Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 novembre 2016 – 28 marzo 2017, n. 15221
Presidente Amoresano – Relatore Renoldi
Ritenuto in fatto
1. C.R. era stato tratto a giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, per avere, in concorso con Cu.Ca. , trattato, senza alcuna autorizzazione, i dati giudiziari di P.G. attraverso "missive e volantini" rivolti ai condomini dello stabile sito in (omissis) , al fine di recare un pregiudizio alla reputazione dello stesso P. , compromettendo, nel contempo, il sereno svolgimento, da parte della persona offesa, dell’attività lavorativa di portiere addetto al predetto stabile; fatti accertati a (omissis) .
Con sentenza in data 21/10/2011 il Tribunale di Palermo, ricondotti i fatti sopra indicati al delitto di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 196 del 2003, lo aveva condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione; pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza in data 22/05/2014.
1.1. Secondo quanto era emerso nel corso del giudizio di merito, tra C. e P. vi erano stati, in precedenza, rapporti molto tesi, culminati in una denuncia per lesioni che lo stesso C. aveva presentato nei confronti del portiere del condominio. E in una occasione, l’odierno imputato aveva affisso, nella bacheca dello stabile, un foglio nel quale riferiva che P. si era allontanato dalla portineria per recarsi presso la locale procura della Repubblica ove pendeva, nei suoi confronti, un procedimento avviato a seguito della denuncia per lesioni gravissime ai suoi danni presentata proprio da C. . Secondo i giudici di merito tale comunicazione aveva recato un concreto pregiudizio alla persona offesa, la cui reputazione e professionalità sul luogo di lavoro erano state screditate attraverso la rappresentazione di una condotta scarsamente osservante dei suoi compiti di addetto alla portineria del condominio.
2. Avverso la sentenza di secondo grado C. propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore fiduciario, deducendo, con un unico motivo di censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 167 del d.lgs. n. 196 del 2003.
Secondo il ricorrente la fattispecie incriminatrice contestata si perfezionerebbe soltanto ove dal trattamento dei dati personali sia derivato un effettivo nocumento. Tuttavia, nel caso di specie, la sentenza non avrebbe posto in luce in che cosa esso potesse essere consistito, atteso che tutti i condomini sarebbero stati già a conoscenza della qualità di imputato che P.G. aveva assunto nell’ambito di un procedimento in cui C. era persona offesa e tanto più che, in ogni caso, il cartello contenente l’informazione che lo riguardava era stato tempestivamente rimosso dalla moglie dello stesso P. .
Pertanto, si sarebbe in presenza di una situazione nella quale sarebbe stato recato un vulnusminimo alla identità personale del soggetto e alla sua privacy, senza determinare alcun danno patrimoniale apprezzabile. Ciò che secondo la giurisprudenza di legittimità impedirebbe l’integrazione della fattispecie.
Sotto altro profilo, la circostanza che le informazioni in questione fossero già note agli altri condomini impedirebbe di configurare l’elemento soggettivo del reato, costituito dalla finalità di arrecare ad altri un danno, che nella specie non sarebbe, per quanto detto, sussistente.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, l’art. 167 del d.lgs. 30/06/2003, n. 196 (rubricato Trattamento illecito di dati) punisce, al comma 2, la condotta di colui il quale, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, sempre che dal fatto derivi un nocumento.
La struttura del reato, pertanto, prevede, oltre alla clausola di riserva, una condotta di trattamento dei dati personali indicati ai citati articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45; condotta che presuppone la mancanza di un consenso espresso dell’interessato (v. Sez. 3, n. 38406 del 9/07/2008, dep. 9/10/2008, Fallani, Rv. 241382) e che può essere realizzata anche dal privato cittadino, il quale sia, anche solo occasionalmente, venuto a conoscenza di un dato sensibile (Sez. 3, n. 21839 del 17/02/2011, dep. 1/06/2011, R., Rv. 249992).
Sotto un primo profilo, il "trattamento" è definito dall’art. 4, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 196/2003 come "qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati". Quanto poi alla nozione di "dato personale", la successiva lett. b) del citato art. 4, comma 1, lo definisce come "qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale".
Nel caso di specie, inoltre, è rilevante anche la nozione di "dati giudiziari", che la successiva lett. e) qualifica come "i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale". Dati giudiziari il cui trattamento costituisce reato, proprio ai sensi del contestato art. 167, comma 2, quando esso sia avvenuto in violazione di quanto disposto dall’art. 27, rubricato "Garanzie per i dati giudiziari", a mente del quale "il trattamento di dati giudiziari da parte di privati o di enti pubblici economici è consentito soltanto se autorizzato da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante che specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico del trattamento, i tipi di dati trattati e di operazioni eseguibili".
Giova, peraltro, rilevare come secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. 3, n. 29071 del 16/05/2013, dep. 9/07/2013, Boggi e altro, Rv. 256673; Sez. 5, n. 46454 del 22/10/2008, dep. 17/12/2008, Polimeni e altri, Rv. 241966; Sez. 3, n. 5728/05 del 17/11/2004, dep. 15/02/2005, Paciocco, Rv. 230834), il reato di trattamento illecito di dati personali non è integrato se l’utilizzo dei dati avvenga per fini esclusivamente personali, ovvero senza una loro diffusione (definita dalla lett. m dell’art. 4, comma 1 come "il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione") o una loro destinazione ad una comunicazione sistematica.
Ulteriori elementi di fattispecie del reato contestato a C.R. sono, sul piano soggettivo, il dolo specifico, consistente nel "fine di trarre per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno" attraverso la descritta condotta di trattamento dei dati; nonché, sul piano oggettivo, la circostanza che "dal fatto derivi un nocumento".
A quest’ultimo proposito è senz’altro opportuno ricordare come la giurisprudenza abbia, in una prima fase, qualificato il verificarsi del nocumento come condizione oggettiva di punibilità "intrinseca", la quale attualizzerebbe l’offesa dell’interesse tutelato già realizzata dal fatto tipico (Sez. 3, Ordinanza n. 7504 del 16/07/2013, dep. 18/02/2014, Pontillo, Rv. 259261; Sez. 5, n. 44940 del 28/09/2011, dep. 2/12/2011, C. e altro, Rv. 251448; Sez. 3, n. 16145 del 5/03/2008, dep. 17/04/2008, P.C. in proc. Amorosi e altro, Rv. 239898; Sez. 3, n. 28680 del 26/03/2004, dep. 1/07/2004, Modena, Rv. 229465), il quale costituirebbe una fattispecie di pericolo concreto, integrata dalla condotta di trattamento assistita dal ricordato dolo specifico, punibile solo a condizione del verificarsi del predetto accadimento. Solo più recentemente, quest’ultimo è stato ritenuto un elemento costitutivo del reato, avuto riguardo alla sua omogeneità rispetto all’interesse leso e alla sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica, con conseguente necessità che esso fosse previsto e voluto o, comunque, accettato dall’agente come conseguenza della propria azione, indipendentemente dal fatto che costituisse o si identificasse con il fine dell’azione stessa (Sez. 3, n. 40103 del 5/02/2015, dep. 6/10/2015, Ciulla, Rv. 264798).
3. Nel caso di specie, non contestata è la circostanza che nelle condotte dell’imputato più sopra descritte fosse configurabile una ipotesi di trattamento di dati giudiziari e che, in assenza del consenso da parte dell’interessato, tale trattamento fosse sussumibile entro la cornice tipica del delitto ascritto a C.R. . Ciò che è, invece, oggetto delle censure del ricorrente è il fatto che la condotta in questione possa avere cagionato un "nocumento" a P.G. e, sotto un connesso profilo, che essa sia stata sostenuta da idoneo coefficiente di imputazione soggettiva.
4. Sul punto, giova rilevare che, come correttamente osservato dalla sentenza impugnata (v. pag. 9), il "nocumento" previsto dall’art. 167, D.Lgs. n. 196 del 2003, indipendentemente dalla sua qualificazione in termini di condizione obiettiva di punibilità ovvero di elemento costitutivo del reato, deve essere inteso come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dalla persona alla quale si riferiscono i dati o le informazioni protetti (per questa tesi v. Sez. 3, n. 30134 del 28/05/2004, dep. 9/07/2004, Barone, Rv. 229472; Sez. 3, n. 23798 del 24/05/2012, dep. 15/06/2012, Casalini e altro, in motivazione; Sez. 5, n. 44940 del 28/09/2011, dep. 2/12/2011, C. e altro, in motivazione), ma anche da terzi quale conseguenza dell’illecito trattamento (Sez. 3, Ordinanza n. 7504 del 16/07/2013, dep. 18/02/2014, Pontillo, Rv. 259261; Sez. 3, n. 17215 del 17/02/2011, dep. 4/05/2011, L., Rv. 249991).
4.1. Orbene, i giudici di secondo grado, richiamandosi alle ricordate pronunce di questa Corte, hanno adeguatamente spiegato come la propalazione delle informazioni relative alla situazione giudiziaria di P.G. , accreditando una "manchevolezza nell’assolvimento dei suoi compiti di portiere, screditandone la reputazione e la professionalità nello stesso luogo di lavoro", abbia determinato, nei suoi confronti, "un nocumento concreto e tangibile e non certo di minima rilevanza", anche alla luce dell’ulteriore obiettivo che l’imputato si prefiggeva. Al riguardo, la sentenza impugnata ha richiamato il contenuto della lettera datata 19/04/2007, rivolta all’amministratore del condominio, con la quale C. sollecitava la convocazione di un’assemblea condominiale finalizzata alla eventuale adozione di "provvedimenti disciplinari" nei confronti del portiere, evidenziando che costui era stato rinviato a giudizio per il reato di "lesioni gravissime" ai suoi danni. E proprio con riferimento al profilo appena richiamato la sentenza ha correttamente argomentato in relazione alla sussistenza dell’ulteriore elemento di fattispecie, concernente il dolo specifico, consistente nella realizzazione del trattamento dei dati personali al fine di procurare un danno ingiusto a P.G. .
Sostanzialmente inconferente è, a questo riguardo, l’argomentazione difensiva secondo cui essendo i condomini a conoscenza di precedenti contrasti tra C. e P. , la diffusione delle ricordate informazioni non avrebbe recato alcun concreto pregiudizio alla reputazione del portiere ed alla sua immagine professionale. Ciò in quanto, come puntualmente messo in evidenza dalla Corte territoriale, l’istruttoria aveva chiarito che la conoscenza delle pregresse vicende tra i due fosse, da parte dei condomini, "assolutamente generica"; e, inoltre, in quanto le modalità di diffusione delle informazioni, attraverso l’affissione di un avviso all’esterno di una bacheca posta vicino all’ascensore condominiale, ove lo stesso era rimasto per alcune ore, avevano, comunque, consentito la divulgazione delle notizie anche a terzi estranei al condominio.
4.2. Le considerazioni che precedono inducono a ritenere infondata anche l’ulteriore censura, relativa all’elemento soggettivo, che secondo il ricorrente non sarebbe rimasto integrato in considerazione della convinzione dell’imputato di non recare alcun pregiudizio alla persona offesa, sul presupposto che, come già osservato, le informazioni sulla sua situazione giudiziaria fossero già conosciute dai destinatari dell’attività di diffusione.
Si è già sottolineato, infatti, come i giudici di merito abbiano adeguatamente motivato, con percorso argomentativo del tutto logico e coerente rispetto alle risultanze processuali, come C. avesse inteso diffondere le informazioni proprio al fine di colpire l’immagine professionale del portiere, in vista di future iniziative disciplinari nei suoi confronti da parte dell’amministratore di condominio; sicché già una siffatta ricostruzione rende chiaramente inconsistente, in via di fatto, la menzionata doglianza difensiva.
Peraltro, la censura dedotta è parimenti inaccoglibile anche ove si acceda alla tesi, prevalente in giurisprudenza, che attribuisce al verificarsi del "nocumento" la natura giuridica di condizione oggettiva di punibilità "intrinseca" (idonea, cioè, ad attualizzare l’offesa dell’interesse tutelato già realizzata dal fatto tipico), atteso che, in una siffatta evenienza, sarebbe sufficiente che l’accadimento che ne costituisce oggetto fosse stato realizzato con "colpa". È, infatti, evidente come un siffatto coefficiente di imputazione soggettiva ricorra pacificamente nell’ipotesi in cui l’agente, come nella specie, abbia agito con la finalità di rappresentare negativamente, attraverso la diffusione delle informazioni non divulgabili, la reputazione e la professionalità di P.G. sul luogo di lavoro. E altrettanto è a dirsi, ovviamente, anche a seguire il minoritario indirizzo che attribuisce al nocumento la natura di elemento costitutivo del reato (Sez. 3, n. 40103 del 5/02/2015, dep. 6/10/2015, Ciulla, Rv. 264798), atteso che, in questa ipotesi, trattandosi sicuramente di uno degli "elementi più significativi" della fattispecie, secondo la nota definizione contenuta nella sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, esso dovrebbe essere realizzato con dolo. Ciò che, per le ragioni più volte indicate, è certamente avvenuto anche nel caso di specie, secondo quanto i giudici di merito hanno, del resto, puntualmente posto in evidenza.
5. Il ricorso proposto da C.R. deve essere, conseguentemente, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.