Analisi della cd. “criminalizzazione della solidarietà” nei confronti di migranti irregolari e richiedenti asilo: casistica più recente e possibili vizi di illegittimità della disciplina. Stefano Zirulia, Sistema penale, ottobre 2020, qui in richiamato senza note per la massima diffusione.
Profili di illegittimità della normativa penale italiana ed europea in materia di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare
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Il presente contributo affronta la nota questione della c.d. “criminalizzazione della solidarietà” nei confronti di migranti irregolari e richiedenti asilo in una duplice prospettiva: da un lato ricostruisce la dimensione prasseologica del problema, esaminando la casistica più recente e soffermandosi sulle questioni esegetiche, spesso a cavallo tra discipline appartenenti a rami diversi dell’ordinamento, con le quali gli interpreti sono oggi chiamati a confrontarsi; dall’altro lato mette in luce una serie di vizi di illegittimità che, ad avviso dell’autore, affliggono tanto la disciplina europea in materia di contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, quanto le norme incriminatrici che ne costituiscono attuazione sul piano nazionale, in primis l’articolo 12 del testo unico immigrazione.
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SOMMARIO:
1. Dalla criminalizzazione del favoreggiamento degli ingressi irregolari al “délit de solidarité”: inquadramento del problema. –
2. Tesi di fondo e struttura del lavoro. –
3. La dimensione prasseologica della “criminalizzazione della solidarietà” in Italia ed in Europa.
– 3.1. La criminalizzazione dei soccorsi in mare: la casistica italiana sulle attività di search and rescue delle organizzazioni non governative.
– 3.1.1. Il nodo della tipicità.
– 3.1.2. Il nodo dell’antigiuridicità, tra adempimento del dovere e stato di necessità.
– 3.2. La criminalizzazione della solidarietà tra famigliari: il caso Riace (Domenico Lucano).
– 3.3. La criminalizzazione della solidarietà via terra: la casistica francese sui c.d. movimenti secondari.
– 3.4. Conclusioni e linee di prosecuzione dell’indagine.
– 4. L’illegittimità costituzionale dell’art. 12 t.u. imm. in ragione della sproporzione delle pene edittali.
– 4.1. L’irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio tra autore del favoreggiamento e straniero favorito.
– 4.2. La sproporzione “intrinseca” della cornice edittale nella prospettiva della finalità rieducativa della pena.
– 5. L’illegittimità costituzionale della “scriminante umanitaria”: l’irragionevole esclusione delle condotte di favoreggiamento di ingressi irregolari.
– 6. L’illegittimità delle scelte di criminalizzazione sottese all’art. 12 t.u. imm. ed al Facilitators Package: la dottrina del chilling effect.
– 7. Un problema di c.d. “doppia pregiudizialità”.
– 8. Conclusioni.
Pubblichiamo un estratto, vai al contributo integrale su sistema penale
1. Dalla criminalizzazione del favoreggiamento degli ingressi irregolari al “délit de solidarité”: inquadramento del problema.
La repressione del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare attraverso il diritto penale rappresenta una costante nel panorama delle politiche europee finalizzate alla protezione delle frontiere1. Negli anni ’90, al fine di controbilanciare la libera circolazione delle persone all’interno dello spazio comunitario con un irrigidimento dei controlli alle frontiere esterne, la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen2 impegnava gli Stati membri “a stabilire sanzioni appropriate nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero ad entrare o a soggiornare nel territorio di una Parte contraente in violazione della legislazione di detta Parte contraente relativa all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri”3. Dieci anni dopo, sul fronte internazionale, il c.d. Protocollo di Palermo per combattere il traffico di migranti4 introduceva a carico degli Stati firmatari, tra cui gli Stati membri dell’UE e la stessa Unione, un vero e proprio obbligo di incriminazione del “traffico di migranti” (smuggling of migrants), a sua volta definito come “il procurare, al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente”5.
Nel 2002, in un contesto mondiale ancora sotto shock per gli attentati dell’11 settembre, l’Unione europea rafforzava il proprio apparato di protezione delle frontiere esterne attraverso la contestuale adozione della direttiva 2002/90/CE6 e della decisione quadro 2002/946/GAI7, entrambe tuttora in vigore e spesso congiuntamente richiamate con l’etichetta “Facilitators package”8. Si tratta di strumenti tra loro complementari: la direttiva definisce l’area dell’illiceità, dettando la nozione di favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza irregolare, ed imponendo agli Stati membri di prevedere sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” nei confronti dei trasgressori9; la decisione quadro, dal canto suo, stabilisce che le sanzioni previste dalla direttiva debbano avere natura necessariamente penale10, completandone dunque il dettato con un vero e proprio obbligo di incriminazione11. Rispetto ai precitati strumenti sovranazionali, il Facilitators Package presenta una peculiarità solo apparentemente marginale: la finalità di conseguire un profitto dall’attività illecita conserva rilevanza ai soli fini della nozione di favoreggiamento della permanenza irregolare, mentre scompare dagli elementi costitutivi del favoreggiamento dell’ingresso irregolare, venendo in tali ipotesi declassata a mera circostanza aggravante12.
Come diversi studi hanno puntualmente osservato13, il “pacchetto” finisce così per obbligare gli Stati membri a dotarsi di norme incriminatrici suscettibili di attrarre nel proprio ambito di applicazione non solo le attività dei veri e propri trafficanti di migranti e richiedenti asilo, cioè di coloro che agiscono mossi da finalità di ingiusto arricchimento; bensì anche le condotte di coloro che, per ragioni altruistiche, umanitarie o in virtù di legami famigliari, pongono in essere attività di soccorso o assistenza a favore di stranieri sans papiers, ogniqualvolta l’aiuto prestato si concretizzi nel condurli sul territorio europeo o comunque nell’agevolarne l’ingresso. Le stesse voci critiche hanno altresì osservato come la previsione, da parte della direttiva 2002/90/CE, della facoltà per gli Stati membri di ritagliare specifiche cause di esclusione della punibilità per le condotte di “assistenza umanitaria” (art. 1, par. 2)14, non sia sufficiente a prevenire ogni rischio di sovra-criminalizzazione, trattandosi per l’appunto di una mera facoltà concessa ai legislatori nazionali e per di più essendo la disposizione formulata in maniera talmente vaga da concedere loro un eccessivo margine di discrezionalità nella perimetrazione delle condotte lecite.
Tali timori si sono rivelati, nel corso degli anni, tutt’altro che infondati. Non solo perché pochi Stati membri (otto) si sono dotati di esimenti umanitarie, ed in ogni caso l’hanno fatto introducendo disposizioni assai diverse tra loro, foriere di diffusa incertezza in merito ai confini dell’agire lecito nello svolgimento di attività a favore di stranieri sans papiers15. Ma soprattutto perché le più recenti prassi giudiziarie (e ancora prima quelle di polizia) hanno inequivocabilmente dimostrato come, proprio attraverso l’applicazione delle norme penali nazionali attuative del Facilitators package, la repressione di attività umanitarie sia entrata a pieno titolo tra gli strumenti di protezione dei confini europei16. Invero, calate nelle attuali contingenze storiche17, le fattispecie penali di “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare” vigenti negli Stati membri hanno spesso offerto una veste giuridica all’idea secondo cui dietro a certe condotte solidali si celino in realtà comportamenti tendenti ad eludere le regole sull’immigrazione, attraverso la surrettizia creazione di corridoi di ingresso irregolare; ed hanno così consentito di giustificare la repressione di attività lecite, o financo doverose, attraverso il richiamo alla necessità di contrastare il “traffico di migranti e di esseri umani”. La casistica sui soccorsi in mare, più nota di altre in quanto oggetto di particolare attenzione mediatica, rappresenta soltanto una delle più eclatanti manifestazioni di un fenomeno – spesso evocato con la suggestiva espressione “délit de solidarité”18 – che, come vedremo, interessa a ben vedere un più ampio ventaglio diattività, prestate a cavallo di tutte le frontiere dell’Unione europea (esterne ed interne; marittime, terrestri ed aeree).
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8. Conclusioni
Come già accennato in apertura del presente lavoro, le prospettive di una riforma a livello europeo del Facilitators package, che possa essere seguita da coerenti riforme delle norme incriminatrici del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare a livello nazionale, sono al momento poco concrete. Sebbene i contenuti di una tale riforma siano stati da tempo illustrati dalla dottrina e dai reports commissionati dalle stesse istituzioni UE142, è evidentemente la volontà politica di darvi concreta attuazione ad essere finora mancata. Invero, è ormai chiaro a tutti che basterebbe estendere il dolo specifico di ingiusto profitto anche alla fattispecie base di favoreggiamento degli ingressi irregolari, e/o prevedere l’obbligo (anziché la mera facoltà) a carico degli Stati membri di introdurre efficaci scriminanti umanitarie, per risolvere con pochi tratti di penna un problema epocale come quello della c.d. criminalizzazione della solidarietà: non c’è traffico (di migranti) senza finalità di ingiusto profitto (da parte degli smugglers); questo potrebbe essere lo “slogan” di una quanto mai auspicabile riforma finalizzata a sottrarre le condotte umanitarie dallo spettro della sanzione (e prima ancora del procedimento) penale.
Ad oggi, tuttavia, il compromesso sul quale pare essersi assestata la posizione di Bruxelles è rappresentato da due comunicazioni contestualmente emanate dalla Commissione il 23 settembre 2020: l’una raccomanda agli Stati membri di dotarsi di efficaci scriminanti umanitarie, esercitando la facoltà concessa dal Facilitators package143; l’altra rende nota l’esistenza di una “riflessione in corso” su non meglio precisate modifiche volte a “modernizzare” il Facilitators package144. Considerato che analoghi propositi di bilanciamento tra sicurezza e solidarietà comparivano già in un documento del 2015145, e che da allora non si sono mai tradotti nemmeno in proposte di riforma, è difficile illudersi che nel breve termine verranno compiuti passi in tal senso, considerato il contesto politico europeo dove il dibattito sull’immigrazione risulta fortemente condizionato da spinte populiste e securitarie.
In questo scenario, la strada giurisdizionale appare quella dotata di maggiori chances di ottenere quanto meno la correzione delle più macroscopiche storture riscontrabili nella legislazione vigente. Si tratta, analogamente a quanto già avvenuto in passato proprio in materia di immigrazione e diritto penale (si pensi al noto caso El Dridi), di attivare i rimedi che consentano di ricondurre l’esercizio della discrezionalità legislativa nei binari della ragionevolezza e del rispetto dei diritti fondamentali146. Come si pensa di avere dimostrato, infatti, i vizi che affliggono l’art. 12 t.u. imm., e a monte le stesse fonti di diritto europeo che ne costituiscono la “matrice”, sono tali da poter essere giustiziati rispettivamente dinanzi alla Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia UE, senza invadere il campo dell’insindacabile “merito” legislativo.
Non si tratta di indebolire gli strumenti di contrasto all’immigrazione irregolare; si tratta, piuttosto, di adeguare gli strumenti di contrasto allo smuggling of migrants allo scopo che sono chiamati a perseguire, sulla falsariga dell’approccio seguito dalla Corte Suprema canadese (v. supra, par. nn. 5 e 6), rendendoli al contempo più efficaci edaderenti al principio dell’extrema ratio: posto infatti che il traffico di migranti altro non è che il mercato nero dell’immigrazione irregolare, è verso la compravendita di quei servizi illeciti che occorre concentrare gli sforzi preventivi e repressivi; riformulando, a monte, le norme sulle quali tali sforzi devono necessariamente basarsi. L’inerzia dei legislatori in materia ha generato un duplice effetto collaterale, sotto gli occhi di tutti, per cui da un lato nelle maglie della repressione penale sono rimasti impigliati anche coloro che agiscono per un obiettivo quanto mai lontano da un ritorno economico; e dall’altro lato i diritti fondamentali dello straniero sono messi a repentaglio dal progressivo sgretolamento dei baluardi di tutela offerti dalla società civile. I tempi sono dunque maturi, come ci pare di avere dimostrato in questo scritto, per affiancare alla riflessione sulle imprescindibili riforme della legislazione anti-smuggling, anche quella sugli strumenti giurisdizionali che consentano al più presto di allineare le norme vigenti ai canoni fissati dalla Carta Costituzionale e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.