Se c'è volontà di percuotere (e anche nel dubbio della volontà di provocare lesioni) va esclusa la configurabilità di lesioni colpose come conseguenza non voluta di un'attività diretta a percuotere): di fronte di un'attività diretta, incontrovertibilmente, a percuotere o ferire, le conseguenze sono addebitabili all'agente, quali che siano gli eventi direttamente voluti.
Attività violente esplicate contro a persona, soprattutto se quest'ultima sia in condizioni di palese e accentuata fragilità, determinano conseguenze imprevedibili, dipendenti dai fattori più diversi (malattia preesistente, debolezza intrinseca, equilibrio instabile, ecc.), che moltiplicano l'efficacia lesiva della violenza e determinano conseguenze che vanno, spesso, oltre l'intenzione.
Proprio perchè avvertito di ciò il legislatore ha previsto, come figura autonoma di reato, l'omicidio preterintenzionale, quale conseguenza di atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582 c.p., al fine di contenere la punibilità per un evento - diverso dalle lesioni certamente non voluto dall'agente; non ha previsto, invece, le lesioni preterintenzionali, sia per la pratica impossibilità di discernere, quasi sempre, nell'ambito delle lesioni procurate alla vittima, quelle previste e volute da quelle non previste e non volute, sia perchè la tutela dell'integrità personale - oggetto di speciale considerazione costituzionale - può essere assicurata solamente attraverso un ordito legislativo che scoraggi ogni forma di aggressione alla persona.
La responsabilità per le lesioni personali volontarie discende, pertanto, da ogni condotta volontaria idonea a determinarle, quando sia accompagnata da intenzionalità lesiva (intesa come volontà di procurare sensazioni dolorose).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 12/02/2019) 05-06-2019, n. 25116
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente -
Dott. SETTEMBRE Antonio - rel. Consigliere -
Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere -
Dott. ROMANO Michele - Consigliere -
Dott. SESSA Renata - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI VENEZIA;
nel procedimento a carico di:
V.G., nato a (OMISSIS);
D.E., nato a (OMISSIS);
inoltre, non ricorrente, la p.c.:
L.T., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/06/2018 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di PADOVA;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. ANTONIO SETTEMBRE;
lette le conclusioni del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dott.ssa Cardia Delia, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e la trasmissione degli atti al Tribunale di Padova.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Padova ha applicato - ai sensi dell'art. 444 c.p.p. - a V.G. la pena di mesi dieci di reclusione e a D.E. la pena di mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 581 e 586, in relazione agli artt. 83 e 590 c.p. commessi in danno del neonato V.S..
Ai due è contestato di aver percosso selvaggiamente V.S., di mesi tre, fino a procurargli, come conseguenza non voluta, fratture craniche, ematomi intracerebrali ed extracerebrali, emorragie retiniche, fratture costali, frattura ulnare sinistra; vale a dire, ferite a cui è conseguito pericolo per la vita del neonato, una malattia con prognosi superiore a 40 giorni e postumi permanenti (tetraparesi spastica e ritardo psicomotorio).
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Venezia, con due motivi. Col primo lamenta l'erronea qualificazione del fatto, nella parte in cui le gravi lesioni personali procurate al piccolo V.S. sono state ritenute conseguenza non voluta delle percosse, sebbene il giudicante le abbia classificate come "conseguenza diretta della condotta criminale dei coniugi V.- D.". Ad avviso del ricorrente la gravità e l'atrocità delle condotte depone per la volontarietà dell'evento, almeno sotto la forma del dolo eventuale, sicchè la qualificazione corretta è quella di lesioni volontarie gravissime, aggravate dalla crudeltà e dalla premeditazione.
Col secondo motivo lamenta l'erronea quantificazione della pena per entrambi gli imputati. Infatti, deduce, a V. è stata applicata, per il solo reato di cui all'art. 581 c.p., la pena di anni uno e mesi tre di reclusione (poi ridotta di un terzo per il rito), andando, in tal modo, al di sopra del massimo edittale e omettendo di aumentare la pena per il reato di cui all'art. 590 c.p., pure contestato. A D. è stata applicata la pena di mesi sei di reclusione (poi ridotta per il rito a mesi quattro) per il reato di cui all'art. 581 c.p., senza operare - anche in questo caso - alcun aumento di pena per il reato di cui all'art. 590 c.p., pure contestato.
3. Con memoria depositata in data 16/1/2019 il difensore degli imputati ha dedotto l'inammissibilità del ricorso, perchè versato in fatto e per l'assenza di un errore manifesto nella qualificazione delle condotte; inoltre, perchè nella determinazione della pena vi sarebbe, al massimo, "un mero errore di denominazione".
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato, per i entrambi i motivi dedotti dal ricorrente.
1. Il Tribunale ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica del fatto (lesioni colpose) pur affermando che "può dirsi certa la volizione di percuotere il minore"; tanto perchè, argomenta il giudicante, "non può dirsi altrettanto certa la volontà di provocare quelle lesioni", sebbene, come messo in evidenza nella stessa sentenza, si sia trattato di lesioni gravissime, provocate in più tempi (quindi, con più azioni lesive), su soggetto fragilissimo, incapace di qualsiasi difesa e non bisognoso di "correzione", e sebbene quelle lesioni siano conseguenza di attività diretta a percuotere.
La ricostruzione giuridica proposta (lesioni colpose come conseguenza non voluta di un'attività diretta a percuotere) è errata, giacchè - per giurisprudenza consolidata - l'art. 586 c.p. (che prevede le lesioni personali, o la morte, quali conseguenza - non voluta dal colpevole - di un fatto preveduto come delitto doloso) è applicabile solamente allorchè "il fatto" (che l'agente pone in essere) sia diverso dalle percosse o dalle lesioni volontarie, giacchè, a fronte di un'attività diretta, incontrovertibilmente, a percuotere o ferire, le conseguenze sono addebitabili all'agente, quali che siano gli eventi direttamente voluti (ex multis, cass., n. 44986 del 21/9/2016). Costituisce dato di comune esperienza, infatti, che attività violente esplicate contro a persona, soprattutto se quest'ultima sia in condizioni di palese e accentuata fragilità, determinano conseguenze imprevedibili, dipendenti dai fattori più diversi (malattia preesistente, debolezza intrinseca, equilibrio instabile, ecc.), che moltiplicano l'efficacia lesiva della violenza e determinano conseguenze che vanno, spesso, oltre l'intenzione.
Proprio perchè avvertito di ciò il legislatore ha previsto, come figura autonoma di reato, l'omicidio preterintenzionale, quale conseguenza di atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582 c.p., al fine di contenere la punibilità per un evento - diverso dalle lesioni certamente non voluto dall'agente; non ha previsto, invece, le lesioni preterintenzionali, sia per la pratica impossibilità di discernere, quasi sempre, nell'ambito delle lesioni procurate alla vittima, quelle previste e volute da quelle non previste e non volute, sia perchè la tutela dell'integrità personale - oggetto di speciale considerazione costituzionale - può essere assicurata solamente attraverso un ordito legislativo che scoraggi ogni forma di aggressione alla persona.
La responsabilità per le lesioni personali volontarie discende, pertanto, da ogni condotta volontaria idonea a determinarle, quando sia accompagnata da intenzionalità lesiva (intesa come volontà di procurare sensazioni dolorose).
2. Tanto premesso, va considerato, nella specie, che gli imputati hanno insistito - con la memoria del 16/1/2019 - sul fatto che, a loro dire, le lesioni sarebbero state conseguenza di un'attività di "scuotimento" del neonato (di "scuotimento" parla anche la sentenza impugnata), ovvero di imperizia nella gestione delle attività quotidiane, a cui sarebbe conseguita una caduta accidentale, vera causa delle lesioni riscontrate.
Sugli aspetti fattuali della difesa svolta dagli imputati questa Corte non è, ovviamente, abilitata a interloquire. In questa sede va solamente sottolineato che anche un'attività di "scuotimento", se esercitata per infliggere una sofferenza (provocare dolore), assume la caratteristica delle percosse, sicchè rientra tra le attività idonee a determinare le conseguenze previste dall'art. 582 c.p.. Percossa, infatti, è ogni azione che manomette la fisicità della persona, con la finalità di provocare sensazioni dolorose, sicchè, allorchè dalla stessa derivi una malattia, questa va addebitata all'autore. Al riguardo, non può farsi a meno di considerare che lo "scuotimento" del neonato è spesso causa, nei bambini al di sotto dei due anni, di gravissime lesioni cerebrali, dovute alla rottura di nervi e vasi sanguigni del cervello, e che si tratta di fenomeno noto, nella pratica medica, come "sindrome del bambino scosso", sicchè esso va annoverato, a pieno titolo, tra le attività violente idonee a provocare lesioni.
3. Errata è anche la determinazione della pena. Va considerato, infatti, che, secondo l'accusa (e secondo il giudicante) ricorrerebbero, nella specie, due reati: quello di cui agli artt. 581 e 590 c.p.. Per V., si è partiti dalla "pena base" di quindici mesi di reclusione, ridotta a dieci per il rito, mentre, per D., si è partiti dalla "pena base" di sei mesi di reclusione, ridotta a quattro per il rito. Ora, considerato che ai due non risulta contestata l'aggravante di cui all'art. 590 c.p., comma 2, se ne dovrebbe dedurre che il reato più grave è quello di cui all'art. 581 c.p., punito con la reclusione fino a sei mesi (il reato di cui all'art. 590, comma 1, è punito con la reclusione fino a tre mesi). Illegittimamente, pertanto, sarebbe stata applicata a V. una pena base superiore a sei mesi, e altrettanto illegittimamente non sarebbe stato disposto un aumento ex art. 81 cpv c.p.. Non è possibile ritenere, col resistente, che la "pena base" sia stata determinata tenendo conto dell'aumento di pena per la continuazione, giacchè il concetto di pena base prescinde da qualsiasi aumento ed è configurato proprio per avviare e rendere comprensibile il percorso determinativo della sanzione finale.
4. Dalle considerazioni che precedono discende che la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Padova per nuovo giudizio. Nel rivalutare la proposta di patteggiamento il giudice di rinvio dovrà attenersi ai seguenti criteri: a) operare, innanzitutto, la precisa qualificazione dei reati addebitati agli imputati, distinguendo (se distinzione è possibile fare) tra gli eventi previsti e voluti dagli imputati e quelli non previsti e non voluti (fermo restando che, ove manchi la prova della volontarietà dell'evento, dovrà optarsi - in applicazione del principio del favor rei - per la natura colposa della condotta). Tanto si rende necessario perchè, a quanto emerge dalla sintetica motivazione della sentenza, le lesioni riscontrate su V.S. apparirebbero il risultato di una molteplicità di condotte, tenute in un arco temporale significativo (il mese che precedette il ricovero), rispetto a cui gli imputati deducono una mancanza di dolo. La valutazione della proposta di patteggiamento esige, pertanto, che il giudicante si pronunci sulla volontarietà, o meno, di tutte le lesioni, ovvero solamente di una parte di esse;
b) sia il reato di percosse che quello di lesioni personali presuppongono il dolo, che consiste nella coscienza e volontà di procurare una malattia o, quantomeno, sensazioni dolorose nel soggetto passivo. Ne sono escluse, pertanto, le condotte che, pur consistendo in manomissione della fisicità, non sono dirette a procurare una malattia o sensazioni di dolore, potendo residuare, in mancanza di intenzionalità lesiva, la colpa;
c) lo "scuotimento" di un neonato, quando venga attuato per infliggere un male, rientra nella nozione di percosse, sicchè le eventuali conseguenze lesive vanno addebitate all'autore;
d) l'art. 586 c.p. è applicabile allorchè la lesione personale sia conseguenza non voluta di un reato diverso da quelli contemplati dagli artt. 581 e 582 c.p..
Il coinvolgimento, nella vicenda, di un minore esige che vengano oscurati, in caso di diffusione del presente provvedimento, i dati sensibili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Padova per nuovo giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2019