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Rinvio pregiudiziale per indennizzo a carico dello Stato per vittime reati violenti (Cass. 2964/19)

31 gennaio 2019, Cassazione civile

L'intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell'ordinamento interno della direttiva vittime del reato fa sorgere per lo Stato membro l'obbligo risarcitorio nei confronti di soggetti non trasfrontalieri (dunque, residenti) per evitare una violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione nell'ambito dello stesso diritto eurounitario?

L'indennizzo stabilito in favore delle vittime dei reati intenzionali violenti è da reputarsi "indennizzo equo ed adeguato delle vittime" in attuazione di quanto prescritto dall'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80?

 

Corte di Cassazione

Sez. 3 Num. 2964 Anno 2019

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO

Relatore: VINCENTI ENZO
Data pubblicazione: 31/01/2019

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 13168-2012 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del 7" Presidente del Consiglio in carica, domiciliata ex lege in ROMA, VIA / DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per legge;

- ricorrente-

contro

**, elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio dell'avvocato VZZ, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati IO e FB, giusta procura speciale a margine del controricorso;

- controricorrente -

nonché contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA DI TORINO;

- intimata -

avverso la sentenza n. 106/2012 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 23/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/10/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALESSANDRO PEPE, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'Avvocato GP;
udito l'Avvocato UO;
emessa ordinanza interlocutoria n. 1196/2018 ai sensi dell'art. 384, terzo comma, c.p.c., con conseguente riconvocazione del Collegio in data 10 ottobre 2018;

emessa, in data 2 novembre 2018, ulteriore ordinanza interlocutoria ai sensi de(l'art. 384, terzo comma, c.p.c., con conseguente riconvocazione del Collegio in data 29 gennaio 2019.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

A) 1. Le questioni pregiudiziali (principale e condizionata).

2) Questa Corte Suprema di Cassazione, giudice di ultima istanza, ritiene di dover sottoporre a codesta Corte di giustizia dell'Unione europea (di seguito: CGUE) domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267, par. 3, TFUE, in ordine alle seguenti questioni di interpretazione del diritto dell'Unione (di seguito anche: diritto eurounitario), la cui soluzione si impone come necessaria ai fini della decisione della controversia pendente dinanzi a sé.

3) Dica la CGUE [nelle circostanze proprie della causa principale: concernente un'azione di risarcimento danni proposta da cittadina italiana, residente stabilmente in Italia, contro lo Stato-Legislatore per la mancata e/o non corretta e/o non integrale attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, "relativa all'indennizzo delle vittime del reato", e, in particolare, dell'obbligo, ivi previsto dall'art. 12, par. 2, a carico degli Stati membri, di introdurre, entro il 10 luglio 2005 (come stabilito dal successivo art. 18, par. 1), un sistema generalizzato di tutela indennitaria, idoneo a garantire un adeguato ed equo ristoro, in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali (compreso il reato di violenza sessuale, di cui l'attrice è stata vittima), nelle ipotesi in cui le medesime siano impossibilitate a conseguire, dai diretti responsabili, il risarcimento integrale dei danni subiti]:

a) se - in relazione alla situazione di intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell'ordinamento interno della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004,
"relativa all'indennizzo delle vittime del reato", non self executing, quanto alla istituzione, da essa imposta, di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti, che fa sorgere, nei confronti di soggetti transfrontalieri cui la stessa direttiva è unicamente rivolta, la responsabilità risarcitoria dello Stato membro, in forza dei principi recati dalla giurisprudenza della CGUE (tra le altre, sentenze "Francovich" e "Brasserie du Pecheur e Factortame III") - il diritto eurounitario imponga di configurare un'analoga responsabilità dello Stato membro nei confronti di soggetti non trasfrontalieri (dunque, residenti), i quali non sarebbero stati i destinatari diretti dei benefici derivanti dall'attuazione della direttiva, ma, per evitare una violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione nell'ambito dello stesso diritto eurounitario, avrebbero dovuto e potuto - ove la direttiva fosse stata tempestivamente e compiutamente recepita - beneficiare in via di estensione dell'effetto utile della direttiva stessa (ossia del sistema di indennizzo anzidetto)";

condizionatamente alla risposta positiva al quesito che precede:

b) se l'indennizzo stabilito in favore delle vittime dei reati intenzionali violenti (e, segnatamente, del reato di violenza sessuale, di cui all'art. 609-bis cod. pen.) dal decreto del Ministro dell'interno 31 agosto 2017 [emanato ai sensi del comma 3 dell'art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2015-2016) e successive modificazioni (recate dall'art. 6 della legge 20 novembre 2017, n. 167 e dall'art. 1, commi 593-596, della legge 30 dicembre 2018, n. 145)] nelrimporto fisso di euro 4.800" possa reputarsi "indennizzo equo ed adeguato delle vittime" in attuazione di quanto prescritto dall'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80.

4. La controversia pendente dinanzi a questa Corte Suprema di Cassazione.

5) Una cittadina italiana, di origini omissis , residente stabile in Italia, fu, in Torino, nella notte tra il o m issis ottobre 2005, aggredita, sequestrata e costretta, con violenze e minacce, a praticare e a subire, ripetutamente, atti sessuali da parte di due cittadini rumeni, i quali, per tali fatti, vennero condannati in sede penale, in via definitiva, alla pena dieci anni e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione, in favore della vittima dei suddetti reati violenti (e, segnatamente, del reato di violenza sessuale, previsto e punito dall'art. 609-bis del codice penale), di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 50.000,00, che, tuttavia, quest'ultima non riuscì ad ottenere in quanto i rei si erano resi latitanti.

6) Nel febbraio 2009, quindi, la anzidetta cittadina italiana, residente stabile in Italia, vittima di reati intenzionali violenti, evocò in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affinché ne venisse dichiarata la responsabilità civile per la mancata e/o non corretta e/o non integrale attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, "relativa all'indennizzo delle vittime del reato", e, in particolare, dell'obbligo, ivi previsto dall'art. 12, par. 2, a carico degli Stati membri, di introdurre, entro il 1° luglio 2005 (come stabilito dal successivo art. 18, par. 1), un sistema generalizzato di tutela indennitaria, idoneo a garantire un adeguato ed equo ristoro, in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali (compreso il reato di violenza sessuale), nelle ipotesi in cui le medesime siano impossibilitate a conseguire, dai diretti responsabili, il risarcimento integrale dei danni subiti.

7) La Presidenza del Consiglio dei ministri si difese chiedendo il rigetto della domanda, adducendo (tra l'altro): che la dir. 2004/80/CE si dovesse riferire unicamente alle situazioni transfrontaliere; che l'art. 12, par. 2, aveva un contenuto indeterminato, tale da demandare al legislatore interno sia la scelta delle singole fattispecie di reato cui riconnettere l'indennizzo ivi previsto, sia la determinazione della misura equa della somma da riconoscere in favore della vittima; che l'Italia già prevedeva un analogo sistema indennitario, in favore delle vittime di reati violenti e intenzionali, seppur limitatamente a determinate fattispecie, quali, in particolare, i crimini di matrice terroristica e di tipo mafioso, nonché in relazione ai reati usura e di estorsione.

8) L'adito Tribunale, con sentenza del 26 maggio 2010, accertò, nel merito, l'inadempimento della Presidenza del Consiglio dei ministri per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE, con condanna della medesima al pagamento, in favore della vittima del reato, della somma di 90.000,00 euro, oltre interessi di legge dalla sentenza al saldo effettivo, nonché alla refusione delle spese legali.

9) Avverso tale sentenza interponeva gravame la Presidenza del Consiglio dei ministri, che la Corte di appello di Torino, con sentenza resa pubblica il 23 gennaio 2012, accoglieva solo in parte, riformando unicamente sulla misura del risarcimento (che riduceva ad euro 50.000, oltre accessori) l'impugnata sentenza e confermandola nel resto, con condanna del('appellante Presidenza del Consiglio dei ministri anche al pagamento delle spese del grado.

10) In particolare, la Corte di appello ribadiva che lo Stato italiano si era reso inadempiente per non aver dato attuazione alla direttiva n. 2004/80/CE, e, in particolare, per non aver ottemperato all'obbligo previsto dal richiamato art. 12, par. 2, da intendersi come volto a far sì che ogni Stato membro si dotasse di un


generalizzato sistema di indennizzo in favore delle vittime di tutti i reati violenti e intenzionali, commessi nei rispettivi territori, ivi compreso quello di violenza sessuale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (di seguito: P.C.M.), affidando le sorti dell'impugnazione a tre motivi, illustrati da memoria; ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, l'originaria attrice.

L'impugnazione della P.C.M. è volta a contestare l'insussistenza delle condizioni giuridiche idonee a configurare, in capo allo Stato membro, la responsabilità per i danni causati in conseguenza della tardiva trasposizione nell'ordinamento interno della direttive 2004/80/CE. In particolare - per quanto più rileva in questa sede -, si sostiene (con il primo motivo di ricorso) che la predetta direttiva - e il suo art. 12 - non sarebbe fonte di diritti direttamente azionabili dai residenti nei confronti dello Stato di appartenenza, essendo essa riferibile unicamente alle "situazioni transfrontaliere", in quanto finalizzata ad assicurare che, laddove sia commesso un reato violento ed intenzionale nel territorio di uno Stato membro diverso rispetto a quello in cui la vittima risiede, quest'ultima abbia accesso alle procedure di indennizzo previste nel luogo di consumazione del delitto.

Inoltre, la parte ricorrente sostiene (con il terzo motivo di ricorso) l'eccessività dell'importo risarcitorio riconosciuto all'attrice, poiché i parametri di liquidazione dell'indennizzo dell'asserito danno conseguente al mancato recepimento della direttiva devono assumere una connotazione diversa rispetto ai criteri di determinazione del risarcimento del danno da illecito aquiliano.

La causa è stata discussa all'udienza pubblica del 12 maggio 2015 e all'esito della camera di consiglio, con ordinanza interlocutoria n. 18003 del 2015, è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa delle pronunce di codesta CGUE in relazione alla procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea, in data 22 dicembre 2014, contro la Repubblica italiana (Causa C-601/14) per omessa adozione di "tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio", di cui all'obbligo ex art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80/CE, nonché al rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma, con ordinanza pronunciata il 24 marzo 2015, sull'interpretazione dell'art. 12, par. 2, della citata d(rettiva.

15) A seguito della definizione degli anzidetti giudizi (il primo con sentenza, Grande Sezione, 11 ottobre 2016, C-601/14; il secondo con ordinanza presidenziale del 28 febbraio 2017, a seguito di rinuncia al rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale rimettente), la causa è stata nuovamente fissata per la discussione e quindi assunta in decisione.

16) All'esito della camera di consiglio è stata emessa - in ragione dello jus superveniens costituito dalla legge 20 novembre 2017, n. 167, entrata in vigore il 12 dicembre 2017 - ordinanza interlocutoria n. 1196 del 2018, con la quale le parti ed il pubblico ministero sono stati invitati, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., ad interloquire sulla portata e sugli effetti della anzidetta legge sopravvenuta. A tal fine, nel termine assegnato, hanno depositato memoria la P.C.M. e la controricorrente. Rilevata la mancata comunicazione al pubblico ministero della precedente ordinanza interlocutoria, con ulteriore ordinanza interlocutoria del 2 novembre 2018,è stato assegnato alle parti tutte nuovo termine ai sensi dell'art. 384 c.p.c.: hanno, quindi, depositato memoria il pubblico ministero e la parte controricorrente.

C)17. Le disposizioni di diritto interno immediatamente rilevanti.

18) Assumono rilievo:

19) La legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2015-2016), entrata in vigore il 23 luglio 2016, per porre rimedio all'inadempimento contestato dalla Commissione europea, ma oltre il termine ultimo da questa stabilito ai sensi dell'art. 258 TFUE.

20) La legge n. 122 del 2016 è stata modificata, dapprima, dall'art. 6 della legge 20 novembre 2017, n. 167 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017) e, poi, da ultimo, dall'art. 1, commi 593-596, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021).

Essa prevede "il diritto all'indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all'articolo 603-bis del codice penale, ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 del codice penale" (art. 11).

L'indennizzo per i delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima è erogato in favore della vittima o, in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, degli aventi diritto indicati al comma 2-bis del citato art. 11, nella misura determinata dal decreto ministeriale di cui al comma 3 dello stesso art. 11, nei limiti dello stanziamento in apposito Fondo (art. 14) e in base al possesso di specifiche condizioni (indicate dall'art. 12). Per i delitti diversi da quelli dianzi menzionati, l'indennizzo è invece corrisposto per la rifusione delle spese mediche e assistenziali.

A seguito della novella recata dalla legge 167 del 2017, l'indennizzo previsto dall'art. 11 della legge n. 122 del 2016 "spetta anche a chi è vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005 e prima della entrata in vigore della medesima legge".

In favore di questi ultimi beneficiari, i termini per la presentazione della domanda di concessione dell'indennizzo, già fissati nel termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 167 del 2017, sono stati riaperti e prorogati dalla legge n. 145 del 2018, che all'art. 1, comma 594, ha fissato il termine ultimo, a pena di decadenza, del 30 settembre 2019.

21) Il decreto del Ministro dell'interno 31 agosto 2017, emanato ai sensi del citato comma 3 dell'art. 11 della legge n. 122 del 2016 e successive modifiche, con il quale sono stati determinati gli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti nella seguente misura: "a) per il reato di omicidio, nell'importo fisso di euro 7.200, nonché, in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, nell'importo fisso di euro 8.200 esclusivamente in favore dei figli della vittima; b) per il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità, nell'importo fisso di euro 4.800; c) per i reati diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), fino a un massimo di euro 3.000 a titolo di rifusione delle spese mediche e assistenziali" (art. 1).

22) Quanto, poi, al profilo della disciplina, di diritto interno, sulla responsabilità dello Stato per il tardivo o inesatto adempimento di direttiva non self executing, viene in evidenza - in base all'attuale inquadramento giuridico di diritto interno, sulla scorta dell'interpretazione più recente di questa Corte di cassazione (su cui, tuttavia, non occorre troppo soffermarsi, non prestando incidenza ai fini della risoluzione della questione pregiudiziale) - la norma di cui all'art. 1218 del codice civile ["Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile"], che regola l'inadempimento delle obbligazioni di fonte non solo contrattuale, ma anche legale (art. 1173 cod. civ.), quale è quella, anzidetta, in capo allo Stato (tra le tante, Cass., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147; Cass., 17 maggio 2011, n. 10813; Cass., 31 agosto 2011, n. 17868).

D) 23. Le disposizioni rilevanti del diritto eurounitario.

24) Anzitutto, la direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, "relativa all'indennizzo delle vittime di reato" e, segnatamente, il suo art. 12, inserito nel Capo II ("Sistemi di indennizzo nazionali"), il quale stabilisce: "1. Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. 2. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime".

25) Inoltre, il successivo art. 18 (par. 1) stabilisce che gli "Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1° gennaio 2006 , fatta eccezione per l'articolo 12, paragrafo 2, per il quale tale data è fissata al 1° luglio 2005".

26) Rilevano altresì, nella prospettiva propria della prima questione oggetto del presente rinvio pregiudiziale (come più avanti si chiarirà), le norme di cui ai seguenti articoli:

i. art. 18 TFUE: "Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni";

li. art. 20 TFUE: "1. È istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce. 2. I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l'altro: a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; (..) Tali diritti sono esercitati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi";

art. 20 ("Uguaglianza davanti alla legge"): "Tutte le persone sono uguali davanti alla legge";
art. 21 ("Non discriminazione"): "1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. 2. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità".
E) 27. La rilevanza della questione pregiudiziale di cui al § 3)

sub a).

28) Come detto, questa Corte è chiamata a decidere sull'impugnazione dello Stato italiano contro la sentenza della Corte di appello di Torino che ha confermato (quasi integralmente) la decisione di primo grado (riformata solo nel quantum debeatur) che, a sua volta, ha riconosciuto in favore di una cittadina italiana residente in Italia, vittima di reato violento intenzionale, il diritto ad essere risarcita del danno per mancata attuazione, nell'ordinamento interno, della direttiva 2004/80/CE.

29) In base ad orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della CGUE (per tutte: sentenza del 19 novembre 1991, in procedimenti riuniti C - 6/90 e C - 9/90, Francovich, Bonifaci e altri c. Italia; sentenza del 5 marzo 1996, in procedimenti riuniti C-46/93 e C-48/93, Brasserie Brasserie du Pecheur e Factortame e A. , § 51; sentenza del 15 novembre 2016, in C-268/15, Ullens de Schooten), il principio della responsabilità extracontrattuale dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell'Unione ad esso imputabili è inerente all'ordinamento giuridico dell'Unione e ai singoli lesi è attribuito un diritto al risarcimento, a titolo di siffatta responsabilità, in quanto siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire:

1) che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli;

2) che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata;

3) che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

30) Ai fini della questione interpretativa oggetto del rinvio pregiudiziale sub § 3.a), interessa, segnatamente, la prima delle anzidette condizioni. Appare, infatti, evidente che non possano residuare dubbi quanto alla sussistenza delle restanti condizioni, essendo intervenuto accertamento giudiziale, da parte di codesta CGUE (sentenza dell'Il ottobre 2016), sull'inadempimento dello Stato italiano in ordine l'attuazione dell'obbligo imposto dall'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80 e che il danno lamentato dall'attrice, attualmente in ragione della comunque intempestiva e/o incompleta attuazione di detto obbligo, è eziologicamente correlato all'inadempimento stesso .

31)  La ricorrente P.C.M. ha contestato che la norma eurounitaria rispetto alla quale verificare la violazione rilevante ai fini del giudizio di responsabilità per illecito eurounitario dello Stato- Legislatore (siccome norma preordinata a conferire diritti ai singoli) possa individuarsi - come ritenuto dalla Corte di appello (e già dal Tribunale di Torino) - nell'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80/CE.

32)  Ritiene questa Corte che la prospettazione della parte ricorrente sia corretta e aderente alla chiara interpretazione fornita da codesta CGUE della citata norma, nel contesto della complessiva disciplina dettata dalla stessa direttiva "relativa all'indennizzo delle vittime del reato", tanto da non necessitare sul punto alcuna rimessione interpretativa ai sensi dell'art. 267 TFUE (in base alla dottrina del c.d. acte claire: sentenza 6 ottobre 1982, in C- 283/1981, Cilfit).

33)  Con la sentenza dell'Il ottobre 2016, Commissione europea c. Repubblica italiana, in C 601/14, codesta CGUE (Grande Sezione) ha riconosciuto - come già evidenziato - che la "Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all'obbligo ad essa incombente in forza dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato" (dispositivo).

34) Ciò sul presupposto - chiarito all'esito dell'interpretazione fornita dalla stessa Corte circa la complessiva portata della direttiva 2004/80 (cfr. §§ da 37 a 44), che muove dalla premessa (esplicitata al § 36) secondo cui, in ordine agli "obblighi imposti agli Stati membri in forza dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, si deve tener conto non soltanto del tenore letterale di tale disposizione, ma anche degli obiettivi perseguiti da tale direttiva, nonché del sistema istituito da detta direttiva nel quale questa disposizione si inserisce" - che l'anzidetto art. 12, par. 2, debba essere interpretato "nel senso che esso mira a garantire al cittadino dell'Unione il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite nel territorio di uno Stato membro nel quale si trova, nell'ambito dell'esercizio del proprio diritto alla libera circolazione, imponendo a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio" (§ 45).

35) Tale chiaro approdo interpretativo è, poi, ribadito nei successivi §§ 48, 49 e 50. A Fronte dell'obiezione della Repubblica Italiana (§ 48) sulla portata circoscritta degli obblighi nascenti dalla direttiva 2004/80, volti a garantire il solo rispetto - alla stregua di quanto declinato dalla sentenza del 2 febbraio 1989, Cowan, in C-186/87 - "del principio di non discriminazione in base alla cittadinanza per quanto riguarda l'accesso all'indennizzo delle vittime di reati nelle situazioni transfrontaliere" (ciò che sarebbe stato ribadito con l'ordinanza del 30 gennaio 2014, Paola C., in C-122/13), la sentenza dell'Il ottobre 2016 ha posto in rilievo (§ 49) che - sebbene avesse "già dichiarato che la direttiva 2004/80 prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro dove la vittima si trova, nell'ambito dell'esercizio del suo diritto alla libera circolazione, cosicché una situazione puramente interna non rientra nell'ambito di applicazione di tale direttiva" - con ciò si sarebbe "limitata a precisare che il sistema di cooperazione istituito dalla direttiva 2004/80 riguarda unicamente l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, senza tuttavia escludere che l'articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva imponga ad ogni Stato membro di adottare, al fine di garantire l'obiettivo da essa perseguito in siffatte situazioni" - ossia, per l'appunto (giova precisare), le situazioni transfrontaliere - "un sistema nazionale che garantisca l'indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio". Interpretazione, questa, dell'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80 "del resto conforme all'obiettivo di tale direttiva, consistente nell'abolizione degli ostacoli tra Stati membri alla libera circolazione delle persone e dei servizi al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno" (§ 50).

36) La prospettiva ermeneutica chiaramente seguita con la sentenza dell'Il ottobre 2016 fa, quindi, emergere con ancor più nettezza l'armonica continuità con i precedenti arresti nei quali la stessa giurisprudenza eurounitaria ha sempre inteso la direttiva 2004/80/CE come rivolta a disciplinare unicamente le "situazioni transfrontaliere", con ciò volendo assicurare, in caso di reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima abitualmente, un indennizzo in favore di quest'ultima a carico dello Stato in cui il reato si è consumato.

37) In tal senso, si esprimono chiaramente i §§ 57 e 59 della sentenza del 28 giugno 2007, Dell'Orto, in C-467/05. Nel § 57, si afferma che (diversamente dalla decisione quadro 2001/220/GAI che, proponendosi il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativamente alla salvaguardia degli interessi della vittima nell'ambito del procedimento penale, "è diretta a garantire il risarcimento, da parte dell'autore del reato, del pregiudizio subito dalla vittima") la direttiva 2004/80 "istituisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, quest'ultima sia indennizzata da tale primo Stato". Ciò che viene ulteriormente ribadito dal successivo § 59: "(...) la direttiva prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente (...)".

38) Analoga portata viene ascritta alla direttiva 2004/80 dalla sentenza del 12 luglio 2012, Giovanardi, in C-79/2011. Il quesito posto dal giudice del rinvio pregiudiziale verteva sulla compatibilità con la direttiva 2004/80 e con l'articolo 9 della decisione quadro 2001/220/GAI delle "disposizioni del decreto legislativo n. 231/2001 relative alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, laddove non prevedono la possibilità che esse siano chiamate a rispondere, nell'ambito del processo penale, dei danni da esse cagionati alle vittime di un reato" (§ 35). La sentenza ha ritenuto che, ai fini della risposta al quesito, la direttiva 2004/80 fosse irrilevante, giacché, "come risulta segnatamente dal suo articolo 1, essa è diretta a rendere più agevole per le vittime della criminalità intenzionale violenta l'accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere, mentre è pacifico che, nel procedimento principale, le imputazioni riguardano reati commessi colposamente, e, per di più, in un contesto puramente nazionale" (§ 37).

39) Sempre nella stessa ottica - e con evidenza specifica - si colloca, poi, la già menzionata ordinanza del 30 gennaio 2014, Paola C., in C-122/2013, che, in relazione ad una fattispecie analoga a quella oggetto della presente causa principale, nel rammentare che "la Direttiva 2004/80 prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente", ha ritenuto che "la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 2004/80, bensì solo del diritto nazionale", risultando quindi essere "una situazione meramente interna".

40) Dunque, l'assolvimento, da parte dello Stato italiano, dell'obbligo, pur sussistente in capo ad esso, di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di "qualsiasi" reato intenzionale violento (anche, quindi, per quello di violenza sessuale - che interessa in questa sede - e non già soltanto per le fattispecie criminose oggetto di "leggi speciali") commesso sul proprio territorio (art. 12, par. 2), è da ritenersi, in base alla sola direttiva 2004/80, corne prodromico e funzionale a disciplinare le "situazioni transfrontaliere" e non già le "situazioni meramente interne". Ne consegue che la norma dell'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80/CE, in quanto "violata" dallo Stato italiano (inadempiente in base al giudicato di cui alla sentenza dell'Il ottobre 2016), è tale da configurarsi come condizione immediata e diretta per l'accesso al risarcimento del danno da illecito comunitario dello Stato-Legislatore (in quanto preordinata a conferire diritti ai singoli: cfr. § 21 che precede) solo in riferimento a "situazioni transfrontaliere" e, dunque, non in favore, immediato e diretto, di vittime di reati intenzionali violenti "residenti" (stabilmente) nello Stato italiano.

41) Pertanto, nella specifica prospettiva nella quale si colloca il quesito interpretativo sub 3.a) (e delle cui ragioni si dirà in seguito), la questione pregiudiziale si palesa rilevante, giacché una risposta negativa si rifletterebbe sulla configurabilità stessa del diritto risarcitorio vantato dalla parte attrice, dovendosi a monte escludere che sia il citato art. 12, par. 2, a costituire, nel caso di specie, la norma, violata, immediatamente e direttamente preordinata a conferire diritti ai singoli, ove soggetti residenti stabilmente nello Stato membro nel quale il reato intenzionale violento è stato commesso in loro danno.

42) La rilevanza della questione pregiudiziale è da ritenersi persistente anche alla luce della recente introduzione della legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2015-2016), entrata in vigore il 23 luglio 2016, che (proprio a seguito della procedura di infrazione, poi definita con la citata sentenza CGUE del 2016) ha previsto "i/ diritto all'indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all'articolo 603-bis del codice penale, ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 del codice penale" (art. 11). Indennizzo i cui importi sono stati determinati con decreto ministeriale 31 agosto 2017 (art. 11, comma 3), nei limiti dello stanziamento in apposito Fondo (art. 14), e al quale potrà accedersi in base al possesso di specifiche condizioni (indicate dall'art. 12).

43) Come detto, la disciplina recata dalla legge n. 122 del 2016 è stata resa retroattiva dalla legge n. 167 del 2017 ed applicabile ai reati intenzionali violenti commessi "successivamente al 30 giugno 2005 e prima della entrata in vigore della medesima legge", con riapertura dei termini per la presentazione della domanda di concessione dell'indennizzo ad opera della legge n. 145 del 2018.

44) Tuttavia, sebbene la controricorrente nel giudizio principale possa vantare una posizione riconducibile nel novero di quelle beneficiarie degli effetti di detta legge, la questione pregiudiziale si presenta rilevante poiché la pretesa azionata in giudizio dalla medesima è quella del diritto al risarcimento del danno per l'inadempimento statuale all'obbligo di trasposizione tempestiva del diritto dell'Unione (art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80) e non già la pretesa di conseguire, in base al diritto nazionale, l'indennizzo attualmente stabilito a seguito della legge n. 122 del 2016.

45) Del resto, è valutazione di pertinenza del giudice nazionale quella concernente, non solo la effettiva retroattività delle misure (tardive) di attuazione di una direttiva, ma anche la loro regolarità e completezza, nonché la eventuale presenza di danni ulteriori comunque patiti dall'interessato per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva (§§ 53 e 54 della sentenza del 10 luglio 1997, in procedimenti riuniti C-94/95 e C-95/95, Bonifaci e a.).

46) Sempre di pertinenza del giudice nazionale è l'interpretazione della portata della domanda giudiziale fatta valere nel giudizio principale dalla originaria attrice, che questa Corte, ai fini del presente rinvio pregiudiziale, ritiene conforme alle regole processuali di diritto interno nella sua configurazione di azione risarcitoria contro lo Stato-Legislatore per violazione dei principi di eguaglianza e/o di non discriminazione del diritto eurounitario in conseguenza della tardiva e/o non corretta e/o non integrale attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, "relativa all'indennizzo delle vittime del reato", e, in particolare, dell'obbligo, ivi previsto a carico degli Stati membri, dall'art. 12, par. 2, il cui inadempimento da parte dello Stato italiano è stato accertato con la citata sentenza di codesta Corte del 16 ottobre 2016.

F) 47. Le ragioni del rinvio pregiudiziale quanto al quesito di cui al § 3) sub a).

48) Ciò posto, la giurisprudenza di codesta CGUE appare consolidata nel senso che "i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l'osservanza e, d'altro lato, che gli obblighi inerenti alla tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento giuridico comunitario vincolano parimenti gli Stati membri quando essi danno esecuzione alle discipline comunitarie. Ne consegue che gli Stati membri sono tenuti, per quanto possibile, ad applicare tali discipline nel rispetto degli obblighi ricordati" (sentenza del 12 dicembre 2002, in C-442/00, Caballero e giurisprudenza ivi richiamata al punto 30).

49) "Nel novero dei diritti fondamentali figura in particolare il principio generale di uguaglianza e di non discriminazione. Detto principio impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che una differenza di trattamento non sia obiettivamente giustificata" (sempre la citata sentenza del 12 dicembre 2002; così anche sentenza del 7 settembre 2006, in C-81/05, Cordero Alonso, punto 45; ordinanza del 16 gennaio 2008, Molinari e a., nei procedimenti riuniti da C-128/07 e C-131/07, punto 24).
50)
principio di eguaglianza ha trovato espressa enunciazione nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta), all'art. 20
51)11 principio di non discriminazione in base alla nazionalità si rinviene già nell'art. 18 TUE (ex art. 12 TCE) e, poi, nell'art. 21, par. 2, della Carta.
La Carta ha "lo stesso valore giuridico dei Trattati" (art. 6, par.1,
52)

53)
TUE) e le relative disposizioni - così come quella dell'art. 18 TUE - si applicano agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione e non estendono le competenze dell'Unione definite nei Trattati (combinato disposto degli artt. 6, par. 1, TUE e 51, parr. 1 e 2, della Carta: sentenza del 22 dicembre 2010, DEB, in C-279/09, punto 30; sentenza del 15 novembre 2011, Murat Dereci, in C-256/11, punto 71).

Sicché, l'obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell'ambito dell'Unione si impone agli Stati membri soltanto quando agiscono nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione, là dove la nozione di «attuazione del diritto dell'Unione», di cui all'articolo 51 della Carta, richiede l'esistenza di un collegamento di una certa consistenza, che vada al di là dell'affinità tra le materie prese in considerazione o dell'influenza indirettamente esercitata da una materia sull'altra (sentenza del 29 maggio 1997, Kremzow, in C-299/95, punto 16; sentenza del 6 marzo 2014, Siragusa, in C-206/13, punto 24).

A tal Fine - come ancora precisato dalla citata sentenza del 6 marzo 2014, in C-206/13 (punto 25 e ivi ulteriori richiami di giurisprudenza) - occorre verificare, tra l'altro, se la normativanazionale abbia lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell'Unione, quale sia il suo carattere e se essa persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto del l'Unione, anche se è in grado di incidere indirettamente su quest'ultimo, nonché se esista una normativa di diritto dell'Unione che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa.

55)  La sussistenza dell'anzidetto nesso o collegamento con l'ordinamento eurounitario è stata ritenuta necessaria anche nel contesto di un ricorso per responsabilità extracontrattuale avviato nei confronti di uno Stato membro a causa di una presunta violazione del diritto dell'Unione, sul presupposto che al cittadino di tale Stato membro potessero derivare diritti dalle libertà fondamentali previste agli articoli 49, 56 o 63 TFUE (sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten, in C-268/15).

56)  In quel caso codesta CGUE ha precisato, non solo, che l'interpretazione di dette libertà "può risultare rilevante in una causa cui tutti gli elementi si collocano all'interno di un solo Stato membro nell'ipotesi in cui il diritto nazionale imponga al giudice del rinvio di riconoscere ad un cittadino dello Stato membro cui detto giudice appartiene gli stessi diritti di cui il cittadino di un altro Stato membro, nella stessa situazione, beneficerebbe in forza del diritto dell'Unione" (punto 52). Ma ha anche evidenziato - per ciò che più interessa ai fini del presente rinvio pregiudiziale - che "Analogo ragionamento si applica nei casi in cui, benché i fatti della causa principale non rientrino nella sfera di applicazione diretta del diritto dell'Unione, le disposizioni di tale diritto sono state rese applicabili dalla normativa nazionale, la quale si è uniformata, per le soluzioni date a situazioni i cui elementi sono tutti collocati all'interno di un solo Stato membro, a quelle adottate dal diritto dell'Unione" (punto 53; principio poi ribadito, in termini generali, dalle sentenze: del 20 settembre 2018, Fremoluc NV, in C-343/17, punti 20-24; del 7 novembre 2018, K, in C-380/17, punto 34; del 7 novembre 2018, C, in C-257/17, punto 31).
57)  Nel caso in esame, come accertato da codesta CGUE (sentenza dell'Il ottobre 2016, in C-601/14), lo Stato italiano era obbligato ad uniformarsi al diritto dell'Unione, il quale imponeva ad esso, entro un certo termine, di dare attuazione all'obbligo di introdurre un sistema generalizzato di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nel proprio territorio.
58)  Dunque, viene in rilievo non già solo una mera scelta, autonoma, dello Stato-Legislatore di dettare una disciplina nazionale conforme a quella dell'Unione sebbene quest'ultima non sia in tal senso cogente, ma un obbligo giuridico, poi tardivamente adempiuto, di rendere l'ordinamento interno conforme alla prescrizione imposta dal diritto dell'Unione.
59)  Detto obbligo, sebbene immediatamente e direttamente funzionale a disciplinare le situazioni transfrontaliere, per favorire la libertà di circolazione dei residenti in altri Stati membri, si imponeva comunque in termini tali da rendere il sistema indennitario generalizzato necessariamente applicabile anche nei confronti dei residenti stabili nello Stato italiano (ossia nelle "situazioni puramente interne") .

60) Tale estensione di effetti, di carattere indiretto ai sensi del solo art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80, si reputa che potesse essere imposta allo Stato italiano, in via immediata e diretta, in forza del principio generale di eguaglianza (di per sé) e/o del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, quali diritti fondamentali dell'Unione (artt. 18 TUE, 20 e 21 della Carta), giacché, proprio in forza di detti principi/diritti (e a prescindere, dunque, dagli effetti di estensione che, analogamente, il diritto nazionale avrebbe potuto determinare in base ai meccanismi giuridici da esso previsti), il medesimo Stato non avrebbe potuto dare attuazione alla direttiva, in modo tempestivo, in termini tali da rendere applicabile il sistema di indennizzo alle sole situazioni transfrontaliere, così da trattare in modo ingiustificatamente discriminatorio il cittadino residente stabile nel proprio territorio.

61) Del resto, nello stesso Considerando (2) della direttiva 2004/80 si evidenzia che il "corollario della libertà di circolazione" è la tutela della integrità personale di chi si reca in altro Stato membro "alla stessa stregua dei cittadini e dei soggetti che vi risiedano", là dove poi nel successivo Considerando (14) si afferma che "La

presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riaffermati in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea come principi generali del diritto comunitario".

62) Peraltro, nella sentenza del 2 febbraio 1989, Cowan, in C-186/87, richiamata dalla direttiva 2004/80 [Considerando (2)] e valorizzata dalla stessa sentenza dell'11 ottobre 2016, in C- 601/14, codesta CGUE - quanto al diritto di un cittadino di uno Stato membro di ottenere, in caso di aggressione violenta subita in altro Stato membro, la riparazione pecuniaria contemplata dall'ordinamento processuale penale di quest'ultimo Stato in favore dei propri cittadini - ha affermato che, sebbene le norme del predetto ordinamento "sono in linea di principio riservate alla competenza degli Stati membri, tuttavia dalla giurisprudenza costante della Corte ... risulta che il diritto comunitario pone dei limiti a tale competenza", precisando che dette norme "non possono infatti porre in essere discriminazioni nei confronti di soggetti cui il diritto comunitario attribuisce il diritto alla parità di trattamento né limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario". Con ciò sembrando attribuire autonomo e specifico valore, al contempo, di limite competenziale e di garanzia soggettiva al diritto di parità di trattamento (nella specie correlato al principio di non discriminazione in base alla cittadinanza), rispetto al pur congiunto valore ascritto alle libertà fondamentali

63)

64)

65)
del Trattato (e, tra queste, alla libertà di circolazione, rilevante nella fattispecie ivi esaminata).
Ed è proprio nell'ottica da ultimo evidenziata che il principio generale di eguaglianza, espressione delle tradizioni costituzionali degli Stati membri, si pone, in quanto radicante un diritto fondamentale, come struttura portante - dunque, fondativa - dello stesso ordinamento dell'Unione (e non solo, quindi, come diritto che deve ricevere indefettibile tutela in quanto inviolabile), potendo così operare a livello assiologico in modo penetrante e trasversale rispetto a tutte le competenze ascritte all'Unione in forza dei Trattati.

Dunque, nella fattispecie qui considerata e in forza delle circostanze innanzi evidenziate, il riequilibrio delle posizioni tra tutti i soggetti del sistema giuridico dell'Unione, tale da evitare discriminazioni tra coloro che si trovino in "situazioni puramente interne" e non, sembra possibile ancorarlo ai principi di eguaglianza (di per sé) e/o di non discriminazione in base alla nazionalità, quali diritti fondamentali dell'Unione, che fondano quel necessario e consistente collegamento delle anzidette "situazioni puramente interne" con il diritto dell'Unione.

Pertanto, proprio in virtù di siffatto collegamento e in ragione del combinarsi tra il vulnus ai principi fondamentali dell'Unione di cui agli artt. 18 TUE, 20 e 21, par. 2, della Carta e l'accertato inadempimento dello Stato italiano nel dare tempestiva attuazione (entro il 1° luglio 2005, alla stregua dell'art. 18, par. 1, della direttiva 2004/80) all'obbligo (imposto dall'art. 12, par. 2, della medesima citata direttiva) di prevedere un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi nel proprio territorio, questa Corte Suprema, giudice di ultima istanza, ritiene di dover porre il quesito enunciato sub § 3, a).
_
G)66. La rilevanza della questione pregiudiziale di cui al § 3)

sub b).

67) Ove codesta CGUE risponda affermativamente al predetto quesito, la possibilità di configurare una responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto eurounitario rende rilevante anche il quesito interpretativo di cui al § 3, b).

68) La giurisprudenza eurounitaria è nel senso che il danno può anche essere risarcito in forma specifica, con un adeguamento completo alle disposizioni comunitarie da parte del legislatore nazionale ad effetto retroattivo, se ciò è sufficiente a rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della violazione del diritto comunitario, fatta salva comunque la prova di un eventuale maggior danno subito per non aver potuto fruire, a suo tempo, dei vantaggi garantiti dalla norma (sentenza 10 luglio 1997, C- 373/95, Maso e a., punti 39-42).

69) Ferma l'eventuale sussistenza di un maggior danno (profilo spettante alla cognizione del giudice nazionale), il criterio parametrico basilare per la valutazione e la liquidazione del danno
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Rg. n. 13168/2012
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
70)

71)
patito dal soggetto danneggiato dall'inadempimento dello Stato nella tardiva attuazione della direttiva 2004/80 è l'ammontare dell'indennizzo di cui esso, in quanto vittima del reato intenzionale violento, avrebbe avuto diritto ab origine come bene della vita garantito dall'obbligo di conformazione del diritto nazionale a quello dell'Unione.

Il Considerando (6) della direttiva 2004/80 afferma - per quanto qui interessa - che le vittime di reato nell'Unione europea dovrebbero avere il diritto di ottenere "un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite"; in tal senso, poi, dispone lo stesso art. 12, par. 2, della medesima direttiva, prevedendo che il sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti debba garantire "un indennizzo equo ed adeguato delle vittime". Nelle conclusioni dell'Avvocato generale presentate il 12 aprile 2016 nella causa C-601/14 (Commissione europea c. Repubblica italiana), che è stata definita con la citata sentenza dell'Il ottobre 2016, si afferma che "La fissazione dell'importo dell'indennizzo alla luce del pregiudizio subito - invalidità permanente, inabilità totale al lavoro pari o superiore a un mese, inabilità temporanea al lavoro per meno di un mese - o, ancora, la fissazione di eventuali massimali restano quindi di competenza esclusiva degli Stati membrí" (punto 86). Si precisa, poi, che "L'indennizzo dovrà tuttavia essere equo e adeguato, come richiesto dall'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, e i giudici nazionali potranno, in caso di dubbio, rivolgersi alla Corte a tal riguardo" (punto 87).
72) Dunque, l'interpretazione rimessa a codesta CGUE sulla "equità" ed "adeguatezza" dell'indennizzo previsto dall'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80, è rilevante ai fini di delibare la correttezza giuridica dei criteri utilizzati dal giudice di merito nel liquidare il danno lamentato dall'attrice, tenuto conto del valore parametrico che, a tal fine, assume l'importo dell'indennizzo.

H)73. Le ragioni del rinvio pregiudiziale quanto al quesito di cui al § 3) sub b).

74) Come già evidenziato, gli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti sono stati determinati dal decreto del Ministro dell'interno 31 agosto 2017, emanato ai sensi del comma 3 dell'art. 11 della legge n. 122 del 2016 e successive modifiche. Per quanto interessa il caso oggetto della cognizione di questa Corte, l'art. 1, lett. b), del citato decreto ministeriale, "per il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità", stabilisce un "importo fisso di euro 4.800".

75) L'ampia discrezionalità di cui godono gli Stati membri nello stabilire tipo e misura dell'indennizzo ai sensi della direttiva 2004/80 (che, come evidenziato dalle stesse parti del presente giudizio principale, si ispira ad una c.d. soft harmonization) sembra orientare la verifica sulla sussistenza del necessario carattere "equo ed adeguato", che esso deve presentare,
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
muovendo non dal piano comparatistico concernente la disciplina dettata dai vari Stati membri (che non si presterebbe ad una sintesi coerente con l'anzidetta premessa), bensì dal versante dell'ordinamento interno.

76)  In linea più generale e, comunque, in assenza di indicazioni puntuali immediate provenienti dalla stessa direttiva 2004/80 [che, a tal riguardo, non si allinea alla "Proposta di direttiva del Consiglio relativa al risarcimento alle vittime del reato" (COM/2002/0562 def.), il cui art. 4, comma 2, si riferiva espressamente all'importo del risarcimento" e ad una determinazione di esso "tale da non differire significativamente, nel suo complesso, dall'importo che è stato o che avrebbe potuto essere concesso ... in esito ad una causa civile per danni secondo il diritto civile dello Stato membro responsabile per l'erogazione del risarcimento"], questa Corte reputa che si possa adottare un orientamento di massima sui criteri, giuridicamente rilevanti nel settore specifico, di "equità" e "adeguatezza" dell'indennizzo.
77)  Il "criterio dell'equità" sembra rivolto ad assicurare che l'indennizzo (e, dunque, la misura del suo importo) consideri anzitutto la gravità intrinseca del reato di violenza sessuale, come tale ponendo le vittime, in ragione della loro uguale dignità, in una situazione dì tendenziale parità di trattamento.
- Un siffatto connotato di gravità del reato è stato, del resto, riconosciuto dal legislatore nazionale nel contesto stesso della disciplina di cui alla legge n. 122 del 2016 e successive modificazioni, allorquando ha inteso privilegiare, nell'accesso al Fondo destinato ad indennizzare (anche) le vittime di reati intenzionali violenti, proprio le "vittime dei reati di violenza sessuale", unitamente alle vittime di "omicidio" (art. 11, comma 3, citato).

78)11 "criterio dell'adeguatezza" sembra, invece, richiedere la previsione di parametri di personalizzazione dell'indennizzo, tali da poter orientare la sua misura definitiva (anche là dove si venga a stabilire un massimale indennitario) in ragione di quelle circostanze, soggettive e oggettive, dell'accadimento criminoso violento, la cui rilevanza può essere tradotta in paradigmi guida della liquidazione.

79) Ciò premesso, giova rilevare che il legislatore italiano ha stabilito che gli importi dell'indennizzo alle vittime di reati intenzionali violenti gravino sul Fondo destinato ad indennizzare le vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura (artt. 11, comma 3, e 14 della legge n. 122 del 2016 e successive modificazioni).

80) La comunanza del Fondo rende significativo, anzitutto, l'esame delle fattispecie di indennizzi concessi alle vittime di reati violenti contro la persona in forza dei seguenti provvedimenti normativi:

i.
la legge 20 ottobre 1990, n. 302 (Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata) e successive modificazioni (tra queste, segnatamente, quelle recate dal d.l. 28 novembre 2003, n. 337, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 369) ha previsto, in favore di coloro che abbiano subito un'invalidità permanente per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di atti terroristici o di fatti delittuosi ascrivibili alla criminalità organizzata, la corresponsione di una elargizione (o indennizzo) "fino ad euro 200.000, in proporzione alla percentuale di invalidità riscontrata, con riferimento alla capacità lavorativa, in ragione di euro 2.000 per ogni punto percentuale" (art. 1, comma 1);

la legge 3 agosto 2004, n. 206 (Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice) e successive modificazioni, ha esteso l'anzidetto indennizzo alle vittime del disastro aereo di Ustica del 1980, nonché ai familiari delle vittime e ai superstiti della cosiddetta "banda della Uno bianca" (art. 1, comma 1 bis, inserito dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, poi abrogato dal d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e, quindi, nuovamente inserito dal d.lgs. 24 febbraio 2012, n. 20), disponendo, altresì, la rivalutazione delle percentuali di invalidità "già riconosciute e indennizzate in base ai criteri e alle disposizioni della normativa vigente", tenendo conto, a questo fine, "dell'eventuale intercorso aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale" (art. 6);

a tal riguardo è stato emanato il d.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181 (Regolamento recante i criteri medico-legali per l'accertamento e la determinazione dell'invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell'articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206), che, all'art. 4, stabilisce i criteri medico-legali per la rivalutazione dell'invalidità permanente e per la determinazione del danno biologico e del danno morale (quest'ultimo definito - all'art. 1, lett. b - come "pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto lesivo in sé considerato"), prefigurando una percentuale unica di invalidità indicante l'invalidità complessiva data dalla somma delle percentuali del danno biologico (determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri applicativi di cui agli articoli 138, comma 1, e 139, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni) e del danno (determinata, "caso per caso, tenendo conto della
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entità della sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi ed in rapporto all'evento dannoso, fino ad un massimo dei 2/3 del valore percentuale del danno biologico").

81) Peraltro, oltre alla disciplina normativa anzidetta (caratterizzata dalla riscontrata comunanza del Fondo di finanziamento degli indennizzi), assume rilievo anche il decreto legge 12 novembre 2010, n. 187 (Misure urgenti in materia di sicurezza), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2010, n. 217, che ha previsto all'art. 2-bis l'istituzione di un "Fondo" destinato, per il 30% delle disponibilità finanziarie, all'elargizione di una somma di denaro, a titolo di contributo al ristoro del danno subìto, a favore delle vittime di reati commessi con l'uso della violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive nel caso di lesioni che abbiano comportato la morte o un'invalidità permanente superiore al 10 per cento (comma 2, lett. a).

- Il decreto del Ministro dell'interno del 16 novembre 2013, n. 162, recante le disposizioni di attuazione dì detto "Fondo", ha stabilito (art. 8) che le elargizioni siano "in misura dell'intero ammontare del danno subìto e riconosciuto in sede giudiziaria e comunque non superiore a euro 3 milioni" (comma 2), là dove, nel caso in cui le risorse disponibili non fossero sufficienti, è possibile intervenire, in aumento o in diminuzione, sulla riduzione del 20% delle istanze, "in relazione all'ammontare massimo di cui al comma 2, nonché anche sulla base della gravità dell'evento, delle lesioni riportate, compreso il decesso, nonché del numero delle vittime del medesimo evento e del contesto in cui è avvenuto il fatto, fermo restando il limite massimo di euro 3 milioni" (comma 3).

82) Ulteriore parametro utile, al fine di riempire di contenuto i concetti giuridici di "equità" e "adeguatezza" dell'indennizzo che interessa in questa sede, può essere costituito (sebbene con le precisazioni che seguiranno ai §§ 86 e 87) dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema sui criteri che devono orientare i giudici del merito nel liquidare il risarcimento, in sede civile, del danno conseguente al reato di violenza sessuale (art. 609-bis codice penale).

83) Tali criteri sono stati individuati nella intensità della violazione della libertà morale e fisica nella sfera sessuale, nel turbamento psichico cagionato e nelle conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi, negli effetti proiettati nel tempo e nell'incidenza del fatto criminoso sulla personalità della vittima (massimamente ove la vittima sia un minore di età: Cass. civ., 21 giugno 2011, n. 13611). Di qui, la violazione della regola della liquidazione equitativa nel risarcimento del danno (art. 1226 cod. civ.) nel caso in cui il giudice del merito non si riferisca alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive della persona, all'entità
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della sofferenza e del turbamento d'animo (Cass. civ., 13 settembre 2018, n. 22272, che ha cassato la sentenza della Corte di appello che aveva ridotto, senza motivare sulle predette circostanze, ad euro 50.000 il danno non patrimoniale subito da un minore vittima di violenza sessuale e liquidato dal primo giudice in euro 160.000).

84) In via meramente orientativa, nella casistica (che si aggiunge a quella appena evidenziata) venuta ultimamente all'esame di questa Corte Suprema, le liquidazioni dei giudici di merito del danno conseguente al reato di violenza sessuale oscillano da un importo di euro 10.000 (in favore di minore di età, ma circoscritto al solo danno morale: Cass. civ., 21 giugno 2011, n. 13611) ad un importo di euro 200.000 (in favore di minore di età: Cass. civ., 14 marzo 2016, n. 4899. Per un caso di tentata violenza sessuale in danno di maggiorenne è stato liquidato l'importo di euro 15.000: Cass. civ., 23 marzo 2018, n. 7256).

85) Quanto, poi, alle liquidazioni effettuate dai giudici di merito che hanno accolto, nei confronti dello Stato italiano, la domanda risarcitoria per il danno da mancata attuazione della direttiva 2004/80 in casi di vittime del reato di violenza sessuale (diverse, ovviamente, dalla liquidazione disposta nel presente giudizio principale dalla Corte di appello di Torino in euro 50.000, tenuto conto della gravità del reato, dell'età della vittima e delle conseguenze di ordine morale e psicologico da essa patite), la parte controricorrente rammenta, nei propri scritti difensivi (memoria depositata il 19 marzo 2018), le condanne al pagamento dell'importo di euro 70.000 e di euro 150.000 confermate dalla Corte di appello di Milano con la sentenza del 18 aprile 2017, n. 1653.

86) E' consapevole questa Corte Suprema che, diversamente dal piano sul quale viene ad operare la discrezionalità, ampia, del legislatore nella conformazione complessiva del sistema indennitario di cui alla direttiva 2004/80, il piano del risarcimento del danno alla persona risponde al principio della integralità del ristoro della conseguenze pregiudizievoli patite dalla vittima del fatto illecito (Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972), che non può reputarsi cogente ai fini anzidetti.

87) Tuttavia, posto che la discrezionalità legislativa, pur ampia, deve comunque essere necessariamente orientata dai criteri di "equità" ed "adeguatezza", imposti dall'art. 12, par. 2, della citata direttiva, sembra che si possa ravvisare una consonanza di base (quanto alla misura e commisurazione dell'indennizzo, non trascurando le circostanze oggettive e soggettive di immediata significatività) tra tali criteri e quelli, sopra evidenziati, che guidano la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale conseguente al reato di violenza sessuale, sebbene non si possa (né si debba) poi addivenire ad una coincidenza necessaria di esiti, tra il risarcimento e l'indennizzo.
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88) In ogni caso, la rilevata "consonanza" è possibile riscontrarla, in modo particolarmente significativo, proprio nell'esercizio della discrezionalità del legislatore italiano nel conformare gli indennizzi elargibili ai sensi delle leggi innanzi ricordate, avendo esso legislatore assunto, come guida della liquidazione, parametri "equi" (nella fissazione di importi in ragione della gravità dei reati violenti indennizzati) ed "adeguati" (nel dare rilievo ad una liquidazione ancorata anche alle circostanze concrete dell'accadimento criminoso).

89) Di qui, il dubbio - oggetto del quesito enunciato al § 3M) - che l'importo di euro 4.800 dell'indennizzo stabilito dal d.m. 31 agosto 2017 (emanato in base all'abilitazione di cui al comma 3 dell'art. 11 della legge n. 122 del 2016 e successive modifiche), in quanto erogazione di importo fisso (e, dunque, palesemente "non adeguata") e che si colloca (in base all'espressione icastica che si rinviene nelle note depositate il 31 dicembre 2018 dal pubblico ministero nel presente giudizio principale) "nell'area dell'irrisorio" (e, dunque, erogazione palesemente "non equa"), violi la prescrizione di cui all'art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80.

I) 90. Sospensione del procedimento.

91) Il presente procedimento, in attesa della pronuncia della CGUE, deve essere sospeso ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ.

PER QUESTI MOTIVI

visto l'art. 267, par. 3, TFUE,

chiede alla Corte di giustizia dell'Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulle questioni di interpretazione del diritto dell'Unione europea indicate al § 3, sub a) e sub b), che precede.

Dispone la sospensione del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte di giustizia.

Si trasmetta alla Cancelleria della Corte di giustizia la presente ordinanza, nonché gli atti di causa rilevanti ai fini della decisione (indicati in separato indice), mediante plico raccomandato all'indirizzo di Rue du Fort Niedergriinewald, L-2925, Lussemburgo.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, come modificato dal d.lgs. n.

101 del 2018.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione

Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in data 29 gennaio 2019, a seguito di seconda riconvocazione ai sensi dell'art. 384, terzo comma, c.p.c.