Il compimento di un dovere da parte del soggetto asseritamente provocator in tanto può assumere carattere provocatorio in quanto venga esercitato con dispetto o con animo fazioso, si da rendere, in tale caso, apprezzabile lo stato d'ira del soggetto attivo ed ingiusto il fatto determinante la reazione.
Le circostanze attenuanti putative sono irrilevanti, in quanto l'attenuante può essere riconosciuta solo se realmente esistente e non perché erroneamente ritenuta dall'agente: va dunque riaffermato il principio per cui non è configurabile la circostanza attenuante della provocazione, di cui all'art. 62, n. 2, cod. pen., nel caso in cui la condotta criminosa venga posta in essere quale reazione a un fatto ingiusto erroneamente attribuito alla vittima, atteso che, in tal caso, trova applicazione la disciplina prevista dall'art. 59, comma terzo, cod. pen., secondo cui se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
Corte di cassazione
sez. V, ud. 7 novembre 2024 (dep. 10 dicembre 2024), n. 45289
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza emessa il 2 maggio 2024, riformava la decisione del Tribunale di Aosta, che aveva accertato la responsabilità penale di M.L. (oltre che di A.Q., non ricorrente), dichiarando non doversi procedere per difetto della sopravvenuta necessaria condizione di procedibilità della querela, in ordine al delitto di tentata violenza privata, confermando quanto alla responsabilità la pronuncia di primo grado, in ordine ai reati di interruzione di pubblico servizio ex art. 340 cod. pen. (capo 2) e dichiarazione di false generalità ex art. 495 cod. pen. (capo 3), riducendo a seguito della riforma conseguentemente la pena.
In particolare, quanto al capo 2), la condotta contestata consisteva nell'aver cagionato l'interruzione di un pubblico servizio, a seguito del tentativo di M.L. e A.Q. di salire a bordo di un autobus di linea con un cane di grossa taglia senza museruola, contro la volontà del conducente.
In conseguenza di tale tentativo, lamentando che l'autista "dava spazio a questi brutti negri anziché a noi italiani", asserendo di fronte a tutti i presenti - tra cui anche dei minori - che "se loro non fossero partiti con l'autobus per Cervinia non sarebbe partito nessuno", M.L. e A.Q. creavano il panico fra i presenti, con atteggiamento intimidatorio, agevolati dalla presenza del cane pitbull e costringendo l'autista a richiedere l'intervento dei Carabinieri, cagionando così un ritardo del bus di linea di circa quarantacinque minuti, con seguente disagio dei passeggeri.
In ordine al capo 3) la contestazione per M.L. riguardava l'aver attestato falsamente di chiamarsi B.D., richiesto delle generalità da parte di personale appartenente al N.o.r.m. dei Carabinieri di Saint Vincent-Chatillon, intervenuti sul posto a seguito dei fatti di cui ai capi precedenti.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di M.L. consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il primo motivo deduce violazione di legge processuale, lamentando che l'imputato non abbia ricevuto regolare notifica della citazione in giudizio per l'appello.
L'imputato, prima del giudizio di appello, aveva eletto domicilio presso la propria residenza e l'atto di appello, depositato prima della riforma introduttiva del comma 1-ter dell'art. 581 cod. proc. pen., non recava indicazione del domicilio eletto.
Pertanto, restando valida la prima elezione di domicilio, l'attuale difensore del ricorrente, nominato per il giudizio di appello, lamenta che tale omessa notifica abbia determinato l'impossibilità per l'imputato di predisporre una adeguata linea difensiva, ad esempio richiedendo l'applicazione delle sanzioni sostitutive.
4. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al capo 3), nonché in ordine al trattamento sanzionatorio.
Quanto al primo profilo, lamenta il ricorrente che l'argomento logico speso dalla Corte di appello - se l'imputato non avesse riconosciuto la qualità dell'agente appartenente al N.o.r.m. dei Carabinieri di Saint Vincent non avrebbe consentito a farsi identificare - risulterebbe non adeguato a superare il deficit probatorio in ordine alla consapevolezza della qualità del pubblico ufficiale, tenuto in conto il momento di concitazione.
Quanto al secondo profilo di doglianza, il motivo lamenta l'assoluta incongruità e il difetto di motivazione in ordine all'aumento per la continuazione di mesi quattro di reclusione, per il delitto ex art. 340 cod. pen., oltre che quanto al motivo di appello che lamentava l'eccessività anche della pena principale, non valutando la personalità dell'imputato e la reazione al fatto ingiusto, anche nella forma putativa, in quanto il regolamento di viaggio non era esposto e pubblicato.
4. Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. Giulio Monferini, ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Quanto al primo motivo, risultando non eccepita tempestivamente la nullità a regime intermedio, a fronte della conoscenza del giudizio di appello dimostrata dall'imputato; in ordine al secondo motivo, lo stesso sarebbe inammissibile, in quanto aspecifico e proponente una rilettura delle emergenze probatorie senza deduzione di travisamento, risultando non necessaria una motivazione specifica se non in caso di superamento della pena media edittale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. Quanto al primo motivo, dall'analisi degli atti - consentita a questa Corte in ragione dell'error in procedendo dedotto, come affermato da Sez. U. 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092 - emerge che l'imputato abbia ricevuto la notifica dell'atto di citazione in appello presso la propria residenza - indicata dalla difesa nel ricorso - in Settimo Torinese, Corso P..
La Corte di appello disponeva la notifica dell'atto di citazione alla residenza dell'imputato e, solo successivamente, la notifica al difensore di fiducia, risultando la prima notifica non andata a buon fine in quanto l'imputato era assente e venendo inviata la raccomandata relativa all'avviso di deposito.
All'esito di tale procedura veniva, infatti, effettuata la notifica al difensore ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen.
La notifica è stata quindi effettuata al domicilio indicato nel ricorso come luogo eletto dall'imputato.
Per altro, l'eventuale nullità della notifica doveva essere eccepita da parte dell'imputato - vertendosi in tema di nullità a regime intermedio, come rileva la Procura generale - nel primo atto utile, dunque con le conclusioni depositate in sede di appello, ove il rito fu cartolare. Ma in atti non vi è traccia di tale eccezione.
Qualora il luogo di elezione di domicilio fosse stato diverso da quello indicato dallo stesso ricorrente nel ricorso, si verterebbe in tema di nullità assoluta. Ma in tal caso l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 07/01/2005, Esposito, Rv. 229541 - 01).
Nel caso in esame il ricorrente non allega la prova di tale diversa e ulteriore elezione di domicilio.
Ne consegue la infondatezza del motivo.
3. Quanto al secondo motivo, è complessivamente infondato.
3.1 In ordine alla doglianza che 'attacca' l'argomento logico utilizzato dalla sentenza impugnata - se l'imputato non avesse riconosciuto la qualità dell'agente appartenente al Norm dei Carabinieri di Saint Vincent non avrebbe declinato le generalità - deve evidenziarsi come lo stesso non si confronti con altra parte della motivazione, ove la Corte territoriale rileva che il militare, per quanto in abiti civili, ebbe a qualificarsi mostrando il tesserino identificativo.
La censura sul punto è dunque aspecifica, in quanto il confronto parziale non esclude l'adeguatezza del secondo profilo di giustificazione della responsabilità dell'imputato, oltre a non risultare manifestamente illogico l'argomento speso nella sentenza impugnata.
3.2 Quanto, poi, alla doglianza relativa alla asserita provocazione, va evidenziato che l'imputato voleva avere accesso a un bus di linea con un cane senza museruola e perciò l'autista ebbe a impedirne la salita sul mezzo pubblico. Da ciò l'interruzione di pubblico servizio, a mezzo di una condotta intimidatoria in questa sede 'non contestata' dal ricorrente, cosicché l'autista, impedito nella ripartenza, ebbe a chiedere l'intervento dei Carabinieri.
In tale contesto la motivazione della Corte territoriale - che esclude che possa integrare il fatto ingiusto altrui il rispetto del regolamento di viaggio - non risulta né erronea né manifestamente illogica.
Il motivo di ricorso, per quanto non censuri l'esclusione dell'attenuante in sé, lamenta che la Corte di appello non ne abbia tenuto conto ai fini della dosimetria della pena.
Va qui evidenziato come già questa Corte abbia osservato, con una pronuncia risalente ma non meno attuale, che, ai fini della circostanza attenuante della provocazione, il compimento di un dovere (da parte del soggetto asseritamente provocatore) in tanto può assumere carattere provocatorio in quanto venga esercitato con dispetto o con animo fazioso, si da rendere, in tale caso, apprezzabile lo stato d'ira del soggetto attivo ed ingiusto il fatto determinante la reazione. In particolare, detta ipotesi è da escludersi quando il preteso provocatore - nel caso all'esame della Corte di legittimità, un arbitro di una competizione sportiva - abbia emesso una decisione rientrante nei suoi poteri di valutazione nonché nei suoi compiti di fare rispettare i regolamenti di gioco ed accertare e punire le infrazioni dei giocatori (Sez. 1, n. 1586 del 30/10/1964, dep. 1965, Prescot, Rv. 099368 - 01).
Nel caso in esame la natura provocatoria della condotta dell'autista del bus è stata correttamente esclusa dalla Corte di appello, in quanto il conducente aveva l'obbligo di rispettare e far rispettare il regolamento di viaggio, anche ai fini della responsabilità del vettore, presunta ex art. 1681 cod. civ., con conseguente onere di provare a propria discolpa che l'evento dannoso costituisca fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza (cfr. Sez. 6 - 3 civ., n. 33449 del 17/12/2019 - Rv. 656348 - 01).
3.3 Pertanto può ribadirsi, anche in relazione al caso in esame, che ai fini della integrazione del "fatto ingiusto altrui", costitutivo dell'attenuante della provocazione, è necessario che esso rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche - fra le quali va annoverato anche il regolamento di viaggio, nel caso in esame non violato - nonché regole morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale (Sez. 5, n. 23031 del 03/03/2021, Tripoli, Rv. 281377 - 01; conf. N. 49569 del 2014 Rv. 261816 - 01, N. 55741 del 2017 Rv. 272044 - 01).
3.4 Anche il rilievo che il regolamento di viaggio non fosse pubblicato, dal che sarebbe derivato l'errore dell'imputato di aver interpretato il rifiuto dell'autista come atto arbitrario e «irragionevole discriminazione contro l'animale», come evidenzia il ricorso, non è fondato.
Difatti trova applicazione l'art. 59, comma 3, cod. pen. che rileva che «se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze [...] attenuanti, queste non sono valutate [...] a favore di lui». In sostanza irrilevanti sono le circostanze attenuanti putative, in quanto l'attenuante può essere riconosciuta solo se realmente esistente e non perché erroneamente ritenuta dall'agente.
3.5 In tal senso, va dunque riaffermato il principio per cui non è configurabile la circostanza attenuante della provocazione, di cui all'art. 62, n. 2, cod. pen., nel caso in cui la condotta criminosa venga posta in essere quale reazione a un fatto ingiusto erroneamente attribuito alla vittima, atteso che, in tal caso, trova applicazione la disciplina prevista dall'art. 59, comma terzo, cod. pen., secondo cui se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui (Sez. 1, n. 45322 del 19/06/2019, Piacente, Rv. 277329 - 01; conf. N. 58087 del 2017 Rv. 271964 - 01).
4. In ordine all'eccessività della pena, come evidenzia la Procura generale, quella base di anni uno di reclusione risulta pari al minimo edittale dell'art. 495 cod. proc. pen., cosicché non necessitava di alcuna motivazione. Sul punto, in motivazione le Sezioni Unite - Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269 - hanno chiarito che l'obbligo motivazionale richiede modalità di adempimento diverse a seconda dei casi, sia per la pena base che per l'aumento per la continuazione.
Per la pena base risulta consolidato il principio secondo il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai "criteri di cui all'art. 133 cod. pen." deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l'adeguatezza della pena all'entità del fatto; invero, l'obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più si attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale (Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, Brachet, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464). E, per converso, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 5, n. 511 del 26/11/1996, dep. 1997, Curcillo, 207497). Talune pronunce propendono a definire l'impegno motivazionale adottando quale parametro di riferimento la media edittale; si afferma che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288, la quale precisa che la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo). Mentre l'irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153; conforme Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932). A fortiori, l'irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni dei tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356).
Nel caso in esame, la pena base per il delitto previsto dall'art. 495 cod. pen. risulta essere stata equamente stimata in un anno di reclusione, pari al minimo edittale, e pertanto non richiede una peculiare motivazione per i principi ora richiamati.
Quanto all'aumento per la continuazione in relazione al reato di cui all'art. 340 cod. pen., nella misura di mesi quattro di reclusione, la Corte territoriale chiarisce che tale incremento trova giustificazione nella circostanza che l'interruzione del servizio pubblico si protrasse per 45 minuti, accompagnandosi ad espressioni ingiuriose e minacciose, connotate da una non modesta gravità.
Si tratta di una motivazione non manifestamente illogica che giustifica pure la relazione fra pena per il delitto più grave e aumento per quello satellite, anche tenendo in conto che l'aumento per la continuazione è inferiore alla media edittale prevista per la pena del delitto ex art. 340 cod. pen. (la pena massima è pari a un anno di reclusione).
5. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.