di autonoma determinazione del pubblico ministero, con l’imposizione del compimento di atti al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal codice di rito.
Ed è per questa ragione - non in contraddizione con l’affermazione del potere generale di controllo sull’operato del pubblico ministero - che il giudice deve esercitare il suo sindacato e i suoi poteri di impulso, a garanzia dell’effettività del principio di obbligatorietà dell’azione, ordinando le relative iscrizioni nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. e non invadendo la sfera di attribuzioni proprie dell’organo di accusa.
6.1. Il rilievo dell’impossibilità che il generale potere di controllo sulla regolarità delle indagini preliminari costituisca in ogni caso il fondamento giustificativo di provvedimenti compressivi ed invasivi degli spazi riservati al pubblico ministero è stato da ultimo confermato da Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, Gianforte, Rv. 273581, che ha qualificato come abnorme "il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che, non accogliendo la richiesta di archiviazione, ordini, ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 5, che il pubblico ministero formuli l’imputazione per un reato diverso da quello oggetto della richiesta".
È interessante osservare che tale ultima pronuncia non si è limitata a ribadire l’abnormità in caso di carenza di potere per travalicamento dei limiti posti a presidio delle prerogative del pubblico ministero, e quindi per mancanza in concreto delle condizioni che legittimano e consentono quella determinata forma di controllo, ma si è interrogata sulla esistenza di un interesse in capo all’indagato all’annullamento dell’atto, ravvisandolo, in termini di concretezza e di attualità, in funzione del ripristino delle garanzie partecipative della difesa nella fase camerale del procedimento di archiviazione. Interesse, questo, che si proietta direttamente sul piano delle garanzie procedimentali di partecipazione, prima e più che sui contenuti dispositivi dell’ordinanza impugnata.
7. Lungo queste direttrici le Sezioni unite hanno utilizzato la categoria dell’abnormità per definire la sentenza di proscioglimento emessa, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., successivamente all’opposizione al decreto penale di condanna.
Hanno osservato che, una volta emesso il decreto, il giudice non ha il potere decisorio sul merito dell’azione, perché il suo intervento è funzionale esclusivamente all’esercizio di poteri-doveri di propulsione processuale. Una pronuncia ex art. 129 c.p.p., può essere legittimamente adottata soltanto in sede di valutazione della richiesta di decreto penale e quindi in un momento anticipato, quando ancora il decreto non è stato emesso; se pronunciata successivamente, si atteggia ad inammissibile atto di revoca del decreto penale ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso.
Da qui la conclusione che una sentenza di proscioglimento revocatoria del decreto penale di condanna ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso resta estranea al sistema processuale, a prescindere dal contesto, comunque anomalo, in cui è adottata, ossia se de plano o con l’attivazione del contraddittorio.
Il vizio della sentenza è rinvenibile allora non già nell’assenza di contraddittorio quanto nel difetto di potere in capo al giudice, a nulla rilevando che quella pronuncia possa esser stata richiesta dal pubblico ministero - similmente a quanto avvenuto nella vicenda in esame -, perché la domanda di parte non abilita il giudice all’adozione di un provvedimento extra ordinem.
8. La ricostruzione operata dalla sentenza Zedda è debitrice, oltre che dell’elaborazione in punto di abnormità e specificamente del significativo apporto dato da ultimo dalla sentenza Tony, delle riflessioni contenute in altro importante precedente delle Sezioni unite.
Il riferimento è a Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, P.G. in proc. De Rosa, Rv. 230530, che si è occupata della questione sorta dalla pronuncia, ad opera del giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di rinvio a giudizio, di una sentenza, ex art. 129 c.p.p., di non luogo a procedere emessa senza fissazione dell’udienza preliminare.
In quella occasione le Sezioni unite precisarono che l’art. 129 c.p.p., non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore, "inteso quale occasione - per così dire - atipica di decidere la res iudicanda, rispetto a quello che gli deriva dalle specifiche norme che disciplinano i vari segmenti processuali".
Esso piuttosto detta una regola di condotta o di giudizio, che si affianca a quelle proprie della fase o del grado in cui il processo si trova; tale regola non si pone in alternativa o in conflitto, perché nulla dispone in ordine al rito da seguire per l’immediata declaratoria.
La conseguenza è che l’obbligo di proscioglimento immediato, "sotto il profilo dei tempi e dei modi di applicazione, deve trovare attuazione nel corso delle fasi e dei gradi del processo e nell’ambito della corrispondente disciplina prevista, alla quale deve uniformarsi".
Stabilirono così che la proposizione della richiesta di rinvio a giudizio, che apre la fase informata al principio del contraddittorio, implica la fissazione dell’udienza preliminare. Lo svolgimento dell’udienza è imposto dalle scansioni processuali a cui il giudice è chiamato, fermo restando che, ove rinvenga nel corso di essa, una causa di non punibilità emergente dagli atti, non può esercitare i poteri di approfondimento istruttorio di cui agli artt. 421-bis e 422 c.p.p., perché l’ambito della sua cognizione resta e deve restare cristallizzato "allo stato degli atti esistente al momento processuale della rilevata causa di non punibilità".
Aggiunsero, e la precisazione è particolarmente significativa, che l’immediatezza della pronuncia di proscioglimento non deve sacrificare il principio del contraddittorio, esigenza valoriale preminente, inteso, oltre che come metodo di formazione della prova, anche come diritto delle parti all’ascolto. La tutela del diritto all’ascolto comporta per necessità che si tenga l’udienza preliminare, perché solo nel contraddittorio partecipato di udienza possono trovare spazio pretese di vario genere, prima non esprimibili, quali quella dell’imputato di "vedere valutata nel merito la propria posizione", "di chiedere il giudizio abbreviato o il giudizio immediato", o, ancora, la facoltà di tutte le parti "di presentare memorie o documenti", o, infine, quella del pubblico ministero "di modificare l’imputazione".
Conclusero che il sistema conosce un’unica eccezione di sentenza di proscioglimento de plano ai sensi dell’art. 129 c.p.p., prevista dall’art. 459 c.p.p., comma 3, per il caso di richiesta di decreto penale, e spiegarono che tale eccezione si giustifica per la particolare tipologia del procedimento per decreto, "contrassegnato dall’assenza di contraddittorio (soltanto eventuale, in caso di opposizione)".
9. L’elaborazione della sentenza De Rosa rimanda alla tematica dell’abnormità per difetto di potere in concreto, di cui anni dopo ha detto diffusamente la sentenza Toni.
Non è dubbio che il giudice per le indagini preliminari possa emettere sentenza di non luogo a procedere ricorrendo una causa di non punibilità; quel che è escluso è che tale potere abbia e possa esercitare al di fuori e prima di dare luogo all’udienza preliminare. Senza lo svolgimento dell’udienza e senza che si sia instaurato il contraddittorio, il potere decisorio, in astratto certo esistente, non trova le condizioni della necessaria concretizzazione.
L’esercizio di quel potere, al di fuori del contesto in cui la progressione lo colloca, si qualifica per la carenza delle condizioni necessarie alla sua esistenza in concreto.
9.1. Ciò nonostante, la sentenza De Rosa negò a quella pronuncia il carattere dell’abnormità, sul presupposto che il potere di proscioglimento spetta al giudice dell’udienza preliminare; e accreditò una lettura dalle conseguenze meno radicali - perché non segnate dall’eccezionalità che contraddistingue la categoria dell’abnormità -, ritenendo la nullità della sentenza secondo la previsione di cui all’art. 178 c.p.p., lett. b) e c), nella misura in cui l’improvvisa iniziativa del giudice è impeditiva del diritto delle parti di interloquire, con la preclusione alla necessaria partecipazione del pubblico ministero al procedimento e con la violazione dei diritti di intervento dell’imputato.
9.2. Non va a tal proposito trascurato che, pur negando il carattere abnorme, la sentenza De Rosa, nell’interrogarsi su quale fosse il rimedio impugnatorio, scartò l’appellabilità, ammettendo l’esperibilità del ricorso per cassazione, ossia dello stesso strumento che si attiva per fronteggiare l’atto abnorme.
Rilevò a tal fine l’assenza di una previsione legislativa di appellabilità e osservò che anche per la sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., emessa dal giudice per le indagini preliminari richiesto dell’emissione del decreto penale la disciplina processuale non indica lo strumento di impugnazione azionabile; e concluse che, come avviene per tale ultima pronuncia, si debba aver riguardo alla generale previsione dell’art. 568 c.p.p., comma 2, che assoggetta ogni sentenza alla ricorribilità per cassazione.
10. Si può osservare, in parziale critica della soluzione esposta, che la mancanza di previsione legislativa non riguarda il mezzo quanto la pronuncia da sottoporre a impugnazione. L’assenza di una disciplina dello strumento di controllo è, a ben vedere, effetto della imprevedibilità di una sentenza emessa prima e senza udienza preliminare. Siccome il sistema non annovera pronunce di tal fatta, è ovvio che non sia stata dettata una regola sulla impugnabilità.
La situazione è quindi differente dal modello esemplificativamente evocato dalla sentenza De Rosa, ossia dalla sentenza di proscioglimento emessa in seguito alla richiesta, rigettata, di decreto penale: qui si tratta in effetti di carenza di indicazione espressa del rimedio impugnatorio; per quella emessa prima e in assenza di udienza preliminare - ma lo stesso vale per la sentenza predibattimentale di appello - la carenza della indicazione del rimedio è conseguenza di una più significativa assenza, specificamente della previsione di una sentenza emessa in quello stato del giudizio e in quelle forme.
11. Lo spunto ricostruttivo, pienamente in linea con le impostazioni accolte dalla sentenza Zedda, dalla stessa sentenza De Rosa con le precisazioni appena illustrate e, in generale, dalla sentenza Toni, induce a rilevare, in dissenso dalla sentenza Iannelli, l’abnormità della pronuncia predibattimentale di appello che dichiari, senza formalità di procedura, l’estinzione del reato per prescrizione.
Una pronuncia che non solo arresta l’ordinario sviluppo processuale, innestandosi in modo anomalo e imprevedibile nella concatenazione causale della progressione, ma che comprime il diritto dell’imputato di interloquire sul merito definito con la sentenza di condanna e sulla causa estintiva che viene intempestivamente dichiarata, privandolo altresì della facoltà di valutare la rinuncia alla prescrizione maturata medio tempore.
Rilevata l’abnormità, non vi sarebbe modo di interrogarsi sulla possibile prevalenza della causa estintiva, perché quel meccanismo incentrato sulla considerazione della sostanziale inutilità di dare corso ad un annullamento con rinvio per un nuovo giudizio - che non potrebbe non concludersi con la pronuncia dichiarativa della causa estintiva - non ha ragion d’essere se l’alternativa si pone con una pronuncia di annullamento senza rinvio perché il provvedimento impugnato è abnorme e quindi estraneo al novero dei provvedimenti consentiti, secondo la formula dell’art. 620 c.p.p., lett. d).
12. Come appena prima osservato, una peculiarità della vicenda in esame, che milita nel senso del carattere abnorme della sentenza, è che l’imputato viene privato della facoltà di rinunciare tempestivamente alla causa estintiva, inopinatamente dichiarata. È infatti principio non controverso che l’imputato possa rinunciare alla prescrizione soltanto dopo che essa sia maturata: come più volte affermato, "la rinunzia dell’imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima" - Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017, Comat Srl e altri, Rv. 271292; v. Sez. 4, n. 119 del 12/11/2010, dep. 2011, c-Salemi e altri, Rv. 249349; Sez. 6, n. 42028 del 04/11/2010, Regine, Rv. 248739; Sez. 2, n. 527 del 15/11/2005 dep. 2006, Colanera, Rv. 233145; Sez. 2, n. 3900 del 14/11/2003, 2004, Rega, Rv. 227867. La conseguenza è che, prima di quella sentenza, non ha potuto rinunciare perché la prescrizione non era maturata; poi, si trova con una estinzione già dichiarata e quindi nell’impossibilità di rinunciare a ciò che è stato già deciso.
13. Per superare le contraddizioni si è costretti ad introdurre deroghe a consolidati principi, il che finisce col confermare il carattere sostanzialmente abnorme della sentenza predibattimentale di appello, appunto per le distorsioni interpretative a cui conduce se ci si limita a decretarne la nullità per difetto di contraddittorio.
Da un lato, bisogna allentare la tenuta del principio per il quale "la prescrizione dichiarata con sentenza non può essere, nei gradi successivi, oggetto di rinuncia, sicché una dichiarazione in tal senso in sede di impugnazione deve essere intesa come richiesta di assoluzione nel merito - Sez. 5, n. 40499 del 06/07/2017, Giuliana, Rv. 271423; Sez. 2, n. 12602 del 12/02/2015, Bertolotti e altri, Rv. 262810 -; dall’altro, occorre discostarsi dall’affermazione che "è tardiva ed inefficace la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato formulata dopo che sia stata pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui è maturata. (Fattispecie in cui il ricorrente aveva rinunciato alla prescrizione, già dichiarata in appello, il giorno dell’udienza in Cassazione" - Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, PG C/ Capacchione, Rv. 278983.
14. Non v’è infatti altra soluzione che ammettere l’imputato prosciolto a giovarsi del ricorso per cassazione al (solo) fine di rinunciare alla prescrizione già maturata e dichiarata dalla sentenza ricorsa. In termini si è espressa Sez. 3, n. 15758 del 30/01/2020, D, Rv. 279272, statuendo che debba essere annullata senza rinvio detta sentenza, dichiarativa dell’estinzione del reato, "allorché l’imputato rinunci alla prescrizione (nella specie, contenuta nella procura speciale conferita al difensore per il giudizio di legittimità) allegando, così, un interesse concreto ed attuale alla celebrazione del giudizio di appello da lui promosso".
Non può sfuggire che per questa via si finisce per assimilare, e non potrebbe essere altrimenti, la sentenza della Corte di appello alla pronuncia ex art. 129 c.p.p., del giudice per le indagini preliminari che sia richiesto dell’emissione del decreto penale di condanna, equiparando, con inevitabile eccentricità di soluzione, la sentenza emessa nel giudizio impugnatorio di merito avverso una sentenza di condanna ritualmente emessa alla pronuncia che interviene nell’unico rito differenziato a contraddittorio fisiologicamente posticipato.
15. L’accentuazione dei caratteri comuni alle due sentenze, per la messa a punto di una disciplina soddisfacente, non può dare i risultati sperati.
Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv. 248378, nel ribadire il principio di diritto secondo cui "la sentenza di proscioglimento, emessa dal giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di decreto penale di condanna, può essere impugnata solo con ricorso per cassazione" - già affermato da Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, P.M. in proc. Amato, Rv. 193743, quindi, sia pure incidentalmente, da Sez. U, n. 18 del 09/06/1995, P.G. in proc. Cardoni, Rv. 202375, e ripreso, come prima ricordato, dalla sentenza De Rosa -, stabilì che l’assenza di contraddittorio non inibisce la prevalenza della causa estintiva del reato che, però - va rilevato -, in quel caso non si misura su una concorrente causa di nullità dal momento che il difetto di contraddittorio è elemento inerente fisiologicamente al rito. La prevalenza - chiarì la sentenza Dalla Serra -, si giustifica sulla base del rilievo che per mezzo della proposizione del ricorso per cassazione l’imputato ha modo di ottenere "altra disamina e statuizione sul tema" e "se ritenuto opportuno, di rinunciare espressamente alla prescrizione al fine di consentire la celebrazione del giudizio di merito", con dichiarazione di volontà espressa e specifica che non trova equipollente nella mera proposizione del ricorso.
Il principio, coerente con le peculiarità del rito monitorio, mal si adatta a governare una situazione difficilmente assimilabile, perché il contraddittorio negato è solo in apparenza equiparabile a un contraddittorio differito.
Ne è prova l’evoluzione della giurisprudenza successiva alla sentenza Iannelli, che ha dovuto discostarsi dal principio di diritto in essa contenuto, decretando l’annullamento senza rinvio per nullità, in ragione della violazione del contraddittorio, della sentenza predibattimentale di appello che: in uno con la dichiarazione di estinzione del reato, abbia confermato la confisca disposta in primo grado, e ciò perché l’imputato ha diritto allo svolgimento dell’udienza dibattimentale di appello al fine di poter espletare compiutamente la propria attività difensiva anche su tale punto - Sez. 2, n. 11042 del 15/01/2020, Bonaffini, Rv. 278524; e prima, in modo conforme, Sez. 3, n. 40522 del 20/06/2019, Mizzi, Rv. 277050; o che abbia ordinato la restituzione delle cose sequestrate, revocando la confisca disposta con la sentenza di condanna in primo grado, avendo la parte pubblica diritto allo svolgimento dell’udienza dibattimentale di appello al fine di poter spiegare compiutamente il diritto di azione anche su tale punto - Sez. 3, n. 10376 del 19/12/2019, dep. 2020, Pg. contro Diaschi, Rv. 278539.
15.1. Se nel rito monitorio la ricorribilità per cassazione della sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. è rimedio interamente satisfattivo, non potendo essere la richiesta di decreto penale preceduta da alcuna statuizione di merito, la sentenza predibattimentale di appello, parimenti assunta de plano, interviene non infrequentemente su statuizioni di condanna arricchite fisiologicamente da altre decisioni, ora in punto di sequestro e confisca, ora in punto di interessi risarcitori e/o restitutori della persona danneggiata, rispetto alle quali la dichiarata estinzione non può far venir meno l’interesse all’impugnazione.
Deve convenirsi, allora, che il meccanismo acceleratorio accreditato dalla sentenza Iannelli mostra inadeguatezze e insufficienze tali da far seriamente interrogare sulla convenienza a riaffermare una soluzione che fatica, per il vizio di fondo costituito dalla incoerenza sistematica assunta in premessa, a governare la generalità e complessità dei casi.
16. Resta poi in ombra, non avendo la sentenza Iannelli affrontato il tema, se si possa affermare la sussistenza di un interesse al ricorso ove la parte impugnante si limiti a denunciare l’erroneità della decisione perché la dichiarata causa estintiva non è invero venuta (ancora) in essere.
Non sembra che possa dubitarsi dell’interesse ove il ricorso sia proposto dal pubblico ministero; se, di contro, la stessa doglianza è avanzata dall’imputato che, postulando la mancanza della causa estintiva, ometta ovviamente di rinunciare a che sia dichiarata e null’altro lamenti se non la mancata instaurazione del contraddittorio - non è agevole stabilire se il ricorso debba essere dichiarato inammissibile o se, invece, possa e debba condurre alla pronuncia di annullamento. In tale ipotesi, infatti, viene meno l’argomento centrale della motivazione della sentenza Iannelli, per il quale la regressione del processo "violerebbe il principio della pregiudizialità e della immediatezza della stessa causa estintiva e darebbe spazio, in nome solo dell’ortodossia della forma, ad una inutile dilatazione dell’attività processuale, il cui epilogo non può che realisticamente portare alla stessa soluzione" - così testualmente, fl. 7.
È appena da osservare che, ritenendo l’interesse al ricorso, dovrebbe ammettersi, con una sorta di contraddizione in termini, che l’imputato prosciolto abbia diritto a una pronuncia nel merito pur quando si sia limitato a prospettare un errore del giudice a sé di vantaggio, causativo di un proscioglimento per una causa estintiva del reato invero inesistente.
L’interesse dovrebbe allora essere apprezzato sul piano del recupero del giudizio, ma a tal punto sarebbe difficilmente spiegabile perché mai lo stesso tipo di interesse non sia meritevole di considerazione ove la doglianza si incentri non sulla erroneità della pronuncia per non essere (ancora) maturata la causa estintiva ma direttamente sulla erroneità per assenza di giudizio.
Ancora una volta si è indotti a confrontarsi con aspetti della vicenda non compiutamente considerati e che non avrebbero ragione di essere presi in esame se solo si accedesse alla qualificazione della sentenza de qua come abnorme e, come tale, incapace di sottrarsi al sindacato di cassazione per effetto di una regola di prevalenza della causa estintiva costruita per i casi di concorrenza di una nullità - seppure assoluta - che è stato patologico, per quanto grave, spiccatamente diverso.
17. Rilievi critici di non minore efficacia possono essere mossi alla soluzione della sentenza Iannelli pur se si rinuncia a revocare in dubbio la validità dell’affermazione iniziale, ossia che la sentenza predibattimentale di appello dichiarativa, in assenza di contraddittorio, dell’estinzione del reato sia non abnorme ma affetta da nullità assoluta.
Con questa premessa la sentenza Iannelli ha avuto agio di richiamare, come precedenti conformi, le statuizioni di plurimi arresti delle Sezioni unite. Il riferimento è a Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511, secondo cui "qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di legittimità, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice del merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva"; quindi a Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403, per la quale "il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall’art. 129 c.p.p., impone che nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima, salvo che l’operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio"; e, infine, Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 2442750, che ha ribadito il principio per cui "in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. (In motivazione, la S.C. ha affermato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale)".
Tra queste la pronuncia che più diffusamente ha dato conto della prevalenza della causa estintiva è la sentenza Conti, perché la sentenza Cremonese si è limitata all’affermazione del principio e la sentenza Tettamanti non ha fatto che riaffermare quanto già esposto dalle precedenti.
17.1. La sentenza Conti si occupò di una vicenda caratterizzata dalla nullità assoluta per omessa citazione dell’imputato per il giudizio di primo grado a cui era poi seguita, dopo la conferma in appello della condanna, la prescrizione del reato maturata in forza del riconoscimento delle attenuanti generiche ad opera del giudice di appello. E si interrogò sul se - accertata la nullità assoluta della vocatio in iudicium per il giudizio di primo grado - dovesse prevalere la declaratoria della causa estintiva nel frattempo maturata.
Affermò quindi, in discontinuità con l’orientamento precedente favore alla prevalenza della nullità, se assoluta e insanabile - cfr. Sez. U, n. 2407 del 31/01/1987, Tanzi, Rv. 175210, secondo cui la prevalenza era possibile rispetto ad eccezioni di nullità che non investivano l’inizio dell’azione penale e non incidevano nè sulla validità di costituzione del rapporto processuale, nè sul corretto esercizio dei diritti di difesa dell’imputato -, che dovesse prevalere la causa estintiva, avendo però cura di apportare due importanti precisazioni di contenimento del principio, fatto salvo ovviamente il limite dell’evidenza di innocenza.
17.1.1. Una di queste, ribadita anche dalla sentenza Iannelli, è che la rilevazione della nullità non abbia carattere pregiudiziale rispetto alla causa estintiva, ossia che non si ponga, nella specifica vicenda, "come antecedente logico, legato in modo strumentalmente necessario, alla declaratoria della causa estintiva, nel senso che l’accertamento di questa presuppone il regolare svolgimento del giudizio di merito, per l’acquisizione di dati fattuali funzionali all’applicabilità della prescrizione".
L’altra, che forse più che un limite esterno è una pre-condizione perché operi la prevalenza, è che l’immediata applicabilità della causa estintiva, pur nell’anomalia della situazione processuale, non risulti in contrasto "con le linee essenziali del sistema"; ciò è possibile affermare dal momento che "comunque sul punto specifico è assicurato il contraddittorio tra le parti...".
L’ultima affermazione rimanda alla peculiarità della vicenda che la sentenza Conti si trovò a regolare, ossia di una nullità, seppure assoluta, che non aveva però compresso, o addirittura reso nullo, il contraddittorio preliminare alla pronuncia sulla causa estintiva.
Anche la sentenza Cremonese fece applicazione della regola della prevalenza della causa estintiva avendo rilevato, come da deduzione del ricorrente, una nullità del decreto di citazione per il giudizio di primo grado, e su sollecitazione espressa del ricorrente che con apposito motivo aveva sollecitato la dichiarazione della causa estintiva della prescrizione.
18. Non è allora facilmente comprensibile il passaggio contenuto nella sentenza Iannelli, che ripropone testualmente l’affermazione della sentenza Conti, secondo cui l’imputato non può pretendere la rinnovazione del giudizio di merito "in virtù della garanzia offerta dal confronto dialettico delle parti anche sulla causa di estinzione..." - fl. 7.
Nel caso della sentenza predibattimentale di appello adottata de plano, infatti, è proprio il confronto dialettico delle parti (anche) sulla causa di estinzione che viene a mancare, e la cui assenza genera la nullità assoluta che, con intima incoerenza, si mette in rapporto di soccombenza con la dichiarazione della causa estintiva.
Non sembra, conclusivamente, che si possa ribadire la regola di prevalenza della causa estintiva, modellata dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in riguardo a vicende processuali che, per quanto segnate da nullità assolute anche degli atti propulsivi del giudizio, non si sono risolte nella negazione radicale del contraddittorio quale necessario momento preliminare alla emissione della sentenza.
Il mantenimento di siffatta regola, nella consapevolezza della peculiare patologia - al di là delle qualificazioni dommatiche - della sentenza predibattimentale di appello assunta de plano, stabilizza un fenomeno, costituito dalla pronuncia di una sentenza in assenza del giudizio, che pone il sistema in tensione col principio costituzionale del contraddittorio e quindi del giusto processo.
19. Per quanto esposto, il Collegio ritiene che i principi di diritto espressi dalle Sezioni unite con la sentenza Iannelli più volte richiamata (Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, Rv. 269809-10) non possano essere condivisi e che pertanto la decisione dei ricorsi debba essere rimessa alle Sezioni unite, secondo il disposto dell’art. 618 c.p.p., comma 1-bis.
P.Q.M.
Visto l’art. 618 c.p.p., comma 1-bis, rimette i ricorsi alle Sezioni unite.