Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Reato spiare conto corrente del coniuge (Cass. 14627/18)

30 marzo 2018, Cassazione penale

Il diritto di difesa non consente intromissioni indebite nella sfera di riservatezza di una controparte processuale: è quindi reato accedere al conto corrente intestato al solo coniuge durante la separazione. 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 30 marzo 2018, n.14627

Pres. Fumo – est. Micheli

Ritenuto in fatto

Il difensore di D.C. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma di una precedente sentenza di condanna dello stesso imputato, emessa dal Tribunale di Cagliari, in ordine al delitto di cui all’art. 615-ter, comma 1, cod. pen.: secondo l’ipotesi accusatoria, il D. avrebbe realizzato un accesso abusivo al sistema informatico della Banca di Credito Sardo, consultando i dati relativi ad un conto intestato alla moglie C.A. e per il quale gli era stata revocata la delega ad operare on line (quindi, dopo averne preso visione, aveva stampato i relativi estratti conto fino alla data del (omissis) , che in seguito aveva prodotto nella causa civile di separazione).

La difesa del ricorrente deduce carenze motivazionali della sentenza impugnata, segnalando che dalla documentazione versata in atti emerge la sua perdurante autorizzazione ad accedere non solo al sistema informatico dell’istituto di credito, ma anche all’area riservata afferente il conto della C. . Ergo, anche la chiavetta 'genera codici', che gli era stata consegnata all’atto della sottoscrizione del contratto di conto corrente, doveva considerarsi da lui lecitamente detenuta ed utilizzabile.

Nell’interesse del D. si lamenta altresì la violazione dell’art. 51 cod. pen., giacché la condotta avrebbe dovuto intendersi funzionale all’esercizio delle facoltà difensive nell’ambito del procedimento di separazione giudiziale.

Considerato in diritto

Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per genericità e manifesta infondatezza delle ragioni di doglianza.

Quanto al primo motivo, il ricorrente insiste nel prospettare la tesi di una sua ancora effettiva possibilità di legittimo accesso via web al conto corrente della coniuge, senza confrontarsi in alcun modo con la diffusa analisi dedicata dalla Corte territoriale alla documentazione prodotta: analisi da cui si evince che di conti ve ne erano due, uno (al quale si riferiva, fra l’altro, l’unica chiavetta 'genera codici' di cui vi è traccia in atti) intestato ad entrambi i coniugi e l’altro di cui era titolare la sola C. . Ed è a questo secondo conto corrente che si riferisce il capo d’imputazione, con tanto di espresso richiamo al numero (omissis) , del tutto diverso da quello - (omissis) , relativo al conto cointestato - risultante dai documenti di cui la difesa sostiene l’omessa disamina). Altrettanto pacifica è la circostanza (v. pag. 11 della motivazione della sentenza impugnata) che vede priva sia della sottoscrizione della C. che del timbro della banca la copia di una presunta autorizzazione rilasciata all’imputato con riguardo al suddetto conto personale della donna.

Con riguardo alla tesi della presunta ravvisabilità della causa di giustificazione ex art. 51 cod. pen., parimenti già confutata dai giudici di merito, deve osservarsi che la norma in parola non può operare sino a consentire - a chi invochi una pur lata estensione del diritto di difesa - intromissioni indebite nella sfera di riservatezza di una controparte processuale: la condotta di cui si adduce l’irrilevanza penale, per essere scriminata, deve pur sempre costituire una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto che si pretende aver esercitato (v. Cass., Sez. VI, n. 14540 del 02/12/2010, Pafadnam, nonché Cass., Sez. V, n. 52075 del 29/10/2014, Lazzarinetti).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del D. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) - a versare in favore della Cassa delle Ammende la somma di Euro 2.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

Data la natura peculiare del reato in rubrica, commesso in ambito di rapporti familiari, la Corte - ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 ritiene doveroso disporre l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, dell’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.