In tema di procedimento davanti al giudice di pace, il potere del giudice nel riconoscere l'idoneità della riparazione, quale causa d'estinzione del reato, non può spiegarsi oltre i requisiti oggettivi previsti dall'art. 35 D.Lgs. n. 274 del 2000, tra i quali vi è quello dell'anteriorità della riparazione rispetto all'udienza di comparizione, limite che costituisce sbarramento superabile solo dal provvedimento con cui il giudice dispone la sospensione del processo per consentire all'imputato, che ne abbia fatto richiesta, di porre in essere le condotte riparatorie
Anche in tema di oltraggio a pubblico ufficiale, la causa di estinzione del reato di cui all'art. 341-bis, comma 3, c.p., per cui ove l'imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell'ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto, trova applicazione a condizione che il risarcimento del danno sia integrale, avvenga nei confronti della persona offesa e dell'ente di appartenenza della medesima e sia effettuato prima del giudizio, in quanto anche la sua previsione ha carattere deflattivo e la concreta operatività non può essere rimessa a una scelta di opportunità dell'imputato, maturata all'esito dello svolgimento del dibattimento.
Anche la richiamata attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62, comma 1, n. 6, prima parte, c.p. esige esclusivamente che la riparazione del danno - mediante le restituzioni o il risarcimento - sia integrale e avvenga prima del giudizio; non richiede, invece, che l'attività del reo sia anche spontanea (come nella seconda ipotesi della stessa disposizione), essendo sufficiente che si tratti di attività volontaria.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Sent., (data ud. 07/07/2022) 29/07/2022, n. 30053
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -
Dott. D’ANDREA Alessandro - rel. Consigliere -
Dott. CIRESE Marina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.S., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/02/2021 del TRIBUNALE di LIVORNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
Lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (D.L. 137 del 2020 art. 23 comma 8 conv. dalla L. n. 176 del 2020, come prorogato ex art. 16 D.L. 228 del 2021 conv. con modif. dalla 1.15/22), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Lidia Giorgi, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e del difensore del ricorrente Avv. MM, che ha insistito per l'annullamento senza rinvio, o in subordine con rinvio, della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 5/2/2021 il Tribunale di Livorno, in composizione monocratica, pronunciando sull'appello proposto dall'odierno ricorrente P.S., confermava la sentenza con cui il Giudice di Pace di Livorno il 20/6/2018 lo aveva condannato alla pena di 1300 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, e al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile E.P., da liquidarsi in separata sede, oltre alla rifusione delle spese nei confronti di quest'ultima, in quanto riconosciutolo colpevole del reato p. e p. dall'art. 590 c.p., perchè per negligenza, imprudenza e violazione delle norme che disciplinano la gestione dei cani nei luoghi pubblici, omettendo di far indossare al suo cane - un meticcio di taglia media e di indole mordace - una museruola, consentiva al predetto animale di azzannare E.P. al polpaccio destro, con conseguenti lesioni personali dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in gg. 5 s.c.; commesso in (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il P., deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. la erronea applicazione del D.Lgs. n. 274 del 2000 art. 35.
Il ricorrente ricorda che il giudice di pace ha condannato l'odierno ricorrente, non valutando l'offerta risarcitoria formulata da parte dell'assicurazione del cane in custodia all'imputato nei confronti della parte offesa al fine di procedere all'eventuale dichiarazione di estinzione del reato ex D.Lgs. n. 274 del 2000 art. 35. E che, su espresso motivo di appello, il tribunale successivamente adito ha ritenuto non applicabile la causa di estinzione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 35 in quanto veniva data prova dell'offerta risarcitoria nel corso del giudizio, ma in fase successiva rispetto all'apertura del dibattimento.
Viene evidenziato come la proposta in questione sia stata rifiutata dall'odierna parte civile nonostante fosse da ritenere perfettamente congrua in relazione a quanto contestato al P. nell'imputazione. L'offerta ex art. 35, viene ricordato in ricorso, deve essere idonea a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione. L'organo giudicante infatti deve fare una valutazione di assoluta esaustività della condotta riparatoria, cui deve poi aggiungersi l'ulteriore apprezzamento di comportamenti dell'imputato improntati a lealtà, correttezza e alle regole del bon ton, "in vista della riaffermazione dei valori sociali naturalmente lesi dalla condotta criminosa" (il richiamo è al dictum di Sez. 4, n. 5507/2012).
Quanto sopra, per il ricorrente, avrebbe dovuto portare ad una riflessione in favore del principio del favor rei in punto di declaratoria di estinzione del reato.
La giurisprudenza -viene ricordato- è stata combattuta nel comprendere se la condotta riparatoria di cui all'art. 341 bis c.p. dovesse essere compiuta prima dell'apertura del dibattimento oppure potesse portare alla declaratoria di estinzione del reato qualora fosse compiuta nel corso del giudizio, in un momento successivo rispetto alla comparizione delle parti.
Il ricorrente richiama un precedente di merito del 7/11/2018 con cui il Tribunale di Agrigento, per valutare l'effettiva possibilità di riconoscere l'operatività della causa estintiva in questione, ha voluto innanzitutto verificare se fosse possibile considerare positivamente a tal fine anche una condotta riparatoria -in particolare, il risarcimento del danno -intervenuta a dibattimento già aperto.
Per fare ciò, ha dapprima raffrontato la previsione di cui all'art. 341 bis comma 3 c.p. con la limitrofa fattispecie dell'attenuante dell'integrale risarcimento del danno di cui all'art. 62 n. 6 c.p. che, analogamente alla causa estintiva in oggetto, richiede che il soggetto abbia risarcito il danno derivante da reato prima del giudizio. Dunque, prima facie, si potrebbe affermare che il momento entro il quale vada posta in essere la condotta riparatoria di cui all'art. 341 bis comma 3 c.p. sia il medesimo previsto dalla circostanza attenuante.
Così, si dovrebbe negare l'operatività della causa di estinzione in parola allorchè la riparazione si verifichi dopo l'apertura del dibattimento, ossia a processo già incardinato, dato che la giurisprudenza è unanime nel ritenere che l'analoga fattispecie descritta dall'art. 62 n. 6 c.p. sia ravvisabile soltanto se il risarcimento del danno avvenga in un momento antecedente rispetto alla formale apertura del dibattimento (cfr. ex multis, la sentenza 13528/2015).
Tale conclusione per il ricorrente non può essere condivisa, in quanto è necessario diversificare le due fattispecie, come sottolinea il giudice di merito in sentenza. Infatti, la motivazione che ha portato la giurisprudenza a ritenere utile ai fini dell'integrazione della circostanza in questione solo quel risarcimento che sia stato effettuato prima dell'apertura del dibattimento, poggia sull'assunto per cui, data la natura soggettiva dell'attenuante, solo un risarcimento versato prima del giudizio può essere indice di spontanea volontà riparatoria che legittima una diminuzione della pena irrogabile (così Sez. 1, n. 40993/2010). Ma tale asserzione non potrebbe essere trasposta acriticamente con riferimento alla locuzione "prima del giudizio" presente nell'art. 341 bis comma 3 c.p. Infatti, secondo il Tribunale di Agrigento, non va dimenticato che in quest'ultimo caso si parla di un "effetto estintivo (e non di semplice attenuazione sanzionatoria), effetto che viene considerato dal legislatore nella sua portata meramente oggettiva senza ciò tenere conto di profili psicologici-motivazionali".
Proprio per questo motivo, dunque, il giudice ha ritenuto che anche il risarcimento pervenuto dopo l'apertura del dibattimento potesse integrare la causa estintiva in discorso, essendo sufficiente "la mera sussistenza di una condotta ‘integralmente riparativà da parte dell'imputato" (e non anche uno spontaneo pentimento, che, come tale, deve logicamente collocarsi prima dell'instaurazione del processo). Quindi, in conclusione, il decidente ha ritenuto che "le esigenze strutturali e di economia processuale a cui è ispirata la disposizione siano realizzate anche quando, come nel caso di specie, la proposizione del risarcimento ‘estintivò avvenga nel corso del dibattimento" Se è vero come è vero -prosegue il ricorso- che dunque una causa di estinzione del reato basata su di un profilo meramente risarcitorio come quello di cui all'art. 341bis può applicarsi anche dopo l'apertura del dibattimento, per un principio di equipollenza sostanziale dettato dalla logica del favor rei, dovrebbe certamente ritenersi applicabile al caso di specie la causa di estinzione del reato di cui all'art. 35 D.Lgs. n. 274/2000. Tale causa di estinzione del reato, infatti, è basata integralmente sulla riparazione del danno cagionato dal reato mediante le restituzioni o il risarcimento e sull'aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. Non si vede dunque in che cosa si discosti dalla causa di estinzione del reato di cui all'art. 341 bis c.p., che prevede l'applicazione ditale causa estintiva sulla base di una riparazione del danno mediane risarcimento.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 comma 8 D.L. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore dell'imputato, Avv. MM, che ha insistito per l'annullamento senza rinvio, o in subordine con rinvio, della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il motivo proposto è inammissibile in quanto prospettano enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
2. L'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie disciplinato dall'art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 274 del 2000 rappresenta una peculiare forma di definizione alternativa del procedimento che costituisce una delle principali innovazioni introdotte dalla normativa istitutiva della figura del giudice di pace.
La norma prevede dunque come presupposto dell'estinzione del reato, "la riparazione del danno cagionato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato".
Le Sezioni unite di questa Corte (Sez. Un, n. 33864 del 23/4/2015, Rv. 264240 hanno chiarito che nel procedimento davanti al giudice di pace, D.Lgs. n.274 del 28 agosto 2000 art. 35, comma 1, nel correlare l'estinzione del reato alla valutazione di congruità del giudice, presuppone che siano state sentite le parti, ma non che sia stato acquisito il consenso della persona offesa; ne deriva che è legittima la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta riprazione del danno qualora, pur nel dichiarato dissenso della persona offesa per l'inadeguatezza della somma di denaro posta a sua disposizione dall'imputato quale risarcimento, il giudice esprima una motivata valutazione di congruità della stessa con riferimento alla soddisfazione tanto delle esigenze compensative quanto di quelle retributive e preventive (cfr. anche Sez. 4, n. 10673 del 26/10/2010, Ciannamea, Rv, 246393).
Di fronte, quindi, al dissenso della persona offesa, è il giudice che può decidere l'applicazione della norma ove ritenga, sulla base di motivata valutazione, congrua la somma corrisposta, con riferimento alla soddisfazione sia delle esigenze strettamente compensative, in ordine al risarcimento dei danni civili cagionati dal reato, sia di quelle retributive e preventive di natura penalistica.
Il legislatore, dunque, ha escluso qualsiasi automatismo per l'esplicazione degli effetti estintivi, subordinando la pronuncia ad una valutazione di idoneità della condotta risarcitoria e riparatoria posta in essere dall'imputato, da parte del giudice di pace, tale da soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione.
3. La norma prevede che debba essere l'imputato a dimostrate di avere proceduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. E che il giudice di pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al comma 1, solo se ritiene le attività risar-citorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione.
Costituisce ius receptum il principio che, ai fini dell'operatività della speciale causa di estinzione dei reati di competenza del giudice di pace, prevista dall'art. 35, D.Lgs. n. 28 agosto 2000, n. 274, non è ostativo il risarcimento effettuato dalla compagnia assicuratrice dell'auto dell'imputato, purchè il giudice lo ritenga idoneo a soddisfare le esigenze di riprovazione e quelle di prevenzione (Sez. 4, n. 34888 del 14/6/2017, Balboni Rv. 270725; Sez. Un., n. 33864 del 23/4/2015, Sbaiz, Rv. 264240).
Più pronunce hanno affermato che le condotte consistenti nella riparazione del danno e nell'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ai fini dell'estinzione dello stesso ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. n. n 274 /2000 vanno rapportate ad una commisurazione oggettiva del danno, rimessa in ultima analisi alla stima del giudice procedente e non alla valutazione e alla richiesta della parte offesa. Diversamente opinando, si svuoterebbe infatti di significato l'esistenza stessa dell'art. 35, poichè risulterebbe evidente che, nella totalità dei casi di reati procedibili a querela, un risarcimento totale del danno reclamato condurrebbe ad una remissione di querela medesima. Inoltre, è stato da più parti osservato che subordinare la procedura di cui all'art. 35 D.Lgs. cit. all'assenso della parte offesa costituirebbe un vero e proprio incoraggiamento a condotte processuali "sleali" in quanto tendenti a strumentalizzare la natura del processo penale, che diverrebbe un vero e proprio strumento coercitivo. E non vi sono margini per forme non integrali di risarcimento, imponendosi l'esaustivo ristoro del danno cagionato, con la subordinazione, quindi, della pronuncia di estinzione del reato alla dimostrazione, a cura dell'imputato, di avere provveduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato (Sez. 4, n. 36516 del 18/06/2008, Ilmer, Rv. 241957; Sez. 4, 11/06/2008, n. 23527, D.M. n.T., Rv. 240939; Sez.4, n. 1506 del 22/10/2013, Castagneri, Rv. 258483, con specifico riferimento ad una fattispecie in tema di lesioni colpose).
4. Nemmeno vi sono margini, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, per ritenere ammissibili risarcimenti effettuati dopo l'apertura del dibattimento.
Il legislatore, infatti, ha voluto ricollegare l'effetto estintivo del reato non solo al risarcimento del danno, ma anche ad un criterio di economia processuale, volto ad evitare il dibattimento per vicende che abbiano avuto un ristoro economico prima dello stesso.
Orbene, il tribunale toscano ha motivatamente dato conto della mancata applicazione della causa estintiva del reato disciplinata dall'art. 35 del Decreto Legislativo n. 274/2000 ricordando correttamente che la predetta disposizione subordina la possibilità di pervenire ad una declaratoria di estinzione del reato alla dimostrazione da parte dell'imputato di aver provveduto, prima della udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, nonchè ad una valutazione da parte del giudice dell'idoneità della somma versata a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione. E che sempre in prima udienza e previa sospensione del processo, può essere concesso un termine all'imputato per porre in essere le predette condotte riparatorie solo se lo stesso dimostra di non avervi potuto provvedere in precedenza.
Ebbene, come si ricorda nel provvedimento impugnato, alla luce della lettera della norma e del maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimità, il termine, individuato nell'udienza di comparizione delle parti, deve essere considerato perentorio, con la conseguenza che il mancato rispetto dello stesso comporta la decadenza dell'imputato dalle facoltà previste dalla normativa in disamina.
Occorre osservare che sulla questione relativa alla perentorietà o meno del termine indicato dal comma 1 del richiamato art. 35 si era sviluppato un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Secondo un primo ed isolato orientamento, l'inosservanza dei termini di cui all'art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 274 del 2000 - per il quale l'adempimento riparatorio deve avvenire prima dell'udienza di comparizione - non determinerebbe alcuna nullità o decadenza non essendo tali sanzioni previste espressamente dall'art. 173 c.p.p., nè potendo il giudice qualificare perentorio un termine che la legge non definisce espressamente tale (così Sez. 5, n. 27392 del 6/6/2008 Di Rienzo Rv. 241172, nella cui motivazione si segnalava che l'affermazione della non perentorietà appare in linea con le indicazioni dettate dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 333 del 2005; conf. Sez. 5, n. 40027 del 10/07/2014, Corbolini Rv. 260933).
Viceversa, secondo altro e ormai prevalente orientamento, a cui questo Collegio intende dare continuità, di gran lunga precedente la data di cui al ricorso, in tema di processo avanti al giudice di pace, il termine dell'udienza di comparizione, previsto per procedere alla riparazione del danno cagionato dal reato, ha natura perentoria, con la conseguenza che, in caso di inosservanza, l'imputato decade dall'accesso al trattamento di favore. Ciò perchè la sua previsione ha carattere deflattivo e la concreta operatività non può essere rimessa a una scelta di opportunità dell'imputato, maturata all'esito dello svolgimento del dibattimento.
Dunque, va ribadito che, in tema di procedimento davanti al giudice di pace, il potere del giudice nel riconoscere l'idoneità della riparazione, quale causa d'estinzione del reato, non può spiegarsi oltre i requisiti oggettivi previsti dall'art. 35 D.Lgs. n. 274 del 2000, tra i quali vi è quello dell'anteriorità della riparazione rispetto all'udienza di comparizione, limite che costituisce sbarramento superabile solo dal provvedimento con cui il giudice dispone la sospensione del processo per consentire all'imputato, che ne abbia fatto richiesta, di porre in essere le condotte riparatorie (così Sez. 5, n. 30094 del 14/3/2018, Salimbene, Rv. 273328; conf. Sez. 4, n. 50020 del 20/09/2017 Catalano Rv. 271178 che, in applicazione del principio ha ritenuto immune da vizi la decisione del giudice di merito che aveva escluso l'applicabilità della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 35 del D.Lgs. n. 28 agosto 2000, n. 274 per essere stato effettuato in data successiva all'udienza di comparizione il deposito della documentazione attestante l'avvenuto risarcimento, non idonea a dimostrare la data di sottoscrizione degli atti di quietanza ad opera delle parti civili; Sez. 4, n. 36280 del 18/02/2016, Di Canosa Rv. 267599; Sez. 5, n. 41282 del 24/04/2015, Candellero, Rv. 265205; Sez. 5, n. 31656 de 10/02/2015, Botta, Rv. 265295; Sez. 5, n. 9877 del 18/02/2014, Beraldi, Rv. 260479; Sez. 4, n. 35273 del 28/02/2014, Caponetto, Rv 262690; Sez. 4, n. 15882 del 28/02/2013, Pastorino, Rv. 255021; Sez. 5, n. 44394 del 17/07/2013 Meloni Rv. 257548; Sez. 4, n. 12856 del 19/03/2010, Mizigoi, Rv. 247032, nella quale si è anche precisato che "la circostanza che l'imputato si avvalga della compagnia assicuratrice per il risarcimento non costituisce valido motivo per non rispettare il termine previsto dal predetto art. 35").
5. Come si rileva nel provvedimento impugnato, dalla lettura dei verbali di udienza del processo di primo grado, emerge per tabulas come alcuna offerta risarcitoria sia stata avanzata nelle forme e nei termini previsti dall'art. 35 citato, in quanto all'udienza di comparizione del 21 dicembre 2016, è stata unicamente rappresentata dal difensore dell'imputato l'esistenza di una polizza assicurativa stipulata dal proprietario del cane.
Tuttavia, si dà atto che nessuna prova dell'avvenuto risarcimento del danno è stata fornita in quella sede nè alcuna offerta risarcitoria è stata avanzata nè è stata eccepita la mancata conoscenza da parte dell'imputato della facoltà di ottenere l'estinzione del reato mediante condotte riparatorie; correttamente, pertanto, si è proceduto oltre nella trattazione del processo con l'apertura del dibattimento e l'ammissione delle prove. L'imputato, quindi, risultava ormai decaduto dalla facoltà prevista nell'art. 35 citato, non avendo osservato il termine perentorio ivi previsto.
Ciò nonostante, si legge ancora nella sentenza impugnata, all'udienza del 18 aprile 2018, ossia quando era stata completata l'istruttoria dibattimentale ed il processo era prossimo alla definizione, il difensore dell'imputato ha prodotto copia di comunicazione email del 17 aprile 2018 con la quale la compagnia assicurativa proponeva il riconoscimento di una somma a titolo risarcitorio in favore della persona offesa e ha quindi avanzato istanza di rinvio del processo per poter formalizzare un'offerta reale.
Tale richiesta è stata correttamente ritenuta del tutto inammissibile in quanto presentata in modo irrituale e la presunta offerta risarcitoria è priva di ogni effetto giuridico in quanto era ormai maturato il termine di decadenza stabilito per la sua presentazione.
Sul punto il giudice del gravame del merito ribadisce, infatti, che l'imputato non ha mai dimostrato di aver risarcito il danno cagionato prima dell'udienza di comparizione delle parti nè ha mai neppure allegato di essersi trovato nell'impossibilità di provvedervi entro il predetto termine o di non essere stato posto a conoscenza delle sue facoltà (eccezioni queste neppure formulate con l'atto di appello). Correttamente, quindi, il giudice di prime cure non ha tenuto in alcuna considerazione l'offerta risarcitoria tardiva.
Viene, peraltro, posto in rilievo che l'applicazione dell'art. 35 citato non risulta essere stata neppure oggetto di espressa richiesta nel processo di primo grado in sede di discussione finale, come emerge dal verbale dell'udienza del 20 giugno 2018, ove è stata riportata unicamente la richiesta difensiva di applicazione dell'art. 131 bis c.p. o dell'art. 34 del Decreto Legislativo n. 274/2000, istanze sulle quali il giudice di primo grado si è diffusamente soffermato nella motivazione della sentenza.
6. Va rilevato, peraltro, che questa Corte di legittimità ha chiarito che anche in tema di oltraggio a pubblico ufficiale, la causa di estinzione del reato di cui all'art. 341-bis, comma 3, c.p., per cui ove l'imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell'ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto, trova applicazione a condizione che il risarcimento del danno sia integrale, avvenga nei confronti della persona offesa e dell'ente di appartenenza della medesima e sia effettuato prima del giudizio, in quanto anche la sua previsione ha carattere deflattivo e la concreta operatività non può essere rimessa a una scelta di opportunità dell'imputato, maturata all'esito dello svolgimento del dibattimento (così Sez. 6, n. 50996 del 12/9/2019, Caresana, Rv. 277443; conf. Sez. 3, n. 18937 del 19/1/2016, S., Rv. 266579 nella cui motivazione, la Corte ha osservato che l'attenuante presuppone una dimostrazione di spontaneo ravvedimento, non condizionata dall'andamento del dibattimento).
Di tale consolidato principio il precedente di merito che cita il ricorrente, per proporre un parallelismo tra l'istituto in esame e quello di cui all'art. 341bis c.p. il precedente di merito del Tribunale di Agrigento del 2018 non opera un buon governo.
Peraltro, anche la richiamata attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62, comma 1, n. 6, prima parte, c.p. esige esclusivamente che la riparazione del danno - mediante le restituzioni o il risarcimento - sia integrale e avvenga prima del giudizio; non richiede, invece, che l'attività del reo sia anche spontanea (come nella seconda ipotesi della stessa disposizione), essendo sufficiente che si tratti di attività volontaria (Sez. 5, n. 57573 del 31/10/2017 P. Rv. 271872; conf. Sez. 2, n. 46758 del 24/11/2021, S., Rv. 282321; Sez. 5, n. 44562 del 28/05/2015, Talji, Rv. 265092).
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della san- zione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2022