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Sanzione disciplinare per notaio, attenzione ai vizi processuali (Cass. 1415/19)

19 gennaio 2019, Cassazione civile

Il ricorso per cassazione in materia di sanzioni disciplinari deve intendersi esteso anche alla deduzione di vizi propriamente processuali.

Il procedimento disciplinare contro i notai è stato radicalmente innovato a seguito del D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 7, comma 1, lett. e)) che ha previsto numerose modifiche della L. n. 89 del 1913 (c.d. legge notarile) con particolare riguardo alle sanzioni disciplinari e al relativo procedimento.

Tra le maggiori novità si segnalano: l'istituzione di un Collegio di disciplina, organizzato e gestito dal Consiglio notarile distrettuale di appartenenza; il conferimento al Consiglio notarile (oltre che, come prima, al Conservatore dell'archivio notarile e al Procuratore della Repubblica) del potere di promuovere il procedimento disciplinare a carico del notaio iscritto nel collegio del distretto; la previsione di una "sanzione pecuniaria", che sostituisce l'ammenda disciplinare prevista dalla legge previgente; l'abrogazione della destituzione di diritto, anche in ossequio a quanto stabilito dalla Corte costituzionale (sent. n. 40 del 1990) sul principio del non-automatismo della pena in sede disciplinare (anche se limitatamente al campo penale); l'adeguamento (e il riordino) delle sanzioni pecuniarie agli attuali valori monetari; la sostituzione dell'inabilitazione con articolate misure cautelari; la sospensione della prescrizione; la revisione della recidiva.

A seguito delle modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 249 del 2006, il procedimento disciplinare si articola, come del resto previsto anche dalla legge previgente, in tre gradi di giudizio ma mentre, nel regime antecedente, in primo grado, competente a giudicare il notaio era il Tribunale civile, adesso è la Commissione regionale disciplinare (in sintesi CO.RE.DI.), la cui istituzione rappresenta la parte più innovativa della riforma. Essa decide, per l'appunto, sulla base dell'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del notaio da parte di uno dei soggetti legittimati, sulla responsabilità o meno dell'incolpato, all'esito di un procedimento cadenzato e connotato da un'eventuale fase istruttoria e da una imprescindibile fase di discussione e formalizzazione delle conclusioni.

La CO.RE.DI., come precisa la stessa enunciazione dell'art. 148 della c.d. Legge Notarile, è un organo amministrativo e non giurisdizionale. Il procedimento davanti alla Corte d'Appello non si può configurare come un secondo grado, ma più propriamente è da intendere come un mezzo di tutela giurisdizionale che assicura il riesame del merito rispetto alla decisione dell'organo amministrativo. Il richiamato decreto sulla semplificazione dei riti (D.Lgs. n. 150 del 2011) ha abrogato gli artt. 158-bis e 158-ter della citata Legge Notarile e ha previsto, tra l'altro, all'art. 26 che il giudizio avanti alla Corte d'Appello è regolato dal rito sommario di cognizione, come introdotto dall'art. 702-bis c.p.c., in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina del procedimento in camera di consiglio, e del resto corrispondenti al suo circoscritto oggetto che, anche per la sua natura, ne impone altresì la snellezza.

La Corte di appello emette una decisione che assume forma di ordinanza e non più di sentenza, con lettura del dispositivo in udienza, come in passato.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

(ud. 04/12/2018) 18-01-2019, n. 1415

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni - Primo Presidente -

Dott. SPIRITO Angelo - Presidente di Sez. -

Dott. MANNA Antonio - Presidente di Sez. -

Dott. CIRILLO Ettore - Presidente di Sez. -

Dott. TRIA Lucia - Consigliere -

Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -

Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -

Dott. ORICCHIO Antonio - Consigliere -

Dott. CARRATO Aldo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 28920/2016 proposto da:

R.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. MARTINI 13, presso lo studio dell'avvocato ANDREA DI PORTO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO MARCHESE, MARCELLO VIGNOLO e MASSIMO MASSA;

- ricorrente -

contro

CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI CAGLIARI, LANUSEI E ORISTANO, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 44, presso lo studio dell'avvocato PAOLO MAZZOLI, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

e contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI;

- intimata -

avverso l'ordinanza n. cronol. 1737/2016 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 28/7/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4/12/2018 dal Consigliere Dott. ALDO CARRATO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l'ammissibilità del ricorso, con rimessione alla Sezione semplice;

uditi gli avvocati Marcello Vignolo e Paolo Mazzoli.

Svolgimento del processo
Con provvedimento del 24 aprile 2011 la Commissione regionale di disciplina per la Sardegna accertava la responsabilità del notaio R.E. in ordine agli addebiti di cui agli artt. 6, 9, 36 e 37 c.d. codice deontologico dell'Ordine professionale dei notai, irrogandogli la sanzione della sospensione di tre mesi dall'esercizio della professione. Il notaio R. impugnava, con reclamo, il suddetto provvedimento dinanzi alla Corte di appello di Cagliari che, con decreto depositato il 4 aprile 2014, assolveva il predetto notaio, per difetto di prova, dall'addebito dell'inosservanza degli obblighi di personalità della prestazione (artt. 36 e 37 cod. deontologico), mentre, con riferimento agli ulteriori addebiti di cui agli artt. 6 e 9 codice deontologico, riteneva che essi erano, in effetti, sussumibili nella previsione della L. n. 89 del 1913, art. 26 (c.d. legge notarile) e lo condannava al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 240.

Il Consiglio notarile dei Distretti riuniti di Cagliari, Lanusei e Oristano, resistente in sede di reclamo, proponeva ricorso per cassazione avverso l'indicato decreto della Corte di appello di Cagliari e la Seconda Sezione civile di questa Corte, con sentenza n. 22910/2015, rigettava il primo motivo (relativo agli artt. 36 e 37 cod. deontol.) e il terzo motivo (riguardante l'entità della sanzione pecuniaria comminata), mentre accoglieva il secondo motivo del ricorso concernente la prospettata violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del codice deontologico e dell'art. 147 della c.d. Legge Notarile.

Questo motivo veniva ritenuto fondato nella parte in cui la Corte sarda aveva ravvisato il difetto di prova in ordine alla violazione dell'obbligo di assistenza alla sede e al divieto di assistere all'ufficio secondario nei giorni di assistenza obbligatoria presso la sede principale di (OMISSIS), rilevando, altresì, che - a fronte delle riscontrate pluralità di condotte integranti concorrenti responsabilità disciplinari - la Corte territoriale avrebbe dovuto, per un verso, irrogare la sanzione pecuniaria per ognuna delle singole violazioni di cui all'art. 26 della c.d. Legge Notarile e, per altro verso, comminare una delle sanzioni (censura o sospensione) previste per la contestuale violazione di norme deontologiche ai sensi dell'art. 147 della stessa Legge Notarile. Pertanto, con la richiamata sentenza n. 22910/2015, veniva statuita l'erroneità della decisione della Corte cagliaritana laddove aveva ritenuto di sanzionare una sola violazione con il conseguente assorbimento nella più tenue sanzione pecuniaria anche di quella della sospensione.

In sintesi, con l'appena richiamata sentenza di questa Corte, veniva rilevata la fondatezza del riportato secondo motivo considerando che la duplicità delle condotte ascritte al notaio avrebbe dovuto comportare una scelta delle sanzioni applicabili diversa da quella effettuata con l'impugnato decreto in relazione ad un unico illecito, con la conseguenza che, dovendo il giudice di rinvio distinguere gli addebiti attribuiti al medesimo notaio ed essendo in contestazione anche la natura della sanzione applicabile, doveva essere disattesa la richiesta del controricorrente di estinzione del giudizio per intervenuta oblazione (mediante il versamento all'Archivio notarile di Euro 80,00 pari ad un terzo della sanzione pecuniaria inflitta).

Con la suddetta sentenza n. 22910/2015 il decreto impugnato della Corte territoriale veniva, quindi, cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della stessa Corte di appello di Cagliari.

A seguito di rituale riassunzione, il designato giudice di rinvio, con ordinanza n. cron. 1737/2016 (depositata il 28 luglio 2016), previo accertamento della responsabilità del notaio R. in relazione alle violazioni degli artt. 6 e 9 c.d. codice deontologico (riconducibili, rispettivamente, alla mancata assistenza obbligatoria presso la sede principale nei giorni prestabiliti e all'esercizio delle prestazioni professionali presso l'ufficio secondario anche nei giorni fissati per l'assistenza nella sede principale) e valorizzata la gravità delle condotte ed il precedente disciplinare del professionista, irrogava nei confronti dello stesso notaiola sanzione disciplinare della sospensione per mesi tre dall'esercizio della professione.

Contro quest'ultima ordinanza formulava ricorso per cassazione il notaio R., riferito a nove motivi. Resisteva con controricorso dei Distretti riuniti di Cagliari, Lanusei e Oristano. La difesa del ricorrente depositava anche memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. La sintesi dei motivi del ricorso.

Nell'impugnare l'ordinanza della Corte di appello di Cagliari n. cron. 1737 del 28 luglio 2016 resa in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 22910/2015, il ricorrente R.E. ha denunciato distintamente i seguenti motivi:

1) violazione dell'art. 112 c.p.c. - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - per aver la Corte di appello cagliaritana omesso di pronunciarsi sulla nuova istanza di oblazione presentata in sede di giudizio di rinvio;

2) violazione o falsa applicazione - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - dell'art. 145-bis della Legge Notarile, per aver la Corte di rinvio applicato una sanzione nonostante l'illecito riguardante la violazione dell'obbligo di assistenza alla sede (da intendersi riferita all'art. 26 della c.d. Legge Notarile) si fosse dovuto considerare già estinto per effetto dell'istanza di oblazione presentata dallo stesso notaio nel giudizio di rinvo;

3) violazione o falsa applicazione - in virtù dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - dell'art. 2909 c.c., art. 6 c.d. codice deontologico e art. 26 Legge Notarile, per non aver la stessa Corte di rinvio considerato che, in ordine all'assorbimento dell'illecito di cui al citato art. 6 del codice deontologico nel richiamato art. 26 della Legge Notarile, si sarebbe dovuto ritenere formato il giudicato per omessa impugnazione sul punto; con lo stesso motivo il ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - la violazione o falsa applicazione dell'art. 384 c.p.c., comma 2, per non essersi la Corte di appello di Cagliari uniformata al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22910/2015;

4) violazione o falsa applicazione - con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - dell'art. 26, art. 137, comma 2 e art. 147, comma 1 della Legge Notarile per aver la Corte di rinvio applicato la sanzione della sospensione anzichè quella pecuniaria prevista per l'infrazione di cui al citato art. 26;

5) violazione - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, da parte della Corte sarda, sull'eccezione di prescrizione formulata dallo stesso ricorrente nel giudizio di rinvio circa l'illecito contemplato dagli artt. 6 e 9 del codice deontologico;

6) violazione o falsa applicazione - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - dell'art. 146 della Legge Notarile per non aver la Corte di rinvio dichiarato prescritti i richiamati illeciti di cui agli artt. 6 e 9 del codice deontologico;

7) omesso esame - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di un fatto decisivo per non aver la Corte di appello di Cagliari considerato, nella determinazione della sanzione, l'incertezza interpretativa all'epoca esistente sulla disciplina applicabile, la tipologia di atti contestati ad esso ricorrente e altre circostanze peculiari per il caso in esame;

8) violazione - in ordine all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla richiesta di esso ricorrente di applicazione delle attenuanti previste dall'art. 144 della Legge Notarile;

9) violazione - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - dell'art. 144 della Legge Notarile e art. 2909 c.c., per aver la Corte cagliaritana considerato, nella quantificazione della sanzione applicata ad esso ricorrente, l'esistenza di un precedente disciplinare a carico del medesimo in presenza di un giudicato contrario.

2. La questione di massima di particolare importanza rimessa alle Sezioni unite.

Assegnato il ricorso per la trattazione alla Seconda Sezione civile, il designato collegio, con ordinanza interlocutoria n. 15987/2018 (depositata il 18 giugno 2018), disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni unite della questione di massima di particolare importanza relativa - a seguito dell'entrata in vigore della nuova disciplina dell'impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai introdotta del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150,art. 26 - all'ammissibilità o meno, con riferimento al ricorso per cassazione in tale materia, della denuncia (anche) del motivo riconducibile all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, posto che del D.Lgs. n. 150 del 2011, citato art. 26, comma 4, consente l'ammissione del ricorso per cassazione "nei soli casi previsti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)".

Con la suddetta ordinanza - sulla premessa che con quattro dei motivi formulati con il ricorso (il 1, 3, 5 e 8) era stata denunciata anche la sussistenza di vizi riconducibili alla violazione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - è stato evidenziato che, rispetto alla pregressa norma di cui all'art. 158-ter della Legge Notarile, con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, nuovo art. 26, appariva lecito dubitare che la disposizione normativa appena richiamata di cui al quarto comma potesse includere tra i motivi deducibili anche quello riferibile dell'art. 360, menzionato n. 4), posto che essa aveva limitato, in via esclusiva, i motivi prospettabili con il ricorso per cassazione in materia a quelli riconducibili ai nn. 3) e 5) dello stesso art. 360 c.p.c., comma 1.

Pertanto, sul presupposto che nel panorama della giurisprudenza di questa Corte era mancata una riflessione specifica sul significato della novità introdotta sul punto dal citato D.Lgs. n. 150 del 2011 (pur non essendo mancati alcuni arresti che avevano rilevato come l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), potesse essere rivolto anche alla denuncia di violazioni processuali: cfr. Cass. S.U. n. 13617/2012 e Cass. n. 9427/2015), la Seconda Sezione civile ha rilevato la sussistenza della predetta questione di massima di particolare importanza.

A tal proposito ha posto in risalto come, al riguardo, fossero prospettabili diverse soluzioni, sottoponendo alle Sezioni unite i seguenti profili:

- se del D.Lgs. n. 150 del 2011, citato art. 26, comma 4, vada letto come escludente, in via assoluta, dell'art. 360 c.p.c., n. 4), con la conseguenza della non deducibilità dei vizi implicanti la "nullità della sentenza e del procedimento";

- se la suddetta scelta del legislatore, pur in relazione ad un procedimento che presenta peculiarità processuali, sia compatibile con la garanzia costituzionale del "ricorso in cassazione per violazione di legge" di cui dell'art. 111 Cost., comma 7, garanzia che la stessa giurisprudenza ha inteso come comprensiva anche del diritto processuale (come rilevato dalla citata Cass. S.U. n. 13617/2012);

- ove si ravvisi incompatibilità tra l'opzione effettuata in subiecta materia dal legislatore e la garanzia costituzionale, se sia rilevabile la necessità di una rimessione della questione alla Corte costituzionale o se sia, invece, possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, in discorso;

- in quest'ultimo caso - ovvero ricorrendo la possibilità di poter procedere ad una soluzione ermeneutica conforme al dettato costituzionale - se essa vada indirizzata nel senso di ritenere comunque ammissibile invocare il parametro di cui dell'art. 360 c.p.c., n. 4), ovvero nel senso dell'indispensabilità di far rientrare i vizi del processo sotto i nn. 3 (così intendendo la violazione della norma di diritto anche come violazione della norma processuale) e dello stesso art. 360, n. 5;

- se, pure ove si scegliesse quest'ultima opzione, anche il vizio di omessa pronuncia (denunciato con più di un motivo del ricorso da decidere) potrebbe essere denunciato mediante questa riconduzione sistematica dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e, quindi, ritenuto ammissibile, malgrado tale vizio, per giurisprudenza uniforme di questa Corte, debba essere fatto valere esclusivamente ai sensi del n. 4) della medesima norma, e ciò anche sul presupposto che rappresenta l'unico motivo che permette alla parte di chiedere e al giudice di legittimità - in tal caso anche giudice del c.d. "fatto processuale" - di effettuare l'esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito, così come del pregresso atto impugnatorio, in tal senso rendendo possibile la verifica del denunciato vizio.

Il Primo Presidente, ravvisando la sussistenza dei relativi presupposti, ha rimesso la individuata questione di massima di particolare importanza alla decisione delle Sezioni unite.

La sollevata questione può, in sintesi, riassumersi nel seguente interrogativo: se del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, comma 4, avente ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89,artt. 158 e segg., nella parte in cui prevede che contro la decisione della Corte di appello sul reclamo avverso il provvedimento disciplinare è ammesso ricorso per cassazione nei soli casi previsti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), possa essere interpretato ove non si ravvisi la necessità di sollevare una questione incidentale di legittimità costituzionale - secondo un criterio costituzionalmente orientato che ammetta la possibilità di far valere anche i vizi di cui dello stesso art. 360 c.p.c., n. 4) (soprattutto con specifico riferimento alla denuncia di violazione dell'art. 112 c.p.c.) ovvero se, in caso negativo, i vizi processuali possano essere comunque sussunti nell'ambito di applicabilità della previsione del medesimo art. 360, n. 3).

3. La risoluzione della questione di massima di particolare importanza.

3.1. Cenni sul procedimento disciplinare a carico dei notai.

Prima di incentrare l'analisi sulle problematiche involte dalla questione di massima di particolare importanza in discorso, si profila opportuno accennare alle peculiarità che caratterizzano il procedimento disciplinare notarile.

Questo procedimento è stato radicalmente innovato a seguito del D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 7, comma 1, lett. e)) che ha previsto numerose modifiche della L. n. 89 del 1913 (c.d. legge notarile) con particolare riguardo alle sanzioni disciplinari e al relativo procedimento.

Tra le maggiori novità si segnalano: l'istituzione di un Collegio di disciplina, organizzato e gestito dal Consiglio notarile distrettuale di appartenenza; il conferimento al Consiglio notarile (oltre che, come prima, al Conservatore dell'archivio notarile e al Procuratore della Repubblica) del potere di promuovere il procedimento disciplinare a carico del notaio iscritto nel collegio del distretto; la previsione di una "sanzione pecuniaria", che sostituisce l'ammenda disciplinare prevista dalla legge previgente; l'abrogazione della destituzione di diritto, anche in ossequio a quanto stabilito dalla Corte costituzionale (sent. n. 40 del 1990) sul principio del non-automatismo della pena in sede disciplinare (anche se limitatamente al campo penale); l'adeguamento (e il riordino) delle sanzioni pecuniarie agli attuali valori monetari; la sostituzione dell'inabilitazione con articolate misure cautelari; la sospensione della prescrizione; la revisione della recidiva.

A seguito delle modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 249 del 2006, il procedimento disciplinare si articola, come del resto previsto anche dalla legge previgente, in tre gradi di giudizio ma mentre, nel regime antecedente, in primo grado, competente a giudicare il notaio era il Tribunale civile, adesso è la Commissione regionale disciplinare (in sintesi CO.RE.DI.), la cui istituzione rappresenta la parte più innovativa della riforma. Essa decide, per l'appunto, sulla base dell'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del notaio da parte di uno dei soggetti legittimati, sulla responsabilità o meno dell'incolpato, all'esito di un procedimento cadenzato e connotato da un'eventuale fase istruttoria e da una imprescindibile fase di discussione e formalizzazione delle conclusioni.

L'art. 158 Legge Notarile (n. 89 del 1913) prevede che "Le decisioni della Commissione possono essere impugnate in sede giurisdizionale, anche dalle parti intervenute ai sensi dell'art. 156-bis, comma 5 e, in ogni caso, dal procuratore della Repubblica competente per l'esercizio dell'azione disciplinare. Le decisioni della Commissione diventano esecutive, se non è proposto reclamo nei termini previsti dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 26".

La CO.RE.DI., come precisa la stessa enunciazione dell'art. 148 della c.d. Legge Notarile, è un organo amministrativo e non giurisdizionale. Dunque il procedimento davanti alla Corte d'Appello non si può configurare come un secondo grado, ma più propriamente è da intendere come un mezzo di tutela giurisdizionale che assicura il riesame del merito rispetto alla decisione dell'organo amministrativo. Il richiamato decreto sulla semplificazione dei riti (D.Lgs. n. 150 del 2011) ha abrogato gli artt. 158-bis e 158-ter della citata Legge Notarile e ha previsto, tra l'altro, all'art. 26 che il giudizio avanti alla Corte d'Appello è regolato dal rito sommario di cognizione, come introdotto dall'art. 702-bis c.p.c., in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina del procedimento in camera di consiglio, e del resto corrispondenti al suo circoscritto oggetto che, anche per la sua natura, ne impone altresì la snellezza.

La Corte di appello emette una decisione che assume forma di ordinanza e non più di sentenza, con lettura del dispositivo in udienza, come in passato.

3.2. Il ricorso per cassazione ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26.

Del D.Lgs n. 150 del 2011, art. 26, comma 4, sulla semplificazione dei riti, dispone che: "Contro la decisione della Corte di appello sul reclamo avverso il provvedimento disciplinare è ammesso ricorso per cassazione nei soli casi previsti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)".

Al comma 5 prevede che: "Contro la decisione della Corte di appello sul reclamo avverso il provvedimento cautelare è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge".

Al sesto ed ultimo comma sancisce che: "La Corte di Cassazione pronuncia con sentenza in Camera di consiglio, sentite le parti".

La norma non fornisce altre indicazioni con la conseguenza che la disciplina deve integrarsi con le regole ordinarie del giudizio di legittimità, a cominciare dai termini di impugnazione, che sono da ritenersi quelli ordinari, ovvero 60 giorni dalla notifica dell'ordinanza su istanza di parte o sei mesi dal deposito ex art. 327 c.p.c..

Il giudizio in Cassazione si svolge con la celebrazione di un'udienza camerale in cui è, però, garantita la partecipazione delle parti e del Procuratore generale; non trovano, pertanto, applicazione i modelli processuali contemplati dagli artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c..

3.3. Il quadro giurisprudenziale sull'interpretazione del precedente art. 158-ter della c.d. legge notarile e del D.Lgs. n. 150 del 2011, nuovo art. 26.

3.3.1. Sull'interpretazione del previgente art. 158-ter della c. d. legge notarile.

L'ordinanza interlocutoria evidenzia che le Sezioni Unite non si sono ancora propriamente espresse sull'interpretazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, che ha abrogato - ai sensi del art. 34, comma 30, lett. d) - l'art. 158-ter della Legge Notarile (già introdotto dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 46, comma 1), il quale prevedeva che nei procedimenti disciplinari nei confronti dei notai contro le pronunce della Corte d'Appello era ammesso ricorso per cassazione nei casi previsti dell'art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5).

La nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 150 del 2011, citato art. 26, pur ricalcando quasi interamente la precedente, ha aggiunto l'aggettivo "soli", sicchè, secondo la rimettente Seconda Sezione, è necessario chiarire se tale aggiunta rivesta un carattere solo formale o stilistico in modo da perpetrare l'interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale sono ammessi tutti i motivi di ricorso per cassazione previsti dall'art. 360 c.p.c., compresi quelli di nullità della sentenza o del procedimento, o se, invece, il legislatore abbia voluto (realmente e consapevolmente) innovare sul punto, limitando la ricorribilità delle ordinanze giudiziali disciplinari dei notai ai "soli" casi previsti dell'art. 360, nn. 3) e 5), escludendo la possibilità di ricorrere in cassazione per violazione di norme processuali.

Nell'ordinanza interlocutoria si ricostruisce il contrasto formatosi in precedenza all'interno della terza sezione (allora tabellarmente competente per i procedimenti disciplinari a carico dei notai) circa l'interpretazione da fornire con riferimento al pregresso testo dell'art. 158-ter della Legge Notarile.

La prima decisione che si è pronunciata esplicitamente sul punto è l'ordinanza n. 7169 del 25/3/2010 secondo cui il motivo di ricorso relativo alla nullità della sentenza era ammissibile nonostante il tenore dell'art. 158-ter Legge Not., che, con scelta che appariva obiettivamente irragionevole, prevede(va), nel suo comma 1, che il ricorso per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte d'Appello ai sensi del precedente art. 158-bis c.p.c., fosse ammesso "nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)".

Si era, invero, ritenuto che la norma in questione, in ragione della natura precettiva da sempre tradizionalmente riconosciuta - dalla Corte di cassazione originariamente, con scelta avallata poi dalla Corte costituzionale - all'art. 111 Cost., già comma 2 ed ora comma 7, in punto di previsione dell'ammissibilità sempre del ricorso per cassazione per violazione di legge contro le sentenze, in difetto di un'espressa volontà di deroga del principio costituzionale, dovesse essere intesa non già nel senso che aveva inteso eliminare la possibilità di ricorso per cassazione direttamente discendente dalla norma costituzionale, bensì nel senso che aveva voluto ampliarla e, dunque, estenderla a quello che la norma stessa ed eventualmente la legge ordinaria precedente non prevedeva. L'ampliamento, nella specie, formalmente si era verificato con la ricomprensione del vizio di cui dell'art. 360 c.p.c., n. 5), che non era incluso nella tutela apprestata dall'art. 111 Cost., comma 7.

L'ordinanza in esame evidenziava anche che sì trattava di un'estensione solo formale, perchè già riconosciuta dall'art. 360 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, ragion per cui l'art. 158-ter della Legge Not. poteva ritenersi del tutto inutile o, comunque, meramente ripetitivo di quanto, in subiecta materia, risultava già definito dalla norma costituzionale e dall'art. 360 c.p.c., dopo la riforma del 2006.

In definitiva, in dipendenza della diretta efficacia precettiva dell'art. 111 Cost., comma 7, si era ritenuto che il ricorso per cassazione avverso le sentenze disciplinari dei notai ricomprendesse anche il motivo di ricorso previsto dall'art. 360 c.p.c., n. 4, riferito ai vizi propriamente processuali.

Il precedente di segno inverso riconducibile alla sentenza n. 24867 del 2010 si era limitato ad un'interpretazione meramente letterale dell'art. 158-ter della Legge Not. affermando che "Dal testo della norma discende l'inammissibilità del primo motivo di ricorso per cassazione, relativo all'omissione della lettura della sentenza della Corte di Appello, in quanto non è prevista espressamente dalla legge notarile, la denuncia della nullità della sentenza e del procedimento, che rientra nella previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)".

Il contrasto formatosi sulla questione era stato risolto dalle Sezioni unite con la sentenza n. 13617 del 2012, la quale aveva privilegiato la prima interpretazione, ritenendo ammissibile un motivo di ricorso, anche estraneo alle previsioni di cui dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, come richiamati dalla Legge Not. n. 89 del 1913, art. 158-ter.

Con la sentenza appena citata era stato chiarito che il rinvio dell'art. 158-ter, all'art. 360 c.p.c., n. 3, dovesse ritenersi riferito alla violazione di norme non solo di diritto sostanziale, ma anche processuale, onde non vi era ragione per discostarsi dall'interpretazione operata con la menzionata ordinanza n. 7169 del 2010, stante il suo carattere "costituzionalmente orientato", mentre la menzionata sentenza n. 24867 del 2010 non aveva affrontato la questione della compatibilità della norma citata con la Costituzione e si poneva, perciò, in contrasto con il disposto dell'art. 111 Cost., che ammette il ricorso per cassazione in ogni caso di "violazione di legge", con dizione che dalla stessa Corte di cassazione è stata costantemente e univocamente intesa come comprensiva appunto anche delle violazioni attinenti al diritto processuale (in tal senso si erano già pronunciate le stesse Sezioni unite con la sentenza 22 agosto 2007 n. 17822).

3.3.2. Sull'interpretazione del vigente del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26.

Come già posto in risalto le Sezioni unite non hanno ancora avuto modo di pronunciarsi sulla portata e l'interpretazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, nuovo art. 26, con specifico riferimento all'innovata previsione della disciplina dei motivi di ricorso per cassazione propriamente proponibili come cristallizzata nel comma 4 di detta norma.

Ciò nondimeno, la giurisprudenza delle Sezioni semplici di questa Corte, che ha avuto modo di fare applicazione del menzionato del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, ha sempre ritenuto ammissibili i motivi di ricorso relativi ai casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Nell'ordinanza interlocutoria, tuttavia, si evidenzia che in un solo caso è stata affrontata espressamente la questione mentre in tutti gli altri casi questa Corte ha implicitamente ritenuto ammissibili i motivi di ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 4, esaminandoli nel merito, senza motivare specificamente sul perchè della loro ammissibilità.

Con un'unica sentenza (la n. 9427 del 2015) è stata rigettata l'eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dai controricorrenti - nel caso di specie relativa alla nullità del procedimento e del provvedimento impugnato in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, ancorchè limitandosi a richiamare il precedente delle Sezioni unite di cui alla sentenza n. 13617 del 2012, asserendo che la nuova disposizione riproduce esattamente la precedente.

Si ritiene opportuno riportare integralmente il punto della citata sentenza, essendo appunto l'unica pronuncia che, seppure sinteticamente, ha affrontato la questione.

Nella motivazione della sentenza si legge che: "Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione dei controricorrenti di inammissibilità del motivo in oggetto in quanto il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, in linea con la precedente disposizione di cui all'art. 153-ter L.N., prevede il ricorso per cassazione avverso le decisioni della Corte di appello sul reclamo avverso il provvedimento disciplinare soltanto nei casi previsti dal comma 1, nn. 3 e 5; tale eccezione è priva di pregio, posto che, come già ritenuto dalla pronuncia delle S.U. di questa stessa Corte n. 13617 del 2012, il rinvio all'art. 360 c.p.c., n. 3 (già inserito nell'art. 153-ter L.N., introdotto dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 46 e poi riprodotto "in parte qua" dall'art. 26 sopra richiamato) deve ritenersi riferito alla violazione di norme non solo di diritto sostanziale, ma anche processuale, stante il carattere costituzionalmente orientato di tale interpretazione".

Nella sentenza n. 14130 del 2016 è stato preso in esame il motivo di ricorso di omessa pronuncia della Corte di appello sul capo di impugnativa con cui il notaio ricorrente aveva criticato la statuizione della Commissione Regionale di Disciplina che gli aveva negato l'attenuante del ravvedimento operoso ex art. 144, comma 1, della Legge Not..

Al riguardo, il collegio, prima di dichiarare il motivo fondato, aveva osservato che: "l'assenza, nella rubrica del motivo, di espresso richiamo all'art. 112 c.p.c. e dell'art. 360 c.p.c., n. 4, non impedisce alla Corte di apprezzare la sostanza della censura come deduzione di un vizio di omessa pronuncia, in ragione del riferimento a tale vizio contenuto nel corpo del motivo".

In altra sentenza (la n. 14559 del 2016) è risultata esaminata la violazione dell'art. 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sulle questioni dedotte con apposito motivo di ricorso per cassazione. Anche in questo caso il collegio aveva esaminato direttamente il merito dei motivi di ricorso senza affrontare in alcun modo il problema della loro ammissibilità, questione che d'altra parte non aveva neanche formato oggetto delle eccezioni della parte controricorrente.

In un'ulteriore sentenza (la n. 15073 del 2016) si evince che il collegio aveva affrontato direttamente il merito di un motivo di ricorso avente ad oggetto una questione processuale, ravvisandosi, in particolare, l'infondatezza (e non l'inammissibilità) di una doglianza con la quale il ricorrente lamentava che la Corte d'Appello avesse pronunciato ultra petita in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ed in dispregio del principio di difesa e di contraddittorio tra le parti.

4. La soluzione più ragionevole e conforme a diritto in risposta alla prospettata questione di massima di particolare importanza.

Ritiene il collegio che la posta questione di massima di particolare importanza debba essere risolta nel senso che, valorizzando il criterio di interpretazione primaria riconducibile ad un'ottica costituzionalmente orientata, il ricorso per cassazione in materia di sanzioni disciplinari notarili debba intendersi esteso anche alla deduzione di vizi propriamente processuali che, se non è possibile far rifluire nell'ambito delle violazioni più in generale incasellabili in quelle previste dell'art. 360 c.p.c., n. 3), non possono che essere fatti valere con la loro denunciabilità ai sensi del successivo n. 4) della stessa norma, in tal modo superandosi l'atecnicisnno formale e il difetto di coordinamento emergenti dalla nuova previsione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, comma 4.

L'interpretazione costituzionalmente orientata di detta disposizione normativa si colloca, del resto, in linea di continuità con quella relativa alla precedente disciplina, in base alla quale era ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze della Corte di appello sui provvedimenti disciplinari a carico dei notai anche per nullità della sentenza o del procedimento.

In tal senso queste Sezioni unite ritengono di esercitare legittimamente il potere-dovere di interpretare secundum Constitutionem le disposizioni legislative, donde rilevano come sia possibile pervenire in via ermeneutica ad una soluzione costituzionalmente compatibile della questione giuridica in esame.

La definizione in tali termini della questione può ritenersi supportata, in primo luogo, dallo stesso percorso argomentativo sviluppato dalla pronuncia delle stesse Sezioni unite n. 13617 del 2012 (già anticipata in senso conforme dalla richiamata ordinanza n. 7169 del 2010).

A tal fine può, invero, affermarsi che il legislatore con il decreto sulla semplificazione dei riti (D.Lgs. n. 150 del 2011) non ha inteso, in effetti, modificare il precedente regime previsto dalla Legge Not. n. 89 del 1913, art. 158 ter (introdotto dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 46, comma 1) che, invece, ha voluto confermare integralmente. Del resto, come evidenziato nell'ordinanza interlocutoria, l'unico elemento di differenziazione è l'aggettivo "nei soli" che nella precedente versione della norma non era presente, con il quale, però, il legislatore delegato, pur apportando una integrazione meramente formale, non ha, sul piano sostanziale, voluto effettivamente limitare il diritto di difesa e al contraddittorio del ricorrente per cassazione, ragion per cui la norma così modificata può considerarsi priva di una reale portata innovativa.

In altri termini, appare legittimo rilevare che, nonostante il tenore letterale del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, comma 4, esso possa essere inteso nel senso che l'intenzione del legislatore era di estendere i motivi di ricorso anche al vizio di motivazione che (prima della riforma del 2006) la giurisprudenza di legittimità aveva escluso dal perimetro del ricorso straordinario ex art. 111 Cost..

Nè varrebbe a smentire tale opzione ermeneutica il fatto che il vizio di motivazione, sin dal D.Lgs. n. 40 del 2006, è oramai ammissibile anche in relazione al ricorso straordinario ex art. 111 Cost., perchè lo stesso ostacolo era già stato superato dalle precedenti sentenze che avevano interpretato il citato art. 158-ter della Legge Not. introdotto con il D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249 che, appunto è successivo al D.Lgs. n. 40 del 2006.

In sostanza il legislatore è incorso nello stesso difetto di coordinamento già riferibile all'art. 158-ter Legge Not., ponendo riguardo dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, senza avvedersi che non era necessario fare riferimento espressamente al vizio di motivazione che era già ricompreso nell'art. 360 c.p.c., per ogni ipotesi di ricorso straordinario ex art. 111 Cost..

Questa interpretazione si raccorda coerentemente anche con il successivo comma 5 del D.Lgs. n. 150 del 2011, stesso art. 26, secondo cui: "Contro la decisione della Corte di Appello sul reclamo avverso il provvedimento cautelare è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge". Se, infatti, nella generica indicazione "violazione di legge", la giurisprudenza di legittimità è propensa a ricomprendere anche la violazione della legge processuale (v. la già citata Cass. S.U. n. 17822/2007), si prospetta del tutto irragionevole che il legislatore abbia previsto che il vizio processuale possa essere fatto valere nel giudizio di legittimità contro la decisione della Corte di appello sul provvedimento cautelare e, poi, non possa essere fatto valere in relazione all'impugnazione dell'ordinanza decisoria definitiva. In ogni caso ed in linea più generale occorre necessariamente tener conto del fatto che da sempre si ritiene che l'art. 111 Cost., comma 7 (già secondo comma), sia dotato di una forza precettiva diretta, incidendo sul sistema processuale senza bisogno dell'intervento del legislatore ordinario e che, nel concetto di violazione di legge richiamato dalla suddetta norma costituzionale, si ricomprende sia la legge sostanziale che quella processuale. Da ciò dovrebbe comunque conseguire l'ammissione del ricorso per cassazione per violazione della legge (processuale), sussistendo tutti i presupposti in base ai quali la giurisprudenza di legittimità ritiene ammissibile il ricorso straordinario e, dunque, potendo farsi applicazione direttamente della citata norma costituzionale che non abbisogna di alcuna disciplina di recepimento.

In questa logica la scelta del legislatore delegato di aver escluso solo formalmente - la ricorribilità per cassazione per motivi implicanti la possibile nullità del procedimento e della sentenza (che costituisce l'ambito proprio della categoria dei vizi riconducibili dell'art. 360 c.p.c., n. 4)), deve, pur sempre, coordinarsi con le regole costituzionali del giusto processo e, quindi, con la ineliminabile tutela delle garanzie riconducibili alla piena effettività dell'esercizio del diritto di difesa e al contraddittorio (che rivestono, per l'appunto, un ruolo centrale ed ineludibile nelle garanzie da preservare nella dinamica processuale e che si identificano, senza dubbio, con i più importanti "principi regolatori del giusto processo" ai quali pone riferimento anche l'art. 360-bis c.p.c., n. 2)).

In questa ottica è evidente che la mancata possibilità, nel procedimento in discorso, di denunciare in cassazione - ad esempio un vizio di omessa pronuncia su uno o più capi dell'impugnazione proposta davanti alla Corte di appello o la nullità insanabile di un pregresso vizio processuale o la stessa nullità dell'ordinanza decisoria della predetta Corte determinerebbe un evidente vulnus alla tutela degli appena richiamati principi fondamentali dell'ordinamento processuale ormai direttamente costituzionalizzati, che risultano pienamente armonizzati con le norme della Convenzione EDU (e, in particolare, con i suoi artt. 6 e 13).

Solo in tal modo si garantisce al ricorrente per cassazione nella materia del procedimento disciplinare notarile di poter completamente esercitare le sue difese per consentire il pieno rispetto "anche" della legalità processuale che sarebbe idonea, in caso di sua violazione, a determinare una obiettiva ingiustizia della decisione finale, non diversamente o altrimenti ovviabile (se non proprio con la deducibilità del vizio enucleato dell'art. 360 c.p.c., n. 4) e non, quindi, ricorrendo all'inconferente motivo - nei predetti esempi di vizi propriamente processuali riconducibile al n. 3) della stessa norma).

In definitiva, a risoluzione della questione di massima di particolare importanza sottoposta all'esame di queste Sezioni unite, deve affermarsi il seguente principio di diritto: "In tema di procedimento disciplinare al quale si applica la normativa processuale del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 26, il ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello adottata sul reclamo nei confronti del provvedimento disciplinare - previsto dal comma quarto di detta disposizione normativa - deve intendersi, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata ed al fine di garantire una piena effettività del principio della "legalità processuale" volto alla tutela delle garanzie primarie del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio, ammesso anche per le violazioni processuali che "stricto iure" sono riconducibili ai vizi enucleati dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)".

5. Esame dei motivi proposti con il ricorso.

A questo punto, risolta nei predetti termini la pregiudiziale questione di massima di particolare importanza, si può passare all'esame delle singole censure prospettate con il ricorso proposto nell'interesse del notaio R.E., considerandosi, perciò, ammissibili anche quelle denunciate con riferimento alle violazioni riferite al n. 4) del comma primo dell'art. 360 c.p.c..

5.1. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, pertanto essere respinto.

Infatti, dovendo porsi riferimento ai termini della questione oggetto di rinvio così come perimetrata per effetto della sentenza della Corte di cassazione n. 22910/2015 (in conseguenza dell'accoglimento del secondo motivo del precedente ricorso proposto dal Consiglio notarile), è da ritenersi univoco che, in dipendenza della necessità della rivalutazione distinta delle due violazioni di cui agli artt. 6 e 9 del codice deontologico (invece illegittimamente accorpate dal provvedimento annullato nell'infrazione di cui all'art. 26 Legge Notarile) in ordine alle quali doveva essere rideterminata la sanzione, non avrebbe potuto essere accolta l'istanza di oblazione formulata nel giudizio di rinvio, già peraltro disattesa con la citata sentenza della Cassazione in conseguenza della portata della sua pronuncia e, quindi, per l'inoperatività dell'effetto estintivo in relazione alle due autonome violazioni.

E la stessa Corte di appello di Cagliari ha dato atto - prendendo, perciò, in considerazione la relativa doglianza della difesa del notaio R. proprio sulla base della sentenza di rinvio della Corte di cassazione - che l'istanza di oblazione non poteva considerarsi ammissibile sulla scorta della nuova impostazione logico-giuridica discendente dai termini dell'accoglimento del precedente ricorso formulato nell'interesse del Consiglio notarile, in tal modo non incorrendo nel prospettato vizio di omessa pronuncia.

5.2. Anche il secondo motivo è privo di fondamento giuridico.

Invero, alla stregua dell'ambito proprio della sentenza di annullamento n. 22910/2015 di questa Corte (nei sensi appena in precedenza descritti nel rispondere alla prima doglianza), l'ordinanza della Corte di appello adottata all'esito del giudizio di rinvio non poteva che tener conto delle due richiamate distinte violazioni, non potendo, perciò, contrariamente all'avviso del ricorrente, considerare quella di cui all'art. 6 del c.d. codice deontologico assorbita in quella più generale dell'art. 26 della legge notarile, donde la legittimità della reiezione dell'istanza di oblazione, dovendosi provvedere anche sulla sussistenza combinata di tale violazione con quella di cui all'art. 9 dello stesso cod. deontol..

5.3. Il terzo e quarto motivo sono esaminabili congiuntamente perchè investono due aspetti tra loro indubbiamente connessi, ovvero quello relativo all'asserita mancata conformazione del giudice di rinvio al principio di diritto enunciato con la più volte richiamata sentenza di questa Corte n. 22910/2015 e quello inerente il profilo dell'individuazione del tipo di sanzione conseguentemente applicabile nei confronti del notaio R..

Anche queste due censure non colgono nel segno e vanno rigettate, non risultando essersi configurate le denunciate e già riportate violazioni.

Fermo restando il suddetto perimetro dell'oggetto del giudizio di rinvio, non può dubitarsi che la Corte di appello - con l'ordinanza qui impugnata - si sia correttamente uniformata al principio di diritto di cui alla richiamata sentenza di cassazione, avendo esattamente, in funzione della rivalutazione autonoma delle due predette distinte violazioni, riconsiderato la sussistenza dei relativi presupposti, pervenendo, quindi, all'irrogazione della conseguente sanzione per le stesse infrazioni disciplinari rimaste accertate. Nè, del resto, il giudice di rinvio - come diversamente sostenuto con il quarto motivo avrebbe potuto comminare la sola sanzione pecuniaria riferita alla (esclusa) violazione dell'art. 26 della Legge Notarile, poichè, così pronunciando, non si sarebbe conformato al suddetto principio di diritto.

5.4. Il quinto ed il sesto motivo del ricorso sono, anch'essi, valutabili unitariamente poichè concernono l'asserita mancata pronuncia, da parte del giudice di rinvio, sull'eccezione di prescrizione dei due illeciti disciplinari ricondotti agli artt. 6 e 9 del c.d. cod. deontol. e, in ogni caso, con la sesta censura, si sostiene che, nel caso di specie, sarebbero sussistiti i presupposti per dichiarare la prescrizione di detti illeciti.

Anche questi due motivi risultano infondati e vanno, quindi, respinti. Osserva, infatti, il collegio che, avendo il giudice di rinvio provveduto al riesame nel merito delle due violazioni (di cui artt. 6 e 9 del cod. deontol.) da valutarsi autonomamente, è da ritenersi che esso abbia implicitamente inteso respingere l'eccezione di prescrizione, donde l'insussistenza del vizio di omessa pronuncia proprio per l'incompatibilità logico-giuridica della decisione adottata nel merito rispetto alla possibile operatività della prescrizione che, se sussistente, l'avrebbe impedita.

La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, consolidata nell'affermare che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata con il capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr., tra le tante, Cass. n. 20311/2011 e, da ultimo, Cass. n. 24155/2017).

La doglianza relativa all'assunto decorso del termine prescrizionale di cui all'art. 146 della Legge Notarile non è, peraltro, fondata.

Va, infatti, rilevato che, nel caso di specie, detto termine non era maturato essendo stato interrotto prima dalla richiesta di apertura del procedimento disciplinare e, poi, dalle decisioni sopravvenute con le quali erano state irrogate le sanzioni disciplinari.

A tal proposito merita di essere riconfermato il principio già statuito da questa Corte (cfr. Cass. n. 9486/2015 e Cass. n. 20787/2015, in motivazione) secondo cui - nell'interpretazione del citato art. 146 L.N. e con riferimento alla peculiare struttura del procedimento disciplinare notarile - la Corte d'appello, adita in sede di impugnazione, non può che applicare (o non applicare, a seconda dell'esito del giudizio) una sanzione disciplinare, non potendosi concettualmente distinguere, quanto agli effetti della pronuncia ai fini che qui interessano, il caso in cui la sanzione venga ridotta (più favorevole all'incolpato), con nuovo decorso della prescrizione, da quello in cui la sanzione venga confermata (per effetto del rigetto e con decisione non favorevole all'incolpato) con esclusione, questa volta, della decorrenza del nuovo termine. Si tratta di una conclusione non conforme all'impianto complessivo del giudizio disciplinare notarile con aspetti anche di ingiustificata disparità di trattamento.

Trasponendo questo ragionamento nella vicenda processuale in questione emerge, all'evidenza, che nelle varie fasi del procedimento e nei differenti gradi di giudizio che si sono succeduti essi hanno avuto ad oggetto sempre i medesimi illeciti contestati ab initio al notaio R., ancorchè diversamente sussunti nelle specifiche normative di settore (ovvero della Legge Notarile n. 89 del 1913 o del vigente codice deontologico professionale dei notai), circostanza quest'ultima - che naturalmente non ha inciso sulla prospettata maturazione della prescrizione, invece da ritenersi esclusa e ciò ha comportato la legittima applicazione della conseguente sanzione da parte della Corte di appello cagliaritana, pronuncia comportante come già messo in luce - il rigetto implicito dell'eccezione di prescrizione.

5.5. Pure il settimo motivo è da ritenere infondato e, perciò, da respingere.

Va, invero, precisato al riguardo che l'oggetto del giudizio demandato al giudice di rinvio non avrebbe potuto estendersi fino a ricomprendere un nuovo esame sulla tipologia degli atti ricevuti o sugli elementi indicati dal notaio (poichè, anche a seguito della sentenza di annullamento, le due violazioni - anzichè accorpate avrebbero dovuto essere valutate autonomamente sul piano sanzionatorio), stante l'intangibilità della già accertata sussistenza delle due infrazioni e dovendo lo stesso giudice di rinvio necessariamente limitarsi alla rivalutazione degli addebiti (ormai cristallizzati nell'an) ai soli fini della scelta della correlata sanzione concretamente applicabile, valorizzando tutti gli elementi del caso e la non occasionalità della condotta illecita del notaio.

5.6. Anche l'ottavo motivo è privo di fondamento avendo la Corte di rinvio adeguatamente motivato sulle circostanze complessivamente considerate per la individuazione della tipologia e della misura della sanzione da applicare rapportate alla gravità delle violazioni rimaste accertate, la cui valutazione deve reputarsi intrinsecamente incompatibile con la concessione delle attenuanti generiche: la relativa richiesta deve, perciò, ritenersi implicitamente disattesa dallo stesso giudice di rinvio, senza, quindi, che si sia venuto a configurare il prospettato vizio di omessa pronuncia.

5.7. Pure il nono ed ultimo motivo proposto nell'interesse del notaio R. - con il quale lo stesso ha lamentato l'avvenuta illegittima considerazione, da parte della Corte di rinvio, di un precedente disciplinare (pur in presenza di un giudicato contrario), risalente ad altro decreto della stessa Corte di appello del 4 aprile 2014, ai fini della determinazione della irrogata sanzione - è da ritenersi infondato.

Dall'appena richiamata decisione della Corte cagliaritana (la cui motivazione risulta riprodotta specificamente a corredo della censura in esame) si evince che era, in effetti, stata esclusa la rilevanza del precedente ma con riferimento alla violazione dell'art. 26 della legge notarile, asserendosi che, nel caso di specie, non avrebbe potuto trovare applicazione l'art. 138 della stessa legge (ai fini della recidiva) poichè il precedente sanzionato con altra decisione del 9 marzo 2009 della CO.RE.DI. riguardava la violazione del disposto dell'art. 147 della medesima legge notarile e non, invece, il citato art. 26.

Pertanto, il giudice di rinvio, in funzione della concreta determinazione della sanzione da infliggere al notaio, nella valutazione complessiva della condotta allo stesso addebitabile in relazione alle due infrazioni accertate a suo carico, oltre agli elementi già specificati in risposta all'ottavo motivo, ha legittimamente valorizzato anche il precedente disciplinare conseguente alla menzionata decisione di condanna del 9 marzo 2009 attinente alla violazione della Legge Notarile n. 89 del 1913, art. 147, comma 1, lett. b).

6. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate, in favore del controricorrente Consiglio notarile dei Distretti riuniti di Cagliari, Lanusei e Oristano, nei sensi di cui in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater - dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente Consiglio notarile dei Distretti riuniti di Cagliari, Lanusei e Oristano, delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, Iva e Cpa nella misura e sulle voci come per legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2019