Spettano al proprietario e non all'artigiano gli obblighi inerenti la manutenzione dell'impianto di evacuazione dei fumi prodotti dalla caldaia a legna.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 9 aprile ? 28 maggio 2015, n. 22793
Presidente Zecca ? Relatore Montagni
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 14.02.2013, confermava la sentenza di condanna resa dal G.i.p. presso il Tribunale di La Spezia il 10.01.2012, all'esito di giudizio abbreviato, nei confronti di A.C. , rispetto al reato di cui all'art. 449 cod. pen., in relazione all'art. 423 cod. pen. Al prevenuto si contesta, quale artigiano incaricato dai proprietari RM e GF, di avere installato un camino, con sistema di evacuazione dei fumi della caldaia a legna realizzato in violazione delle norme tecniche in vigore, così da cagionare l'incendio della abitazione dei richiamati committenti, quale conseguenza della infiammazione della fuliggine.
La Corte di Appello riferiva che l'incendio era scaturito dalla tubazione della stufa a legna; che detta stufa era stata installata nel locale cucina, senza la realizzazione della canna fumaria in conformità alle norme vigenti, con l'uso di materiali inadeguati e senza la predisposizione della coibentazione della condotta utilizzata per il evacuazione dei fumi della combustione. La Corte territoriale osservava che l'esame degli elementi di prova acquisti agli atti induceva a privilegiare la tesi sostenuta dall'ing. V. , consulente del pubblico ministero, secondo il quale la causa scatenante dell'incendio era da riferirsi al canale di scarico dei fumi della stufa a legna, posizionato a contatto diretto con le travature, e non già alla calderina a gas posizionata nel soppalco. Il Collegio, sul punto, disattendeva le conclusioni rassegnate dall'ing. C. , incaricato di effettuare un accertamento tecnico preventivo in sede civile.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione A.C. , a mezzo del difensore.
L'esponente, in primo luogo, ribadisce che, nel soppalco relativo al locale ove era posizionata la stufa a legna, si trovava una calderina a gas, il cui tubo di scarico, non in regola, era a contatto con le strutture lignee del tetto. Al riguardo, in punto di fatto, sottolinea che l'odierna parte civile non ebbe ad ottemperare all'ordine di sostituire il tubo di cui si tratta; e rileva che i giudici di merito hanno omesso di dare il giusto peso all'allegato H), cioè a dire alla documentazione relativa al controllo effettuato dal Comune della Spezia sulla calderina a gas ora richiamata, in data 14.06.2007.
Ciò posto, con il primo motivo viene denunciata la violazione di legge, rispetto al profilo di colpa afferente alla installazione della stufa a legna; mentre, con il secondo motivo, viene dedotto il vizio motivazionale.
L'esponente sottolinea che il Procuratore Generale territoriale, in sede di discussione orale, aveva concluso chiedendo l'assoluzione dell'imputato e, in subordine, l'espletamento di nuovo accertamento peritale; e considera che, erroneamente, nella motivazione della sentenza impugnata, è indicato che il PG aveva richiesto la conferma della sentenza. Sul punto, il deducente osserva di avere avanzato istanza di correzione di errore materiale alla Corte di Appello.
Il ricorrente rileva che le giustificazioni offerte dai giudici di merito circa la sussistenza del nesso causale tra la violazione della normativa inerente l'installazione della stufa e l'incendio non sono conformi all'art. 40, cod. pen.. Osserva che, agli atti, risultano acquisiti due elaborati tecnici, di contenuto antitetico. A sostegno dei propri assunti, il deducente si sofferma diffusamente sul quadro fattuale accertato dai vigili del fuoco, valorizzato dalla Corte di merito.
Con il terzo motivo la parte deduce la violazione di legge e con il quarto il vizio logico di motivazione, con riguardo al comportamento omissivo che si ascrive all'imputato, rispetto all'obbligo di effettuare la pulitura periodica della canna fumaria dalla fuliggine. Sul punto, l'esponente ritiene che l'obbligo di cui si tratta gravi sul proprietario e ritiene che la Corte territoriale abbia frainteso il contenuto dell'elaborato tecnico redatto dall'ing. C. . La parte, dopo aver richiamato l'orientamento giurisprudenziale in tema di causalità omissiva, rileva che sull'installatore non grava alcun obbligo di manutenzione periodica della stufa; ed osserva che tale obbligo grava esclusivamente in capo al conduttore. Considera che, anche ipotizzando che l'imputato versasse in posizione di garanzia in relazione alla manutenzione dell'impianto relativo alla stufa a legna, non è possibile affermare che la relativa omissione abbia, con certezza, causato l'incendio, tenuto conto dello stato dell'immobile, ove erano posizionate due diverse stufe.
Con il quinto motivo l'esponente deduce il vizio di motivazione, osservando che il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di Appello contrasta con il contenuto della documentazione acquisita agli atti.
Al riguardo, il ricorrente rileva che il Collegio è incorso nel travisamento del fatto, rispetto alle seguenti evenienze: presenza di fuliggine nel canale da fumo della stufa a legna; documentazione fotografica prodotta dai vigili del fuoco; stato del tubo di scarico della stufa a legna, come verificato dai Vigili del Fuoco; contenuto del verbale redatto dai tecnici comunali che ebbero ad effettuare un controllo presso l'abitazione. L'esponente evidenzia che la motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata risulta poi intrinsecamente contraddittoria, atteso che la Corte territoriale, a pagina 6 della sentenza, afferma che l'incendio si è propagato dal tubo di scarico della stufa a gas. Ulteriori elementi di contrasto, emergenti dalla motivazione che occupa, vengono poi individuati nella selezione del destinatario dell'obbligo relativo alla pulizia periodica della canna fumaria della stufa a legna. L'esponente rileva altresì che i giudici hanno affermato che la stufa a gas non fosse funzionante al momento dell'incendio, sulla base unicamente delle interessate dichiarazioni rese dalla parte civile, prive di elementi di riscontro; e che l'estensore erra nel rilevare che il tratto terminale del tubo di scarico fosse stato fotografato dai Vigili del Fuoco. Il ricorrente considera che la ricostruzione del fatto effettuata in sentenza risulta confusa, con riguardo agli accertamenti svolti dai Vigili del Fuoco e rispetto alla valutazione effettuata da costoro, circa la causa di innesco dell'incendio.
Infine, il deducente osserva che la Corte di Appello sembra aver sostenuto che la conferma dell'affermazione di responsabilità penale discende dalla scelta processuale effettuata dall'imputato rispetto al rito abbreviato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso in esame impone le considerazioni che seguono.
2. Precedendo all'esame congiunto del primo, del secondo e del quinto motivo di ricorso, si viene a censire il tema relativo alla individuazione della causa di innesco dell'incendio.
Il Tribunale, sul punto di interesse, aveva affermato che l'incendio aveva avuto origine dal surriscaldamento del tratto terminale di scarico della caldaia a legna. A fondamento dell'assunto, il giudicante osservava che la stufa a gas, posizionata nel soppalco, era inattiva; e che detta stufa era stata comunque controllata dai tecnici del Comune. Oltre a ciò, il Tribunale affermava che, in materia di incendio, la mancata individuazione del fattore di innesco risultava irrilevante, poiché ai fini della prevedibilità dell'evento deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non alla specifica rappresentazione dell'evento dannoso.
La Corte di Appello, nel confermare il portato decisorio della sentenza di primo grado, ha sviluppato un autonomo percorso argomentativo, volto in primo luogo ad individuare la specifica causa di innesco dell'incendio.
Al riguardo, il Collegio, nella consapevolezza della necessità di chiarire se l'incendio fosse derivato, o meno, dall'impiego della stufa a legna, unico apparato rispetto al quale può venire in rilievo l'attività svolta dall'artigiano A. , odierno imputato, il quale aveva ricevuto l'incarico dai proprietari dell'immobile di installare il sistema di evacuazione dei fumi prodotti dalla predetta stufa a legna, ha proceduto ad esaminare le contrapposte opinioni espresse dal consulente del pubblico ministero e dall'ingegnere nominato in sede di accertamento tecnico preventivo, pure alla luce di quanto accertato dai Vigili del Fuoco.
Il ragionamento della Corte di Appello muove dal rilievo che sia la stufa a legna che quella a gas avevano gli scarichi non a norma, per la mancanza di coibentazione e la non corretta installazione. E deve osservarsi che il Collegio disattende specificamente, al riguardo, l'opinione che era stata espressa dal G.i.p., osservando che dal verbale del sopralluogo effettuato dai tecnici comunali risultano le irregolarità dello scarico relativo alla stufa a gas.
Ciò posto, la Corte territoriale afferma che, sul piano della dinamica causale dell'incendio, deve privilegiarsi l'ipotesi prospettata dai Vigili del Fuoco, suffragata dal fatto che la parte terminale dello scarico della caldaia a legna venne sostanzialmente distrutta dall'incendio, diversamente dalla struttura della caldaia a gas. A sostegno dell'assunto, il Collegio rileva che solo la combustione di fuliggine, prodotta dalla stufa a legna, può comportare il raggiungimento del calore necessario ad innescare l'incendio; e, al riguardo, considera che è dato di comune esperienza che l'emissione di gas combusti da una caldaia a metano non provoca fuliggine.
A questo punto della trattazione occorre, allora, richiamare i principi che, secondo diritto vivente, governano l'apprezzamento giudiziale della prova scientifica da parte del giudice di merito e che presiedono al controllo che, su tale valutazione, può essere svolto in sede di legittimità.
Nel delineare l'ambito dello scrutinio di legittimità, secondo i limiti della cognizione dettati dall'art. 609, cod. proc. pen., si è chiarito che alla Corte regolatrice è rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali è giunto il giudice di merito, che ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti. La Suprema Corte ha evidenziato, sul piano metodologico, che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l'esito di accreditare l'esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l'obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell'uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell'incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa dell'opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio (Cass. Sez. 4, sentenza n. 80 del 17.01.2012, dep. 25.05.2012, n.m.).
Chiarito che il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, deve rilevarsi che, non di rado, la soluzione del caso posto all'attenzione del giudicante, nei processi ove assume rilievo l'impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall'affidabilità delle informazioni che, attraverso l'indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo.
Si tratta di questione di centrale rilevanza nell'indagine fattuale, giacché costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito è chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridico emerse nel processo. Il giudice deve, pertanto, dar conto del controllo esercitato sull'affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l'imparzialità e l'autorevolezza scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.
E il controllo che la Corte Suprema è chiamata ad esercitare, attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito ha espresso nella sentenza impugnata.
Del resto, la Corte regolatrice ha anche recentemente ribadito il principio in base al quale il giudice di legittimità non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate. La Suprema Corte è cioè chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Rv. 248944; Cass. Sez. 4, sentenza n. 42128 del 30.09.2008, dep. 12.11.2008, n.m.).
E si è pure chiarito che il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, è del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l'omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della perizia (o della consulenza), poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all'onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (vedi, da ultimo, Cass. Sez. 4, sentenza n. 492 del 14.11.2013, dep. 10.01.2014, n.m.).
Tanto chiarito, deve osservarsi che, con riguardo all'apprezzamento della prova scientifica, afferente specificamente all'accertamento del rapporto di causalità, la giurisprudenza di legittimità ha osservato che deve considerarsi utopistico un modello di indagine causale, fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico - deduttivo, affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali. Ciò in quanto, nell'ambito dei ragionamenti esplicativi, si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi di contingenze fattuali. In tale prospettiva, si è chiarito che il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica non è solitamente molto importante; e che è invece importante che la generalizzazione esprima effettivamente una dimostrata, certa relazione causale tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi (cfr. Cass. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, Rv. 222138). Nella verifica dell'imputazione causale dell'evento, cioè, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l'agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta. Con particolare riferimento alla casualità omissiva - che pure viene in rilievo nel caso di specie - si osserva poi che la giurisprudenza di legittimità ha enunciato il carattere condizionalistico della causalità omissiva, indicando il seguente itinerario probatorio: il giudizio di certezza del ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili, e culmina nel giudizio di elevata "probabilità logica" (Cass. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, cit.); e che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto quando l'apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Rv. 248943). Ai fini dell'imputazione causale dell'evento, pertanto, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto all'imputato dall'ordinamento. Si tratta di insegnamento da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite che si sono soffermate sulle questioni riguardanti l'accertamento giudiziale della causalità omissiva ed i limiti che incontra il sindacato di legittimità, nel censire la valutazione argomentativa espressa in sede di merito (cfr. Cass. Sez. U, sentenza n. 38343 del 24.04.2014, dep. 18.09.2014, Rv. 261103).
3. E bene, applicando i richiamati principi di diritto al caso in esame, deve considerarsi che le valutazioni effettuate dalla Corte di Appello, sulla questione relativa all'accertamento del fattore di innesco dell'incendio dell'abitazione richiamata in rubrica, risultano carenti.
A fronte di contrapposte opinioni, espresse dai tecnici che, a vario titolo, avevano esaminato la questione, la Corte territoriale giunge ad affermare, in termini assertivi, che l'ipotesi prospettata dai Vigili del Fuoco appare preferibile, perché suffragata dal fatto che la parte terminale dello scarico della caldaia a legna venne sostanzialmente distrutta dall'incendio. Ed invero, il Collegio supporta l'assunto osservando che solo la combustione di fuliggine, prodotta dalla stufa a legna, può comportare il raggiungimento del calore necessario ad innescare l'incendio dei travetti del tetto, affidandosi a generiche considerazioni rispetto a pretesi dati di comune esperienza. La Corte di merito omette, in realtà, di confrontarsi sulle tesi dialetticamente prospettate dai nominati ingegneri, e, soprattutto, di individuare il paradigma causale, che consenta, come sopra si è chiarito, di ritenere dimostrata in termini di certezza la sussistenza di una relazione causale tra l'impiego della stufa a legna ed il verificarsi dell'incendio; e tale lacuna argomentativa risulta tanto più rilevante, in ragione del possibile fattore alternativo di innesco - sussistente nel caso di specie - dato dalla presenza, sul posto, di una caldaia a gas, con scarico non a norma, per scarsa coibentazione. A chiusura del ragionamento, la Corte di Appello rileva che la presenza della fuliggine può essere dipesa dalla mancata effettuazione della manutenzione della stufa a legna, dopo una anno e mezzo di esercizio; e ritiene che la causa scatenante dell'incendio, così individuata, sia da attribuirsi al comportamento colposo dell'imputato, che non ebbe ad effettuare la dovuta manutenzione della conduttura di scarico dei fumi della stufa a legna.
4. In tali termini, si introduce l'esame del terzo e del quarto motivo di ricorso, afferenti al tema della ascrivibilità colposa della condotta all'A. .
Sul punto, la sentenza che occupa è affetta da un errore di ordine concettuale che ne inficia il portato decisorio. La Corte di Appello, invero, pone a carico dell'artigiano gli obblighi inerenti la manutenzione dell'impianto di evacuazione dei fumi prodotti dalla caldaia a legna. Al riguardo, deve osservarsi che detto profilo di colpa, peraltro estraneo dal capo di imputazione, non risulta ascrivibile all'artigiano incaricato dalla proprietà della messa a dimora dell'impianto.
Giova al riguardo considerare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che il titolare degli obblighi di protezione e controllo, che versa in posizione di garanzia, deve essere titolare di un potere (giuridico, ma anche di fatto) attraverso il corretto uso del quale, attivandosi, possa impedire l'evento dannoso; in applicazione di tale principio, si è in particolare osservato che è onere del proprietario consegnare all'affittuario dell'appartamento un impianto di riscaldamento revisionato, in piena efficienza e privo di carenze funzionali e strutturali (Cass. Sez. 4, Ordinanza n. 38818 del 04/05/2005, dep. 21/10/2005, Rv. 232426); e si è affermato che configura il delitto di omicidio colposo la condotta dei proprietari di un appartamento che l'abbiano locato con una caldaia per il riscaldamento in pessimo stato di manutenzione, cosicché, durante il funzionamento, si era determinata la fuoriuscita di monossido di carbonio che aveva mortalmente intossicato gli occupanti dell'immobile, giacché il proprietario di un immobile si trova in "posizione di garanzia" rispetto alla funzionalità dell'impianto di riscaldamento (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32298 del 06/07/2006, dep. 29/09/2006, Rv. 235369).
Del resto, in coerenza con i principi ora richiamati, il legislatore, con il d.lgs. 19.08.2005, n. 192, recante Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia, ha espressamente previsto (sub art. 7): che spetta in primo luogo al "proprietario" mantenere in esercizio gli impianti termici per la climatizzazione invernale e estiva e provvedere affinché siano eseguite le operazioni di controllo e di manutenzione secondo le prescrizioni della normativa vigente; e che "l'operatore", incaricato del controllo e della manutenzione degli impianti per la climatizzazione invernale ed estiva, esegue dette attività a regola d'arte, nel rispetto della normativa vigente, con l'obbligo di redigere e sottoscrivere un rapporto di controllo tecnico.
Come si vede, il garante della funzionalità della stufa a legna, nel caso di specie, gravato degli obblighi manutentivi, è da individuare nel proprietario, unico soggetto titolare del potere di attivarsi, incaricando un artigiano specializzato, di effettuare la pulizia periodica della canna fumaria. E preme evidenziare che l'artigiano, una volta incaricato dalla proprietà, ha il dovere di effettuare l'intervento a regola d'arte e di rilasciare il relativo rapporto di controllo tecnico, come sopra si è rilevato.
L'ordine di considerazioni che precede porta conclusivamente a rilevare che erroneamente la Corte di Appello ha affermato che spettasse all'odierno imputato il compito di attivarsi per provvedere alla pulitura della canna fumaria, pur in assenza di un incarico ricevuto da parte del proprietario dell'immobile.
5. Le rilevate discrasie, nell'apparato motivazionale sviluppato dalla Corte di Appello, impongono in conclusione di disporre l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Genova, per nuovo esame, alla luce di principi di diritto sopra richiamati. Resta assorbito ogni altro profilo di doglianza.
P.Q.M.
Annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Genova per nuovo esame.