La disciplina succedutasi in tema di udienze penali nel periodo emergenziale ha risentito, oltre che della necessità di trovare un ragionevole punto di sintesi tra il contenimento del contagio e la garanzia dei diritti della difesa, anche della esigenza di calibrare le diverse risposte normative e, in particolare, quella riguardante l’estensione dei presupposti per fare ricorso all’udienza penale da remoto, sulla base dell’andamento della diffusione del contagio.
I decreti legge nn. 9 e 11 del 2020 hanno previsto il differimento delle udienze, salvo udienze da remoto per i detenuti nei per i procedimenti non sospendibili.
In sede di conversione del d.l. n. 18/2020 la legge n. 27/2020 prevede l’estensione generalizzata della modalità telematica delle udienze penali dal 9 marzo al 30 giugno 2020 quando non era richiesta la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, delle parti private e dei rispettivi difensori, dagli ausiliari del Giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti.
Lo stesso giorno dell’entrata in vigore della l. n. 27/2020 di conversione, cioè il 30 aprile 2020 il Governo ha introdotto D.L. 28/2020 nel quale, aggiungendo un periodo finale nel comma 12-bis dell’art. 83 d.l. n. 18/2020, ha previsto che le disposizioni del processo da remoto non si applicano salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti (non modificata dalla legge di conversione n. 70/2020, che ha solo accorciato dal 31 luglio al 30 giugno 2020 il tempo di vigenza delle neo disposizioni).
Corte Costituzionale
sentenza 15 aprile – 11 maggio, n. 96
Presidente Coraggio - Redattore Petitti
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale ordinario di Spoleto, con ordinanza del 21 maggio 2020 iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2020, ha sollevato, in riferimento agli artt. 70 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), poi convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, nella parte in cui, introducendo l’ultimo periodo nel comma 12-bis dell’art. 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito «in aperto contrasto» con quanto da quest’ultima previsto che, nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020, «la modalità ordinaria di partecipazione all’udienza penale fosse quella “in presenza”».
1.1.– Il rimettente premette di procedere con giudizio immediato nei confronti di G. C., disposto con decreto del 25 maggio 2017, per i reati di cui agli artt. 572, 61, numero 5) e numero 11), e 609-bis, primo comma, del codice penale.
L’ordinanza riferisce che dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento in data 8 marzo 2020 (recte: 2018), si sono svolte successive udienze, rivolte all’assunzione delle prove, in data 28 febbraio 2019 e, di fronte a diversa composizione del collegio giudicante, in data 9 settembre 2019, 11 novembre 2019 e 27 gennaio 2020. Esauriti gli incombenti istruttori, il processo è stato aggiornato per la discussione finale all’udienza del 27 gennaio 2020, ove ha subito un ulteriore rinvio, per ragioni organizzative del Tribunale, all’udienza del 21 maggio 2020.
Nel corso di tale ultima udienza – svoltasi, a quanto risulta dall’ordinanza, alla presenza fisica delle parti in aula «non avendo [esse] formulato istanza di celebrazione dell’udienza “da remoto”» in conformità all’art. 83, comma 12-bis, ultimo periodo, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, introdotto dalla disposizione censurata –, il Presidente del collegio giudicante ha chiesto alle parti se intendessero prestare il consenso alla trattazione “da remoto”. Preso atto del mancato consenso espresso dalla difesa dell’imputato, il rimettente ha sospeso il giudizio, ritenendo rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.l. n. 28 del 2020.
2.– Il giudice a quo osserva come tra le misure rivolte a contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e a contenerne gli effetti in materia di amministrazione della giustizia penale assuma un particolare rilievo l’introduzione del cosiddetto “processo penale telematico”, con cui si è consentito, nella fase di emergenza sanitaria, lo svolgimento di attività processuali mediante collegamento telematico (cosiddetto accesso da remoto).
Sulla disciplina di tali modalità, introdotte dapprima in sede di conversione del d.l. n. 18 del 2020, ha tuttavia inciso il successivo d.l. n. 28 del 2020, entrato in vigore il 1° maggio 2020 e, quindi, pressoché contestualmente all’entrata in vigore (il 30 aprile 2020) della richiamata legge n. 27 del 2020, di conversione del d.l. n. 18 del 2020. Con quest’ultima si era infatti previsto, all’art. 83, comma 12-bis, che, nel periodo tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020, tutte le udienze penali che non richiedevano la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti, potessero essere tenute mediante collegamento da remoto. A seguito delle modifiche apportate a tale previsione dalla disposizione censurata, entrata in vigore il giorno successivo a quello della entrata in vigore della legge n. 27 del 2020, lo svolgimento delle udienze penali è stato tuttavia disciplinato in modo «diametralmente oppost[o]». Con l’art. 3, comma 1, lettera d), del d.l. n. 28 del 2020, infatti, è stato previsto che per le udienze deputate alla discussione finale e all’esame di testimoni, parti, consulenti e periti, si restringesse l’ambito operativo delle udienze da remoto e delle relative camere di consiglio, perché la modalità in presenza era individuata «quale modalità di partecipazione maggiormente garantita» e quella da remoto, subordinata al consenso di tutte le parti, era ormai da intendere come modalità di svolgimento del tutto residuale (restando essa nella sostanza applicabile alle sole udienze cosiddette “filtro”).
2.1.– Il rimettente ritiene le questioni rilevanti perché l’udienza di discussione finale del 21 maggio 2020, in esito alla quale è stato sospeso il giudizio per effetto della sollevazione delle presenti questioni di legittimità costituzionale, era deputata alla sola discussione finale e si è svolta alla presenza fisica delle parti in conseguenza del mancato consenso dell’imputato alla partecipazione al collegamento da remoto, espresso nel corso della stessa a seguito dell’interpello del Presidente del collegio giudicante.
A fronte di ciò, il Tribunale rileva che, versandosi in uno dei casi per i quali il testo originario dell’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020 aveva ammesso lo svolgimento dell’udienza tramite collegamento telematico e in ragione della non complessità dell’attività processuale da espletare, «avrebbe certamente disposto di procedere tramite la modalità alternativa di partecipazione», ma il mancato consenso della difesa dell’imputato, previsto dalla norma censurata, ha reso necessaria la trattazione dell’udienza nelle forme ordinarie.
Non sarebbe stata, peraltro, di ostacolo alla rimessione delle questioni la circostanza che l’ultimo periodo dell’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, introdotto dalla norma censurata, avrebbe cessato di essere vigente, secondo quanto deduce il rimettente, a far data dal 31 luglio 2020, perché la rilevanza andrebbe valutata ex ante, vale a dire nel momento in cui il giudice solleva la questione.
2.2.– Poste tali premesse, il Tribunale di Spoleto ritiene che la disposizione censurata sia in contrasto con gli artt. 70 e 77 Cost.
La disciplina con decretazione d’urgenza delle modalità di svolgimento delle udienze penali introdotta con la norma censurata, intervenuta pressoché contestualmente all’entrata in vigore della legge di conversione del precedente d.l. n. 18 del 2020, susciterebbe infatti «forti perplessità quantomeno sul piano metodologico», per il fatto di contenere una normativa di segno del tutto contrario a quella contenuta nell’atto legislativo approvato dal Parlamento; in tal modo, si finirebbe con l’attribuire al Governo il potere di disciplinare in maniera diversa la medesima materia a ridosso dell’approvazione parlamentare, «così svilendo l’essenziale attribuzione al Parlamento, quale organo il cui potere deriva direttamente dal popolo, nell’adozione di norme primarie, in aperta violazione dell’art. 70 della Costituzione».
Né, ad avviso del rimettente, il vizio potrebbe escludersi per il fatto che la Camera dei deputati, al momento dell’approvazione della legge n. 27 del 2020, aveva approvato un ordine del giorno con cui impegnava il Governo a modificare la disciplina appena approvata.
Quanto, poi, alla violazione dell’art. 77 Cost., risulterebbero insussistenti i presupposti di necessità e di urgenza dell’adozione della norma censurata.
Il brevissimo lasso di tempo (un solo giorno) intercorso tra l’entrata in vigore della legge di conversione e del decreto-legge imporrebbe di ritenere che non sia medio tempore intervenuto alcun elemento di novità, tanto più che l’originaria finalità di mitigazione del contagio che perseguiva la generalizzata introduzione del processo da remoto sarebbe evidentemente frustrata nel momento in cui si è reintrodotta quella in presenza, come modalità nella sostanza ordinaria di svolgimento delle udienze penali.
Né potrebbe ritenersi che la necessità e l’urgenza dell’intervento governativo siano ravvisabili alla luce dei dubbi di legittimità costituzionale espressi da più parti in riferimento alla disciplina del processo da remoto contenuta nel d.l. n. 18 del 2020, come convertito, «non essendo di certo il Decreto Legge lo strumento individuato dall’ordinamento per fronteggiare eventuali vizi di costituzionalità degli atti normativi».
3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate irrilevanti e manifestamente infondate.
L’Avvocatura eccepisce, innanzi tutto, che le questioni siano state sollevate tardivamente e che il rimettente non potrebbe più dare applicazione alla norma censurata.
Secondo quanto prescrive l’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, infatti, il giudice avrebbe dovuto comunicare alle parti e ai soggetti interessati la data di svolgimento dell’udienza da remoto prima della stessa, così da consentire a chi lo avesse ritenuto di opporvisi, poiché la ratio della previsione è quella di evitare agli interessati di presentarsi fisicamente in udienza, laddove intendano procedere con collegamento telematico.
Ciò, invece, non sarebbe avvenuto nel caso di specie, nel quale l’interpello alle parti è stato effettuato nel corso dell’udienza stessa e, quindi, dopo che le parti si erano presentate per partecipare alla medesima. Circostanza, quest’ultima, che priverebbe il giudice del potere di applicare la norma di cui questi sospetta l’illegittimità costituzionale, riferita invece a una fase precedente e ormai esaurita. Da qui, ad avviso dell’interveniente, l’irrilevanza delle questioni sollevate.
Nel merito, non vi sarebbe comunque alcuna menomazione dei poteri del Parlamento, perché un decreto-legge ben potrebbe, come nel caso di specie e tanto più al cospetto di una disciplina destinata ad operare per un breve periodo, introdurre una disciplina diversa da quella contenuta in un atto approvato dal Parlamento, quando ciò sia necessario per far fronte a esigenze medio tempore manifestatesi. Nel caso di specie, tali esigenze scaturivano dalle critiche rivolte alla generalizzata introduzione del processo da remoto ed erano confluite in diversi ordini del giorno di provenienza parlamentare, fatti propri dal Governo, che così si era impegnato a modificarne la disciplina, evitando in tal modo la presentazione di emendamenti che avrebbero ritardato l’approvazione della legge di conversione, eventualità tanto più da scongiurare in quanto l’intervento normativo in questione era rivolto a contrastare l’emergenza pandemica.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Spoleto ha sollevato, in riferimento agli artt. 70 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), poi convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, nella parte in cui, introducendo l’ultimo periodo nel comma 12-bis dell’art. 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito «in aperto contrasto» con tale legge di conversione che, nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020, «la modalità ordinaria di partecipazione all’udienza penale fosse quella “in presenza”».
1.1.– Il rimettente premette che, nel corso dell’udienza di discussione finale svoltasi il 21 maggio 2020 alla presenza fisica delle parti, la difesa dell’imputato non ha manifestato il proprio consenso allo svolgimento dell’udienza per il tramite di collegamento telematico (cosiddetto accesso “da remoto”), secondo quanto previsto dall’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, come modificato dalla norma censurata.
A fronte di ciò, ritenendo che la complessità delle questioni da trattare non rendesse necessaria l’udienza in presenza delle parti e preso atto dell’avvicendamento normativo che aveva interessato la disciplina delle udienze penali alla luce del rischio di contagio da COVID-19, il giudice a quo ritiene che la norma censurata, avendo nella sostanza ripristinato quella in presenza come modalità ordinaria di svolgimento di tali udienze, sia in contrasto con gli artt. 70 e 77 Cost.
Ad avviso del Tribunale di Spoleto, l’introduzione della norma censurata ad opera del d.l. n. 28 del 2020, adottata il giorno stesso dell’entrata in vigore della legge n. 27 del 2020, che prevedeva, al contrario, che le udienze penali si svolgessero da remoto, svilirebbe infatti «l’essenziale attribuzione al Parlamento» del potere di adottare norme primarie e, inoltre, risulterebbe priva dei presupposti di necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità delle questioni e concludendo, comunque, nel senso della loro infondatezza.
Ad avviso della difesa dello Stato, difetterebbe infatti il requisito della rilevanza delle questioni perché sollevate tardivamente. Secondo quanto previsto dall’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, sostiene l’Avvocatura generale, il giudice avrebbe dovuto interpellare le parti in ordine all’eventualità che l’udienza si svolgesse tramite collegamento telematico in un momento antecedente, così da consentire loro di manifestare il consenso o, viceversa, la contrarietà a tale modalità di trattazione, con l’effetto – in quest’ultimo caso – di procedere secondo la modalità ordinaria di svolgimento dell’udienza. Nel giudizio a quo, invece, il Tribunale procedente ha chiesto alle parti di manifestare il consenso solamente quando queste erano presenti all’udienza del 21 maggio 2020, già fissata per effetto del rinvio disposto all’udienza del 27 gennaio 2020, sicché, a quel punto, il giudice non avrebbe più potuto dare applicazione alla norma della cui legittimità costituzionale egli dubita.
3.– È necessario, prima di vagliare l’eccezione avanzata dall’Avvocatura dello Stato, inquadrare la disposizione oggetto di esame all’interno della successione dei provvedimenti normativi che hanno disciplinato, nella prima fase del periodo emergenziale determinato dalla diffusione del contagio da COVID-19, lo svolgimento delle udienze penali.
3.1.– Nella fase iniziale dell’emergenza epidemiologica, il Governo ha optato, al fine di ridurre le occasioni di contagio nelle aule di giustizia penali, per lo strumento del differimento delle udienze, cui si collegava la sospensione dei termini di prescrizione per i relativi giudizi.
In particolare, l’art. 10, comma 7, del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 (Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), prevedeva il rinvio d’ufficio a data successiva al 31 marzo 2020 delle udienze nei procedimenti penali pendenti negli uffici giudiziari dei circondari dei Tribunali cui appartenevano i Comuni rientranti nelle prime “zone rosse” in Lombardia e Veneto, elencati dall’Allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19).
Un analogo differimento, ma a data successiva al 22 marzo 2020, è stato disposto pochi giorni dopo dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11 (Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria) per la generalità dei procedimenti civili e penali pendenti presso gli uffici giudiziari, con l’eccezione delle udienze elencate dall’art. 2, comma 2, lettera g), del medesimo decreto.
Entrambi i decreti-legge ora menzionati sono stati successivamente abrogati dall’art. 1, comma 2, della legge n. 27 del 2020, ove tuttavia si è previsto che «[r]estano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi».
3.2.– In una fase di poco successiva, parallelamente all’aggravamento della diffusione del contagio, le udienze nei procedimenti civili e penali sono state ulteriormente differite a data successiva al 15 aprile 2020 dall’art. 83, comma 1, del d.l. n. 18 del 2020, con l’eccezione delle udienze previste dal comma 3 del medesimo articolo. L’art. 83, comma 7, lettera g), del d.l. n. 18 del 2020 attribuiva poi ai capi degli uffici giudiziari la facoltà di prevedere un rinvio ulteriore (a data successiva al 30 giugno 2020) delle udienze civili e penali non rientranti nelle fattispecie di cui al già richiamato comma 3 del medesimo articolo.
Inoltre, l’art. 83, comma 12, del d.l. n. 18 del 2020, stabiliva che, fermo lo svolgimento delle udienze penali non soggette al regime di sospensione nelle forme dell’art. 472, comma 3, del codice di procedura penale (cioè “a porte chiuse”), nel periodo ricompreso tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 «la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271».
In sede di conversione del d.l. n. 18 del 2020, per effetto di un emendamento governativo (n. 19.1000) presentato in Commissione al Senato della Repubblica e successivamente approvato in aula, in prima lettura, il 9 aprile 2020, è stato introdotto tra l’altro, nel corpo dell’art. 83, il comma 12-bis, che estendeva, per il medesimo periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, la modalità di trattazione «mediante collegamenti da remoto» alle udienze penali «che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti». L’estensione generalizzata della modalità telematica alle udienze penali era poi accompagnata dalla previsione per cui «[p]rima dell’udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento».
3.3.– Giunto all’esame della Camera dei deputati, il disegno di legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020 ha sollevato, sul punto relativo alla disciplina delle udienze penali da remoto, reazioni confluite nella presentazione di più ordini del giorno, provenienti da deputati appartenenti a diversi Gruppi parlamentari, volti a impegnare il Governo a delimitare i presupposti per il ricorso a tale modalità di svolgimento delle udienze penali. Gli ordini del giorno sono stati fatti propri dal Governo, previa riformulazione del loro testo, nel corso della seduta finale del 24 aprile 2020, in esito alla quale è stato approvato, in seconda e ultima lettura, il disegno di legge di conversione (poi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 aprile 2020 n. 110). A seguito di questa riformulazione, tali ordini del giorno impegnavano il Governo «a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, che il ricorso a strumenti telematici – processo da remoto – così come previsto dal Decreto di cui in premessa non si applichi alle udienze di discussione e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti salvo diverso accordo tra le parti».
Il giorno stesso dell’entrata in vigore (il 30 aprile 2020) della legge n. 27 del 2020, di conversione del d.l. n. 18 del 2020, il Governo è quindi nuovamente intervenuto sulla materia, adottando il d.l. n. 28 del 2020, il cui art. 3, comma 1, lettera d), oggetto di censura nel presente giudizio, ha aggiunto un periodo finale nel comma 12-bis dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, il quale prevede che «[f]ermo quanto previsto dal comma 12, le disposizioni di cui al presente comma non si applicano, salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti». Nella relazione governativa che accompagna il disegno di legge di conversione del d.l. n. 28 del 2020, comunicato alla Presidenza del Senato il 30 aprile 2020, si ribadisce espressamente, in relazione alla disposizione in esame, che essa è rivolta a dare «seguito all’impegno assunto dal Governo con l’approvazione dell’ordine del giorno n. 37, Vazio e altri, come riformulato nella seduta del 24 aprile 2020 dell’Assemblea della Camera dei deputati».
Lo stesso d.l. n. 28 del 2020 ha altresì disposto (all’art. 3, comma 1, lettera i) il differimento del termine di efficacia delle previsioni contenute nell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 dal 30 giugno al 31 luglio 2020.
La legge n. 70 del 2020, di conversione del d.l. n. 28 del 2020, non ha apportato modificazioni alla disposizione contenuta nell’art. 3, comma 1, lettera d), censurata nel presente giudizio, che ha quindi cessato di essere efficace, insieme al complesso delle previsioni contenute nell’art. 83, commi 12 e 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, il 1° luglio 2020, per effetto della soppressione, in sede di conversione, dell’art. 3, comma 1, lettera i), e del conseguente ripristino del termine originario di efficacia al 30 giugno 2020. La medesima legge, all’art. 1, comma 2, ha tuttavia fatto salvi gli effetti prodottisi in forza dell’applicazione di tale previsione.
3.4.– Anche in momenti successivi, peraltro, il Governo, in sede di decretazione d’urgenza, ha disciplinato le modalità di trattazione delle udienze penali, prevedendo che alcune udienze potessero svolgersi mediante collegamento telematico subordinatamente al consenso delle parti, previo interpello a cura del giudice.
In particolar modo in occasione del rinnovato aumento dei contagi nell’autunno del 2020, è stato infatti previsto che, fino al termine dell’emergenza sanitaria, «[l]e udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto», stabilendosi altresì che il giudice sia tenuto a far comunicare prima dell’udienza ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento, anche al fine di consentire a tali soggetti di esprimere il loro consenso allo svolgimento, con tale modalità, anche delle udienze preliminari e dibattimentali (art. 23, comma 5, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante «Ulteriori misure in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176).
3.5.– Come è agevole rilevare, la disciplina succedutasi sul tema ha risentito, oltre che della necessità di trovare un ragionevole punto di sintesi tra il contenimento del contagio e la garanzia dei diritti della difesa, anche della esigenza di calibrare le diverse risposte normative e, in particolare, quella riguardante l’estensione dei presupposti per fare ricorso all’udienza penale da remoto, sulla base dell’andamento della diffusione del contagio.
Si può sin d’ora, peraltro, osservare che, da un lato, la disposizione censurata, pur evidentemente sovrapponendosi a quanto deliberato dal Parlamento all’atto dell’approvazione della legge n. 27 del 2020, è stata introdotta al fine di evitare il differimento della entrata in vigore della legge di conversione di un decreto-legge contenente indispensabili misure per il contrasto della pandemia (come era il d.l. n. 18 del 2020). Dall’altro lato, con essa il Governo ha adempiuto, secondo quanto risulta espressamente dai richiamati lavori preparatori, alla richiesta di modifica contenuta negli ordini del giorno recepiti dal Governo medesimo nel corso del procedimento di approvazione, da parte della Camera dei deputati, della legge di conversione, poi pubblicata come legge n. 27 del 2020. Non è privo di rilievo, infine, che la disposizione censurata sia stata convertita dal Parlamento, senza modificazione alcuna, con la legge n. 70 del 2020.
4.– Poste tali necessarie premesse ricostruttive, si può passare a esaminare l’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato.
L’eccezione di inammissibilità è fondata.
4.1.– La disposizione censurata, inserita come periodo aggiuntivo nel testo dell’art. 83, comma 12-bis, del più volte richiamato d.l. n. 18 del 2020, come convertito, non può infatti che essere interpretata alla luce del contesto sistematico in cui essa è stata chiamata a operare. In tale contesto, assume rilievo decisivo la previsione, contenuta nello stesso comma, secondo cui, in un momento necessariamente antecedente all’udienza penale da svolgersi da remoto, al giudice incombeva l’onere di comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui era prevista la partecipazione all’udienza il giorno, l’ora e le modalità di collegamento. Tale previsione, se assolveva a una finalità essenzialmente informativa nel momento in cui si prevedeva che quella da remoto fosse l’unica modalità di trattazione delle udienze penali, ha assunto un rilievo ancora maggiore nel momento in cui con la norma censurata, una volta ripristinata la regola generale delle udienze penali in presenza, si è introdotta la possibilità per le parti di esprimere il consenso all’udienza da remoto. Ragioni di ordine sistematico, infatti, ma anche legate a una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame, impongono di ritenere che tale manifestazione di consenso non potesse che avvenire prima dell’udienza, con la necessaria conseguenza che anche l’obbligo di interpello da parte del giudice procedente dovesse essere assolto in un momento antecedente all’udienza.
La garanzia del diritto di difesa richiede che le parti, e in particolare l’imputato, debbano essere informate con ragionevole anticipo della data, dell’ora e delle modalità di svolgimento dell’udienza, così da esprimere il loro eventuale consenso alla partecipazione alla medesima udienza da remoto. Tuttavia, una volta che tale comunicazione sia mancata e, quindi, le parti si siano presentate fisicamente all’udienza (tanto più, come nel caso di specie, per effetto di un precedente rinvio), non può in alcun modo ritenersi che esse potessero, in quella sede, essere interpellate in ordine alla loro volontà di acconsentire alla celebrazione della medesima udienza da remoto.
Del resto, se la previsione della trattazione delle udienze penali da remoto era rivolta a ridurre la diffusione del contagio, sarebbe stato contraddittorio consentire alle parti di manifestare il loro consenso in favore di tale modalità di partecipazione all’udienza quando le stesse erano già fisicamente comparse davanti al giudice.
4.2.– Nel giudizio a quo, secondo quanto emerge dall’ordinanza introduttiva, le parti sono invece state informate dal giudice della possibilità di prestare il loro consenso all’udienza da remoto solo quando si erano già presentate fisicamente all’udienza del 21 maggio 2020 e, pertanto, in un momento in cui il rimettente non poteva più dare applicazione alla disposizione di cui deduce l’illegittimità costituzionale.
E che il rimettente abbia erroneamente ritenuto di poter applicare tale disposizione in un momento in cui, al contrario, si era consumato qualsiasi suo potere al riguardo, non avendo egli per tempo assolto all’obbligo di interpello alle parti previsto dall’art. 83, comma 12-bis, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, si deduce chiaramente dal testo della stessa ordinanza di rimessione, laddove si legge che alla celebrazione dell’udienza del 21 maggio 2020 si è giunti «non avendo le parti formulato istanza di celebrazione dell’udienza “da remoto”».
Le questioni sollevate difettano pertanto del necessario requisito della rilevanza, perché il giudice, all’atto della loro rimessione, non poteva in alcun modo dare applicazione alla norma censurata, il che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rende le questioni inammissibili, precludendo così il loro esame nel merito (ex multis, sentenza n. 102 del 2016; ordinanze n. 214 del 2018 e n. 35 del 1998).
5.– Devono essere quindi dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.l. n. 28 del 2020, come convertito, sollevate dal Tribunale di Spoleto.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, che ha modificato l’art. 83, comma 12-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, sollevate, in riferimento agli artt. 70 e 77 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Spoleto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.