In un regime in cui il dovere di compiere ogni attività necessaria per l'esercizio dell'azione penale va contemperato con il dovere, gravante sul pubblico ministero, di esercitare ogni sua iniziativa - che direttamente si colleghi all'esigenza di un effettivo contraddittorio - in modo tale da consentire all'indagato di conoscere le ragioni dell'iniziativa medesima.
Solo così, infatti, sarà reso possibile all'interessato contraddire le ragioni addotte dal titolare dell'azione penale.
Nel caso della richiesta di proroga del termine per condurre le indagini preliminari è inevitabile concludere che la stessa apparente genericità delle condizioni richieste per la proroga presuppone che la notitia criminis rechi quelle indicazioni di spazio e di tempo necessarie perché l'indagato possa effettivamente esercitare il diritto di difesa garantitogli dall'art. 406, comma 3, secondo quel modello "minimo" che è indicato dall'art. 369, modello che, considerato il complessivo assetto disciplinante la materia, viene a risultare conforme a Costituzione.
Corte Costituzionale
SENTENZA
n. 182 - 12 - 20 maggio 1999
Processo penale - Indagini preliminari - Richiesta di proroga del
termine - Requisiti - Indicazione delle norme sostanziali violate
senza altresi' prevedere la comunicazione delle iscrizioni previste
dall'art. 335 c.p.p. - Erroneita' dei presupposti interpretativi da
parte del giudice rimettente - Non fondatezza.
(C.P.P., art. 406, comma 1).
(Cost., artt. 3 e 24, secondo comma).
(GU n.21 del 26-5-1999 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente
sentenza
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 406, comma 1,
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 12
dicembre 1997 dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Roma, iscritta al n. 270 del registro ordinanze 1998 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima
serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1999 il giudice
relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto in fatto
1. - Chiamato a decidere sulla richiesta di proroga dei termini
delle indagini preliminari avanzata dal pubblico ministero, il
giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, di fronte
ad una memoria del difensore di uno dei tre indagati il quale aveva
riferito della assoluta impossibilita' di esercitare qualunque difesa
per non essere stato notiziato ne' del tempus ne' del locus commissi
delicti ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo
comma, della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 406,
comma 1, del codice di procedura penale, "nella parte in cui prevede
che la richiesta del p.m. contiene solo ''l'indicazione della notizia
di reato'' (tenuto conto della restrittiva interpretazione
comunemente data a tale accezione da intendersi alla stregua di
''diritto vivente'') e non anche le comunicazioni sulle iscrizioni di
cui all'art. 335 del codice di procedura penale".
2. - Osserva il giudice a quo che, alla stregua dell'art. 406,
comma 1, il pubblico ministero puo', prima della scadenza, domandare, per giusta causa, la proroga del termine per le indagini preliminari, corredando la richiesta con l'indicazione della notizia di reato e con l'esposizione dei motivi che giustificano la proroga e che la richiesta stessa, a norma del comma 3 dell'art. 406, e' notificata alla persona sottoposta alle indagini la quale ha facolta' di
presentare memoria nei cinque giorni dalla detta notificazione.
Senonche' il contraddittorio assicurato dalle disposizioni sopra
ricordate si rivela solo apparente, perche' la giurisprudenza
consolidata della Corte di cassazione persegue la linea
interpretativa che ritiene sufficiente, ai fini dell'"indicazione
della notizia di reato", "l'indicazione delle ipotesi di reato per le
quali vengono svolte le indagini, senza che siano indispensabili
altre indicazioni spaziali e temporali del fatto" previste, invece,
per l'informazione di garanzia.
Con la conseguenza di rendere la dialettica cartolare del tutto
fittizia, oltre tutto considerando i brevi termini a disposizione per
presentare memorie e la impossibilita' per il giudice di rilasciare
qualsivoglia informazione sulla natura e le ragioni del procedimento per cui e' richiesta la proroga.
Una situazione che risulterebbe superata solo imponendo al pubblico ministero di indicare gli elementi previsti dall'art. 369 del codice di procedura penale per l'informazione di garanzia.
Sarebbe vulnerato anche l'art. 3 della Costituzione, sia per
l'intrinseca incoerenza di un regime che prevede un contraddittorio
privo di ogni concreta effettivita', sia per l'ingiustificata
disparita' di trattamento ravvisabile tra chi, avendo ricevuto
l'informazione di garanzia, e' gia' a conoscenza del fatto
addebitatogli cosi' da poter spiegare una adeguata difesa e chi,
invece, ricevendo come primo atto del procedimento la richiesta di
proroga, usufruisce di spazi estremamente piu' ristretti per
l'esercizio di tale diritto.
3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
E cio' perche' il contraddittorio previsto per la proroga delle
indagini non concerne il merito, ma esclusivamente le ragioni addotte dal pubblico ministero per giustificare la sua richiesta.
Considerato in diritto
1. - Il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione, della legittimita' dell'art. 406, comma 1, del
codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che la
richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari (termine
fissato - in via ordinaria - dall'art. 405, comma 2, dello stesso
codice, in sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla
quale e' attribuito un reato e' iscritto nel registro delle notizie
di reato) debba contenere la mera indicazione delle norme sostanziali violate e non anche la comunicazione delle iscrizioni prescritte dall'art. 335.
Per la verita', dal contesto complessivo dell'ordinanza di
rimessione e' agevole desumere che la disposizione da ultimo
ricordata venga richiamata solo in via indiretta, dolendosi il
rimettente di un regime che prescrive che le iscrizioni siano
comunicate alla persona alla quale il reato e' attribuito (oltre che
alla persona offesa ed ai rispettivi difensori) ove ne faccia(no)
richiesta. Richiesta, il piu' delle volte, almeno per l'indagato (ed
ancor piu' per il difensore la cui nomina e' subordinata alla
conoscenza del procedimento da parte del diretto interessato),
assolutamente ipotetica, potendo costui essere del tutto ignaro
dell'ufficio che procede e dei fatti interlocutoriamente addebitati.
Cio' sull'implicito presupposto che, poiche' l'art. 335 impone al
pubblico ministero il dovere di iscrivere immediatamente,
nell'apposito registro custodito presso l'ufficio, ogni notizia di
reato che gli perviene, nonche', contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso e'
attribuito (comma 1), provvedendo, se nel corso delle indagini
preliminari muti la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo
risulta diversamente circostanziato, ad apportare i necessari
aggiornamenti (comma 2), tale registro debba contenere le indicazioni previste dall'art. 369 del codice di procedura penale.
Donde il rilievo che i dati contenuti nel registro di cui all'art.
335 costituiscono la base sulla quale e' possibile attribuire
all'indagato il diritto di utilmente interloquire, purche' tali dati
vengano comunicati "in maniera compiuta affinche' il soggetto
sottoposto alle indagini possa soppesare effettivamente", e cioe'
venendo a conoscenza - sia pure per sommi capi - di quale accusa e'
contro di lui rivolta, cosi' da poter contestare la fondatezza della
richiesta di proroga il cui accoglimento e' subordinato all'esistenza
di una "giusta causa"; una verifica che, certo, non puo' arrestarsi
all'accertamento della mera osservanza del rispetto dei termini.
Inevitabile, dunque, l'evocazione - solo apparentemente scaturente
dall'esigenza di sottolineare il deteriore trattamento riservato a
chi non si trovi nelle condizioni per ricevere la comunicazione di
garanzia prevista dall'art. 369 rispetto a chi versi nella situazione
legittimante l'invio di tale atto - al modello adesso ricordato, nel
cui contenuto sembrano convergere, secondo il giudice a quo quei
minima richiesti per apprestare, in sede di proroga delle indagini,
una difesa effettiva e non puramente formale.
Cio' non comporta che la domanda del rimettente debba considerarsi predisposta in forma alternativa; un simile parallelismo esprime, infatti, soltanto l'esigenza - costituzionalmente presidiata - che identici siano gli attributi del fatto che occorre siano conoscibili, in funzione delle finalita' da perseguire, tra quanto previsto dall'art. 335 e quanto previsto dall'art. 369.
Un'alternativita' espressamente esclusa dal rilievo che, "ferma restando la facolta' di invio della informazione di garanzia", il pubblico ministero, nel richiedere la proroga, comunichi le iscrizioni di cui all'art. 335 utilizzando il modello della informazione di garanzia; vale a dire, l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto. Di qui la conclusione, pur essa implicita, che, non corrispondendo necessariamente il modello di notizia di reato alle prescrizioni dell'art. 335, solo un'integrazione di tale norma con il precetto dell'art. 369 sarebbe in grado di assicurare all'indagato un'effettiva difesa nella procedura incidentale.
2. - La questione non e' fondata.
Il rimettente muove, infatti, da una nozione di contenuto della
notizia di reato, quale delineata dalla norma sottoposta al vaglio di
legittimita', che non puo' essere condivisa.
Vero e' che tale nozione e' la risultante di un indirizzo
interpretativo, evocato dal giudice a quo come "diritto vivente",
stando al quale l'"indicazione della notizia di reato" richiesta
dall'art. 406, comma 1, e' assolta con l'indicazione delle ipotesi di
reato per le quali vengono svolte le indagini, senza che siano
necessarie precisazioni temporali o spaziali del fatto, che sono,
invece, prescritte per l'informazione di garanzia; quest'ultimo
istituto - si afferma - e', infatti, finalizzato a consentire
all'indagato di apprestare le difese "di merito", mentre la notizia
di reato che deve essere indicata nella richiesta di proroga ex art.
406 e' soltanto un "punto di riferimento" del vero oggetto del
contraddittorio, che riguarda essenzialmente i motivi addotti dal
pubblico ministero per giustificare la sua richiesta.
Ma, a parte una certa enfatizzazione di tale linea interpretativa,
le premesse a base dell'ordinanza di rimessione vanno decisamente
contestate perche', pur nell'ambito di ragionevoli esigenze di tutela
della segretezza delle indagini - esigenze, peraltro, condivise dal
rimettente - che giustificano la mancata previsione
dell'instaurazione di un pieno contraddittorio tra le parti ai fini
di contestare la giusta causa della proroga addotta dal pubblico
ministero e, quindi, di poter utilmente interloquire, e' necessario
che l'indagato venga a conoscenza di quei minima prescritti dalla
legge per l'informazione di garanzia e cioe' "l'indicazione delle
norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo dei
fatti".
Il tutto, del resto, in un quadro in cui il contenuto della
"notizia di reato" sembra correttamente assumere una designazione
polisemantica, corrispondente alle esigenze teleologiche perseguite
dalla norma che, di volta in volta, lo prevede in funzione delle
specifiche finalita' procedimentali che impongono al pubblico
ministero di esternare, al precipuo scopo di non trasformare il
contraddittorio cartolare in una vuota formula destinata a fare del
titolare dell'azione penale l'effettivo arbitro della procedura, i
circostanziati addebiti elevati nei confronti dell'inquisito.
Le esigenze sopra rilevate vanno cosi' individuate soprattutto
nella possibilita', che risulterebbe preclusa dalla norma denunciata,
di poter utilmente contestare, in una logica attenta ai profili
essenziali del fatto addebitato a una determinata persona, i "giusti
motivi" della proroga addotti dal pubblico ministero.
Se e' pur vero, allora, che il contenuto della notizia di reato non
e' sempre uniformemente determinato dal legislatore, e' anche vero
che una simile relativita' e' funzionale alle finalita', definibili
sulla base del necessario rispetto della parita' delle parti; in un
regime in cui il dovere di compiere ogni attivita' necessaria per
l'esercizio dell'azione penale (cfr. il combinato disposto degli
artt. 326 e 358 del codice di procedura penale) va contemperato con
il dovere, gravante sul pubblico ministero, di esercitare ogni sua
iniziativa - che direttamente si colleghi all'esigenza di un
effettivo contraddittorio - in modo tale da consentire all'indagato
di conoscere le ragioni dell'iniziativa medesima.
Solo cosi', infatti, sara' reso possibile all'interessato contraddire le ragioniaddotte al titolare dell'azione penale. Nel caso della richiesta di proroga del termine per condurre le indagini preliminari e'
inevitabile concludere che la stessa apparente genericita' delle
condizioni richieste per la proroga presuppone che la notitia
criminis rechi quelle indicazioni di spazio e di tempo necessarie
perche' l'indagato possa effettivamente esercitare il diritto di
difesa garantitogli dall'art. 406, comma 3, secondo quel modello
"minimo" che e' indicato dall'art. 369, modello che, considerato il
complessivo assetto disciplinante la materia, viene a risultare
conforme alla Costituzione.
D'altro canto, che il contraddittorio nel procedimento incidentale
in questione non sia articolato secondo le forme prescritte dall'art.
127 del codice di procedura penale, ma in forme ben piu' ridotte,
prevedendo l'art. 406, commi 3 e 4, che alla notifica, a cura del
giudice, della richiesta di proroga, consegue, trascorso il termine
per la presentazione di memorie, l'ordinanza di autorizzazione alla
prosecuzione delle indagini, provvedimento pronunciato in camera di consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori, e' una ulteriore circostanza che influisce al fine di pervenire alla
soluzione interpretativa qui individuata.
Tanto piu' che solo nel caso in cui il giudice ritenga di non accogliere, allo stato degli atti, la richiesta di proroga e, dunque, possa pronunciare un provvedimento, in via di massima, "favorevole" all'indagato (e "sfavorevole" al pubblico ministero) e' prescritta una procedura da espletare nelle forme previste dall'art. 127; nel corso della quale la libera dialettica delle parti che contrassegna tale modulo procedimentale potra' proiettare i suoi riverberi anche sulle cognizioni dell'indagato in ordine ai termini dell'accusa, cosi' effettivamente permettendo di formulare addebiti - in ipotesi dipendenti anche dagli elementi di cui si denuncia la mancata previsione da parte della norma censurata - circa i reali motividella richiesta di proroga, sindacando eventualmente la colpevole inerzia dell'ufficio.
3. - Cosi' interpretata, la norma sottoposta al vaglio di legittimita' si sottrae alle censure del rimettente, con riferimento ad entrambi i parametri invocati.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 406, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal
giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma con
l'ordinanza in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 20 maggio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola
99C0516