Integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale lo strattonare od il divincolarsi, posti in essere da un soggetto onde impedire il proprio arresto, ogni qualvolta quegli non si limiti ad una mera opposizione passiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma impieghi la forza per neutralizzarne l'azione e sottrarsi alla presa, nel tentativo di guadagnare la fuga: non può definirsi "passiva", cioè, quella resistenza connotata dall'impiego di forza fisica in funzione antagonista dell'agente pubblico, diretta contro lo stesso o contro terzi, ma comunque funzionale ad opporsi al suo operato, e che, in relazione alle circostanze del caso concreto, si presenti tale da esporre ad un pericolo per la loro incolumità fisica l'agente medesimo o terze persone.
Corte di Cassazione
sez. VI, ud. 15 ottobre 2024 (dep. 10 gennaio 2025), n. 1072
Ritenuto in fatto
1. Con distinti ricorsi dei loro rispettivi difensori, G.S. e M.S. impugnano la sentenza della Corte di appello di Torino in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per i delitti, rispettivamente, di cui agli artt. 336 e 337, cod. pen., che esse avrebbero commesso nel corso di una manifestazione di protesta.
2. G.S. deduce vizi della motivazione relativamente alla sua identificazione per colei che avrebbe compiuto la condotta contestatale: identificazione che è avvenuta sulla base di due particolari (il sopracciglio ben curato e le scarpe indossate), che tuttavia non vengono mai ripresi contestualmente nelle immagini filmate e riversate in atti.
3. M.S. rassegna tre motivi di ricorso.
3.1. Il primo consiste nella violazione di legge processuale, perché la Corte d'appello, nel dispositivo di sentenza letto in udienza ed allegato al verbale, ha pronunciato nei suoi confronti assoluzione per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis, cod. pen.), mentre nella sentenza completa di motivazione, successivamente depositata, ne ha confermato la condanna.
3.2. Il secondo motivo consiste nel vizio della motivazione in tema di configurabilità del reato.
Secondo quanto riferito dagli stessi operatori di polizia escussi come testimoni, ella si è limitata ad urlare, puntare i piedi e divincolarsi, così limitandosi ad una resistenza passiva, penalmente non rilevante. La sentenza, senza argomentare sui rilievi formulati con l'atto d'appello, ha ritenuto per mera deduzione che gli operatori di polizia si fossero previamente qualificati, non tenendo conto, però, della diversa ricostruzione ricavabile dalle testimonianze e dai filmati in atti.
3.3. L'ultima doglianza riguarda il diniego della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Esso viene giustificato in sentenza con il fatto che ella abbia urlato mentre veniva bloccata dagli agenti, e quindi per un aspetto che non può incidere sulla gravità del fatto, mentre non sono state prese in considerazione la sua incensuratezza e l'occasionalità nonché la velocità della sua condotta. Inoltre, la sentenza sarebbe intrinsecamente contraddittoria, avendo riconosciuto tale causa di non punibilità ad altri imputati che erano accanto a lei e che, a differenza sua, sono stati coinvolti nello scontro con la forza pubblica.
Considerato in diritto
1. Il ricorso di G.S. è inammissibile.
1.1. Ella rassegna una doglianza di puro fatto, a fronte di una motivazione nient'affatto illogica, che dà conto di un quadro probatorio complessivo senza dubbio rassicurante, costituito da una pluralità di elementi identificativi dell'abbigliamento da lei indossato (scarpe, pantaloni, giubbetto impermeabile), dal dato somatico caratterizzante del sopracciglio, nonché dal riconoscimento operato dall'operatore di polizia Cinetto, che, sentito come testimone, ha riferito di averla vista e filmata in «decine e decine» di occasioni (pagg. 25 s., sent.).
1.2. L'inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen. - la condanna dell'imputata proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
2. Quanto al ricorso dell'imputata M.S., è fondato il primo motivo.
2.1. Dall'esame del fascicolo - consentito a questa Corte in ragione, della natura procedurale della doglianza rimessale - si rileva effettivamente la discrasia denunciata tra il dispositivo letto dalla Corte d'appello in udienza e quanto esposto nella sentenza successivamente depositata con la motivazione.
Peraltro, il mutamento della statuizione di condanna o di assoluzione, riguardando l'in se della pronuncia del giudice penale e non un profilo accessorio o comunque secondario di essa, costituisce modificazione essenziale dell'atto e, come tale, non è emendabile con la procedura di cui all'art. 130, cod. proc. pen.
Per il capo relativo al riconoscimento o meno della particolare tenuità del fatto, e quindi all'assoluzione o meno dell'imputata per tale causa, la sentenza dev'essere, dunque, annullata, con rinvio al giudice di merito per un nuovo giudizio.
2.2. Da tanto consegue l'assorbimento del terzo motivo di ricorso.
2.3. Non così, invece, per il secondo, contestandosi con esso non solo la punibilità dell'imputata, ma, ancor prima, la sussistenza stessa del reato, per essersi costei limitata - si assume - ad una resistenza solamente passiva.
Deve osservarsi, in proposito, che integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale lo strattonare od il divincolarsi, posti in essere da un soggetto onde impedire il proprio arresto, ogni qualvolta quegli non si limiti ad una mera opposizione passiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma impieghi la forza per neutralizzarne l'azione e sottrarsi alla presa, nel tentativo di guadagnare la fuga (così, tra molte altre, Sez. 1, n. 29614 del 31/03/2022, Manusia, Rv. 283376). Non può definirsi "passiva", cioè, quella resistenza connotata dall'impiego di forza fisica in funzione antagonista dell'agente pubblico, diretta contro lo stesso o contro terzi, ma comunque funzionale ad opporsi al suo operato, e che, in relazione alle circostanze del caso concreto, si presenti tale da esporre ad un pericolo per la loro incolumità fisica l'agente medesimo o terze persone (in coerenza con la giurisprudenza ormai sedimentatasi in tema di fuga, per la quale, tra molte: Sez. 1, n. 41408 del 04/07/2019, Foriglio, Rv. 277137; Sez. 2, n. 44860 del 17/10/2019, Besana, Rv. 277765).
Tanto premesso, anche a non voler tenere in considerazione fazione dell'imputata consistita nel "puntare i piedi", ella - secondo le testimonianze riportate in sentenza e non contestate dalla difesa - non si è limitata a quel contegno, né semplicemente a divincolarsi, ma si è altresì "dimenata" (testuale), tanto da aver reso necessario, per contenerla, l'intervento di una pluralità di operatori di polizia, portatisi in ausilio della loro collega che l'aveva inseguita (pag. 28).
Risulta, dunque, indiscutibile l'impiego, da parte sua, di forza fisica diretta contro i pubblici ufficiali operanti e corretto, di conseguenza, il giudizio di sussistenza del reato, cui sono giunti i giudici di merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.S. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.