Nei casi riguardanti la divulgazione di dati personali, e le fotografie di chi sia indagato in un procedimento penale, alle autorità nazionali competenti deve essere concesso un margine di apprezzamento nel trovare un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in conflitto. Tuttavia, questo margine va di pari passo con la supervisione europea e la sua portata dipende da fattori quali la natura e la gravità degli interessi in gioco e la gravità dell'interferenza.
I procedimenti penali hanno caratteristiche specifiche che devono essere prese in considerazione: in particolare, ribadisce che la necessità di proteggere la riservatezza di alcuni tipi di dati personali può talvolta essere superata dall'interesse all'indagine e al perseguimento dei reati e dalla natura pubblica dei procedimenti giudiziari. Tuttavia, il fatto di essere oggetto di un procedimento penale non limita la portata della più ampia protezione della sua vita privata di cui la ricorrente gode in quanto "persona comune": l'utilità oggettiva delle fotografie scattate dalle autorità dopo l'arresto di un individuo sospettato di aver commesso un reato può rendere la loro conservazione "necessaria in una società democratica" ai fini della lotta alla criminalità, come anche nel contesto della pubblicazione della fotografia della ricorrente insieme alle informazioni sulle accuse a suo carico, ossia che l'utilità oggettiva della pubblicazione del materiale in questione serviva un'esigenza sociale sufficientemente pressante nelle circostanze prevalenti e tenendo conto del fatto che è cessata dopo un periodo di sei mesi.
Anche se l'articolo 8 della Convenzione non contiene requisiti procedurali espliciti, è importante, ai fini dell'effettivo godimento dei diritti garantiti da questa disposizione, che il relativo processo decisionale sia equo e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi da esso tutelati: gli aspetti procedurali sono violati se la persona la cui fotografia viene pubblicato non ha avuto alcuna possibilità né di essere ascoltata prima dell'adozione della decisione né di chiedere un riesame e di presentare le proprie argomentazioni dopo l'adozione della decisione.
Il trattamento dei dati personali relativi alle accuse penali richieda una protezione rafforzata a causa della particolare sensibilità dei dati in questione: è quindi della massima importanza che, quando vengono pubblicati dati sensibili nel contesto di procedimenti penali in corso o nell'ambito di indagini su reati, tali dati riflettano accuratamente la situazione e le accuse pendenti contro un imputato, tenendo conto anche del rispetto della presunzione di innocenza.
(traduzione automatica non ufficiale)
Cfr. anche Foto segnaletiche proiettate in conferenza stampa violano diritti fondamentali (Corte EDU, Sciacca, 2005)
CORTE EUROPEA PER I DIRITTI DELL'UOMO
TERZA SEZIONE
CASO MARGARI c. GRECIA
(Ricorso n. 36705/16)
SENTENZA 20 giugno 2023
Art. 8 - Vita privata - Fotografie e dati personali di un'imputata in un procedimento penale pubblicati sulla stampa su ordine del pubblico ministero per sei mesi dopo la formulazione delle accuse, senza la sua conoscenza e il suo consenso - L'utilità oggettiva della pubblicazione del materiale rispondeva a un'esigenza sociale sufficientemente pressante nelle circostanze del caso - Non è stata fatta alcuna distinzione tra le accuse contro la ricorrente e i coimputati nell'annuncio pubblicato dalla polizia in esecuzione dell'ordine del pubblico ministero - Il trattamento dei dati personali relativi alle accuse penali richiedeva una protezione rafforzata a causa della loro particolare sensibilità - Necessità che tali dati sensibili riflettessero accuratamente la situazione e le accuse contro un imputato, Necessità che tali dati sensibili riflettano accuratamente la situazione e le accuse a carico di un imputato, con riferimento al rispetto della presunzione di innocenza - Garanzie nazionali esistenti di notifica preventiva e diritto di appello contro la decisione del pubblico ministero non applicabili in relazione alle accuse in questione - Interferenza non sufficientemente giustificata e sproporzionata
La presente sentenza diventerà definitiva nelle circostanze previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a revisione editoriale.
Nel caso Margari c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Terza Sezione), riunita in Camera composta da:
Pere Pastor Vilanova, Presidente,
Georgios A. Serghides,
Darian Pavli,
Peeter Roosma,
Ioannis Ktistakis,
Andreas Zünd,
Oddný Mjöll Arnardóttir, giudici,
e Milan Blaško, cancelliere di sezione,
visto il ricorso
il ricorso (n. 36705/16) contro la Repubblica ellenica presentato alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da una cittadina greca, la signora Eleni Margari ("la ricorrente"), il 17 giugno 2016;
la decisione di notificare al Governo greco ("il Governo") i reclami ai sensi degli articoli 8 e 13 della Convenzione relativi alla pubblicazione della fotografia della ricorrente insieme alle accuse pendenti nei suoi confronti e alla mancanza di un rimedio al riguardo, e di dichiarare irricevibile il resto del ricorso;
le osservazioni delle parti;
Avendo deliberato in privato il 16 maggio 2023,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:
INTRODUZIONE
1. Il ricorso riguarda la pubblicazione della fotografia e dei dati personali della ricorrente sulla stampa per un periodo di sei mesi dopo che era stata accusata di alcuni reati. La ricorrente lamentava il fatto che la pubblicazione era avvenuta a seguito di un ordine del pubblico ministero in tal senso, senza che lei ne fosse a conoscenza, senza che potesse contestare la decisione e senza che fosse distinta dai suoi coimputati per quanto riguarda i reati di cui era stata accusata, il che ha dato al pubblico l'impressione che fosse stata accusata di reati (forme di) più gravi di quanto fosse in realtà.
I FATTI
2. La ricorrente è nata nel 1978 e vive ad Atene. È stata rappresentata dall'avvocato K. Farmakidis-Markou, che esercita ad Atene.
3. Il Governo era rappresentato dal delegato del suo agente, la sig.ra O. Patsopoulou, consigliere anziano presso il Consiglio giuridico dello Stato.
4. I fatti del caso possono essere riassunti come segue.
5. Il 16 novembre 2015 il ricorrente è stato arrestato nell'ambito di un'indagine di polizia, insieme ad altre sei persone. Il pubblico ministero del Tribunale di Atene ha accusato il ricorrente dei reati di concorso in frode, falsificazione e uso di documenti falsi, nonché di partecipazione a un'organizzazione criminale contraria all'articolo 187 § 5 del codice penale. La ricorrente è stata rilasciata dalla detenzione in attesa di giudizio dopo aver reso la sua memoria difensiva il 19 novembre 2015, a condizione di non lasciare il Paese.
6. La ricorrente è stata accusata di aver aderito a un'organizzazione criminale formata da alcuni dei suoi coimputati al fine di commettere frodi in relazione a transazioni immobiliari. Avrebbero avvicinato i proprietari e i potenziali acquirenti fingendosi agenti immobiliari e, utilizzando documenti contraffatti, avrebbero trasferito o promesso di trasferire la proprietà degli immobili in questione al fine di ricevere un deposito e tenerlo per sé, ottenendo in tal modo più di 700.000 euro.
7. Il 25 novembre 2015 il Dipartimento di Pubblica Sicurezza della Polizia dell'Attica Orientale ha chiesto al pubblico ministero di pubblicare i dati personali e le fotografie degli imputati ai sensi dell'articolo 2 (b) e dell'articolo 3 § 2 della Legge n. 2472/97, al fine di proteggere la società da azioni simili, e di indagare se vi fossero altri casi in cui gli imputati avevano partecipato.
8. A seguito di ciò, la Procura del Tribunale di Atene ha emesso l'ordinanza n. F34/2015, che autorizzava la pubblicazione dei dati personali e delle fotografie di sette degli imputati, tra cui il ricorrente, da parte di qualsiasi organo di informazione e dei relativi siti web per un periodo di sei mesi, dal 2 dicembre 2015 al 2 giugno 2016. L'ordinanza è stata approvata dal procuratore della Corte d'appello di Atene, che ha ritenuto che fossero state soddisfatte tutte le condizioni legali per tale ordinanza.
9. Secondo il ricorrente, l'annuncio è stato pubblicato il 16 dicembre 2015 sul sito web della Polizia ellenica. Si riferiva ai "membri di un'organizzazione criminale che ha commesso frodi a danno dei proprietari di immobili a Psychiko e Voula" (zone dell'Attica). Il ricorrente era la terza persona citata nell'annuncio, che menzionava che le persone descritte erano state incriminate "per i reati di frode commessa congiuntamente, falsificazione e uso di documenti falsi, rilascio di certificati falsi, falsificazione di documenti, presentazione consapevole di una falsa denuncia penale e violazione della legge in relazione al riciclaggio di denaro, come applicabile".
10. Il 26 dicembre 2015 la ricorrente è stata informata da alcuni amici della pubblicazione dei suoi dati personali che erano stati riprodotti in vari media e siti web. Ha quindi richiesto una copia dell'ordinanza del pubblico ministero, che ha ricevuto l'11 gennaio 2016. Nell'ordinanza la ricorrente era menzionata per quarta e i reati di cui ogni imputato era accusato erano distinti dalle accuse contro le altre persone che comparivano nell'annuncio.
11. Al termine dell'indagine principale, gli imputati sono stati rinviati a giudizio presso la Corte d'appello penale di Atene, composta da tre membri. Con sentenza n. 3126/2017 emessa il 22 giugno 2017, la ricorrente è stata condannata a undici anni e sei mesi di reclusione senza effetto sospensivo. La ricorrente e i suoi coimputati hanno presentato ricorso contro tale decisione dinanzi alla Corte d'appello penale di Atene, composta da cinque membri. I ricorsi sono stati discussi il 16 settembre 2022 e in varie date successive. Secondo le informazioni fornite dal governo, la ricorrente non è comparsa davanti alla corte d'appello, né è stata rappresentata, il che comporterà il rigetto del suo ricorso in quanto non difeso. Dal fascicolo risulta che la ricorrente è considerata latitante.
QUADRO GIURIDICO E PRASSI RILEVANTI
DIRITTO EUROPEO
12. Le parti pertinenti della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, in vigore all'epoca dei fatti, successivamente abrogata dal regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (regolamento generale sulla protezione dei dati), recitano come segue:
"(34) considerando che gli Stati membri devono anche essere autorizzati, quando ciò sia giustificato da motivi di rilevante interesse pubblico, a derogare al divieto di trattare categorie sensibili di dati qualora importanti motivi di interesse pubblico lo giustifichino in settori quali la sanità pubblica e la protezione sociale - in particolare al fine di garantire la qualità e l'efficacia dei costi delle procedure utilizzate per liquidare le richieste di prestazioni e servizi nel sistema di assicurazione sanitaria - la ricerca scientifica e le statistiche governative; che spetta loro, tuttavia, fornire garanzie specifiche e adeguate in modo da tutelare i diritti fondamentali e la privacy delle persone fisiche;
...
(45) considerando che, nei casi in cui i dati possono essere legittimamente trattati per motivi di interesse pubblico, di autorità pubblica o di legittimo interesse di una persona fisica o giuridica, qualsiasi persona interessata dovrebbe comunque avere il diritto, per motivi legittimi e convincenti connessi alla sua situazione particolare, di opporsi al trattamento di qualsiasi dato che la riguardi; che gli Stati membri possono tuttavia stabilire disposizioni nazionali contrarie;
..."
Articolo 8
Trattamento di categorie particolari di dati
"...
5. Il trattamento dei dati relativi a reati, condanne penali o misure di sicurezza può essere effettuato solo sotto il controllo di un'autorità ufficiale o se sono previste adeguate garanzie specifiche dalla legislazione nazionale, fatte salve le deroghe che possono essere concesse dallo Stato membro in base alle disposizioni nazionali che prevedono adeguate garanzie specifiche. Tuttavia, un registro completo delle condanne penali può essere conservato solo sotto il controllo dell'autorità ufficiale.
Gli Stati membri possono prevedere che anche i dati relativi a sanzioni amministrative o sentenze in cause civili siano trattati sotto il controllo dell'autorità ufficiale.
..."
Articolo 13
Esenzioni e restrizioni
"1. Gli Stati membri possono adottare misure legislative per limitare la portata degli obblighi e dei diritti di cui all'articolo 6, paragrafo 1, all'articolo 10, all'articolo 11, paragrafo 1, all'articolo 12 e all'articolo 21, qualora tale restrizione costituisca una misura necessaria per la salvaguardia.
...
(d) la prevenzione, l'indagine, l'accertamento e il perseguimento di reati penali o di violazioni dell'etica delle professioni regolamentate;
..."
DIRITTO INTERNO
La Costituzione
13. Gli articoli pertinenti della Costituzione greca recitano come segue:
Articolo 9A
"Tutte le persone hanno il diritto di essere protette dalla raccolta, dal trattamento e dall'utilizzo, in particolare con mezzi elettronici, dei loro dati personali, come specificato dalla legge. La protezione dei dati personali è assicurata da un'autorità indipendente, che è costituita e opera secondo le modalità previste dalla legge".
Articolo 25
"1. I diritti dell'essere umano in quanto individuo e membro della società e il principio dello Stato sociale basato sullo Stato di diritto sono garantiti dallo Stato. Tutti gli agenti dello Stato sono tenuti a garantirne l'esercizio effettivo e senza ostacoli. Tali diritti si applicano anche alle relazioni tra individui, ove opportuno. Le restrizioni di qualsiasi tipo che, in conformità con la Costituzione, possono essere imposte a questi diritti sono previste direttamente dalla Costituzione o da uno statuto, qualora vi sia una riserva corrispondente, e devono rispettare il principio di proporzionalità.
..."
Il Codice penale
14. Gli articoli pertinenti del Codice penale recitano come segue:
Articolo 187
Organizzazione criminale
"1. Può essere punito con la reclusione fino a dieci anni chiunque costituisca o diventi membro di un gruppo strutturato e stabilmente attivo composto da tre o più persone (un'organizzazione) allo scopo di commettere i gravi reati previsti dagli articoli 207 (falsificazione), 208 (circolazione di monete false), 216 (falsificazione di documenti), 218 (falsificazione e abuso di timbri ufficiali), 242 (falsa testimonianza o distorsione), ... 374 (furto aggravato), 375 (appropriazione indebita), 380 (rapina), 385 (estorsione), 386 (frode), 386A (frode informatica), 404 (usura) ...
...
5. Fatti salvi i casi previsti dal paragrafo 1 [del presente articolo], chi si associa ad altri per commettere un reato grave (come organizzazione criminale) è punito con una pena detentiva di almeno sei mesi. Chi si unisce ad altri, come previsto dalla frase precedente, per commettere un reato punibile con almeno un anno di reclusione allo scopo di ricevere un vantaggio finanziario o materiale o di causare un danno alla vita, all'integrità fisica o alla libertà sessuale, è punito con una pena detentiva di almeno tre mesi".
Il Codice civile e la sua legge introduttiva
15. Gli articoli pertinenti del Codice civile prevedono quanto segue:
Articolo 57
"Ogni persona i cui diritti personali siano stati illegittimamente violati ha il diritto di intentare un'azione legale per far cessare la violazione e per impedire ogni futura violazione...
Inoltre, non è escluso il diritto di chiedere il risarcimento dei danni sulla base delle disposizioni relative agli atti illeciti."
Articolo 59
"Nei casi previsti dai due articoli precedenti, il tribunale, quando emette una sentenza su richiesta della persona i cui diritti sono stati violati e tenendo conto della natura della violazione, può anche ordinare alla persona colpevole di risarcire qualsiasi danno non patrimoniale causato. Ciò può comportare il pagamento di una somma di denaro, un annuncio pubblico e/o qualsiasi altra misura adeguata alle circostanze".
16. L'articolo 105 della Legge introduttiva al Codice civile prevede quanto segue:
"Lo Stato è tenuto a risarcire i danni causati da atti od omissioni illegali imputabili ai suoi organi nell'esercizio dei pubblici poteri, salvo il caso in cui l'atto od omissione illegale sia in violazione di una disposizione di legge esistente, ma sia finalizzato al perseguimento dell'interesse pubblico. Il responsabile e lo Stato sono responsabili in solido, fatte salve le disposizioni speciali sulla responsabilità ministeriale".
Legge n. 2472/1997 sulla tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali
17. All'epoca dei fatti, il trattamento dei dati personali era disciplinato dalla legge n. 2472/1997 che recepiva nel diritto greco la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Le disposizioni pertinenti della legge sono le seguenti:
Articolo 2
Definizioni
"...
(b) per "dati sensibili" si intendono i dati relativi all'origine razziale o etnica, alle opinioni politiche, alle convinzioni religiose o filosofiche, all'appartenenza sindacale, alla salute, all'assistenza sociale e alla vita sessuale, alle imputazioni o condanne penali, nonché alla partecipazione ad associazioni che si occupano dei settori summenzionati. In particolare, per quanto riguarda le accuse o le condanne penali, l'ufficio del pubblico ministero può autorizzare la pubblicazione [dei dati personali] in relazione ai reati di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera b), con un ordine del procuratore del tribunale di primo grado, o del procuratore della corte d'appello se il caso è pendente dinanzi alla corte d'appello. L'ordine deve contenere motivazioni dettagliate e specifiche e deve definire le modalità di pubblicazione e la durata della stessa. La pubblicazione ha lo scopo di proteggere la società, i minori o i settori vulnerabili o svantaggiati della popolazione e di facilitare il compito dello Stato di punire i reati di cui sopra. L'imputato o il condannato può presentare ricorso contro il provvedimento del pubblico ministero entro due giorni dalla sua notifica, al capo della Procura del Tribunale di primo grado o della Corte d'appello se il caso è pendente davanti alla corte d'appello, che decide entro due giorni. Fino alla decisione del procuratore competente, l'esecuzione dell'ordine e la pubblicazione dei dati sono vietate.
In via eccezionale, in relazione ai reati gravi di cui all'articolo 187 e all'articolo 187 A e al 19° capitolo del Codice penale, ossia i "reati contro la libertà sessuale e i reati di sfruttamento economico della vita sessuale", l'ordine del pubblico ministero deve essere eseguito immediatamente e deve essere approvato entro ventiquattro ore dal capo della Procura della Corte d'appello se è stato emesso dal procuratore del Tribunale di primo grado. In caso contrario, cessa automaticamente di essere valida allo scadere del termine di ventiquattro ore.
Le disposizioni delle due frasi precedenti si applicano per analogia a tutti i reati in cui l'autore del reato è considerato dal procuratore competente come un particolare pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza ed è ricercato per l'arresto o quando l'indirizzo di residenza dell'autore del reato è sconosciuto".
Articolo 3
"...
2. Le disposizioni della presente legge non si applicano al trattamento dei dati personali:
...
(b) da parte delle autorità giudiziarie e giudiziarie e dei servizi che agiscono sotto la loro immediata supervisione nell'amministrazione della giustizia o per le loro esigenze operative nell'investigazione di atti criminali che sono puniti come reati gravi o reati commessi intenzionalmente, e in particolare i reati contro la vita, contro la libertà sessuale, relativi allo sfruttamento finanziario della libertà sessuale, contro la libertà personale, contro la proprietà, contro i diritti finanziari, le violazioni della legge relativa agli stupefacenti, le minacce alla sicurezza pubblica o i reati contro i minori ...
A quanto sopra si applicano le disposizioni penali sostanziali e procedurali vigenti".
Autorità ellenica per la protezione dei dati
18. L'Autorità ellenica per la protezione dei dati ha emesso la decisione n. 128/2012 sulla pubblicazione dei dati personali di alcune persone accusate di reati penali nel contesto di altri casi nazionali. In essa si affermava, tra l'altro, quanto segue:
"...
3. Più specificamente, va da sé che le autorità inquirenti, nell'esercizio dei loro suddetti poteri, in quanto garanti dell'osservanza della Costituzione e della legge, applicheranno l'articolo 9A della Costituzione..., nonché le disposizioni sostanziali della legge n. 2472/1997 e in particolare il principio di proporzionalità. Di conseguenza, agendo in conformità a tale principio, valuteranno se, per raggiungere gli scopi della suddetta disposizione [articolo 2, lettera b), seconda frase] (il cui ricorso dovrebbe essere limitato), sia necessario pubblicare dati personali relativi a imputazioni o condanne penali, e terranno conto del fatto che la pubblicazione ai sensi della suddetta disposizione è tollerata, in conformità alla Costituzione e alla legge n. 2472/1997, solo se i dati personali sono stati pubblicati in un'unica soluzione. 2472/1997, solo se i dati personali pubblicati sono assolutamente necessari e appropriati per raggiungere lo scopo perseguito, come indicato nell'ordine del pubblico ministero, sia per la protezione della società o dei minori, sia per indagare sulla piena portata del particolare reato per il quale sono state formulate le accuse e sono in corso le indagini preliminari o principali, nell'ambito delle quali è stata ordinata la pubblicazione. Inoltre, la persona che emette l'ordine valuterà se tale obiettivo può essere raggiunto solo con riferimento all'azione penale e ai dati che identificano il presunto autore che sono assolutamente necessari e strettamente legati al caso ed eviterà qualsiasi pubblicazione eccessiva di dati personali, in particolare di dati sensibili, in considerazione delle conseguenze onerose della pubblicazione di tali dati, che nella maggior parte dei casi sono irreversibili ..."
LA LEGGE
QUESTIONE PRELIMINARE - PROSECUZIONE DELL'ESAME DELLA DOMANDA AI SENSI DELL'ARTICOLO 37
19. In risposta a una domanda scritta alla ricorrente se vi fossero ancora contatti tra lei e il suo rappresentante, il rappresentante ha indicato di aver avuto comunicazioni sporadiche con la ricorrente fino al 2022, ma che quando aveva cercato di contattarla dopo aver ricevuto lettere dalla cancelleria della Corte, non aveva avuto successo. Ha dichiarato di non poter ragionevolmente concludere che la sua procura fosse stata revocata o che la ricorrente volesse ritirare la sua domanda alla Corte. Ha aggiunto di essere consapevole che la ricorrente soffriva di vari problemi di salute mentale e fisica, ma che questi non erano così gravi da far pensare che non avesse più la capacità di perseguire i propri diritti e interessi legali.
20. Alla luce di queste circostanze, la Corte ritiene necessario esaminare innanzitutto se sia giustificato proseguire l'esame del ricorso alla luce dei criteri stabiliti dall'articolo 37 della Convenzione, che recita come segue:
"1. La Corte può, in qualsiasi fase del procedimento, decidere di stralciare una domanda dal suo elenco di cause quando le circostanze portano a concludere che
(a) il richiedente non intende proseguire la sua domanda; o
(b) la questione è stata risolta; o
(c) per qualsiasi altro motivo stabilito dalla Corte, non è più giustificato continuare l'esame della domanda.
Tuttavia, la Corte continuerà l'esame della domanda se il rispetto dei diritti umani come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli lo richiede."
21. I principi pertinenti e la giurisprudenza della Corte in materia sono stati riassunti in N.D. e N.T. c. Spagna ([GC] nn. 8675/15 e 8697/15, §§ 72-77, 13 febbraio 2020).
22. La Corte osserva che, nel caso di specie, la lettera del rappresentante mette in dubbio la sua continua comunicazione con il ricorrente a partire dal 2022, nonché la volontà del ricorrente di portare avanti la domanda. Ciò detto, la Corte osserva che, anche se le circostanze di un caso portano a concludere che un richiedente non desidera più portare avanti la domanda, essa può continuare il suo esame "se il rispetto dei diritti umani, come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli, lo richiede" (articolo 37 § 1 in fine). Le circostanze che riguardano il rispetto dei diritti umani come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli e che richiedono il proseguimento dell'esame della domanda sussistono quando tale esame contribuirebbe a chiarire, salvaguardare e sviluppare gli standard di protezione previsti dalla Convenzione (si veda, ad esempio, Konstantin Markin c. Russia [GC], no. 30078/06, § 90, CEDU 2012 (estratti)).
23. La Corte ritiene che l'oggetto del presente ricorso - la pubblicazione di dati personali da parte delle autorità inquirenti nell'ambito di un procedimento penale in corso - comporti un'importante questione di interesse generale non solo per la Grecia, ma anche per gli altri Stati parti della Convenzione. Esistono pertanto circostanze particolari relative al rispetto dei diritti umani come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli che richiedono un ulteriore esame del ricorso nel merito.
PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
24. La ricorrente ha lamentato che la pubblicazione della sua fotografia e dei suoi dati personali sulla stampa per un periodo di sei mesi dopo l'imputazione di alcuni reati ha violato il suo diritto alla vita privata come previsto dall'articolo 8 della Convenzione, che recita come segue:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. L'esercizio di tale diritto non può essere oggetto di alcuna ingerenza da parte di un'autorità pubblica, salvo quella prevista dalla legge e necessaria, in una società democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza o del benessere economico del Paese, per la prevenzione di disordini o crimini, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui".
Ammissibilità
Argomenti delle parti
25. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non aveva esaurito le vie di ricorso interne disponibili. In particolare, la ricorrente aveva presentato il ricorso alla Corte il 17 giugno 2016, ossia dopo la scadenza della validità del provvedimento del pubblico ministero in base al quale erano stati pubblicati la sua fotografia e i suoi dati personali. Ciò significa che, presentando il ricorso alla Corte, la ricorrente chiedeva l'accertamento a posteriori di una violazione del suo diritto alla privacy e potenzialmente il riconoscimento di un risarcimento a titolo di giusta soddisfazione. Tuttavia, avrebbe potuto ottenere tale risultato presentando un ricorso ai sensi degli articoli 57 e 59 del Codice civile e dell'articolo 105 della Legge introduttiva al Codice civile in combinato disposto con l'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e l'articolo 8 della Convenzione. Basandosi su una serie di sentenze della Corte Suprema Amministrativa e dei tribunali amministrativi, il Governo ha sostenuto che una richiesta di risarcimento per danni causati da atti o omissioni illegali da parte dello Stato può portare a un risarcimento per danni pecuniari e non pecuniari ed è quindi un rimedio legale appropriato ed efficace che i richiedenti dovrebbero utilizzare, sia che attribuiscano l'azione illegale al pubblico ministero (in quanto parte della magistratura), alla polizia o al legislatore. La Corte Suprema Amministrativa, con la sentenza n. 799/2021, ha inoltre stabilito che la responsabilità dello Stato per il risarcimento ai sensi dell'articolo 105 della Legge introduttiva al Codice civile è impegnata anche quando la violazione riguarda un trattato internazionale piuttosto che la legge nazionale. Il Governo ha inoltre osservato che la Corte ha riconosciuto la disponibilità e l'efficacia di tale rimedio per presunte violazioni dell'articolo 8 e dell'articolo 6 § 2 della Convenzione nella causa Anastassakos c. Grecia ((dec.), no. 41380/06, 3 maggio 2011).
26. La ricorrente ha risposto che, al momento in cui aveva presentato il ricorso alla Corte, vi era stata una sola sentenza della Corte amministrativa suprema (n. 1501/2014) in cui si era affermato che un'azione di risarcimento poteva essere intentata anche quando il danno in questione era stato causato da un manifesto errore di giudizio da parte di un organo giudiziario. Solo di recente la Corte Suprema Amministrativa ha affermato senza ambiguità che la responsabilità dello Stato è impegnata da atti e omissioni degli organi giudiziari (sentenza n. 799/2021). Considerando che, al momento della presentazione del ricorso, la giurisprudenza della Corte suprema amministrativa indicava chiaramente che qualsiasi azione contro la decisione del pubblico ministero sarebbe stata inefficace, la ricorrente ha sostenuto che non era tenuta a ricorrere a tale rimedio giuridico.
La valutazione della Corte
(a) Principi generali
27. Il diritto alla protezione della propria reputazione è un diritto tutelato dall'articolo 8 della Convenzione come parte del diritto al rispetto della vita privata (si veda Axel Springer AG c. Germania [GC], no. 39954/08, § 83, 7 febbraio 2012; Polanco Torres e Movilla Polanco c. Spagna, no. 34147/06, § 40, 21 settembre 2010; e Pfeifer c. Austria, no. 12556/03, § 35, 15 novembre 2007, e le autorità ivi citate). Ciò vale anche per l'onore di una persona (cfr. A. c. Norvegia, n. 28070/06, § 64, 9 aprile 2009; Sanchez Cardenas c. Norvegia, n. 12148/03, § 38, 4 ottobre 2007; e Egill Einarsson c. Islanda, n. 24703/15, § 33, 7 novembre 2017). Il concetto di "vita privata" è un termine ampio non suscettibile di una definizione esaustiva (si veda, tra le altre autorità, Fernández Martínez c. Spagna [GC], no. 56030/07, § 109, CEDU 2014, e Gillberg c. Svezia [GC], no. 41723/06, § 66, 3 aprile 2012) che riguarda l'integrità fisica e psicologica di una persona e può quindi comprendere molteplici aspetti dell'identità di una persona, come il nome o elementi relativi al diritto alla propria immagine (cfr. S. e Marper c. Regno Unito [GC], nn. 30562/04 e 30566/04, § 66, CEDU 2008, e Axel Springer AG, sopra citata, § 83, con ulteriori riferimenti). Esso riguarda le informazioni personali che le persone possono legittimamente aspettarsi non vengano pubblicate senza il loro consenso (cfr. Axel Springer AG, sopra citata, § 83; Saaristo e altri c. Finlandia, n. 184/06, § 61, 12 ottobre 2010; e Flinkkilä e altri c. Finlandia, n. 25576/04, § 75, 6 aprile 2010).
28. Il concetto di vita privata include elementi relativi al diritto di una persona alla propria immagine, e la pubblicazione di una fotografia rientra nell'ambito della vita privata (si veda Gurgenidze v. Georgia, no. 71678/01, § 55, 17 ottobre 2006; Sciacca v. Italia, no. 50774/99, § 29, CEDU 2005-I; e Von Hannover c. Germania, no. 59320/00, §§ 50-53, CEDU 2004-VI). L'immagine di una persona costituisce uno dei principali attributi della sua personalità, in quanto rivela le sue caratteristiche uniche e la distingue dai suoi simili. Il diritto di ogni persona alla protezione della propria immagine è quindi una delle componenti essenziali dello sviluppo personale e presuppone il diritto di controllare l'uso di tale immagine. Mentre nella maggior parte dei casi il diritto di controllare tale uso implica la possibilità per un individuo di rifiutare la pubblicazione della propria immagine, esso comprende anche il diritto dell'individuo di opporsi alla registrazione, alla conservazione e alla riproduzione dell'immagine da parte di un'altra persona (si veda López Ribalda e altri c. Spagna [GC], nn. 1874/13 e 8567/13, § 89, 17 ottobre 2019, con ulteriori riferimenti).
29. La Corte ribadisce che, affinché l'articolo 8 entri in gioco, un attacco alla reputazione o all'onore di una persona deve raggiungere un certo livello di gravità ed essere attuato in modo da arrecare pregiudizio al godimento personale del diritto al rispetto della vita privata (si veda Bédat c. Svizzera [GC], n. 56925/08, § 72, CEDU 2016).
30. Ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione, la Corte può trattare un ricorso solo dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne che si riferiscono alle violazioni denunciate e che sono anche disponibili e sufficienti. La Corte ribadisce inoltre che spetta al Governo che invoca il mancato esaurimento dimostrare che il rimedio era effettivo e disponibile in teoria e in pratica all'epoca dei fatti, vale a dire che era accessibile, in grado di fornire un rimedio alle lamentele del ricorrente e offriva ragionevoli prospettive di successo (si vedano, in particolare, Selmouni c. Francia [GC], no. 25803/94, § 76, CEDU 1999-V; Sejdovic c. Italia [GC], no. 56581/00, § 46, CEDU 2006-II; Vučković e altri c. Serbia (obiezione preliminare) [GC], no. 17153/11 e altri 29, § 74, 25 marzo 2014; e Gherghina c. Romania [GC] (dec.), no. 42219/07, § 85, 9 luglio 2015). Una volta soddisfatto tale onere della prova, spetta al richiedente dimostrare che il rimedio proposto dal Governo è stato effettivamente utilizzato o che, per qualche motivo, era inadeguato e inefficace nelle particolari circostanze del caso, o che esistevano circostanze speciali che lo esoneravano dall'obbligo (cfr. Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Reports of Judgments and Decisions 1996-IV, e Prencipe c. Monaco, no. 43376/06, § 93, 16 luglio 2009).
(b) Applicazione nel presente caso
31. Passando alle circostanze del caso di specie, è incontestato che la diffusione della fotografia della ricorrente e dei dettagli delle accuse penali a suo carico abbia raggiunto il livello di gravità richiesto per attirare la protezione dell'articolo 8 della Convenzione e la Corte non vede alcun motivo per ritenere il contrario.
32. Per quanto riguarda l'obiezione del Governo relativa al requisito dell'esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte osserva che, nella misura in cui il reclamo della ricorrente si riferisce all'ordine del pubblico ministero, al momento in cui la ricorrente ha presentato il suo ricorso, non era stato riconosciuto in modo inequivocabile dalla giurisprudenza interna che un individuo potesse essere risarcito ai sensi dell'articolo 105 della legge introduttiva al codice civile per gli errori commessi dall'autorità giudiziaria. La decisione in materia addotta dal Governo, che riconosce la possibile responsabilità dello Stato per gli errori commessi dalla magistratura in violazione del diritto dell'UE, risale al 2021 (Plenaria della Corte suprema amministrativa, decisione n. 799/2021). A questo proposito, la Corte ribadisce che l'obbligo per il richiedente di esaurire le vie di ricorso interne è normalmente determinato con riferimento alla data di presentazione del ricorso alla Corte (cfr. Baumann c. Francia, no. 33592/96, § 47, CEDU 2001-V (estratti)). Inoltre, l'articolo 105 della Legge introduttiva al Codice civile richiede un atto o un'omissione illegale da parte dello Stato affinché un individuo abbia il diritto di essere risarcito (si veda Dikaiou e altri c. Grecia, n. 77457/13, § 71, 16 luglio 2020). Nel caso di specie, la ricorrente non ha contestato che le azioni del pubblico ministero fossero conformi alla legge; piuttosto, si è concentrata sulle disposizioni di legge che prevedevano la procedura seguita dalle autorità nazionali, sostenendo che fossero sproporzionate e in violazione dei suoi diritti ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione. Pertanto, questo caso dovrebbe essere distinto da Anastassakos (citato in precedenza), che è stato citato dal Governo, ma che riguardava la divulgazione di un rapporto confidenziale ai media in violazione del diritto interno. Il Governo non ha prodotto alcuna decisione nazionale in cui i tribunali abbiano risarcito un individuo per atti conformi al diritto interno ma in violazione della Convenzione. In particolare, a parte la decisione n. 799/2021, emessa molto tempo dopo la presentazione del presente ricorso alla Corte, le decisioni addotte dal Governo non riguardano errori commessi dalla magistratura.
33. Per quanto riguarda la parte della denuncia del ricorrente relativa alla presentazione errata delle accuse nel sito web della polizia, la Corte osserva che la pubblicazione della fotografia del ricorrente e dei dati pertinenti da parte della polizia è avvenuta in esecuzione dell'ordine del pubblico ministero. Secondo la decisione nazionale n. 1501/2014 della Plenaria della Corte suprema amministrativa, citata dal ricorrente sopra, le azioni della polizia in esecuzione di un ordine del pubblico ministero non dovrebbero essere attribuite a loro senza essere collegate a tale ordine. Da tale decisione nazionale si evince che, qualora il ricorrente presentasse un ricorso ai sensi dell'articolo 105 della legge introduttiva al codice civile contro la pubblicazione dei dati rilevanti da parte della polizia, rientrerebbe comunque nella giurisprudenza relativa agli errori commessi dalla magistratura, che, ai sensi di tale decisione, richiede un errore manifesto di giudizio per stabilire la responsabilità dello Stato. In ogni caso, e se la pubblicazione dovesse essere considerata isolata dall'ordine del pubblico ministero, il ricorrente non ha sostenuto che tale pubblicazione fosse in violazione del diritto interno, condizione necessaria per l'applicazione dell'articolo 105 della Legge introduttiva al Codice civile. Le argomentazioni del ricorrente si concentrano piuttosto sul fatto che non vi sono sufficienti dettagli per distinguere ciascun imputato dagli altri in relazione ai reati contestati (si veda il paragrafo 39). A parere della Corte, tale azione non avrebbe alcuna possibilità di successo e il Governo non ha prodotto alcuna giurisprudenza pertinente per dimostrare il contrario.
34. Alla luce di queste considerazioni, e in assenza di giurisprudenza interna pertinente, la Corte conclude che il rimedio proposto dal Governo non era efficace nelle circostanze del caso di specie e il ricorrente non doveva farvi ricorso.
35. La Corte osserva inoltre che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per altri motivi elencati nell'articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
Il merito
Argomenti delle parti
36. La ricorrente ha sostenuto che la pubblicazione della sua fotografia e dei suoi dati personali sulla stampa per un periodo di sei mesi dopo la sua incriminazione per alcuni reati, senza che lei fosse a conoscenza della pubblicazione, senza che potesse contestare la decisione e senza che fosse distinta dai suoi coaccusati per quanto riguarda i reati di cui era stata accusata, ha dato luogo a una violazione dell'articolo 8 della Convenzione. L'annuncio sulla stampa aveva dato al pubblico l'impressione che fosse stata accusata di reati (forme di) più gravi di quanto fosse in realtà, mentre allo stesso tempo non aveva potuto presentare ricorso presso il procuratore della Corte d'Appello contro la decisione del procuratore presso il Tribunale di primo grado.
37. La procedura seguita nel caso della ricorrente non aveva comportato una valutazione della necessità di pubblicare i dati e la fotografia della ricorrente. La procedura automatica che ha permesso al pubblico ministero di pubblicare tali dati con il pretesto di essere "utili" significava quindi che la legge greca violava la Convenzione; in alternativa, la mancanza di giustificazione per la pubblicazione indicava una presunzione di colpevolezza del ricorrente, nel qual caso la violazione dell'articolo 8 era evidente.
38. Inoltre, l'annuncio sulla stampa non aveva fatto una distinzione tra la formazione di un'organizzazione criminale ai sensi dell'articolo 187 § 1, di cui erano stati accusati i coimputati della ricorrente, e la partecipazione a un'organizzazione criminale ai sensi dell'articolo 187 § 5 del codice penale greco, di cui era stata accusata la ricorrente, né aveva menzionato il fatto che fosse stata rilasciata dopo la sua dichiarazione difensiva, il che indicava l'esistenza di un livello inferiore di sospetto di colpevolezza. La pratica di pubblicare tutti i dati insieme senza differenziare gli imputati non era corretta, dato che le informazioni sulle accuse penali dovrebbero sempre essere accurate.
39. Infine, il ricorrente ha osservato che vi era una differenza tra l'ordine del pubblico ministero e l'annuncio della polizia, che era stato pubblicato anche sulla stampa. Nel primo, gli imputati erano stati distinti per quanto riguarda i reati esatti di cui erano stati accusati, mentre nel secondo le accuse erano apparse senza le relative distinzioni. Tuttavia, il ricorrente non poteva lamentarsi presso i tribunali nazionali di tale differenza, anche se era responsabilità del pubblico ministero controllare l'esecuzione dei suoi ordini.
40. Il Governo ha affermato che un individuo ha diritto alla protezione dei propri dati personali ai sensi dell'articolo 9A della Costituzione greca. Secondo la giurisprudenza nazionale e le decisioni dell'Autorità ellenica per la protezione dei dati, qualsiasi interferenza con tale diritto dovrebbe rispettare il principio di proporzionalità. Nel caso di specie, la pubblicazione della fotografia e dei dati personali del ricorrente era stata autorizzata ai sensi dell'articolo 2 (b) e dell'articolo 3 § 2 (b) della legge n. 2472/1997, che aveva recepito la direttiva 95/46/UE nell'ordinamento greco. Inoltre, il considerando 43 del preambolo di tale direttiva consentiva agli Stati membri di imporre restrizioni se necessarie per le indagini e le azioni penali.
41. Inoltre, l'articolo 8 della suddetta direttiva prevedeva il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali a condizione che fosse sotto il controllo di un'autorità pubblica. Infine, come previsto dall'articolo 3, paragrafo 2, lettera b), della legge n. 2472/1997, tale legge non si applicava al trattamento dei dati personali da parte delle autorità giudiziarie o giudiziarie nell'ambito della giustizia penale.
42. Per quanto riguarda la ricorrente, il Governo ha osservato che era stata accusata di partecipazione a un'organizzazione criminale ai sensi dell'articolo 187 del Codice penale. Dopo la formulazione delle accuse, la polizia aveva chiesto al pubblico ministero di pubblicare fotografie e dati personali degli imputati del caso. Il procuratore del Tribunale di primo grado, ritenendo che i reati di cui erano accusati gli imputati avessero compromesso il valore dell'essere umano tutelato dall'articolo 2 della Costituzione, ha ordinato la pubblicazione dei dati personali di sette imputati, tra cui la ricorrente, con l'obiettivo di proteggere la società e facilitare le indagini su altri possibili reati che avrebbero potuto commettere.
43. In ogni caso, l'ordine del pubblico ministero n. F34/2015 aveva esplicitamente menzionato le accuse contro ogni singolo imputato e le relative disposizioni del Codice penale, nonché le pertinenti disposizioni della legge n. 2472/1997 che consentono la pubblicazione. Per quanto riguarda la ricorrente, è stato menzionato che è stata accusata di concorso in truffa (articoli 47 e 368 del Codice penale), concorso in falsificazione e uso di documenti falsi (articoli 216 e 217 del Codice penale) e partecipazione a un'organizzazione criminale (articolo 187 del Codice penale). Inoltre, la pubblicazione era stata ordinata per un periodo di tempo limitato, ovvero dal 2 dicembre 2015 alle ore 12.00 al 2 giugno 2016 alle ore 12.00.
44. Poiché tra i reati vi era quello di appartenenza a un'organizzazione criminale previsto dall'articolo 187 del Codice penale, il suddetto ordine del pubblico ministero non era stato notificato al ricorrente, ma era stato sottoposto all'approvazione del procuratore della Corte d'appello ai sensi dell'articolo 2 (b) della legge n. 2472/1997, e a seguito di ciò era stato trasferito alla polizia per l'esecuzione.
45. Il Governo ha quindi sostenuto che non vi è stata alcuna violazione della Costituzione greca o della Convenzione. La pubblicazione dei dati personali e della fotografia del ricorrente era prevista dalla legge e aveva perseguito uno scopo legittimo, ossia la protezione della società e l'indagine su altri reati che gli imputati avrebbero potuto commettere. Inoltre, tali finalità erano state esplicitamente menzionate nell'ordinanza del pubblico ministero. La pubblicazione era stata ordinata solo per un periodo di tempo limitato, che era il periodo minimo per raggiungere gli obiettivi sopra menzionati, ed era avvenuta dopo che la sua legittimità era stata riesaminata da due procuratori, ovvero il procuratore presso il Tribunale di primo grado e il procuratore presso la
Corte d'appello.
La valutazione della Corte
(a) Principi generali
46. I principi generali pertinenti sono stati recentemente ribaditi in L.B. c. Ungheria [GC] (n. 36345/16, §§ 108-109, 115 e 118-126, 9 marzo 2023) con ulteriori riferimenti.
47. La necessità di proteggere la riservatezza di alcuni tipi di dati personali può talvolta essere superata dall'interesse pubblico all'indagine e al perseguimento dei reati e dalla natura pubblica dei procedimenti giudiziari (si vedano Avilkina e altri c. Russia, 2013, § 45, e Z c. Finlandia, 25 febbraio 1997, § 97, Rapporti 1997-I). Alle autorità nazionali competenti dovrebbe essere concesso un certo margine di manovra nel trovare un giusto equilibrio tra, da un lato, la protezione della natura pubblica dei procedimenti giudiziari, necessaria per mantenere la fiducia nei tribunali, e, dall'altro, gli interessi di una parte o di un terzo a mantenere la riservatezza dei propri dati (cfr. C.C. c. Spagna, n. 1425/06, § 35, 6 ottobre 2009). Qualsiasi misura suscettibile di rendere pubblici i dati personali di un individuo, che sia o meno parte o terzo in un procedimento giudiziario, dovrebbe rispondere a un'esigenza sociale prevalente (si veda Vicent Del Campo c. Spagna, n. 25527/13, § 46, 6 novembre 2018) e dovrebbe essere limitata per quanto possibile a ciò che è reso strettamente necessario dalle caratteristiche specifiche del procedimento (si veda L.L. c. Francia, n. 7508/02, § 45, CEDU 2006-XI).
48. Per quanto riguarda l'uso di una fotografia, la Corte ha ritenuto che quando una fotografia pubblicata nell'ambito di un servizio giornalistico su un procedimento penale in corso non ha di per sé alcun valore informativo, devono esistere ragioni convincenti per giustificare un'interferenza con il diritto dell'imputato al rispetto della sua vita privata (si veda Khuzhin e altri c. Russia, n. 13470/02, § 117, 23 ottobre 2008).
49. Infine, la Corte ha riconosciuto che, alla luce dell'articolo 10 della Convenzione, l'articolo 6 § 2 non può impedire alle autorità di informare il pubblico sulle indagini penali in corso, ma richiede che lo facciano con tutta la discrezione e la cautela necessarie per rispettare la presunzione di innocenza (cfr. Allenet de Ribemont c. Francia, 10 febbraio 1995, § 38, Serie A n. 308). Allo stesso modo, ha accettato che la pubblicazione di fotografie di persone sospette non può di per sé costituire una violazione della presunzione di innocenza (cfr. Y.B. e altri c. Turchia, nn. 48173/99 e 48319/99, § 47, 28 ottobre 2004).
(b) Applicazione dei principi di cui sopra nel caso di specie
50. Passando alle circostanze del caso di specie, la Corte ritiene, ed è stato incontestato tra le parti, che vi sia stata un'interferenza con il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata. Resta quindi da esaminare se l'ingerenza sia giustificata ai sensi dell'articolo 8 § 2. Tale ingerenza darà luogo a una violazione del diritto al rispetto della vita privata. Tale ingerenza darà luogo a una violazione dell'articolo 8 della Convenzione a meno che non si possa dimostrare che era "conforme alla legge", perseguiva uno o più degli scopi legittimi di cui al paragrafo 2 ed era "necessaria in una società democratica" per raggiungerli.
51. A questo proposito, è indiscusso tra le parti che la suddetta interferenza era conforme alla legge. In particolare, l'articolo 2 (b) della legge n. 2472/1997, in vigore all'epoca dei fatti, consentiva al pubblico ministero di ordinare la pubblicazione di dati personali in relazione a determinati reati di cui all'articolo 3 § 2 della stessa legge, a determinate condizioni, quali la notifica all'interessato dei dati personali, l'inclusione dei motivi dell'ordine e il diritto dell'interessato di presentare ricorso. L'articolo 2, lettera b), prevedeva una deroga ad alcune delle condizioni summenzionate per alcuni reati, tra cui la creazione e l'adesione a un'organizzazione criminale. La Corte riconosce quindi che l'ingerenza era conforme alla legge.
52. Per quanto riguarda la questione se la pubblicazione perseguisse uno degli scopi legittimi di cui all'articolo 8 § 2 della Convenzione, la Corte osserva che le disposizioni nazionali summenzionate specificavano che tale pubblicazione serviva a proteggere la società, in particolare i minori e i settori vulnerabili o svantaggiati della popolazione, e facilitava il compito dello Stato di punire i reati summenzionati. Il pubblico ministero, nella sua ordinanza n. F34/2015, ha giustificato la pubblicazione della fotografia e dei dati facendo riferimento alla necessità di proteggere la società e di favorire la raccolta di ulteriori informazioni in relazione a tali o ulteriori reati. La Corte conclude pertanto che la pubblicazione è avvenuta per proteggere i diritti e le libertà altrui, perseguendo così finalità legittime ai sensi dell'articolo 8 § 2 della Convenzione.
53. Resta quindi da verificare se la pubblicazione fosse necessaria in una società democratica per raggiungere gli obiettivi sopra menzionati. A questo proposito, la Corte ribadisce che un'ingerenza sarà considerata "necessaria in una società democratica" per perseguire uno scopo legittimo se risponde a un "bisogno sociale pressante" e, in particolare, se è proporzionata allo scopo legittimo perseguito e se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificarla sono "pertinenti e sufficienti" (si vedano, ad esempio, Fernández Martínez, sopra citata, § 124, e S. e Marper, sopra citata, § 101, e le autorità ivi citate). Nei casi riguardanti la divulgazione di dati personali, la Corte ha riconosciuto che alle autorità nazionali competenti deve essere concesso un margine di apprezzamento nel trovare un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in conflitto. Tuttavia, questo margine va di pari passo con la supervisione europea (cfr. Funke c. Francia, 25 febbraio 1993, § 55, Serie A n. 256-A) e la sua portata dipende da fattori quali la natura e la gravità degli interessi in gioco e la gravità dell'interferenza (cfr. Z c. Finlandia, sopra citata, § 99).
54. Nel caso di specie, il ricorrente è stato accusato di alcuni reati. Il pubblico ministero si è avvalso del suo potere legale di ordinare la pubblicazione di fotografie degli imputati insieme ai reati di cui erano stati accusati, specificando i motivi della pubblicazione e il periodo di tempo per cui l'ordine sarebbe stato valido, ossia sei mesi. A questo proposito, la Corte riconosce che i procedimenti penali hanno caratteristiche specifiche che devono essere prese in considerazione (cfr. Vicent del Campo, sopra citato, § 47). In particolare, ribadisce che la necessità di proteggere la riservatezza di alcuni tipi di dati personali può talvolta essere superata dall'interesse all'indagine e al perseguimento dei reati e dalla natura pubblica dei procedimenti giudiziari (si vedano, mutatis mutandis, Avilkina e altri, sopra citata, § 45, e Z c. Finlandia, sopra citata, § 97). Tuttavia, il fatto di essere oggetto di un procedimento penale non limita la portata della più ampia protezione della sua vita privata di cui la ricorrente gode in quanto "persona comune" (si veda Sciacca, sopra citata, § 29, e Khuzhin e altri, sopra citata).
55. A questo proposito, la Corte osserva che nel caso di specie il pubblico ministero ha fatto riferimento alla necessità di raccogliere maggiori informazioni su altri possibili reati che l'imputato avrebbe potuto commettere e alla protezione della società come scopi legittimi richiesti per giustificare la pubblicazione. Inoltre, l'ordinanza del pubblico ministero conteneva solo le informazioni strettamente necessarie per raggiungere tali obiettivi, ovvero la fotografia e i reati di cui il ricorrente era stato accusato, senza alcuna ulteriore dichiarazione che potesse essere considerata una potenziale violazione della presunzione di innocenza. Questa situazione può quindi essere distinta da quella di Khuzhin e altri (citata sopra), in cui la Corte ha ritenuto che la pubblicazione della fotografia dell'imputato non avesse alcun valore informativo, poiché il ricorrente in quel caso era in stato di detenzione. Nel caso di specie, la ricorrente non era in stato di detenzione e, secondo la Corte, le autorità potevano legittimamente ottenere il sostegno dell'opinione pubblica per indagare se vi fossero altri reati in cui la ricorrente e i suoi coimputati avrebbero potuto essere coinvolti.
56. La Corte ha già affermato che l'utilità oggettiva delle fotografie scattate dalle autorità dopo l'arresto di un individuo sospettato di aver commesso un reato può rendere la loro conservazione "necessaria in una società democratica" ai fini della lotta alla criminalità (si veda Suprunenko c. Russia (dec.), n. 8630/11, § 65, 19 giugno 2018). Le stesse considerazioni valgono nel contesto della pubblicazione della fotografia della ricorrente insieme alle informazioni sulle accuse a suo carico, ossia che l'utilità oggettiva della pubblicazione del materiale in questione serviva un'esigenza sociale sufficientemente pressante nelle circostanze prevalenti e tenendo conto del fatto che è cessata dopo un periodo di sei mesi.
57. Passando a valutare la proporzionalità di tale pubblicazione e se le autorità abbiano fornito motivazioni pertinenti e sufficienti, la Corte osserva che il diritto interno greco prevede alcune garanzie quando il pubblico ministero ordina la pubblicazione di dati personali e fotografie nell'ambito di un procedimento penale in corso, come la notifica preventiva all'imputato e il diritto di ricorso. Tuttavia, nel caso specifico della costituzione o dell'adesione a un'organizzazione criminale, le suddette garanzie non si applicano. In particolare, la ricorrente non è stata informata ufficialmente della pubblicazione della sua fotografia e dei suoi dati personali, né prima della pubblicazione né dopo, ma ne è stata informata casualmente attraverso i suoi amici. La Corte contesta questo aspetto del diritto interno. In particolare, ha già riscontrato una violazione dell'articolo 8 della Convenzione in casi in cui le fotografie di persone accusate erano state fornite alla stampa senza il loro consenso, quando non vi era alcuna base per questo nel diritto interno (si veda Sciacca, citato sopra, § 30) o quando l'interferenza non era giustificata (si veda Khuzhin e altri, citato sopra, § 117). Sebbene un obbligo giuridicamente vincolante di ottenere il consenso di un imputato prima della pubblicazione della sua fotografia e delle accuse subite possa essere in contrasto con lo scopo della legge, la Corte ritiene tuttavia che la ricorrente avrebbe dovuto essere almeno informata prima della diffusione della sua fotografia e dei dettagli delle accuse penali pendenti, dal momento che il fatto di essere oggetto di un procedimento penale non limitava la portata della più ampia protezione della sua vita privata di cui godeva in quanto "persona comune" (si veda Sciacca, sopra citata, § 29).
58. Inoltre, la ricorrente non aveva il diritto di ricorrere contro l'ordine del pubblico ministero di pubblicare la sua fotografia e i suoi dati personali. La legge prevedeva che, per determinate categorie di reati, l'ordine sarebbe stato immediatamente in vigore e sarebbe stato approvato dal procuratore della Corte d'appello, ma senza specificare i criteri per tale approvazione (si veda il paragrafo 17 supra). Anche se l'articolo 8 della Convenzione non contiene requisiti procedurali espliciti, è importante, ai fini dell'effettivo godimento dei diritti garantiti da questa disposizione, che il relativo processo decisionale sia equo e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi da esso tutelati. Tale processo può richiedere l'esistenza di un quadro procedurale efficace che consenta al richiedente di far valere i propri diritti ai sensi dell'articolo 8 in condizioni di equità (si veda Ciubotaru c. Moldavia, n. 27138/04, § 51, 27 aprile 2010). Tuttavia, nelle circostanze del caso di specie, la ricorrente non ha avuto alcuna possibilità né di essere ascoltata prima dell'adozione della decisione né di chiedere un riesame e di presentare le proprie argomentazioni dopo l'adozione della decisione.
59. Infine, la Corte prende atto dell'argomentazione della ricorrente secondo cui era stata accusata solo del reato di adesione a un'organizzazione criminale previsto dall'articolo 187 § 5 del Codice penale e non della forma più grave di tale reato prevista dall'articolo 187 § 1 del Codice penale. Mentre l'ordinanza del procuratore descriveva con sufficiente chiarezza gli esatti reati di cui il ricorrente era accusato, l'annuncio della polizia in esecuzione dell'ordinanza del procuratore non faceva alcuna distinzione tra gli imputati, limitandosi ad affermare che erano stati accusati dei reati "in quanto applicabili". L'annuncio della polizia è stato successivamente pubblicato dai media. A questo proposito, la Corte ritiene che il trattamento dei dati personali relativi alle accuse penali richieda una protezione rafforzata a causa della particolare sensibilità dei dati in questione (cfr. la sentenza del 22 giugno 2021 della Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione) nella causa Latvijas Republikas Saeima (Punti di penalità), C-439/19, EU:C:2021:504). È quindi della massima importanza che, quando vengono pubblicati dati sensibili nel contesto di procedimenti penali in corso o nell'ambito di indagini su reati, tali dati riflettano accuratamente la situazione e le accuse pendenti contro un imputato, tenendo conto anche del rispetto della presunzione di innocenza.
60. Le considerazioni che precedono sono sufficienti per consentire alla Corte di concludere che l'ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata, causata dall'ordine del pubblico ministero e dall'annuncio della polizia, non era sufficientemente giustificata nelle particolari circostanze del caso e, nonostante il margine di apprezzamento del giudice nazionale in tali questioni, era sproporzionata rispetto agli scopi legittimi perseguiti. Di conseguenza, vi è stata una violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
61. La ricorrente ha lamentato di non aver avuto a disposizione un ricorso effettivo per le sue lamentele ai sensi dell'articolo 8, in violazione dell'articolo 13 della Convenzione, che recita come segue:
"Ogni persona i cui diritti e le cui libertà enunciati nella [Convenzione] siano stati violati deve poter disporre di un ricorso effettivo dinanzi a un'autorità nazionale, anche se la violazione è stata commessa da persone che agiscono a titolo ufficiale."
62. Tenuto conto delle conclusioni relative all'articolo 8 della Convenzione di cui ai paragrafi 58 e 60, la Corte ritiene che, sebbene la denuncia ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione sia strettamente connessa alla denuncia ai sensi dell'articolo 8 e debba pertanto essere dichiarata ammissibile, non sia necessario esaminarla separatamente (si veda Roman Zakharov c. Russia [GC], n. 47143/06, § 307, CEDU 2015).
APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
63. L'articolo 41 della Convenzione prevede:
"Se la Corte constata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente interessata consente una riparazione solo parziale, la Corte accorda, se necessario, una giusta soddisfazione alla parte lesa."
Danno
64. La ricorrente ha chiesto 30.000 euro (EUR) a titolo di danno non patrimoniale, affermando di essere stata stigmatizzata dall'ordine del pubblico ministero e dall'annuncio della polizia, che era stato dato alla stampa e aveva continuato a circolare anche dopo la fine del periodo di sei mesi.
65. Il Governo ha sostenuto che l'accertamento di una violazione dovrebbe essere un risarcimento sufficiente per qualsiasi danno non patrimoniale subito dalla ricorrente e che la somma richiesta era comunque sproporzionata ed eccessiva in considerazione delle circostanze del caso di specie e delle difficoltà finanziarie della Grecia.
66. La Corte ritiene che, nelle circostanze del caso di specie e in considerazione del fatto che il ricorrente è considerato latitante (si veda il paragrafo 11 supra), la constatazione di una violazione costituisca una giusta soddisfazione sufficiente e di conseguenza non concede alcun risarcimento a questo titolo.
Costi e spese
67. Il ricorrente non ha chiesto alcun importo a titolo di costi e spese. Pertanto, la Corte non concede alcun risarcimento a tale titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE
Dichiara, con quattro voti contro tre, che il rispetto dei diritti umani le impone di proseguire l'esame del caso;
Dichiara, a maggioranza, il ricorso ricevibile;
Dichiara, con quattro voti contro tre, che vi è stata una violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
Dichiara, con sei voti contro uno, che non è necessario esaminare il ricorso ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione;
Dichiara, con sei voti contro uno, che la constatazione di una violazione costituisce di per sé una giusta soddisfazione per qualsiasi danno non pecuniario subito dal ricorrente.
Fatto in inglese e notificato per iscritto il 20 giugno 2023, ai sensi dell'articolo 77, paragrafi 2 e 3, del Regolamento della Corte.
Milan Blaško Pere Pastor Vilanova
Cancelliere Presidente
Ai sensi dell'articolo 45 § 2 della Convenzione e dell'articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, alla presente sentenza sono allegati i seguenti pareri separati:
(a) opinione dissenziente del giudice Serghides;
(b) parere dissenziente congiunto dei giudici Roosma e Zünd.
P.P.V.
M.B.
OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE SERGHIDES
1. La ricorrente, latitante nei confronti della giustizia penale e delle autorità greche (si vedano i paragrafi 11 e 66 della sentenza), ha lamentato che la pubblicazione da parte della polizia greca della sua fotografia e dei suoi dati personali sulla stampa per un periodo di sei mesi dopo essere stata accusata di alcuni reati ha violato il suo diritto al rispetto della vita privata, come garantito dall'articolo 8 della Convenzione. Ha inoltre lamentato di non aver avuto a disposizione un rimedio efficace per le sue denunce ai sensi dell'articolo 8, in violazione dell'articolo 13. Infine, ha chiesto alla Corte di concederle un'equa soddisfazione per danni non pecuniari.
2. L'articolo 35, paragrafo 3, lettera a) della Convenzione, relativo ai criteri di ammissibilità, stabilisce che "la Corte dichiara irricevibile qualsiasi domanda individuale ... se ritiene che ... la domanda sia ... un abuso del diritto di domanda individuale" (corsivo aggiunto). Inoltre, il paragrafo 4 dello stesso articolo prevede quanto segue: "La Corte respinge le domande che ritiene irricevibili ai sensi del presente articolo. Può farlo in qualsiasi fase del procedimento" (corsivo aggiunto).
3. Come ho sostenuto altrove (si veda la mia opinione parzialmente dissenziente, §§ 4-5, in Saure c. Germania, n. 8819/16, 8 novembre 2022), un abuso del diritto di domanda individuale deve essere considerato parassitario rispetto a tale diritto e uno dei suoi più grandi "nemici", nonché uno dei peggiori avversari dell'effettiva protezione dei diritti umani più in generale. Questo perché il concetto di "abuso" deve essere inteso come un esercizio dannoso del diritto di applicazione individuale, per uno scopo diverso da quello per cui è stato concepito, ossia l'effettiva protezione dei diritti umani. Il diritto di ricorso individuale, istituzionalizzato e garantito dall'articolo 34 della Convenzione, è una delle caratteristiche più significative della Convenzione. La competenza o il potere della Corte di dichiarare irricevibili le domande che costituiscono un abuso del diritto di domanda individuale, in qualsiasi fase del procedimento, anche d'ufficio, si basa non solo sull'articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione, citato in precedenza (si veda il paragrafo 2), ma anche sugli articoli 19 e 32 della Convenzione, nonché sulla sua competenza intrinseca, in quanto la questione è legata alla giurisdizione, al potere e alla funzione della Corte.
4. Il 22 giugno 2017 la ricorrente è stata condannata dalla Corte d'appello penale di Atene, composta da tre membri, a undici anni e sei mesi di reclusione senza effetto sospensivo, ma da allora è rimasta latitante (si vedano i paragrafi 11 e 66 della sentenza), senza che la stessa abbia spiegato perché non si sia consegnata alle autorità greche per scontare la pena. Il suo avvocato, nel suo recente aggiornamento alla Corte (datato 10 marzo 2023), afferma che fino all'anno 2022 aveva una corrispondenza sporadica con lei, ma che da allora, nonostante i suoi sforzi, non è riuscito a ristabilire un contatto con la ricorrente. Come indicato nel paragrafo 11 della sentenza, la ricorrente e il suo co-accusato hanno presentato ricorso contro la suddetta condanna presso la Corte d'appello penale di Atene, composta da cinque membri. Tuttavia, secondo le informazioni fornite dal Governo (datate 9 febbraio 2023), la ricorrente non è mai comparsa davanti a tale corte d'appello, né è stata rappresentata, con la conseguenza che il suo ricorso sarebbe stato respinto in quanto non difeso e dal fascicolo risulta che la ricorrente è considerata latitante (si veda il paragrafo 11 della sentenza). Questa informazione è stata inviata dalla Corte all'avvocato della ricorrente per un commento e, nella sua lettera del 10 marzo 2023 alla Corte, egli sottolinea che non sta trattando alcun caso per la ricorrente oltre al suo presente ricorso alla Corte. Purtroppo, il fascicolo non contiene informazioni sugli sforzi compiuti dalla polizia greca per rintracciare e arrestare la ricorrente e per prenderla in custodia, né sui motivi per cui non sono riusciti a farlo. Il fatto che la ricorrente abbia presentato ricorso contro la sua condanna e la sua pena è la prova che è stata informata della relativa sentenza, ma non si è consegnata alle autorità greche per scontare la sua pena detentiva.
5. Di conseguenza, la ricorrente ha dato prova di totale mancanza di rispetto per lo Stato di diritto del proprio Paese, ossia la Grecia, contro cui è stato presentato il ricorso. Il fatto di mantenere il suo ricorso davanti alla Corte - dato che questo ricorso si riferisce ai fatti dello stesso caso per il quale è stata infine condannata - è indubbiamente, a mio modesto avviso, un abuso, da parte della ricorrente, del diritto di ricorso individuale, e il suo ricorso deve pertanto essere respinto in quanto irricevibile ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) e (c) della Convenzione. Vorrei aggiungere una parola di chiarimento: Uso l'espressione "mantenere la sua domanda" qui, invece dell'espressione "presentare la sua domanda", perché quando la ricorrente ha presentato il suo ricorso alla Corte, vale a dire il 16 giugno 2016, è stato prima della sua condanna e della sentenza, che ha avuto luogo il 22 giugno 2017, e quindi lei non era in quel momento una latitante. Pertanto, la sua domanda è divenuta un abuso di domanda individuale a partire dal 22 giugno 2017, quando la ricorrente è stata condannata e sentenziata, e da allora non si è consegnata per scontare la pena.
6. È la prima volta, per quanto a mia conoscenza, che si presenta alla Corte un caso con fatti simili a quelli attuali (diversi dai casi di estradizione), in cui un richiedente è latitante nei confronti del sistema giudiziario e delle autorità penali e tuttavia la domanda, costituendo un abuso di domanda individuale, chiede alla Corte la protezione della Convenzione. Non si dovrebbe permettere che una simile domanda si faccia beffe della procedura davanti alla Corte, minando il suo ruolo e la sua credibilità come istituzione internazionale per i diritti umani.
7. La condotta del ricorrente è palesemente contraria allo scopo del diritto di ricorso individuale previsto dalla Convenzione e ostacola il corretto funzionamento della Corte, che si aspetta che i richiedenti si presentino davanti ad essa con le mani pulite e con il più alto standard di buona fede (uberrima fides) e non le chiedano di concedere loro la protezione della Convenzione mentre essi stessi sono latitanti dalla giustizia e sono in continua violazione dello Stato di diritto. A questo proposito, non va trascurato che: in primo luogo, che il ruolo del meccanismo della Convenzione è sussidiario rispetto a quello delle autorità nazionali, e l'efficienza e l'efficacia del sistema della Convenzione si basano su questa premessa; in secondo luogo, che uno dei principi fondamentali al centro della Convenzione, sancito in ogni sua disposizione a tutela dei diritti umani e menzionato anche nel suo Preambolo, nonché nell'articolo 3 e nel Preambolo dello Statuto del Consiglio d'Europa, è il principio dello Stato di diritto; in terzo luogo, che la Convenzione è un trattato europeo e internazionale sui diritti umani e, in quanto tale, fa parte dello Stato di diritto europeo e internazionale. A mio avviso, la Corte, che applica la Convenzione e il principio dello Stato di diritto e garantisce, in virtù dell'articolo 19 della Convenzione, il rispetto degli impegni assunti dalle Alte Parti contraenti nella Convenzione, compreso, ovviamente, il rispetto dei requisiti di tutela giurisdizionale effettiva da parte dei tribunali nazionali, non può ritenere di adempiere al proprio ruolo e alla propria missione se consente a un richiedente che non rispetta lo Stato di diritto, rimanendo latitante, di presentarsi dinanzi ad essa e cercare di far valere i propri diritti, chiedendo protezione alla Corte. Il requisito più essenziale dello Stato di diritto è che tutti, senza discriminazioni, devono rispettare e attenersi alla legge e alle decisioni dei tribunali.
8. Mi rammarico del fatto che, sebbene la sentenza tenga conto del fatto che la ricorrente è latitante quando tratta la sua richiesta di danni non pecuniari ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione (si veda il paragrafo 66 della sentenza), non fa lo stesso quando tratta la sua denuncia ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione e in definitiva constata la violazione di tale articolo. Con tutto il rispetto, l'approccio seguito dalla sentenza non è coerente. Il carattere del presente ricorso come abuso di domanda individuale riguarda la sua totalità e quindi pervade tutte le doglianze della ricorrente e non solo alcune di esse. Il rigetto dell'intero ricorso come irricevibile, come proposto nel presente parere, avrebbe dovuto essere, nelle circostanze del caso, il modo più appropriato di trattare il ricorso.
9. Alla luce di quanto sopra, respingerei il ricorso in quanto irricevibile e questo è il motivo per cui ho votato contro tutti e cinque i dispositivi della sentenza. A titolo di chiarimento, ho votato contro i punti 4 e 5 non perché abbia una posizione contraria su queste precise questioni, ma perché ho considerato le disposizioni prive di oggetto come conseguenza della mia dichiarazione di irricevibilità.
PARERE DISSENZIENTE CONGIUNTO DEI GIUDICI ROOSMA
E ZÜND
1. Con rammarico non possiamo seguire la maggioranza in questo caso. Il nostro disaccordo risiede principalmente nella questione dell'esaurimento delle vie di ricorso interne, che è intrinsecamente legata all'esistenza o meno di adeguate garanzie procedurali a disposizione della ricorrente per far valere i suoi diritti ai sensi dell'articolo 8 - una questione che riguarda il merito del caso.
2. La decisione di pubblicare la fotografia e i dati personali della ricorrente è stata presa da un pubblico ministero su richiesta della polizia, che aveva ritenuto che ciò fosse necessario per proteggere la società da azioni simili e per indagare se vi fossero altri casi in cui l'imputato avesse partecipato. L'ordine del procuratore è stato approvato da un procuratore superiore (si vedano i paragrafi 7 e 8 della sentenza). La ricorrente non è stata informata di tali decisioni e da successive indagini è emerso che l'annuncio pubblicato sul sito web della Polizia ellenica non corrispondeva alla lettera all'ordine del pubblico ministero: l'annuncio pubblicato era meno specifico per quanto riguarda le accuse particolari mosse a ciascuno degli imputati e, secondo la ricorrente, aveva dato al pubblico l'impressione che fosse stata accusata di forme di reato più gravi di quanto fosse in realtà.
3. A differenza della maggioranza, non siamo convinti che la ricorrente avrebbe dovuto essere informata della pubblicazione prevista prima della diffusione della sua fotografia e dei dettagli delle accuse penali pendenti (si veda il paragrafo 54 della sentenza). Ricordiamo che il procedimento penale riguardava la truffa ai danni di proprietari e potenziali acquirenti di immobili da parte degli imputati, che si erano finti agenti immobiliari. Era evidente l'urgenza di mettere in guardia il pubblico sulle persone che erano state accusate di tali reati e di esortare eventuali altre vittime a farsi avanti. La pubblicazione è avvenuta quando il ricorrente era stato rilasciato in attesa del processo.
4. Per quanto riguarda i rimedi ex post facto - che a nostro avviso sarebbero stati sufficienti - le parti divergevano sulla loro disponibilità. Il Governo ha fatto riferimento agli articoli 57 e 59 del Codice civile e all'articolo 105 della Legge introduttiva al Codice civile, in base ai quali, a suo dire, sarebbe stato possibile accertare una violazione del diritto al rispetto della vita privata e chiedere un risarcimento. A tal proposito, hanno fatto riferimento a una serie di sentenze della Corte suprema amministrativa e dei tribunali amministrativi relative al risarcimento dei danni causati da atti o omissioni illegali da parte dello Stato. Hanno inoltre fatto riferimento a una sentenza della Corte suprema amministrativa (sentenza n. 799/2021), secondo la quale la responsabilità dello Stato per il risarcimento è impegnata anche quando la violazione riguarda un trattato internazionale piuttosto che il diritto interno, e hanno osservato che la Corte ha riconosciuto la disponibilità e l'efficacia di tale rimedio per presunte violazioni dell'articolo 8 e dell'articolo 6 § 2 in Anastassakos c. Grecia ((dec.), n. 41380/06, 3 maggio 2011). 41380/06, 3 maggio 2011 - si veda il paragrafo 25 della sentenza). Secondo il ricorrente, all'epoca dei fatti c'era stata solo una sentenza della Corte amministrativa suprema (n. 1501/2014) in cui si era affermato che un'azione di risarcimento poteva essere intentata anche quando il danno in questione era stato causato da un manifesto errore di giudizio da parte di un organo giudiziario. Inoltre, secondo la ricorrente, solo di recente la Corte Suprema Amministrativa ha affermato in modo inequivocabile che la responsabilità dello Stato è impegnata da atti e omissioni di organi giudiziari (sentenza n. 799/2021). La ricorrente ha insistito sul fatto che, al momento della presentazione del ricorso, la giurisprudenza della Corte Suprema Amministrativa indicava chiaramente che qualsiasi azione contro la decisione del pubblico ministero sarebbe stata inefficace, e pertanto non era tenuta a ricorrere a tale rimedio giuridico (si veda il paragrafo 26 della sentenza).
5. A nostro avviso, le argomentazioni sopra esposte dalle parti non ci permettono di trarre una conclusione certa sull'efficacia o meno di un ricorso contro una decisione del pubblico ministero o la presunta esecuzione illegale di tale decisione da parte della polizia. La maggioranza ha ritenuto che all'epoca dei fatti "non era stato riconosciuto in modo inequivocabile dalla giurisprudenza nazionale" che una persona potesse essere risarcita per una presunta violazione in un caso come quello attuale (si veda il paragrafo 32 della sentenza). Può darsi che sia così, ma a nostro avviso un tale standard per valutare se le vie di ricorso interne sono state esaurite è troppo elevato e trascura il principio di sussidiarietà. La ricorrente ha riconosciuto che, dopo aver presentato il ricorso alla Corte, il Tribunale amministrativo supremo ha dichiarato in modo inequivocabile che la responsabilità dello Stato è impegnata da atti e omissioni degli organi giudiziari (cfr. paragrafo 26 della sentenza) - cosa che, secondo il Governo, era già avvenuta in una fase precedente. Tralasciando la questione se la giurisprudenza interna permettesse di distinguere tra gli ordini dei pubblici ministeri e gli atti compiuti dalla polizia per eseguire tali ordini, notiamo che anche per quanto riguarda le denunce contro i pubblici ministeri, questo consolidamento della giurisprudenza interna non sarebbe mai avvenuto se tutte le potenziali vittime in casi come quello in esame avessero rinunciato a qualsiasi tentativo di rivolgersi ai tribunali nazionali e si fossero rivolte direttamente alla Corte europea dei diritti dell'uomo. L'accoglimento di tali ricorsi non solo contribuisce all'eccessivo carico di lavoro della Corte, ma ha anche effetti negativi sullo sviluppo della giurisprudenza interna. In ogni caso, la Corte ha affermato che spetta al Governo che invoca il non esaurimento del ricorso dimostrare che il rimedio era un rimedio effettivo disponibile in teoria e in pratica all'epoca dei fatti, vale a dire che era accessibile, era in grado di fornire un rimedio alle lamentele del ricorrente e offriva ragionevoli prospettive di successo (si veda Molla Sali c. Grecia [GC], n. 20452/14, § 89, 19 dicembre 2018). Nel caso di specie, il Governo ha fatto riferimento a specifiche disposizioni di diritto interno, nonché a sentenze nazionali che confermano la disponibilità del rimedio da loro indicato. Inoltre, non vediamo alcun motivo per cui la responsabilità dello Stato debba dipendere dal fatto che le autorità violino il diritto interno o internazionale. I meri dubbi sulle prospettive di successo di un particolare rimedio che non sia palesemente inutile non sono un motivo valido per non esaurire quella via di ricorso (cfr. Vučković e altri c. Serbia (obiezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, §§ 74 e 84, 25 marzo 2014). Come il Governo, non possiamo trascurare il fatto che nella causa Anastassakos (citata) la Corte aveva già riconosciuto l'esistenza della giurisprudenza interna presentata dal Governo secondo la quale la responsabilità civile dello Stato era stata - almeno in parte - ammessa per atti e omissioni attribuiti alle autorità giudiziarie.
6. Per quanto riguarda il merito, notiamo che la constatazione di violazione da parte della maggioranza si è basata in misura significativa sulla procedura utilizzata dalle autorità nazionali per la pubblicazione delle informazioni sulla ricorrente, compresa la sua presunta mancanza di opportunità di chiedere un riesame dopo che la decisione era stata presa. Poiché siamo già in disaccordo su questo punto, non abbiamo bisogno di prendere una posizione decisa sul resto degli elementi che portano alla constatazione di una violazione da parte della maggioranza. Ci limitiamo a notare che la gravità del reato era caratterizzata dalla condanna del ricorrente a undici anni di reclusione e che il tipo di reato in questione potrebbe essere visto come un elemento che pesa fortemente a favore della pubblicazione di informazioni sul ricorrente - che non era in custodia cautelare - al fine di mettere in guardia altre persone e di cercare altre possibili vittime per garantire il corretto svolgimento dell'indagine penale.