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Prova travisata: deve essere incontrovertibile (Cass. 32113/21)

25 agosto 2021, Cassazione penale

Per aversi vizio di travisamento della prova è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori eventualmente commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima, oltre ad essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.

Il travisamento della prova che è consentito dedurre in cassazione consiste nella contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, nonché dall'errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio, può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.

 

Cassazione penale

sez. II, sent., ud. 2 luglio 2021 (dep. 25 agosto 2021), n. 32113
Presidente Gallo – Relatore Cianfrocca

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Varese aveva riconosciuto D.H. responsabile del delitto di rapina impropria aggravata e violazione della misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio con divieto di ritorno nel Comune di Varese per anni 1 e, ritenuto tra di essi il vincolo della continuazione, riconosciute altresì all'imputato le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 c.p., n. 4, stimate complessivamente prevalenti sulla contestata aggravante, lo aveva condannato alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed Euro 950 di multa così ridotta per la scelta del rito;

2. ricorre per cassazione il difensore del D. lamentando: 2.1 travisamento della prova, difetto, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al capo A): rileva, infatti, che la sentenza ha riportato un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello acquisito quanto alle dichiarazioni delle guardie giurate G. e M. i quali, secondo i giudici di merito, avrebbero riferito che parte dei generi asportati dagli scaffali erano stati consumati sul posto, circostanza assolutamente diversa da quella risultante dalle loro dichiarazioni in cui si comprende che la consumazione sul posto di generi alimentari era riferita ad occasioni precedenti; osserva come soltanto questa possa essere la versione corretta e coerente con la ricostruzione del fatto operata dai testi; richiama, inoltre, la annotazione di servizio del 7.7.2018 a firma del sovr.te Z. a conferma di quanto appena detto; 2.2 inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale con riguardo all'art. 628 c.p.: richiama le SS.UU. 34.952 del 2012 e segnala che, in difetto di prova della consumazione sul posto di quanto sottratto, il fatto doveva essere ricondotto alla ipotesi del tentativo in quanto l'apprensione della merce sotto la diretta osservazione degli addetti alla sicurezza non può integrare l'"impossessamento"; 3. il PG ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 concludendo per la inammissibilità del ricorso: rileva, infatti, che la Corte di Appello ha correttamente motivato sulla responsabilità del ricorrente alla luce del complesso degli elementi di prova acquisiti sottolineando che lo stesso occultamento della merce sulle scansie era chiaramente propedeutico al suo impossessamento; osserva, quanto al secondo motivo, che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza in materia di tentativo di rapina impropria.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

1. Il fatto è stato ricostruito dai giudici di merito sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie.

1.1 La scelta per il rito abbreviato aveva infatti consentito di rendere direttamente utilizzabili le dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari a partire da quelle rese da M.F. e G.A. di cui il ricorso deduce l'avvenuto travisamento. Era emerso, perciò, che intorno alle 21.00 del (OMISSIS) personale della Questura di Varese si era portato presso l'esercizio commerciale "(OMISSIS)" di (OMISSIS) dove due addetti del supermercato, incaricati delle vigilanza e della sicurezza, avevano denunciato il furto di alcuni prodotti alimentari ad opera di due soggetti che, per guadagnare la fuga, avevano indirizzato minacce soprattutto nei confronti del M. . I due addetti erano stati sentiti dagli operanti ed avevano riconosciuto in foto l'odierno ricorrente ed il Tribunale, sulla scorta del loro racconto, aveva ritenuto integrata la rapina consumata "tenuto conto che parte della merce è stata consumata (mangiata) dallo stesso imputato all'interno dell'esercizio commerciale ed altra parte è stata resa volutamente inservibile..." in modo tale che l'autore del fatto aveva pienamente "usufruito" di quanto sottratto ancor prima di oltrepassare le barriere antitaccheggio.

1.2 Nel proporre appello la difesa aveva ribadito che si trattava, semmai, come già dedotto in primo grado, di un (mero) tentativo di rapina fondando questa considerazione sull'avvenuto "travisamento" delle parole dei testi e, perciò, articolando una censura sostanzialmente (se non letteralmente) sovrapponibile a quella avanzata nel ricorso che ci occupa.

1.3 La Corte di Appello ha richiamato testualmente le parole del G. in quanto confermate da quelle del M. secondo cui "all'arrivo del mio collega (il G. appunto) i due tiravano fuori la merce e la gettavano a terra in parte, mentre il resto lo lanciavano negli scaffali, mi spintonavano, dicevo loro di fermarsi e di pagare la merce, che in totale era di circa 36,00 Euro, in quanto alcuni di questi generi li avevano prima consumati ed alcuni danneggiati" (cfr., dalla sentenza di appello).

2. Il ricorso ha riportato le dichiarazioni del G. ("verso le ore 20,55 circa entravano nel negozio due giovani extracomunitari già visti svariate volte, i due venivano curati dal mio collega M.F. in quanto già altre volte avevano commesso furti.... al collega M. i due tiravano fuori la merce e la gettavano a terra in parte e il resto lo lanciavano negli scaffali, spintonavano il M. che diceva loro di fermarsi e di pagare la merce, in quanto alcuni di questi generi li avevano prima consumati ed alcuni danneggiati...") e quelle del M. ("verso le ore 20,55... entravano nel negozio due giovani extracomunitari già visti svariati volte, i due venivano da me curati in quanto già altre volte avevano commesso furti. Pertanto li seguivo notando distintamente che, entrambi, si infilavano nelle tasche della giacca e sotto i maglioni diversi generi alimentari e, sapendo che perennemente tutti i giorni si recano in loco per effettuare dei furti, li bloccavo prima che arrivassero alle casse, onde evitare le solite problematiche, dicendo loro di tirare fuori la merce che avevano occultato e di recarsi alla cassa per pagarla. Il mio aiuto giungeva il mio collega G.A.D. . All'arrivo del mio collega i due tiravano fuori la merce e la gettavano a terra, in parte, mentre il resto lo lanciavano negli scaffali, mi spintonavano, lo dicevo loro di fermarsi e di pagare la merce, che in totale era di circa Euro 36,00 in quanto alcuni di questi generi li avevano prima consumati ed alcuni danneggiati e dicevo al mio collega di avvisare le Forze dell'Ordine...").

I due motivi di ricorso sono fondati sulla deduzione di un vero e proprio "travisamento" della prova perché, secondo la difesa, quando il teste aveva parlato di "consumazione" dei generi alimentari non si sarebbe riferito a ciò che aveva visto ma a ciò che egli stesso aveva detto a D. e al complice per giustificare la richiesta di fermarsi e pagare.

3. Vero che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta " doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr., Cass. Pen., 4, 3.12.2020 n. 35.963, Tassoni; Cass. Pen., 2, 9.1.2018 n. 5.336, L. ed altro; Cass. Pen., 22.10.2013 n. 44.765, Buonfine ed altri).

Se non ché, il travisamento della prova che è consentito dedurre in cassazione consiste nella contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, nonché dall'errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (cfr., Cass. Pen., 5, 21.1.2011 n. 18.542, Carone; cfr., Cass. Pen., 2, 3.10.2013 n. 47.035, Giugliano, secondo cui il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; conf., ancora, Cass. Pen., 5, 4.12.2017 n. 8.188, Grancini e, più recentemente, Cass. Pen., 2, 12.6.2019n. 27.929, PG c/ Borriello).

Per aversi vizio di travisamento della prova è necessario, insomma, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori eventualmente commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (cfr., Cass. Pen., 5, 4.12.2017 n. 8.188, Grancini; cfr., Cass. Pen., 2, 12.6.2019n. 27.929, PG in proc. Borriello, in cui la Corte ha ribadito che il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), oltre ad essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; cfr., anche, Cass. Pen., 5, 2.7.2019 n. 48.050, S., secondo cui il vizio di travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio).

In altri termini, il vizio di "travisamento" deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo "significato" ma) dal suo "significante" e che venga individuata specificamente e "puntualmente" come idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione; logico corollario a questa premessa è quello secondo cui, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7,comma 1, deve trovare applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr., Cass. Pen., 2, 8.5.2019 n. 35.164, Talamanca).

4. Alla luce di queste premesse, e tenuto conto delle stesse deduzioni difensive, è di tutta evidenza che nel caso di specie non si è in presenza di un travisamento della prova ma di una difforme - per la difesa - "lettura" delle dichiarazioni dei testi che non sono state affatto ignorate o pretermesse da parte dei giudici di merito che, al contrario, le hanno specificamente considerate e "interpretate" in termini che non possono ritenersi censurabili in questa sede ove non è possibile e non è consentito proporre una diversa (e, in ipotesi, pur altrettanto ragionevole e lineare) valutazione del dato istruttorio.

In definitiva, cioè, i giudici di merito hanno ritenuto che la rapina (impropria) dovesse ritenersi "consumata" proprio in virtù della "lettura" delle dichiarazioni testimoniali delle quali la difesa, deducendo un travisamento della prova, ha in realtà prospettato una lettura alternativa finendo in tal modo per introdurre una censura non percorribile in questa sede. Nè, per altro verso, sono censurabili in diritto le conclusioni cui il Tribunale e la Corte di Appello sono pervenuti facendo corretta applicazione dei principi costantemente affermati da questa Corte, secondo cui il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il breve impossessamento, il soggetto agente sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l'intervento dell'avente diritto o della Forza pubblica (cfr., in tal senso, Cass. Pen., 2, 14.3.2017 n. 14.305, Moretti, resa in un caso nel quale la Corte ha ritenuto consumata la rapina presso un esercizio commerciale con riferimento alla condotta dell'imputato, che, dopo essersi impossessato, sotto la minaccia di un arma, di denaro ed altri beni della persona offesa, a seguito della reazione violenta di quest'ultima veniva gravemente ferito e successivamente arrestato; conf., Cass. Pen., 2, 22.10.2013 n. 5.512, Barbato che, in forza del medesimo principio, ha ritenuto consumata la rapina in banca commessa dall'imputato, che, dopo essersi impossessato del denaro, veniva bloccato all'interno dell'istituto dal sistema girevole di accesso e successivamente immobilizzato da una guardia giurata; cfr., ancora, Cass. Pen., 2. 20.11.2012 n. 5.663, Alexa Catalin; Cass. Pen., 2, 9.6.2010 n. 35.006, Pistola; Cass. Pen., 1, 11.2.2010 n. 8.073, Pallotta; Cass. Pen., 4, 6.2.2003 n. 20.031, Fusi).

Ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l'agente, dopo aver realizzato la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della "res", mentre non è necessario che ne consegua l'impossessamento, non costituendo quest'ultimo l'evento del reato ma un elemento che attiene invece al dolo specifico (cfr., Cass. Pen., 2, 22.2.2017 n. 11.135, Tagaswill; Cass. Pen., 2, 19.5.2015 n. 22.908, PG in proc. Gavezzoli; conf., anche, Cass. Pen., 2, 22.2.2017 n. 11.136, Karazishvili, secondo cui l'impossessamento della "res" non rappresenta un elemento materiale della fattispecie criminosa, ma è delineato dalla norma incriminatrice del reato di rapina impropria soltanto quale scopo e fine della condotta in alternativa a quello consistente nel procurare a sé o ad altri l'impunità). Alla luce dell'insegnamento di questa Corte, infatti, l'impossessamento non costituisce l'evento del reato, necessario per la sua consumazione, ma è l'oggetto del "dolo specifico" richiesto dalla norma incriminatrice (art. 628 c.p., comma 2), sicché, ai fini della consumazione del reato, non è necessario che l'agente consegua effettivamente l'impossessamento della "res" ma è sufficiente che egli abbia usato la violenza o la minaccia al fine di conseguirlo. In altri termini, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui, l'aver adoperato violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della res ovvero per assicurarsi l'impunità, integra la fattispecie della rapina impropria consumata, e non quella della rapina impropria tentata, quand'anche l'impossessamento non si sia verificato e realizzato.

5. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.