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Rifiuto MAE per residenza solo se 5 anni post factum? (Cass. 10929/24)

13 marzo 2024, Cassazione penale

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I 5 anni richiesti dall'art. 18 bis della l. 69/2005  per concretizzare la "stabile residenza europea"come motivo di rifiuto facoltativo dell'esecuzione del MAE decorrono dalla commissione del reato.

Nota: l'interpretazione della Cassazione pare non tenere conto del fatto che la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha già dichiarato che una persona ricercata «risiede» nello Stato membro di esecuzione qualora abbia ivi stabilito la propria residenza effettiva, e «dimora» in tale Stato qualora, a seguito di un soggiorno stabile di una certa durata nel medesimo, abbia acquisito con tale Stato legami di intensità simile a quella dei legami che si instaurano in caso di residenza (v., in tal senso, sentenze del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge,C‑42/11, EU:C:2012:517, punto 43 e giurisprudenza citata, nonché del 13 dicembre 2018, Sut,C‑514/17, EU:C:2018:1016, punto 34 e giurisprudenza citata; cfr. CGUE, Grand Chamber, 6 giugno 2023, OG, ricorso C-700/21, ECLI:EU:C:2023:444). 

La normativa europea (art 4 DQ) stabilisce come motivo di rifiuto facoltativo "se il mandato d'arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno".

La normativa euronuntaria richiede quindi di accertare una "residenza effettiva", ma

  • non vi alcuna menzione del requisito temporale di 5 anni (previsto dalla normativa italiana sub art. 18 bis/2),
  • nè di quello della "legittimità" della residenza fissato dall'art. 18bis/2bis, che recita che "ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la corte di appello accerta se l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora, del tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso e l'inizio del periodo di residenza o di dimora, della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo, del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano e di ogni altro elemento rilevante. La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione")
  • nè dtantomeno della necessitò del passaggio del tempo (5 anni) post factum. 

Pare quindi esserci spazio per una richiesta di rinvio pregiudiziale (267 TFUE, qui istruzioni). 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
sentenza n.10929-24 dd. 13 marzo 2024 (deposito -)

VI SEZIONE PENALE

sul ricorso proposto da: M*  nata il ** avverso la sentenza del
della Corte di appello di Roma,
udita la relazione svolta dal Consigliere Angelo Costanzo;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 febbraio 2024 la Corte d'appello di Roma ha disposto la consegna all'Autorità giudiziaria dello Stato della  Romania di sulla base del mandato di arresto europeo emesso Il 13 settembre 2023 dall'autorità giudiziaria rumena in esecuzione della sentenza del 7 settembre 2023 del Tribunale di ** con la quale la è stata condannata alla pena di sei anni e due mesi di reclusione (con 5 anni, 3 mesi e 2 giorni ancora da espiare e un presofferto in Italia dal 18 settembre 2023 al 15 febbraio 2024), per | reati di sequestro di persona violenza sessuale e lesioni personali commessi in Romania
dal 4 al 5 gennaio 2019.


2. Nel ricorso presentato dal difensore si chiede l'annullamento della
sentenza rappresentando che la ricorrente è una cittadina rumena che sin dal 2015 e radicata nel territorio italiano, come desumibile dalle dichiarazioni del redditi fornite alla Corte d'appello di Roma e dalla stessa erroneamente ritenute non attendibili, perché prodotte ex post, ma trascurando che le norme tributarie consentono al lavoratore di presentare le proprie dichiarazioni del redditi anche ex post come è avvenuto per gli anni 2020-2021.

Si osserva che se le dichiarazioni avessero dovuto ritenersi, false il Procuratore generale presso la Corte di appello avrebbe dovuto rimettere gli atti alla Procura della Repubblica. 

Si precisa che soltanto nel 2019, in occasione delle festività natalizie rumene, rientro in Romania e vi commise il reato per il quale è stata richiesta la sua consegna e per il quale fu arrestata, sicché non le fu possibile rientrare in Italia. Su questa base, si assume che, poiché prima la e era regolarmente dimorante in Italia, nel computo del quinquennio richiesto dall'art. 18 legge 22 aprile 2005 n. 69 dovrebbe includersi il periodo di detenzione patito in Romania.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso reitera questione gia sottoposta alla Corte d'appello e non si confronta con l'argomentazione con la quale Corte d'appello l'ha rigettata osservando che - come si desume anche dalla sentenza n. 178 del 2023 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18-bis, comma 1, lettera c) legge 22 aprile 2005 n. 69 - il tenore letterale dell'articolo comporta che il periodo di 5 anni previsto dalla disposizione deve decorrere da un momento successivo alla commissione del reato, mentre nel caso in esame ciò è impossibile perché dalla data di commissione del fatti non è decorso un quinquennio di legittima e effettiva residenza o dimora nel territorio italiano entro il giorno dell'arresto dellal
eseguito Il 18 settembre 2023.
Questa circostanza già esclude la sussistenza del presupposto del radicamento quand'anche dovesse ritenersi provato, sulla base delle dichiarazioni di reddito prodotte, che Marin aveva lavorato in Italla nel periodo precedente.
Pertanto, Il ricorso è Infondato.
2. Dal rigetto del ricorso deriva ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
69 del 2005.
Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n.
Cosi deciso il 13/03/2024.
Il Consigliere estensore
Angelo Costanzo