Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.
Corte di Cassazione
sez. II Penale, sentenza 29 novembre 2019 – 28 febbraio 2020, n. 8101
Presidente Gallo – Relatore Tutinelli
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Perugia ha dichiarato non doversi procedere a carico degli imputati per il delitto di insolvenza fraudolenta in ragione del fatto che la mancata presenza di persona offesa e imputato all’udienza doveva ritenersi quale rimessione tacita della querela e accettazione tacita di tale rimessione.
A fondamento della decisione, il disposto dell’art. 555 c.p.p., comma 3 in combinazione con l’art. 90 bis c.p.p. introdotto dal D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, attuativo della direttiva 2012/29/UE con cui, il legislatore, nel riquadro della valorizzazione delle esigenze informative della persona offesa, ha previsto che ad essa sia data informazione in merito alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela.
Sulla base di tale dettato normativo, il giudice del merito ha ritenuto che l’avviso in ordine alla possibilità di rimettere la querela dovesse essere individuato nella regolare notifica della citazione a giudizio unitamente al verbale di udienza in cui si avvisava che la mancata comparizione del querelante alla successiva udienza dibattimentale sarebbe stata integrata come remissione tacita della querela posta all’origine del procedimento., che la mancata comparizione sarebbe espressiva della conoscenza della possibilità di rimettere querela e della volontà di non proseguire il giudizio e infine che la mancata comparizione dell’imputato doveva essere considerata quale mancanza di rifiuto espresso o tacito della remissione richiamandosi sul punto a precedente di questa Corte (sezione quinta, sentenza numero 7072 del 12 gennaio 2011, RV. 249412).
2. Propone ricorso per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Perugia articolando i seguenti motivi.
2.1. Violazione o erronea applicazione dell’art. 152 c.p.. Secondo il ricorrente, non si potrebbe affermare con certezza che ci sia stata remissione tacita della querela da parte della persona offesa anche in considerazione della contraddittorietà esistente negli avvisi contenuti nei due provvedimenti notificati che, da una parte, segnalavano la mancanza di qualsivoglia obbligo di intervenire all’udienza e dall’altra, evidenziavano che la mancata comparizione sarebbe stata considerata alla stregua di rimessione di querela così lasciando intendere la presenza di un obbligo a comparire. Inoltre, il ricorrente afferma che solo qualora la persona offesa non si presenti a rendere testimonianza potrebbe ritenersi integrata la remissione di querela evocata dal giudice nel provvedimento impugnato. Ancora, il riferimento all’art. 555 c.p.p., comma 3, secondo il pubblico ministero ricorrente, contiene un chiaro riferimento all’avvenuta previa costituzione della persona offesa e solo ad un diretto confronto tra giudice persona offesa potrebbe ricollegarsi l’auspicio contenuto in precedente sentenza delle sezioni unite comunque richiamata anche nel provvedimento impugnato affinché il giudice intervenga ad evitare lo svolgimento di attività processuali inutili.
2.2. Vizio di motivazione in relazione alla ravvisata remissione tacita e accettazione tacita. Secondo il ricorrente, quanto alla ritenuta remissione, le valutazioni inerenti a una accettazione tacita risulterebbero meramente ipotetiche in quanto non terrebbero conto del fatto che l’imputato, nemmeno presente, non avrebbe potuto neanche rendersi conto della remissione stessa.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile
2. Deve infatti rilevarsi che le Sezioni Unite di questa Corte, nella pronuncia 31668/2016, hanno rilevato come la mancata comparizione della persona offesa in caso di reati perseguibili a querela debba ricevere una disciplina che va al di là dei procedimenti davanti al giudice di pace. Tale affermazione risulta essere stata fondata in relazione alla previsione contenuta dall’art. 555 c.p.p., comma 3, con riferimento ai reati a citazione diretta (che prevede che nella udienza di comparizione il giudice, "quando il reato e perseguibile a querela, verifica se il querelante e disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione") e alla introduzione dell’art. 90-bis c.p.p. ad opera del D.Lgs. n. 15 dicembre 2015, n. 212 (attuativo della direttiva 2012/29/UE in tema di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, con cui il legislatore, nel quadro della valorizzazione delle esigenze informative della persona offesa, ha previsto al comma 1, lett. n), che ad essa, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, sia data informazione in merito "alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all’art. 152 c.p., ove possibile, o attraverso la mediazione").
Secondo la richiamata pronuncia delle sezioni unite, in tale contesto normativo, teso a rafforzare le esigenze informative delle vittime dei reati, alle quali vanno peraltro specularmente assegnati altrettanti oneri di partecipazione al processo, va certamente considerata come legittima - ed anzi auspicabile - una prassi alla stregua della quale il giudice, nel disporre la citazione delle parti, abbia cura di inserire un avvertimento alla persona offesa e al querelato circa la valutazione in termini di remissione della querela della mancata comparizione del querelante e di mancanza di ricusa della remissione della mancata comparizione del querelato, favorendo definizioni del procedimento che passino attraverso la verifica dell’assenza di un perdurante interesse della persona offesa all’accertamento delle responsabilità penali e precludano sin dalle prime battute lo svolgimento di sterili attività processuali destinate a concludersi comunque con un esito di improcedibilità dell’azione penale o di estinzione del reato.
In conformità a tale principio di diritto espresso dalle sezioni unite di questa Corte, deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto:
"Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela".
3. Le doglianze in ordine alla presenza di una accettazione della remissione della querela risultano essere articolate in difetto di interesse. Infatti, pur dovendosi riconoscere istituzionalmente al pubblico ministero un ruolo di tutore della legalità, per ciò solo legittimato a proporre impugnazione anche a favore dell’imputato, nel caso di specie la questione attiene a diritti disponibili da parte dell’imputato che integrano una valutazione di opportunità in relazione alla propria posizione processuale sostanziale rispetto a cui l’azione del pubblico ministero non può ritenersi sostitutiva. In sostanza, il pubblico ministero non si può sostituire all’imputato nel decidere se accettare o meno una situazione processuale che, parallelamente a determinati svantaggi, implichi palesi vantaggi. Proprio tale situazione ricorre nel caso di specie in cui non vi è impugnazione da parte dell’imputato rispetto al capo che lo onera delle spese legali contemporaneamente dichiarando l’improcedibilità dell’azione penale.
4. Le suesposte considerazioni determinano la dichiarazione di inammissibilità del ricorso del PM.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.