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Recidiva contestata su reato prescritto: rimessa alle SSUU (Cass. 26756/23)

20 giugno 2023, Cassazione penale

Rimessa alle Sezioni Unite la questione riguardante la possibilità di contestare la recidiva anche successivamente al decorso del termine di prescrizione, calcolato alla luce dell'originaria imputazione.

 

Cassazione penale,

sez. V, ud. 11 aprile 2023 (dep. 20 giugno 2023), n. 26756
Presidente De Gregorio – Relatore Cuoco

Ritenuto in fatto

Oggetto dell'impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d'appello di Palermo, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto D.F. responsabile dei reati di minaccia aggravata, violazione di domicilio e tentato furto con strappo.

Il ricorso, proposto nell'interesse dell'imputato, si compone di tre motivi di censura, formulati tutti sotto il profilo della violazione di legge e, il secondo e il terzo, anche sotto quello del vizio di motivazione.

In particolare, con il primo, la difesa deduce (richiamando plurime pronunce di questa Corte) che la recidiva - specifica, reiterata ed infraquinquennale - sarebbe stata contestata solamente all'udienza del 17 settembre 2020, quando ormai, per tutti i reati (commessi tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012), era già maturata la prescrizione. Cosicché, non potendo la contestazione far rivivere un reato ormai estinto, il giudice, a fronte dello spirare del termine prescrizionale, avrebbe dovuto semplicemente dichiararne l'estinzione.

Con il secondo, si deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Sia con riferimento alle circostanze attenuanti generiche, escluse alla luce del solo riferimento ai precedenti penali (in sé non ostativi al riconoscimento delle predette circostanze), sia con riferimento all'aumento di pena connesso alla recidiva (tardivamente) contestata, in relazione alla quale mancherebbe la necessaria analitica valutazione della maggiore attitudine a delinquere, in ipotesi manifestata attraverso la commissione del nuovo illecito.

Con il terzo, in ultimo, si censura il percorso argomentativo offerto dalla Corte territoriale, che si sarebbe limitata, nella ricostruzione dei fatti, a rinviare implicitamente a quanto ritenuto in primo grado. E ciò senza rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame che, in relazione a ciascuno dei quattro episodi contestati, avevano evidenziato i plurimi profili di criticità connessi alle intrinseche contraddizioni emerse dalle dichiarazioni dei testi esaminati in dibattimento e fondanti il relativo giudizio di responsabilità. Contraddizioni che, minando significativamente il contenuto dichiarativo delle rispettive deposizioni, renderebbero le stesse, secondo la difesa, intrinsecamente inattendibili e, pertanto, inidonee a fondare un valido giudizio di responsabilità.

Considerato in diritto

1. La difesa, per come si è detto, deduce, con il primo motivo di ricorso, che la recidiva sarebbe stata contestata all'imputato soltanto il 17 settembre 2020, quando i reati, in base alla originaria contestazione, si erano ormai prescritti.

La questione sottoposta alla valutazione di questo Collegio attiene, quindi, in estrema sintesi, alla possibilità di contestare la recidiva anche successivamente al decorso del termine di prescrizione, calcolato alla luce dell'originaria imputazione, ed è oggetto di un significativo contrasto, risalente agli anni ottanta, tra due diversi orientamenti che, ricostruendo in modo differente il rapporto tra la contestazione e la sussistenza dell'aggravante, giungono a soluzioni tra loro opposte.

2. Secondo un primo filone interpretativo, il decorso del termine prescrizionale precluderebbe ogni successiva contestazione: il reato si sarebbe già estinto (e la nuova contestazione non potrebbe avere l'effetto di farlo rivivere) e residuerebbe unicamente l'obbligo di immediata declaratoria della relativa causa (Sez. 5, n. 48205 del 10/09/2019, Rv.278039, pronunciata, specificamente, in relazione all'aggravante prevista dall'art. 476, comma 2, c.p.; Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, Rv. 271745; Sez. 6, n. 47499 del 22/09/2015, Rv. 265560; Sez. 3, n. 14439 del 30/01/2014, Rv. 258734; Sez. 2, n. 5610 del 03/11/1987, dep. 1988, Rv. 178347; Sez. 2, n. 10448 del 19.6.1981, Rv. 151053. Queste ultime tre pronunzie sono esplicitamente fondate sul presupposto della natura costitutiva della contestazione).

Più in generale, le decisioni trovano origine sostanzialmente nella considerazione per cui "la recidiva non è un mero "status" soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona, sicché, per produrre effetti penali, deve essere ritenuta dal giudice del processo di cognizione dopo una sua regolare contestazione in tale sede" (così, in motivazione, Sez. 3, n. 14439 del 30/01/2014, Rv. 258734).

Una volta maturata la prescrizione in relazione all'originaria formulazione del capo d'imputazione, secondo le pronunzie che sono state innanzi richiamate, un'eventuale contestazione suppletiva (con il conseguente prolungamento del termine prescrizionale) sarebbe ormai preclusa, non potendo comunque determinare la reviviscenza di un reato ormai estinto, e la prosecuzione del processo diverrebbe incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato.

Pertanto, quando la prescrizione si sia già verificata in relazione ad una contestazione originaria, ovvero ad un'ipotesi di reato non ancora concretizzatasi in un capo d'imputazione, ma oggetto di contestazione suppletiva, deve pronunciarsi l'estinzione del reato per tale causa non potendo valere la contestazione della recidiva, come di ogni altra circostanza aggravante, avvenuta successivamente alla scadenza del termine di prescrizione.

Nè, si continua, la legittimità di una contestazione suppletiva tardiva potrebbe desumersi dalla parallela possibilità riconosciuta nel corso dell'udienza preliminare di modificare la contestazione fino a che non vengano precisate formalmente le conclusioni. In questo caso, si è detto, la logica fluidità dell'imputazione che caratterizza questa fase processuale renderebbe la situazione chiaramente diversa da quella conseguente alla cristallizzazione dell'imputazione nell'apposito decreto emesso all'esito dell'udienza preliminare (o dal Pubblico Ministero quando questa manchi).

3. Il secondo orientamento giunge a soluzioni opposte: l'aumento per la recidiva sarebbe valutabile ai fini della prescrizione anche se la recidiva sia stata contestata per le prima volta dopo il decorso del termine di prescrizione previsto per l'imputazione non aggravata, purché la contestazione preceda la pronuncia della sentenza (Sez. 2, n. 33871 del 02/07/2010, Rv. 248131; Sez. 6, n. 44591 del 04/11/2008, Rv. 242133; Sez. 6, n. 40627 del 16/10/2008, Rv. 241488; Sez. 5, n. 9769 del 19/10/2005, dep. 2006, Rv. 234225; Sez. 2, n. 373 del 26/01/1978, Rv. 138645; Sez. 5, n. 3712 del 11/12/2019, dep. 2020, Rv. 278201; Sez. 5, n. 26822 del 23/03/2016, Rv. 267892; Sez. 5, n. 47241 del 02/07/2019, Rv. 277648, queste ultime tre pronunciate in relazione alle aggravanti di cui all'art. 2191. fall., le prime due, e 476 comma 2 c.p., la terza).

Questa seconda opzione ermeneutica diverge dalla prima, sostanzialmente, per la differente ricostruzione della natura della contestazione che, in ipotesi, avrebbe natura meramente ricognitiva, e non costitutiva, dimostrativa della sola scelta, da parte della pubblica accusa, di attribuire rilevanza ad una connotazione specifica del fatto-reato. Laddove la recidiva, in sé, come ogni altra circostanza, apparterebbe alla realtà fenomenica, sarebbe preesistente rispetto alla contestazione e ontologicamente indipendente da essa: "le circostanze, in quanto componenti della morfologia del fatto-reato nella sua collocazione fenomenica, appartengono al tessuto caratterizzante il fatto tipico nella sua specifica individuazione originaria, indipendentemente dal momento in cui esse divengono in concreto rilevanti per l'ordinamento penale; detto momento, anzi, è del tutto indifferente rispetto alla struttura fenomenica in sé considerata, e non incide affatto su di essa, con la conseguenza che la rilevazione di una circostanza da parte del sistema penai-processuale non può che essere considerata un'attività meramente ricognitiva" (così, in motivazione, Sez. 5 n. 47241 del 02/07/2019, Rv. 277648)

Essendo, quindi, la prescrizione riconducibile non già alla rilevazione processuale del fatto, ma alla sua reale dimensione storica, il decorso del relativo termine non potrebbe che ancorarsi a quest'ultimo e non già alla mera contestazione che di esso viene fatta all'interno del processo, rispetto al quale l'esistenza della causa estintiva sarebbe solo "apparente".

La natura costitutiva della circostanza aggravante della recidiva "significa che essa debba essere oggetto di una specifica contestazione da parte del pubblico ministero in funzione dei diritti della difesa dell'imputato, non potendo essere applicata direttamente dal Giudice sulla scorta dei precedenti penali, ma non implica affatto che essa assuma rilevanza anche sotto l'aspetto ontologico unicamente per effetto della contestazione". Cosicché, "il profilo inerente la modalità con cui la recidiva assume rilevanza in riferimento al fatto-reato, ossia la contestazione, non può essere confuso con le conseguenze che da detta contestazione derivano, una volta che la stessa sia legittimamente intervenuta, proprio perché essa si riferisce ad un fenomeno preesistente, inerente una condizione personale del soggetto, con la conseguenza che il fenomeno dell'incidenza sui termini di prescrizione non può che essere ricollegato alla preesistenza della condizione soggettiva medesima"(ibi-dem).

La ricostruzione prospettata troverebbe indiretta conferma, si sostiene, nella pronuncia delle Sezioni Unite "Sorge" (S.U. n. 24906 del 18/04/2019, Rv. 275436) che, pur affermando il principio della necessità di una specifica contestazione della circostanza aggravante (nella specie, quella di cui al comma 2 dell'art. 476 c.p.), non avrebbe in alcun modo limitato le sequenze procedimentali e le scansioni processuali, come previste dal codice di rito, attraverso le quali l'imputato possa essere messo in condizione di conoscere specificamente la contestazione (e, con essa, la ritenuta circostanza aggravante) e, conseguentemente, esercitare i propri diritti difensivi.

4. Il principale profilo di criticità, sul quale i due orientamenti divergono, attiene, quindi, alla differente funzione assunta dalla contestazione all'interno dell'economia processuale e al conseguente rapporto tra la contestazione stessa e il decorso del termine prescrizionale.

Un profilo che, in realtà, per come emerge dalle pronunce citate, si combina da un canto con il parallelo obbligo di immediata declaratoria delle cause estintive del reato e, dall'altro, su un piano generale, alla luce del diritto e della giurisprudenza convenzionale, con le connesse esigenze informative riconosciute in favore dell'imputato, incidendo, sotto il primo profilo, nella determinazione dei rapporti tra "l'apparente" decorso del termine prescrizionale postulato dal secondo orientamento e la regola che prevede l'obbligo di immediata declaratoria, d'ufficio, della causa estintiva e, quindi, tra la predetta "apparenza" e l'evidenza connessa all'operatività di tale obbligo, nei termini delineati dalle sentenze delle Sezioni Unite "De Rosa" (Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, Rv. 230530) e "Tettamanti" (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 24427); sotto il secondo, sui rapporti tra la contestazione tardiva e la necessità di un'informazione precisa e completa su ciò che viene contestato all'accusato, e con essa, sull'esatta qualificazione giuridica che la giurisdizione può ritenere a suo carico, quale condizione essenziale dell'equità del procedimento (Pelissier e Sassi c. Francia (GC), § 52; Sejdovic c. Italia (GC), § 90; Varela Geis c. Spagna, § 42). E ciò in ragione della puntuale prescrizione contenuta nell'art. 6 § 3 a) della Convenzione, che riconosce all'accusato il diritto di essere informato non soltanto dei "motivi" dell'accusa, ossia dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali quest'ultima si fonda, ma anche della "natura" stessa della prospettazione accusatoria, ossia della qualificazione giuridica data a questi fatti (Mattoccia c. Italia, § 59; Penev c. Bulgaria, §§ 33 e 42).

5. Alla luce delle superiori considerazioni, va rilevato, ex art. 618 c.p.p., il contrasto giurisprudenziale nei termini innanzi sintetizzati e rimesso il ricorso alle Sezioni Unite per risolvere la seguente questione: se sia legittima o meno la contestazione suppletiva della recidiva anche successivamente al decorso del termine di prescrizione calcolato alla luce dell'originaria contestazione.

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.