Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione dovranno stabilire se nel procedimento per mandato arresto europeo attivo il termine per proporre istanza di rescissione del giudicato decorra dal momento dell'avvenuta conoscenza della sentenza, per effetto della notifica all'estero del mandato di arresto o dalla consegna del condannato all'Italia.
Corte di Cassazione
sez. VI penale, ud. 7 febbraio 2024 (dep.13 giugno 2024), n. 23715
Presidente Fidelbo - Relatore D'Arcangelo
Ritenuto in fatto
1. Con l'ordinanza impugnata la Corte di appello di Genova ha dichiarato inammissibile la richiesta di rescissione del giudicato proposta da L.S.N., in relazione alla sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Imperia in data 11 ottobre 2016, confermata dalla Corte di appello di Genova in data 16 aprile 2018 e divenuta irrevocabile in data 4 aprile 2019.
2. Gli avvocati NM e FM, nell'interesse del L.S.N., ricorrono avverso tale ordinanza e ne chiedono l'annullamento, deducendo, con unico motivo, l'illogicità della motivazione e l'inosservanza degli artt. 11 e 117 Cost., con riferimento all'art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI, nonché degli artt. 47 e 48, par. 2, CDFUE e art. 6, par. 1 e 3, CEDU.
2.1. Il ricorrente premette di essere stato tratto in arresto in Romania in data 23 febbraio 2023 sulla base di un mandato europeo emesso dall'autorità giudiziaria italiana per dare esecuzione alla già menzionata sentenza di condanna e di essere stato consegnato all'autorità giudiziaria italiana in data 29 marzo 2023, quando ha ricevuto anche la notifica dell'ordine di esecuzione n. 197/2019 SIEP.
La Corte di appello di Genova ha, tuttavia, dichiarato inammissibile la richiesta di rescissione del giudicato depositata dal difensore del condannato in data 26 aprile 2023, in quanto il termine di decadenza di trenta giorni per la sua proposizione era integralmente decorso e la richiesta era tardiva.
Nella valutazione della Corte di appello, infatti, il L.S.N. ha avuto conoscenza della sentenza di condanna in data 23 febbraio 2003, per effetto della «notifica del mandato di arresto europeo», eseguita all'atto dell'arresto, che conteneva tutti i riferimenti alla stessa.
La Corte di appello ha, inoltre, rilevato che la presenza del condannato sul territorio italiano non è condizione per presentare la richiesta di rescissione del giudicato e che al L.S.N., nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo Romania, secondo quanto previsto dalla direttiva 2013/48/UE, è stato garantito il pieno accesso alla difesa tecnica, che avrebbe potuto essere esercitata anche con il deposito di atti in Italia.
Secondo la Corte di appello, dunque, il termine decadenziale di trenta giorni per richiedere la rescissione del giudicato posto dall'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen. decorre anche se il condannato è all'estero, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021, Vezuli, Rv. 281925).
2.2. Il ricorrente deduce, tuttavia, che l'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen., così come interpretato nell'ordinanza impugnata, preclude l'effettiva possibilità al condannato detenuto all'estero di poter presentare la richiesta di rescissione del giudicato.
Il ricorrente precisa che nei trenta giorni successivi all'esecuzione del mandato di arresto europeo è stato detenuto in Romania e, dunque, è stato impossibilitato a presentare personalmente la richiesta di rescissione del giudicato; il difensore nel procedimento rumeno di esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dall'autorità giudiziaria italiana, peraltro, non aveva l'abilitazione professionale richiesta per esercitare il proprio mandato innanzi all'autorità giudiziaria italiana.
2.3. Il ricorrente rileva, inoltre, che l'interpretazione che fa decorrere il termine per la proposizione della richiesta di rescissione dalla notifica del mandato di arresto europeo (e, dunque, dall'inizio dello stato detentivo all'estero), pur fondandosi sui principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, viola l'art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/Gai, nonché gli artt. 47 e 48, par. 2, CDFUE e art. 6, par. 1 e 3, CEDU.
Questa disposizione, infatti, prevede, tra l'altro, che, qualora il mandato di arresto europeo sia stato emesso ai fini esecutivi e l'interessato non sia stato precedentemente informato della pendenza del processo penale a suo carico, questi, una volta informato del contenuto del mandato di arresto europeo, può chiedere che gli sia trasmessa copia della sentenza da eseguire prima della consegna, ma «la trasmissione non costituisce notificazione ufficiale della sentenza né fa decorrere i termini applicabili per la richiesta di un nuovo processo o per la presentazione di un ricorso in appello».
Ad avviso del ricorrente, dunque, il termine per proporre la richiesta di rescissione, in analogia a quanto previsto dall'art. 175, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen. per la restituzione nel termine per impugnare in caso di estradizione dall'estero, dovrebbe decorrere dalla consegna del condannato, al fine di consentirgli l'esercizio informato ed effettivo del proprio diritto di difesa.
L'interpretazione della Corte di appello di Genova, infatti, comprimerebbe indebitamente il diritto del condannato in assenza a ottenere un nuovo processo, in quanto richiede alla persona arrestata all'estero di esercitare tale diritto prima della nomina di un difensore abilitato a patrocinare innanzi alla giurisdizione richiedente e senza conoscere modalità e termini entro i quali avvalersi del rimedio attribuitogli dall'ordinamento italiano.
Il ricorrente ha chiesto, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata e, in subordine, di sollevare rinvio pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al fine di chiedere alla Corte di giustizia se l'art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI, nella parte in cui fa decorrere il termine per la presentazione del ricorso inteso alla rinnovazione del processo dal momento della consegna del destinatario del mandato di arresto europeo, osti ad un'interpretazione dell'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen., quale quella espressa da Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021, che fa decorrere il termine per proporre la richiesta di rescissione del giudicato dalla notifica del mandato di arresto europeo avvenuta all'estero.
3. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 gennaio 2024, il Procuratore generale, Antonio Balsamo, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorrente, con unico motivo, ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione e l'inosservanza degli artt. 11 e 117 Cost., con riferimento all'art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI, nonché degli artt. 47 e 48, par. 2, CDFUE e art. 6, par. 1 e 3, CEDU, in quanto il termine per presentare la richiesta di revisione del processo ai sensi dell'art. 629-bis cod. proc. pen. non può decorrere per il condannato arrestato all'estero dalla conoscenza della sentenza di condanna per effetto dell'esecuzione del mandato di arresto esecutivo e, comunque, prima della sua consegna all'autorità giudiziaria richiedente.
2. Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere rimesso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618, comma 1, cod. proc. pen., in quanto la questione di diritto sottoposta dal ricorrente dà luogo a un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, in ordine al decorso del termine per proporre la richiesta di rescissione del giudicato nel caso in cui la persona richiesta in consegna sia stata giudicata in absentia e arrestata all'estero in esecuzione di un mandato di arresto europeo.
È, infatti, controverso, se nella specie il termine di cui all'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen. decorra dal momento dell'avvenuta conoscenza per il condannato della sentenza al momento dell'arresto, per effetto del contenuto del mandato di arresto europeo, come sostenuto dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ovvero dalla consegna del condannato, secondo quanto previsto dall'art. 4-bis, paragrafo 2, della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio dell'U.E., adottata il 26 febbraio 2009.
3. L'art. 629-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 71, legge 23 giugno 2017, n. 103, sancisce che il condannato o la persona sottoposta a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato nei cui confronti si sia proceduto in assenza può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall'art. 420 bis cod. proc. pen., e che non abbia potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa, salvo risulti che abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza.
L'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce, inoltre, che la richiesta di rescissione del giudicato deve essere presentata, a pena di inammissibilità, alla corte di appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento «entro trenta giorni dal momento dell'avvenuta conoscenza della sentenza».
3.1. La giurisprudenza di legittimità costantemente afferma che tale termine decorre non già dal momento in cui il condannato ha avuto compiuta conoscenza degli atti del processo e della sentenza conclusiva, bensì da quello in cui lo stesso ha avuto conoscenza del procedimento, ferma restando, in caso di particolare complessità della vicenda processuale, la possibilità per lo stesso di chiedere la restituzione nel termine per esercitare pienamente il diritto all'impugnazione straordinaria (ex plurimis: Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020, Scimone, Rv. 279994; Sez. 4, n. 48541 del 18/10/2023, Esteve; Sez. 4, n. 31252 del 2023, Bahkri, non massimata; Sez. 4, n. 4197 del 10/01/2023, Boblea, non massimata).
Secondo questo orientamento, «non occorre, affinché il termine di proposizione della richiesta decorra, che il condannato abbia conoscenza compiuta degli atti del processo e della sentenza conclusiva, perché la legge ciò non richiede: se così si opinasse, del resto, lo svolgimento di un termine posto a pena di inammissibilità sarebbe affidato a determinazioni prive della necessaria certezza, dovendo farsi carico di individuare, con inevitabile margine di soggettività valutativa, il momento in cui possa dirsi realizzata in capo al condannato una conoscenza adeguata, approfondita, degli atti del processo e della sentenza conclusiva» (Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020, Scimone, Rv. 279994).
È stata, inoltre, ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen.per violazione degli artt. 24, commi 2, 111 e 117 Cost. in relazione all'art. 6 CEDU, nella parte in cui prevede che il termine di trenta giorni per la presentazione della richiesta di rescissione del giudicato decorre dalla mera «conoscenza del procedimento» e non da quella, compiuta, dei contenuti del provvedimento da rescindere, in quanto la decorrenza iniziale di tale termine, previsto a pena di inammissibilità, sarebbe priva della necessaria certezza se collegata al concreto esercizio dell'attività difensiva (Sez. 3, n. 29592 del 20/05/2021, Carroccia, Rv. 281765, nella specie è stata disattesa la doglianza della difensa secondo cui il termine avrebbe dovuto decorrere non dalla notifica dell'ordine di esecuzione della pena, bensì dal momento dell'accesso del difensore al fascicolo processuale).
3.2. L'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen., tuttavia, non distingue, quanto alla decorrenza del termine per proporre la richiesta di rescissione del giudicato, a differenza dell'art. 175, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen. in tema di restituzione del termine per impugnare, tra il soggetto presente in territorio italiano all'atto della cognizione della sentenza di condanna rispetto al soggetto detenuto all'estero e richiesto in consegna nell'ambito dell'esecuzione di una procedura estradizionale o di mandato di arresto europeo.
La decorrenza del termine decadenziale per proporre la richiesta di rescissione del giudicato dal momento della conoscenza del procedimento è, dunque, stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità anche nelle ipotesi, quale quella oggetto del presente ricorso, nelle quali la conoscenza del procedimento è determinata dalla conoscenza del contenuto del mandato di arresto europeo (Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021, Vezuli, Rv. 281925; conf., ex plurimis: Sez. 2, n. 51285 del 24/11/2023, Ravara; Sez. 5, n. 26260 del 23/06/2023, Bakhri; Sez. 6, n. 19454 del 5/03/2023, Hallal) e, dunque, anche nel caso di un soggetto detenuto all'estero per effetto di un mandato di arresto europeo esecutivo, che nei trenta giorni successivi alla notifica del mandato di arresto non è stato consegnato all'autorità giudiziaria italiana.
La giurisprudenza di legittimità ha rilevato che, anche in questa ipotesi: «[L]a scelta legislativa non è in alcun modo lesiva dei diritti dell'interessato, dovendo il medesimo, se agisce per la rescissione del giudicato, soltanto prospettare di non avere avuto, non per sua colpa, conoscenza del procedimento» (Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021, Vezuli, Rv. 281925); questa sentenza ha, inoltre, aggiunto che «[I]n termini astratti non fa differenza che l'interessato ne abbia conoscenza quando è detenuto all'estero, in attesa di estradizione oppure per altra causa, o detenuto in Italia o quando si trovi comunque in qualsivoglia altra località».
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, escluso la possibilità la possibilità di applicare analogicamente l'art. 175, comma 2 bis, secondo periodo, cod. proc. pen. in relazione alla decorrenza della richiesta di rescissione del giudicato, in quanto «appare evidente la scelta del legislatore, allorquando ha introdotto l'istituto della rescissione del giudicato, di non prevedere una specifica disciplina per il condannato detenuto all'estero» (Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021, Vezuli, Rv. 281925).
4. Il Collegio ritiene, tuttavia, di non condividere questa interpretazione, in quanto la stessa, come rilevato dal ricorrente, si pone in contrasto con l'art. 4-bis, paragrafo 2, della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio dell'U.E., adottata il 26 febbraio 2009.
4.1. Questa decisione quadro ha modificato la decisione quadro sul mandato di arresto europeo del 13 giugno 2002 (2002/584/GAI) al fine di stabilire una base normativa comune e univoca per il diniego del riconoscimento delle decisioni pronunciate in un altro Stato membro al termine di un processo contumaciale, nel pieno rispetto dei diritti di difesa dell'interessato e in conformità ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (explurimis: C. eur. dir. uomo, 24 marzo 2005, Stoichkov c. Bulgaria, § 54-56, nonché C. eur. dir. uomo, 9 giugno 2005, R.R. c. Italia, § 59).
La decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio del 26 febbraio, in particolare, ha introdotto l'art. 4-bis (Decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l'interessato non è comparso personalmente) nella decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.
Tale disposizione prevede che l'autorità di esecuzione, tra l'altro, possa rifiutare un mandato di arresto europeo emesso a fini esecutivi se l'interessato non è comparso personalmente al processo, salvo che il mandato indichi che la persona ricercata sia stata, a tempo debito, personalmente citata o ufficialmente informata con altri mezzi della data e del luogo fissati per il processo, o abbia conferito un mandato ad un difensore - di fiducia o d'ufficio - che l'abbia in effetti patrocinata in giudizio, ovvero, dopo aver ricevuto la notifica della decisione e l'informativa sul suo diritto ad un nuovo processo o ad un ricorso in appello, abbia dichiarato di non opporvisi, o comunque non abbia esercitato quei diritti entro il termine stabilito.
Il paragrafo 2 dell'art. 4-bis della decisione quadro sancisce, inoltre, che «Qualora il mandato d'arresto europeo sia emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà alle condizioni di cui al paragrafo 1, lettera d), e l'interessato non sia stato precedentemente informato ufficialmente dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico, questi può, una volta informato del contenuto del mandato d'arresto europeo, chiedere che gli sia trasmessa copia della sentenza prima della consegna. Non appena ricevuta informazione della richiesta, l'autorità emittente fornisce all'interessato copia della sentenza per il tramite dell'autorità di esecuzione. La richiesta dell'interessato non ritarda la procedura di consegna né la decisione di eseguire il mandato d'arresto europeo. La sentenza è trasmessa all'interessato a soli fini informativi; la trasmissione non costituisce notificazione ufficiale della sentenza né fa decorrere i termini applicabili per la richiesta di un nuovo processo o per la presentazione di un ricorso in appello».
Questa disposizione, dunque, consente espressamente, qualora il mandato d'arresto europeo sia emesso ai fini dell'esecuzione di una pena detentiva o di una misura privativa della libertà, alla persona richiesta in consegna che non sia stata in precedenza informata, in modo ufficiale, dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico - che gli sia trasmessa, prima della consegna, copia della sentenza a fini informativi.
La trasmissione della sentenza di condanna, tuttavia, non può ritardare il corso della procedura di consegna, né, per converso, far decorrere i termini per l'eventuale richiesta di un nuovo processo.
Tale disposizione, dunque, esclude che per il diritto dell'Unione la conoscenza della sentenza di condanna sulla base della quale è stato emesso il mandato di arresto europeo (o, comunque, l'avvenuta conoscenza della sentenza di condanna posta a fondamento dello stesso) possa far decorrere il termine per la richiesta di un nuovo processo di merito.
L'esercizio del diritto al rimedio restitutorio riservato al condannato per il processo celebrato in absentia è, dunque, differito al momento della sua consegna allo Stato emittente e, dunque, al momento nel quale la persona attinta dal mandato di arresto europeo è in condizioni di esercitare effettivamente il proprio diritto di difesa.
4.2. Il legislatore italiano ha dato attuazione della decisione quadro 2009/299/GAI con il d.lgs. 15 febbraio 2015, n. 31, rafforzando i diritti processuali delle persone condannate in assenza nello spazio giuridico europeo e promuovendo il reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo.
L'art. 18-ter della legge n. 69 del 2005, introdotto dall'art. 16, comma 1, d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, sancisce, inoltre, che quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza applicata all'esito di un processo in cui l'interessato non è comparso personalmente, «la persona della quale è domandata la consegna, che non sia stata precedentemente informata del procedimento penale svoltosi nei suoi confronti, può chiedere la trasmissione di copia della sentenza su cui il mandato di arresto europeo si fonda. La richiesta non costituisce, in alcun caso, causa di differimento della procedura di consegna o della decisione di eseguire il mandato di arresto europeo. La corte di appello provvede all'immediato inoltro della richiesta all'autorità emittente».
Il legislatore italiano, dunque, non ha recepito il paragrafo 2 dell'art. 4 bis della decisione quadro 2009/299/GAI, nella parte in cui la trasmissione della sentenza posta a fondamento dell'emissione del mandato di arresto europeo non comporta la decorrenza del termine per attivare il rimedio restitutorio contro la sentenza pronunciata in assenza.
5. Si è, dunque, al cospetto di un'antinomia tra il diritto dell'Unione, che, in via generalizzata, esclude che il termine per proporre il rimedio restitutorio contro il giudicato penale formatosi in assenza del condannato possa decorrere anteriormente alla sua consegna all'autorità giudiziaria che ha emesso il mandato di arresto europeo e l'interpretazione prevalente dell'art. 629, comma 2, cod. proc. pen., che, invece, sembra consentire incondizionatamente tale decorrenza dalla conoscenza del procedimento, anche nel caso di destinatario del mandato di arresto europeo arrestato all'estero.
6. I difensori del ricorrente hanno chiesto al Collegio di sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in via pregiudiziale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI.
6.1. La richiesta, tuttavia, non può essere accolta.
La giurisprudenza di legittimità ha recentemente sottoposto alla cognizione della Corte di Giustizia ben tre questioni pregiudiziali relative alla decisione quadro in materia di mandato di arresto europeo (Sez. 6, n. 15143 del 14/01/2022, P., Rv. 283145 - 01, in ordine alla consegna di madre con figli minorenni conviventi; Sez. 6, n. 12079 del 07/12/2022 (dep. 2023), M., Rv. 285117 - 01, in ordine alla consegna di donna in stato di gravidanza e madre di figli minorenni conviventi; Sez. 6, n. 50684 del 29/09/2023, Lazaj, Rv. 285563 - 01, relativa al mandato di arresto esecutivo di una condanna pronunziata nei confronti di un imputato assente e non assistito da alcun difensore, sebbene soggetta al diritto potestativo dell'imputato stesso, una volta consegnato, di ottenere la ripetizione del giudizio con le garanzie difensive).
In tali casi, tuttavia, la Corte di cassazione ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire, in via interpretativa, il contenuto precettivo della decisione quadro n. 2002/584/GAI in relazione a fattispecie non espressamente contemplate dalla stessa e che necessitavano di chiarimenti in ordine al corretto bilanciamento tra il dovere di dare esecuzione al mandato di arresto europeo, in considerazione dell'obbligo di leale collaborazione, fondato su un «elevato grado di fiducia tra gli Stati membri», e i diritti fondamentali della persona richiesta in consegna o di persone coinvolte dall'esecuzione della misura (come i figli in tenera età).
Nel caso di specie, invece, il contenuto precettivo dell'art. 4-bis, paragrafo 2, della decisione quadro 2009/299/GAI è chiaro nella propria valenza precettiva ed è solo controversa la modalità della sua attuazione nel diritto interno e, segnatamente, se vi sia una interpretazione del diritto interno che consenta di attribuirgli un significato conforme, o almeno compatibile con il diritto dell'Unione, o sia necessaria promuovere sul punto una questione di legittimità costituzionale sul punto.
6.2. Tale antinomia deve, dunque, essere risolta ricorrendo ai rimedi interni all'ordinamento italiano e non al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
7. Il contrasto tra il disposto dell'art. 4-bis, paragrafo 2, della decisione quadro 2009/299/GAI e l'art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen., non può trovare rimedio nella disapplicazione della norma nazionale da parte del giudice comune, in quanto le disposizioni delle decisioni quadro sono prive di efficacia diretta (ex plurimis: C. cost., n. 227 del 21 giugno 2010).
La Corte di giustizia delle Comunità europee (ora Corte di giustizia dell'Unione europea) ha, infatti, sancito che le decisioni quadro, pur non potendo esplicare effetti diretti negli ordinamenti nazionali, impongono al giudice, anche se non trasposte, l'obbligo di interpretare il diritto interno in modo ad essere conforme (Corte di Giustizia, sentenza 16 giugno 2005, C-105/03, Pupino).
La Corte di giustizia ha anche chiarito «l'esigenza di una interpretazione conforme include l'obbligo per i giudici nazionali di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un'interpretazione del diritto nazionale incompatibile» con il diritto dell'Unione (Corte di giustizia, Grande Sezione, 19 aprile 2016, Dansk Industri, 33; Corte di giustizia, Grande Sezione, Poplawski, §, 35).
La Corte costituzionale ha, del resto, ha stabilito la vincolatività, ai sensi degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. delle decisioni quadro dell'Unione europea.
Il riferimento a tali parametri costituzionali comporta: da un lato, l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con tali «obblighi internazionali» viola per ciò stesso gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.; dall'altro, l'obbligo del giudice nazionale di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme (Corte cost. n. 227 del 12/05/2010; conf. n. 178 del 05/07/2023; n. 177 del 05/07/2023). Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", egli deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto ai predetti parametri costituzionali (Corte cost., sentenze nn. 348 e 349 del 2007).
Le Sezioni unite di questa Corte hanno, inoltre, affermato l'obbligo del giudice di interpretare il diritto nazionale conformemente al contenuto delle decisioni quadro adottate nell'ambito del titolo VI del Trattato sull'Unione europea, sempre che l'integrazione del precetto europeo nella norma penale interna non si traduce in un'interpretazione in malam partem (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244191, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che la disciplina in tema di confisca contenuta nella decisione-quadro del Consiglio dell'Unione Europea 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 possa essere utilizzata per estendere la confisca per equivalente di cui all'art. 322 ter primo comma cod. pen. anche al profitto del reato); nel caso di specie, tuttavia, questi limiti non sarebbero superati, in quanto viene in considerazione l'interpretazione di disposizioni di natura processuale, da applicarsi in bonam partem.
8. L'evidente contrasto tra il diritto dell'Unione e il disposto del secondo comma dell'art. 629-bis cod. pen., potrebbe essere superato in via interpretativa, rilevando che tale disposizione non regola la decorrenza del termine per richiedere la rescissione del giudicato nel caso in cui la persona richiesta in consegna sia stata giudicata in absentia e arrestata all'estero in esecuzione di un mandato di arresto europeo.
Il silenzio del legislatore su questo specifico punto potrebbe essere superato da un'interpretazione "di sistema", basata cioè sui casi che presentano un'analoga ratio (Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259990-01, con riferimento alla possibilità di disporre nel procedimento di rescissione del giudicato la sospensione dell'efficacia della sentenza) e, segnatamente, mediante l'interpretazione analogica dell'art. 175, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen.
8.1. Tale disposizione, infatti, sancisce che «[I]n caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della richiesta [di restituzione nel termine] decorre dalla consegna del condannato».
La giurisprudenza di legittimità, nell'interpretazione di tale disposizione, ha costantemente affermato che il termine per presentare richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale decorre in ogni caso, per la persona che al momento della notificazione della stessa si trovi in stato di custodia all'estero, dal trentesimo giorno a partire dalla data della consegna allo Stato, indipendentemente dal già avvenuto decorso di trenta giorni dal momento di avvenuta conoscenza della sentenza (ex plurimis: Sez. 5, n. 8464 del 24/01/2020, Nure, Rv. 278661 - 01; Sez. 4, n. 4904 del 27/11/2014, dep. 2015, Lamcja, Rv. 262027; Sez. 3, n. 2320 del 21/11/2012, dep. 2013, S., Rv. 254167).
Il decorso del termine di trenta giorni dalla consegna allo Stato italiano costituisce, infatti, una garanzia che si aggiunge al termine ordinariamente fissato a partire dalla data di avvenuta conoscenza del provvedimento di condanna, nell'evidente volontà del legislatore di assicurare alla persona detenuta in territorio estero, e dunque in condizione di maggiore difficoltà, la possibilità di esercitare pienamente le proprie difese, una volta giunta nel territorio dello Stato, avvalendosi dell'assistenza tecnica che lo Stato comunque assicura (Sez. 3, n. 2320 del 21/11/2012, dep. 2013, S., Rv. 254167).
8.2. L'art. 175, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen. è, del resto, stato inserito nella trama sistematica del codice di rito dall'art. 1, comma 1, lett. c) del d.l. 21 febbraio 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna), convertito con modificazioni dalla I. 22 aprile 2005, n. 60, proprio per «garantire il diritto incondizionato alla impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna da parte delle persone condannate nei casi in cui esse non sono state informate in modo effettivo dell'esistenza di un procedimento a loro carico, cosi come espressamente richiesto allo Stato italiano dalla sentenza del 10 novembre 2004, pronunciata sul ricorso n. 56581/00, della Corte europea dei diritti dell'uomo», come si legge nel preambolo del decreto legge.
La Corte di Strasburgo, in tale pronuncia, ha ravvisato da parte dello Stato italiano una violazione strutturale dell'art. 6 CEDU, con riferimento ai gravosi oneri probatori cui era sottoposto l'imputato in base all'allora vigente secondo comma dell'art. 175 cod. proc. pen. e all'eccessiva brevità del termine per impugnare la sentenza contumaciale, all'epoca di dieci giorni decorrenti dall'arresto del condannato all'estero (Corte Edu, Grande Camera, 1 marzo 2006, Sejdovic c. Italia, § 103).
La Corte Edu ha, infatti, rilevato che «[Q]ueste circostanze, accresciute dalle difficoltà che una persona detenuta in un paese straniero avrebbe incontrato per prendere rapidamente contatto con un avvocato versato in diritto italiano e dargli elementi di fatto precisi ed istruzioni dettagliate, costituivano ostacoli oggettivi all'utilizzo, da parte del ricorrente, del ricorso previsto all'articolo 175, comma 2, cod. proc. pen.».
8.3. Pur nella distinzione della disciplina della rescissione del giudicato da quella della restituzione in termini (ex plurimis: Sez. 3, n. 3, n. 33647 del 08/07/2022, Di Candia, Rv. 283474 - 01; Sez. 4, n. 863 del 03/12/2021 (dep. 2022), Okoro, Rv. 282566 - 01), si potrebbe, dunque, ritenere che il disposto dell'art. 175, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen., nel garantire l'effettività del rimedio restitutorio per il condannato arrestato all'estero, esprima un principio generale, costantemente affermato dalla Corte Edu (per tutte, Corte Edu, 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia) e ribadito dal diritto dell'Unione, cui va riconosciuta valenza generale e che si applica anche quando non è espressamente richiamato dal legislatore.
Il legislatore italiano, del resto, ha introdotto la rescissione del giudicato formatosi in absentia dell'imputato per ottemperare agli obblighi sovranazionali assunti in questa materia e ha delineato questo istituto in continuità rispetto alla restituzione in termini, per l'uguale ratio perseguita; in tal modo ha reso possibile l'applicazione analogica delle disposizioni di legge e dei principi di diritto in precedenza sanciti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di restituzione in termine, ove conformi al diritto europeo, anche al nuovo rimedio restitutorio.
9. Sussiste, dunque, un contrasto di giurisprudenza ai sensi dell'art. 618, comma 2, cod. proc. pen., che impone la rimessione alle Sezioni Unite della risoluzione del seguente quesito di diritto: «se, per la persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine di trenta giorni per proporre la rescissione del giudicato decorra dal momento dell'avvenuta conoscenza della sentenza, per effetto del contenuto del mandato di arresto, o, in conformità all'art. 4-bis, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI, dalla consegna del condannato».
P.Q.M.
Visto l'art. 618 cod. proc. pen., rimette il ricorso alle Sezioni Unite.