La registrazione di conversazioni da parte del privato vittima di condotte estorsive o usurarie con il soggetto autore di comportamenti violenti e/o minacciosi, effettuata su iniziativa esclusiva, in quanto nè sollecitata nè in altro modo suggerita dagli inquirenti, dello stesso privato e con l’utilizzo di mezzi propri, anche qualora - ai fini dell’ascolto e della verifica dei contenuti minatori per possibili successive iniziative di carattere processuale - venga immediatamente girata alle forze dell’ordine già in tal senso previamente allertate dell’iniziativa ed indipendentemente dalle modalità dell’ascolto (in diretta o in differita), non presuppone nè implica lo svolgimento di alcun atto di indagine da parte delle stesse forze dell’ordine: in tal caso la registrazione effettuata, anche se veicolata attraverso la successiva trascrizione dei contenuti da parte delle stesse forze dell’ordine, rappresenta una semplice trasposizione del contenuto del supporto magnetico e costituisce una mera forma di memorizzazione fonica di un fatto storico utilizzabile quale prova documentale.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali costituiscano un’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8/1 della Convenzione; la registrazione di una conversazione (telefonica o tra presenti) operata da uno degli interlocutori costituisce interferenza con la vita privata, qualora sia eseguita con mezzi messi a disposizione delle autorità investigative e nel contesto di un’indagine ufficiale: sicché, ove l’attività in questione non risulti regolata, nell’ordinamento dello Stato interessato, da alcuna specifica normativa, deve ravvisarsi una violazione dell’art. 8 CEDU.
I giudici di Strasburgo, con riguardo in generale alle intercettazioni, hanno affermato che, per "legge", ai fini dell’art. 8 § 2 CEDU (come di ogni altra norma della Convenzione che chiede una base statutaria per la limitazione dei diritti in essa consacrati) deve intendersi una disposizione "prevedibile" "quanto al senso ed alla natura delle misure applicabili", che offra "una certa protezione contro gli atti arbitrari del potere pubblico", indicando in modo sufficientemente chiaro ai cittadini in quali circostanze e a quali condizioni le pubbliche autorità possono porre in essere misure di sorveglianza segrete: specificando, segnatamente, (a) quali soggetti possono essere sottoposti alle misure, (b) la natura dei reati in rapporto ai quali esse sono utilizzabili, (c) i limiti di durata, le formalità per assicurare l’integrità delle registrazioni, ecc..
In tale prospettiva, la Corte Europea ha escluso, ad esempio, che potessero costituire idonea base legale per le intercettazioni ambientali le disposizioni riguardanti le intercettazioni telefoniche, applicate analogicamente, anche perché tale applicazione analogica risultava, nel caso considerato, priva di qualsiasi precedente giurisprudenziale.
La Corte Europea ha ritenuto, inoltre, sussistente la violazione dell’art. 8 in ipotesi nella quale l’ordinamento interno prevedeva genericamente il potere della pubblica autorità di procedere ad intercettazioni telefoniche, senza alcuna indicazione dettagliata riguardo al tipo di reati e alle garanzie procedimentali del soggetto la cui comunicazione era stata intercettata.
L’ordinamento giuridico italiano, attualmente, non fornisce una definizione dell’istituto delle intercettazioni e sono sorte ulteriori perplessità interpretative, poiché, tale espressione viene adottata per definire, promiscuamente, non soltanto attività tipicamente investigative, ma anche di diritto penale sostanziale. Anche una ricerca giurisprudenziale, volta alla soluzione dei problemi definitori, risulterebbe vana, in quanto scarsa è stata l’attenzione del giudice di legittimità, il quale ha preferito il ricorso ad un’accezione atecnica o ad un significato mutuato dal diritto processuale. A ciò deve aggiungersi un costante dinamismo evolutivo che obbliga, da un lato, il legislatore e, dall’altro, la giurisprudenza, ad integrare il quadro normativo ed il diritto vivente alla luce progresso scientifico e tecnologico.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 6 luglio – 25 settembre 2020, n. 26766
Presidente Rago – Relatore Pellegrino
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 24/01/2019, la Corte di appello di Ancona confermava la pronuncia resa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Ancona in data 10/05/2018 che aveva condannato:
- S.N. , alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 3.400 di multa per i reati di usura (capi A, C, D, E. F, G, H, I) ed estorsione aggravata continuata in concorso (capo B), estorsione (capo K) e tentata estorsione (capo 3);
- R.C. , alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 1.400 di multa per i reati di usura (capo A) ed estorsione aggravata continuata in concorso (capo B).
La confermata sentenza di primo grado aveva altresì disposto l’interdizione temporanea dai pubblici uffici nei confronti di entrambi gli imputati nonché la confisca di quanto in sequestro nonché di ogni bene mobile o immobile, nella disponibilità degli imputati, sino alla concorrenza di Euro 7.800 quanto alla R. e di Euro 17.100 quanto allo S. .
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di S.N. e di R.C. , vengono proposti distinti ricorsi per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
3. Ricorso nell’interesse di S.N. .
Lamenta il ricorrente quanto segue.
-Primo motivo: erronea e/o falsa applicazione degli art. 266 e 267 c.p.p. anche in relazione agli artt. 191, 268 e 271 c.p.p.; inutilizzabilità patologica di un atto di indagine ed in particolare della registrazione/intercettazione eseguita ad iniziativa della polizia giudiziaria il 22/05/2017 ore 10,10 senza che tale attività fosse stata in alcun modo autorizzata dall’autorità giudiziaria.
Nell’occorso, questi i fatti:
- in data (OMISSIS) i coniugi F.R. e M.S. si recavano presso la Stazione Carabinieri di Ancona "(OMISSIS) " per sporgere denuncia nei confronti di S.N. per presunti fatti di usura;
- in data (OMISSIS) , verso le ore 10,00 circa, mentre era in corso un colloquio personale tra lo S. e la M. , perveniva sull’utenza telefonica di servizio di militare del Comando Carabinieri di Ancona (OMISSIS) , proprio nel mentre la polizia giudiziaria stava raggiungendo gli uffici della Procura della Repubblica di Ancona, una telefonata dall’utenza mobile (OMISSIS) in uso alla M. ;
- la predetta telefonata veniva ascoltata e registrata da parte della polizia giudiziaria tramite l’applicazione "(OMISSIS) ";
- alle ore 13,34 del (OMISSIS) , il pubblico ministero decretava d’urgenza l’intercettazione delle utenze telefoniche in uso allo S. e alla R. nonché di quella della persona offesa, M.S. ;
- in data 23/05/2017, il giudice per le indagini preliminari convalidava la decretazione d’urgenza del pubblico ministero.
La decisione della Corte territoriale non appare condivisibile anche perché, travisando le risultanze istruttorie, ha omesso di valutare e di richiamare la circostanza che le forze dell’ordine non si sono limitate ad ascoltare "in diretta" la conversazione tra la M. e lo S. tramite il telefono, ma hanno provveduto alla contestuale registrazione della conversazione su supporto magnetico, utilizzando, peraltro, apparecchiature e linee telefoniche in uso alla polizia giudiziaria, e senza che fosse stato in quel momento ancora emesso alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria autorizzativo delle intercettazioni. Inoltre, l’attività svolta dalla polizia giudiziaria deve ritenersi rientrare nella disciplina di cui all’art. 266 c.p.p. e ss., atteso che le operazioni di ascolto (contestuale e remoto) e di simultanea registrazione erano gestite dalla stessa polizia giudiziaria (e non da M.S. ) e si svolgevano attraverso apposite apparecchiature in uso alla polizia giudiziaria, atte a captare e registrare, in tempo reale, la comunicazione.
- Secondo motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 267 c.p.p. anche in relazione agli artt. 271 e 191 c.p.p. e art. 125 c.p.p., comma 3; nullità del decreto di convalida delle intercettazioni emesso dal giudice per le indagini preliminari il 23/05/2017, per aver quest’ultimo motivato il decreto di convalida delle intercettazioni utilizzando un atto di indagine affetto da inutilizzabilità di tipo patologico, con conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite nei confronti del prevenuto, nonché erronea e/o falsa applicazione dell’art. 267 c.p.p. anche in relazione agli artt. 271 e 191 c.p.p. e art. 125 c.p.p., comma 3, per avere il pubblico ministero posto a fondamento della motivazione della decretazione d’urgenza del (OMISSIS) ore 13.34, autorizzativa delle intercettazioni, un atto di indagine affetto da inutilizzabilità di tipo patologico. Come è noto l’inutilizzabilità di tipo patologico spiega i suoi effetti non solo nella fase dibattimentale e/o del giudizio, ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ciò in quanto alla nozione di inutilizzabilità patologica devono essere riferiti gli atti probatori contra legem il cui impiego è vietato in modo assoluto dall’art. 191 c.p.p. (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro). Ne consegue che, nella fattispecie, tutte le intercettazioni eseguite durante la fase delle indagini nei confronti dell’imputato (dal 22 al 23 maggio 2017) debbono considerarsi inutilizzabili, posto che l’art. 271 c.p.p. dispone che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge, o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dall’art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3.
- Terzo motivo: erronea e/o falsa applicazione degli artt. 644 e 629 c.p. anche in relazione all’art. 6 CEDU e art. 111 Cost., per avere i giudici di merito posto a fondamento della decisione di penale responsabilità dell’imputato esclusivamente e/o comunque in modo significativo dichiarazioni predibattimentali assunte in assenza di contraddittorio e senza alcuna valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni e dei dichiaranti: in particolare, con riferimento al capo C), il 6 ed il 13 giugno 2017 veniva sentito a sommarie informazioni testimoniali P.G. ; con riferimento al capo K), il 10 ed il 24 luglio 2017 veniva sentito a sommarie informazioni testimoniali Si.Fa. ; con riferimento al capo J), il 9 agosto 2017 veniva sentito a sommarie informazioni testimoniali Ru.Ga. .
-Quarto motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 644 c.p. per mancanza degli elementi costitutivi della fattispecie nonché carenza, assenza e/o mera apparenza della motivazione sul punto. In particolare, con riferimento ai capi D), E), F), G), H) ed I), dalla lettura della sentenza di appello (ed anche di primo grado) risulta come si sia omesso di considerare e di valutare l’esistenza del patto usurario, la determinazione in concreto del tasso di interesse eventualmente applicato e la conoscenza - da parte dell’imputato - dello stato di difficoltà economica o finanziaria ovvero di bisogno della vittima.
-Quinto motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 62 c.p., n. 6 per avere la Corte territoriale negato la concessione dell’invocata circostanza attenuante sull’erroneo presupposto dell’esistenza meramente formale dell’accordo risarcitorio tra l’imputato e le persone offese asseritamente limitato ai capi A) e B) avendo altresì omesso di valutare la congruità dell’offerta risarcitoria nonché carenza, assenza e/o mera apparenza della motivazione sul punto. In realtà, sia i giudici del primo che del secondo grado hanno riconosciuto l’esistenza dell’intervenuto accordo risarcitorio tra l’imputato e la famiglia F. -M. e, per tale ragione, pur non ritenendo di dover concedere l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, hanno tuttavia riconosciuto al prevenuto le circostanze attenuanti generiche, proprio sul presupposto dell’intervenuto accordo risarcitorio.
-Sesto motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 62 bis c.p. e art. 61 c.p., n. 2 anche in relazione agli artt. 69, 81, 629 e 644 c.p., per avere entrambi i giudici di merito errato nell’applicazione del calcolo di bilanciamento tra circostanze omettendo di applicare la dovuta diminuzione di pena in relazione ai reati satellite.
Invero, nell’eseguire il giudizio di bilanciamento, il primo giudice ha ritenuto di porre in equivalenza le circostanze ex art. 62 bis c.p. con quella di cui all’art. 61 c.p., n. 2; tuttavia, nell’applicazione dell’aumento per la continuazione, lo stesso ha omesso di considerare che la pena per i reati posti in continuazione avrebbe dovuto essere diminuita proprio per il fatto che egli aveva riconosciuto la sussistenza delle attenuanti generiche con riferimento a tutti i capi della rubrica, e per il fatto che l’aggravante del nesso teleologico era stata contestata per il solo capo B) in relazione al solo capo A), ma non con riferimento agli altri capi d’imputazione.
-Settimo motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 644 c.p., u.c., per carenza, assenza, erroneità e/o mera apparenza della motivazione sul punto riguardante la confisca dei beni: in particolare, nella fattispecie, non risulta che il calcolo sia stato eseguito in base agli interessi usurari concretamente corrisposti ed all’effettivo arricchimento eventualmente conseguito dal prevenuto, poiché in alcuni casi le somme restituite risultano essere addirittura inferiori al capitale inizialmente prestato e, nella sentenza d’appello, manca completamente la motivazione sul criterio di determinazione delle somme da confiscare nonché una rivisitazione critica sul criterio adottato dal primo giudice.
4. Ricorso nell’interesse di R.C. .
Lamenta la ricorrente quanto segue.
- Primo motivo: inosservanza e/o falsa applicazione dell’art. 644 c.p. anche in relazione all’art. 110 c.p. e art. 192 c.p.p. per carenza dell’elemento oggettivo del reato di usura, non avendo la prevenuta mai contratto il patto usurario nè avendo mai riscosso somme relative al patto usurario nonché erroneità, carenza, assenza e/o mera apparenza della motivazione sul punto. Peraltro, quand’anche l’imputata avesse ricevuto l’incarico di riscuotere le somme dallo S. , per conto di quest’ultimo, e quindi di svolgere il compito di mero esattore, la circostanza che la prevenuta non risulta aver mai ricevuto alcuna somma dalle persone offese M. - F. , avrebbe dovuto indurre la Corte di merito a ritenere che il mero esattore non concorre nel reato di usura ove non riesca ad ottenere il pagamento del credito usurario, poiché non fornisce un contributo causale alla realizzazione dell’elemento oggettivo del reato.
-Secondo motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 629 c.p. anche in relazione all’art. 110 c.p. e art. 192 c.p.p., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistere in capo alla prevenuta gli elementi costitutivi del delitto di estorsione, pur in assenza di risultanze istruttorie sul punto (mai viene contestato alla R. di aver posto in essere episodi di violenza ai danni della M. e/o del di lei marito) nonché erroneità, illogicità contraddittorietà e/o mera apparenza della motivazione sul punto, potendosi al più ritenere la ricorrenza di una condotta di connivenza non punibile.
-Terzo motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 267 c.p.p. anche in relazione agli artt. 125, 268 e 271 c.p.p., nullità per carenza, assenza e/o mera apparenza di motivazione del decreto di convalida delle intercettazioni telefoniche emesso dal giudice per le indagini preliminari il 23/05/2017 che ha convalidato la decretazione d’urgenza alle intercettazioni del pubblico ministero del (OMISSIS) ore 13.34 nonché inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche con riferimento alla posizione dell’imputata. Il decreto di convalida riporta testualmente che la decretazione d’urgenza alle intercettazioni era stata disposta il (OMISSIS) alle ore 13.34 "nell’ambito del procedimento... a carico di S.N. per il reato di cui all’art. 644 c.p. commesso in (OMISSIS) ". Alla data di emissione del decreto di convalida, quindi, la R. non risultava essere indagata, nè il procedimento penale per il quale erano state disposte le intercettazioni d’urgenza risultava essere a carico della prevenuta; inoltre, gli elementi motivazionali e giustificativi del decreto di convalida non riguardavano in alcun modo la R. . La motivazione del decreto sembra essersi risolta nella mera ripetizione della formula normativa, nell’indicazione di elementi esclusivamente a carico dello S. e nel richiamo ad un atto di indagine affetto da inutilizzabilità patologica.
- Quarto motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 267 c.p.p. anche in relazione agli artt. 268, 271 e 191 c.p.p., nullità del decreto di convalida delle intercettazioni emesso dal giudice per le indagini preliminari il 23/05/2017 per avere il giudice utilizzato un atto affetto da inutilizzabilità patologica come da memoria ex art. 121 c.p.p..
- Quinto motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 62 c.p., n. 6 per avere la Corte territoriale negato la concessione dell’invocata circostanza attenuante sull’erroneo presupposto dell’esistenza meramente formale dell’accordo risarcitorio tra l’imputato e le persone offese asseritamente limitato ai capi A) e B) avendo altresì omesso di valutare la congruità dell’offerta risarcitoria nonché carenza, assenza e/o mera apparenza della motivazione sul punto. In realtà, sia i giudici del primo che del secondo grado hanno riconosciuto l’esistenza dell’intervenuto accordo risarcitorio tra l’imputato e la famiglia F. -M. e, per tale ragione, pur non ritenendo di dover concedere l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, hanno tuttavia riconosciuto alla prevenuta - che risponde solo dei capi A) e B) - le circostanze attenuanti generiche, proprio sul presupposto dell’intervenuto accordo risarcitorio.
-Sesto motivo: erronea e/o falsa applicazione dell’art. 644 c.p., u.c., per avere le sentenze di merito immotivatamente duplicato la somma da sottoporre a confisca nonché assenza, erroneità, illogicità e/o mera apparenza della motivazione sul punto riguardante la confisca dei beni.
5. Nei motivi nuovi depositati nell’interesse di R.C. , si è insistito:
- quanto ai primi due motivi del ricorso principale, sul fatto che entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto come la ricorrente sia rimasta completamente estranea alla fase della pattuizione del prestito e degli interessi. In particolare, quanto all’usura, si ribadisce che risponde del delitto di concorso in usura solo il soggetto che, in un momento successivo alla formazione del patto usurario, ricevuto l’incarico di recuperare il credito, riesca ad ottenerne il pagamento; viceversa, se il recupero non avviene, l’incaricato risponde di favoreggiamento o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di estorsione, perché in tali casi il momento consumativo dell’usura rimane quello originario della pattuizione. In ogni caso, manca nelle sentenze di merito una specifica argomentazione che dia conto della consapevolezza della R. che dal prestito derivasse la corresponsione di interessi usurari e che la stessa abbia ricevuto dallo S. l’incarico di riscuotere il credito. L’usura mediante dazione è un reato "a condotta frazionata", per cui l’eventuale sforamento del tasso-soglia dovrà essere verificato, trimestre per trimestre, per tutta la durata della rateizzazione. Con riferimento al reato di estorsione, la sentenza impugnata richiama genericamente quella di primo grado senza dar conto di quali siano state le minacce e quanto gravi siano state, senza indicare in quali occasioni la R. abbia richiesto alla M. di estinguere il debito, nè è stata evidenziata la valenza intimidatoria dei contenuti della minaccia;
- con riferimento al terzo e al quarto motivo del ricorso principale, nella convalida del decreto di intercettazione di urgenza emesso dal pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari motiva la propria decisione adducendo elementi esclusivamente riferibili al coimputato S.N. , marito della R. , ma nessun elemento, costituente gravità indiziaria, è riconducibile alla R. . Si ribadisce l’inutilizzabilità dell’atto di indagine costituito dalla registrazione di una conversazione intercorsa tra M.S. e S.N. , ascoltata in diretta dagli investigatori, tramite il telefono della donna: detta registrazione/intercettazione non è mai stata autorizzata da un magistrato, anche perché l’ascolto e la contestuale registrazione è avvenuta con strumentazione in uso alla Polizia giudiziaria. Nella fattispecie, le ragioni e le motivazioni per sottoporre ad intercettazione l’utenza telefonica in capo alla R. sembrano del tutto assenti;
- con riferimento al sesto motivo del ricorso principale, il capo A) d’imputazione contestava una dazione di assegni per un importo complessivo di Euro 7.800,00: tuttavia, dalla sentenza di primo grado risulta essere stata disposta una confisca (per il solo capo A), pari a complessivi Euro 15.600,00, ossia Euro 7.800,00 per ciascun coimputato, somma immotivatamente duplicata o comunque eccedente nel quantum l’ammontare complessivo del presunto profitto; -con riferimento al quinto motivo del ricorso principale, si contesta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 sia per carenza e/o assenza della motivazione sul punto, sia per la mancanza di una valutazione di congruità dell’offerta risarcitoria, giudizio mai espresso nelle sentenze di merito. La Corte territoriale avrebbe dovuto meglio motivare le ragioni alla base della negatoria del risarcimento post delictum, anche distinguendo e separando la posizione della R. rispetto a quella dello S. , in considerazione del fatto che le due posizioni appaiono oggettivamente diverse e caratterizzate da diverso grado di coinvolgimento e di gravità.
Considerato in diritto
1. Il ricorso di R.C. è parzialmente fondato ed il relativo accoglimento determina - nei confronti della stessa - l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6; nel resto, il ricorso della R. va dichiarato inammissibile, così come inammissibile è il ricorso di S.N. . Va evidenziato in premessa che si è in presenza di una c.d. "doppia conforme" della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i seguenti parametri: 1) la sentenza di appello ripetutamente si richiama alla decisione del Tribunale; 2) entrambe le sentenze di merito adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
2. Ricorso nell’interesse di S.N. .
2.1. Manifestamente infondati sono sia il primo che il secondo motivo trattabili congiuntamente per le reciproche interazioni.
Alcune considerazioni di carattere preliminare si rendono doverose.
2.1.1. La giurisprudenza della Corte EDU, da tempo, ha riconosciuto come le intercettazioni telefoniche e ambientali costituiscano un’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8 § 1 della Convenzione (cfr., 20/12/2005, Wisse c. Francia; 06/12/2005, Agaouglu c. Turchia; 31/05/2005, Vetter c. Francia; 27/04/2004, Deorga c. Paesi Bassi; 05/11/2002, Allan c. Regno Unito; 17/07/2003, Craxi c. Italia). La Corte di Strasburgo ha, altresì, reiteratamente affermato, che la registrazione di una conversazione (telefonica o tra presenti) operata da uno degli interlocutori costituisce interferenza con la vita privata, qualora sia eseguita con mezzi messi a disposizione delle autorità investigative e nel contesto di un’indagine ufficiale: sicché, ove l’attività in questione non risulti regolata, nell’ordinamento dello Stato interessato, da alcuna specifica normativa, deve ravvisarsi una violazione dell’art. 8 CEDU (in questo senso la Corte EDU si è espressa, ad esempio, nella sentenza del 25/10/2007, Van Vondel c. Paesi Bassi, con riguardo a fattispecie nella quale la polizia aveva fornito gli strumenti di registrazione e, in un caso, anche indicato le domande da porre all’interlocutore ignaro o nella pronuncia dell’01/03/2007, Heglas c. Repubblica Ceca, con riguardo a fattispecie nella quale la registrazione era stata effettuata su iniziativa della polizia. Significativa anche la sentenza 08/04/2003, M.M. c. Paesi Bassi, in riferimento a fattispecie nella quale la polizia aveva suggerito ad una donna, vittima di proposte di tipo sessuale, di registrare le eventuali telefonate del soggetto attivo, effettuando le operazioni tecniche a ciò necessarie e istruendo la denunciante circa la maniera di condurre la conversazione).
Proprio in riferimento alla problematica delle intercettazioni tra presenti (e delle videoregistrazioni), viene in rilievo la valenza da attribuire alla locuzione "previste dalla legge" ("prevue par la loi"), che figura nell’art. 8, § 2 CEDU. Al riguardo, la Corte di Strasburgo ha chiarito che il termine "legge" va inteso in senso sostanziale, comprendendo, oltre alla legge formale, anche la normativa ad essa subordinata (inclusa quella non-scritta) ed il diritto di creazione giurisprudenziale, proprio dei paesi di common law (cfr., ex plurimis, 24/04/1990, Kruslin c. Francia; 02/08/1984, Malone c. Regno Unito; 26/04/1979, Sunday Times c. Regno Unito).
Nondimeno, la mera esistenza di una disciplina normativa non è, peraltro, sufficiente ad assicurare il rispetto dell’art. 8, essendo necessaria anche una verifica della c.d. "qualità della legge" (quality of the law), che si specifica nei requisiti della accessibilità (ovvero della possibilità, per l’individuo, di conoscere il precetto legislativo e di comprenderne la portata) e della formulazione sufficientemente precisa (ovvero della possibilità, per l’individuo - avvalendosi, se del caso, di esperti - di prevedere, ad un livello ragionevole, le conseguenze che possono derivare da una data azione). Tale problematica è assai rilevante, in generale, per le intercettazioni, ma lo è, in particolare, per le intercettazioni di conversazioni tra presenti, proprio in ragione della circostanza che, per queste ultime, difetta nell’ordinamento italiano una specifica disciplina, ricavabile solo attraverso principi giurisprudenziali.
2.1.2. I giudici di Strasburgo, con riguardo in generale alle intercettazioni, hanno affermato che, per "legge", ai fini dell’art. 8 § 2 CEDU (come di ogni altra norma della Convenzione che chiede una base statutaria per la limitazione dei diritti in essa consacrati) deve intendersi una disposizione "prevedibile" "quanto al senso ed alla natura delle misure applicabili", che offra "una certa protezione contro gli atti arbitrari del potere pubblico", indicando in modo sufficientemente chiaro ai cittadini in quali circostanze e a quali condizioni le pubbliche autorità possono porre in essere misure di sorveglianza segrete: specificando, segnatamente, (a) quali soggetti possono essere sottoposti alle misure, (b) la natura dei reati in rapporto ai quali esse sono utilizzabili, (c) i limiti di durata, le formalità per assicurare l’integrità delle registrazioni, ecc..
In tale prospettiva, la Corte Europea ha escluso, ad esempio, che potessero costituire idonea base legale per le intercettazioni ambientali le disposizioni riguardanti le intercettazioni telefoniche, applicate analogicamente, anche perché tale applicazione analogica risultava, nel caso considerato, priva di qualsiasi precedente giurisprudenziale (31/05/2005, Vetter c. Francia, cit.). La Corte Europea ha ritenuto, inoltre, sussistente la violazione dell’art. 8 in ipotesi nella quale l’ordinamento interno prevedeva genericamente il potere della pubblica autorità di procedere ad intercettazioni telefoniche, senza alcuna indicazione dettagliata riguardo al tipo di reati e alle garanzie procedimentali del soggetto la cui comunicazione era stata intercettata (02/08/1984, Malone c. Regno Unito, cit.). Per altro verso, la Corte EDU ha escluso che l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche di un detenuto potesse trovare adeguata base legale in una circolare del ministero della giustizia, finalizzata ad assicurare l’ordine nelle carceri e la sicurezza pubblica in genere (27/04/2004, Deorga c. Paesi Bassi, cit.).
2.1.3. L’ordinamento giuridico italiano, attualmente, non fornisce una definizione dell’istituto delle intercettazioni e, a seguito della L. 23 dicembre 1993, n. 547, introduttiva degli artt. 617-bis, 617-ter, 617-quater e 617-quinquies c.p., sono sorte ulteriori perplessità interpretative, poiché, tale espressione viene adottata per definire, promiscuamente, non soltanto attività tipicamente investigative, ma anche di diritto penale sostanziale. Anche una ricerca giurisprudenziale, volta alla soluzione dei problemi definitori, risulterebbe vana, in quanto scarsa è stata l’attenzione del giudice di legittimità, il quale ha preferito il ricorso ad un’accezione atecnica o ad un significato mutuato dal diritto processuale. A ciò deve aggiungersi un costante dinamismo evolutivo che obbliga, da un lato, il legislatore e, dall’altro, la giurisprudenza, ad integrare il quadro normativo ed il diritto vivente alla luce progresso scientifico e tecnologico.
A sua volta, la dottrina ha cercato di individuare una struttura minima dello strumento investigativo, ricorrendo ad una definizione di intercettazione processuale, quale mezzo di ricerca della prova, consistente nell’apprensione occulta e contestuale del contenuto di una conversazione o comunicazione tra soggetti, anche nella forma di flusso comunicativo informatico o telematico, come previsto dall’art. 266-bis c.p.p., mediante modalità oggettivamente idonee allo scopo, con intromissioni clandestine che superano il normale livello di percettibilità umana, operate da soggetti terzi rispetto ai conversanti, con apparecchiature in grado di fissarne l’evento e tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato dell’atto dialogico.
2.1.4. Dalla disamina delle principali norme codicistiche in materia di intercettazioni è possibile desumere i seguenti obiettivi che il legislatore ha inteso raggiungere:
a) rendere più rigoroso sia l’obbligo di vaglio dei presupposti che quello motivazionale nell’ambito dei provvedimenti del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari, sia con riferimento alle intercettazioni telefoniche che a quelle c.d. ambientali (art. 267 c.p.p.);
b) rendere più rigido il divieto di pubblicazione degli atti relativi alle intercettazioni, assicurandone un uso esclusivamente endoprocessuale e restringendo la conservazione delle comunicazioni intercettate non utili ai fini processuali (art. 269 c.p.p.);
c) rendere consapevole l’interessato dell’avvenuta intercettazione nei suoi confronti e, anche laddove l’indagine preliminare non fosse ancora conclusa, della facoltà di esaminare gli atti ovvero prendere cognizione dei flussi di comunicazione e informatici (art. 268 c.p.p., comma 6), al fine di non ledere quel principio di diritto alla difesa garantito costituzionalmente nei tempi del giusto processo (art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 1);
d) rendere più trasparente l’azione investigativa, garantendo un uso delle informazioni ottenute attraverso le intercettazioni che sia limitato esclusivamente alle conversazioni rilevanti ai fini del procedimento (art. 271 c.p.p., commi 1 e 2).
2.1.5. Ma qual è lo stato attuale della giurisprudenza di legittimità? Per rispondere, occorre partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 36747 del 28/05/2003 (ric. Torcasio ed altro), con la quale la S.C. ha precisato, in primo luogo, quando una certa attività possa essere definita di "intercettazione".
In tal senso, si è riconosciuta la necessità:
a) che i soggetti, fra loro comunicanti, intendano escludere gli altri dalla percezione;
b) che gli strumenti utilizzati per captare il colloquio siano insidiosi e non agevolmente riconoscibili;
c) che il soggetto che capta il colloquio sia estraneo al colloquio medesimo.
La concomitante ricorrenza delle tre condizioni consente di ritenere l’esistenza dell’intercettazione che deve seguire lo schema tipico: richiesta del pubblico ministero, autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, decreto del pubblico ministero ed esecuzione del provvedimento da parte dello stesso pubblico ministero o di ufficiali di polizia giudiziaria. In assenza anche di una sola di queste condizioni, non si può parlare di intercettazione, ricadendosi nella diversa fattispecie della documentazione del colloquio da parte di una persona che vi partecipa, o che comunque non ne viene esclusa: in questi casi, la registrazione è un aiuto alla memoria, per fissare meglio il ricordo ed evitare contestazioni su quanto è stato detto ed il supporto su cui vengono impresse le tracce di tale conversazione è, pertanto, un vero e proprio documento, acquisibile in dibattimento ai sensi dell’art. 234 c.p.p..
L’intervento delle Sezioni Unite non ha tuttavia sopìto il dibattito concernente il regime di utilizzabilità delle registrazioni di conversazioni eseguite da uno dei partecipanti al colloquio e di una serie di problemi di contorno tra cui spicca quello dell’acquisizione della dichiarazione in aperta violazione di una norma (riconoscendosi - in diverse pronunce - come la registrazione e la successiva documentazione non farebbero venir meno l’illiceità dell’acquisizione con conseguente inutilizzabilità della stessa intercettazione) quello relativo alla disciplina applicabile nel caso in cui vi sia un provvedimento dell’autorità giudiziaria che autorizzi le intercettazioni ma il privato, d’intesa con la polizia giudiziaria, proceda - con mezzi propri ovvero forniti da quest’ultima a documentare la conversazione e, soprattutto, quello ancora più rilevante rappresentato dal fatto se si possa considerare un discrimine (tra prova documentale "pura" e documentazione di attività d’indagine) il fatto che la captazione del privato avvenga d’intesa con la polizia giudiziaria e con apparecchiature da questa fornite. Su quest’ultimo punto, si pongono e permangono due opposti orientamenti, essendosi affermato sia che:
- la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d’iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, come tale utilizzabile in dibattimento, e non intercettazione "ambientale" soggetta alla disciplina dell’art. 266 c.p.p. e ss., anche quando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest’ultima con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio (Sez. 2, n. 3851 del 21/01/2016, dep. 2017, Spada e altro, Rv. 269089), ma anche che:
-la registrazione di conversazioni effettuata da un privato, mediante apparecchio collegato con postazioni ricetrasmittenti attraverso le quali la polizia giudiziaria procede all’ascolto delle stesse e alla contestuale memorizzazione, non costituisce una mera forma di documentazione dei contenuti del dialogo nè una semplice attività investigativa, bensì un’operazione di intercettazione di conversazioni ad opera di terzi, come tale soggetta alla disciplina autorizzativa dettata dall’art. 266 c.p.p. e ss., con la conseguente inutilizzabilità probatoria di tale registrazione, ove preceduta dalla sola autorizzazione del pubblico ministero (Sez. 3, n. 39378 del 23/03/2016, C., Rv. 267806, nella quale si afferma che, a conferma di tale opzione interpretativa, militerebbe l’ascolto e la registrazione contestuale da parte della polizia giudiziaria, quale soggetto estraneo alla conversazione).
2.1.6. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come nel caso di specie non si possa "cadere" nel contrasto sopra descritto ovvero versare in situazione di incertezza interpretativa, in quanto il fatto verificatosi, alla luce della sua reale dinamica, non può farsi rientrare nella casistica della documentazione di un atto di indagine, come tale sottoposto al regime autorizzatorio dell’art. 266 c.p.p. e ss.: in particolare, risulta che la persona offesa (M.S. ), avendo ricevuto una telefonata da parte dello S. , "girò" la telefonata sull’utenza dei Carabinieri per farla sentire a costoro che, infatti, la registrarono. Quindi, i Carabinieri non effettuarono alcun atto di indagine, nè sollecitarono la persona offesa a registrare il colloquio con lo S. , nè le fornirono alcun registratore. I Carabinieri furono coinvolti dalla M. perché ascoltassero il colloquio che era in corso con lo S. e di cui i Carabinieri nulla sapevano.
2.2. Pertanto, più correttamente, la registrazione effettuata dai Carabinieri, va ritenuta come una mera forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione (così, Sez. 2, n. 50986 del 06/10/2016, Occhineri e altro, Rv. 268730; cfr. anche, Sez. 6, n. 1422 del 03/10/2017, dep. 2018, Gambino ed altri, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 53375 del 05/10/2017, Lombardi ed altri, Rv. 271656; Sez. 5, n. 41421 del 11/06/2018, Di Luzio, Rv. 275111; Sez. 5, n 13810 del 11/02/2019, Megna, Rv. 275237; Sez. 6, n. 5782 del 17/12/2019, Savoini, Rv. 278452).
Da qui l’affermazione del seguente principio di diritto: "La registrazione di conversazioni da parte del privato vittima di condotte estorsive o usurarie con il soggetto autore di comportamenti violenti e/o minacciosi, effettuata su iniziativa esclusiva, in quanto nè sollecitata nè in altro modo suggerita dagli inquirenti, dello stesso privato e con l’utilizzo di mezzi propri, anche qualora - ai fini dell’ascolto e della verifica dei contenuti minatori per possibili successive iniziative di carattere processuale - venga immediatamente girata alle forze dell’ordine già in tal senso previamente allertate dell’iniziativa ed indipendentemente dalle modalità dell’ascolto (in diretta o in differita), non presuppone nè implica lo svolgimento di alcun atto di indagine da parte delle stesse forze dell’ordine: in tal caso la registrazione effettuata, anche se veicolata attraverso la successiva trascrizione dei contenuti da parte delle stesse forze dell’ordine, rappresenta una semplice trasposizione del contenuto del supporto magnetico e costituisce una mera forma di memorizzazione fonica di un fatto storico utilizzabile quale prova documentale".
La riprova della correttezza della soluzione rappresentata la si ha se si riflette sulla circostanza che nulla sarebbe cambiato se i Carabinieri, dopo avere ascoltato (legittimamente) la telefonata, si fossero limitati a verbalizzare quanto ascoltato. Quell’atto, infatti, sarebbe stato sicuramente utilizzabile per porlo a base della motivazione del decreto di sequestro.
Di conseguenza, la censura dedotta da entrambi i ricorrenti, va ritenuta manifestamente infondata, sicché, per l’effetto, restano assorbiti gli ulteriori profili di doglianza in ordine alla pretesa illegittimità del decreto di intercettazione e della conseguente inutilizzabilità delle operate captazioni.
2.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo.
Due le ragioni a fondamento di tale conclusione:
a) perché il ricorrente non si è minimamente misurato con la ratio decidendi della sentenza impugnata con la quale la Corte territoriale aveva evidenziato che oltre ad un quadro probatorio di assoluta concludenza ed univocità, vi era stata anche l’ampia confessione dello S. ;
b) perché, comunque, erano stati presi in esame e correttamente valutati gli esiti delle indagini preliminari (dichiarazioni delle persone offese), trattandosi di atti processuali pienamente utilizzabili non essendo affetti da alcuna invalidità ed avendo il ricorrente scelto il rito abbreviato. Come è noto, il giudizio abbreviato costituisce un procedimento "a prova contratta", alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del "dibattimento". Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano nè l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte "secundum legem", ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 c.p.p., con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 c.p.p. (in quanto in tal caso il vizio-sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), nè le ipotesi di inutilizzabilità "relativa" stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità cosiddetta "patologica", inerente, cioè, agli atti probatori assunti "contra legem", la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246).
2.4. Manifestamente infondato oltre che del tutto reiterativo è il quarto motivo.
Pacifica è la ricorrenza di un’ipotesi di concorso dei reati (usura ed estorsione) allorquando, come nella fattispecie, il soggetto attivo, in un momento successivo al fatto usurario, eserciti sulla vittima violenza o minaccia al fine di ottenere i concordati interessi o altri vantaggi usurari che il soggetto passivo non possa o non voglia più corrispondere (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 6918 del 25/01/2011, Ravese, Rv. 249399).
In tal senso, va evidenziato come i giudici di merito abbiano chiarito che non possa residuare dubbio alcuno sul fatto che la condotta posta in essere da entrambi gli imputati (in relazione al capo A) e dal solo S. (in relazione ai capi C, D, E, F, G, H, I), al di là delle confessioni rese, integri il delitto di usura, risultando il denaro preteso in restituzione del debito originario, assolutamente e palesemente sproporzionato, in misura tale da rendere superflua ogni valutazione sulla configurabilità del tasso usuraio (v. sentenza di primo grado, pag. 12). La confessione resa, poi, consente di superare ogni tentativo di "screditamento" dell’attendibilità delle persone offese che, peraltro, hanno riferito circostanze e dettagli degli episodi contestati che lo S. ha confermato essere veri. Infine, anche la conoscenza dello stato di bisogno delle vittime può essere validamente presunta in quanto, come da risalente (ma non superata) giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato di usura, il ricorso al finanziamento privato anziché alla richiesta di un mutuo bancario, può costituire elemento per fari ritenere la conoscenza (intesa come conoscibilità) dello stato di bisogno del richiedente (Sez. 2, n. 10151 del 06/07/1992, Ortis, Rv. 192855).
2.5. Manifestamente infondato è il quinto motivo.
Invero, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. correttamente si limita ai capi A) e B) essendo l’accordo risarcitorio intervenuto con la sola famiglia F. -M. e nessun ulteriore risarcimento risulta essere avvenuto con le altre vittime degli altri episodi delittuosi per cui è intervenuta condanna.
2.6. Inammissibile per tardività di proposizione è il sesto motivo.
Osserva il Collegio come la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 c.p.p., comma 3, come si evince dall’atto di gravame.
2.6.1. Invero, nell’atto di appello (par. 11 a pag. 18), lo S. aveva censurato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza solo con riferimento "alla circostanza aggravante contestata al capo b) dell’imputazione". E, sul punto specifico dedotto, il Tribunale aveva comunque risposto nel par.
2.6.2. Come è noto, in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3 e art. 609 c.p.p., comma 2, - secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello - trova la sua "ratio" nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (cfr., Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv. 256631).
2.7. Inammissibile per tardività di proposizione è anche il settimo motivo.
Il profilo di censura dedotto viene qui proposto per la prima volta, dal momento che l’imputato, in sede di gravame, aveva semplicemente chiesto - in termini, peraltro, generici - la revoca della confisca o, in subordine, la rideterminazione degli importi indicati in sentenza, nell’ipotesi in cui fosse stata pronunciata in sede di appello l’assoluzione per i reati di usura: assoluzione che, come si è visto, non è intervenuta.
3. Ricorso nell’interesse di R.C. .
3.1. Manifestamente infondati sono sia il primo che il secondo motivo, trattabili congiuntamente a ragione delle reciproche interazioni.
Nel richiamare e far propri i contenuti della sentenza di primo grado, i giudici di appello, con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici con cui la ricorrente omette di confrontarsi, evidenziano che "... pur non avendo la R. partecipato alla fase della pattuizione degli interessi usurari - o per meglio dire, non potendosi escludere... la conoscenza delle richieste avanzate dal marito (e), pur non essendo la R. comparsa nel momento in cui lo S. ha fissato le regole, illecite perché a tassi usurari, del prestito concesso ai coniugi F. - certa risulta la sua diretta partecipazione (che neppure lo S. nell’ammettere il prestito dietro interessi e le modalità minacciose agite per riscuoterli ha negato) sia alla fase della riscossione dei vantaggi illeciti sia alla condotta minacciosa diretta ad ottenere, anche a fronte delle dichiarate difficoltà della coppia parte offesa, il pagamento delle somme illecitamente pretese. È appena il caso di ricordare che la R. era assieme al marito all’appuntamento del (OMISSIS) concordato con la M. per la consegna della somma di Euro 1500, concordata a seguito di svariate precedenti telefonate, tra cui quella ascoltata in diretta dagli inquirenti appuntamento di cui la M. aveva notiziato i Carabinieri, consentendo il loro intervento e l’arresto dei due imputati. Il ruolo della R. , sulla base di quanto riferito dalla M. ed in parte anche verificato de visu dai Carabinieri opportunamente appostati, nella occasione era tutt’altro che passivo o di secondo piano, in quanto la donna, che già il giorno precedente aveva personalmente, cioè dalla utenza a lei intestata, contattato la M. - il che già di per sé è sintomatico del suo coinvolgimento consapevole - innanzitutto faceva segni dalla vettura alla M. di spostarsi dalla (OMISSIS) , primo luogo d’incontro giudicato però inopportuno perché troppo affollato anche di agenti in servizio per una manifestazione in atto, a significare che era perfettamente consapevole che l’incontro doveva essere tenuto nascosto. In seguito è scesa dall’auto, ha chiesto al pari del marito se la M. avesse finalmente i soldi richiesti, ha assistito alla consegna del denaro e soprattutto ha, unitamente al marito, di fronte alle richieste di chiarimenti della M. - conscia di essere al sicuro perché controllata dalle forze dell’ordine - invitato la donna a non parlare di queste cose se non a casa loro. Aveva poi supportato attivamente il marito quando, anche in quella occasione, aveva minacciato nuovamente il F. , dicendo alla M. che lo avrebbe ammazzato non appena lo avesse rivisto".
3.2. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il terzo motivo.
La Corte territoriale ha correttamente ritenuto "inconsistente" la censura difensiva - pedissequamente reiterata con il presente ricorso - attesa "la necessità di svolgere intercettazioni su tutte le utenze in uso allo S. , e quindi anche a quella intestata alla moglie, R.C. , del cui coinvolgimento nella vicenda aveva già riferito la M. ...".
3.3. Manifestamente infondato è il quarto motivo.
Sul punto si rimanda alle valutazioni svolte in relazione all’omologo motivo del coimputato S. nei precedenti paragrafi 2.1.1., 2.1.2., 2.1.3., 2.1.4., 2.1.5, 2.1.6. e 2.2. del considerato in diritto.
3.4. Fondato è il quinto motivo.
La Corte territoriale nega il riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento evocando due elementi in fatto: a) l’esistenza di un mero accordo risarcitorio; b) la riferibilità dello stesso ai soli fatti di cui ai capi a) e b) d’imputazione.
In realtà, va evidenziato come, da un lato, la documentazione prodotta dalla parte esclude che si possa parlare di un "mero accordo" e, dall’altro, la R. risulta imputata solo dei reati di cui ai capi a) e b).
Come rilevato dalla ricorrente, risulta dimostrata la presentazione e accettazione dell’offerta reale a favore dei coniugi Fo. -M. prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Fermo quanto precede, la Corte territoriale avrebbe dovuto meglio motivare le ragioni per le quali ha deciso di negare l’invocata attenuante, anche distinguendo e separando la posizione della R. da quella del coimputato S. , tenuto conto delle oggettive diversità e gravità delle condotte tenute dai due imputati. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di R.C. limitatamente all’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio sul punto: in sede di rinvio, il giudice dovrà altresì pronunciarsi, ai fini del giudizio sull’integralità del risarcimento e sulla concedibilità dell’attenuante (anche alla luce delle motivazioni alla base del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche), sulla corrispondenza tra transazione e danno per valutare la congruità del risarcimento effettuato, indipendentemente dai contenuti delle dichiarazioni satisfattive rese in merito dalle parti lese (cfr., Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368, in cui si è evidenziato che l’attenuante, di natura soggettiva, trovando la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa quanto nel rilievo che il risarcimento del danno prima del giudizio rappresenta una prova tangibile dell’avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale, deve essere totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale).
3.5. Inammissibile per tardività di proposizione è il sesto motivo.
Sul punto si rimanda alle valutazioni svolte in relazione all’omologo motivo del coimputato S. nel precedente paragrafo 2.7. del considerato in diritto.
3.6. Affetti da inammissibilità sono anche i motivi aggiunti presentati nell’interesse di R.C. .
In relazione agli stessi, oggetto della memoria depositata in data 11/06/2020 - ciascuno dei quali riproponente una corrispondente censura dei motivi principali - il Collegio intende precisare come (fatta eccezione per il quinto motivo articolato dalla ricorrente nel ricorso principale ed ivi ripreso, motivo di cui si è riconosciuta la piena fondatezza) i medesimi mutuino la loro inammissibilità da questi ultimi per le ragioni precedentemente esposte, e ciò anche a voler tacere della congruità delle risposte che le critiche ivi articolate trovano nella motivazione della sentenza impugnata.
Ed invero, l’imprescindibile vincolo che esiste fra detti motivi e quelli su cui si fonda l’impugnazione principale (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono ed altri, Rv. 210529; Sez. 2 n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli, Rv. 272821) comporta che il vizio radicale da cui sono inficiati questi ultimi non possa essere tardivamente sanato dai primi (Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, Cennamo e altri, Rv. 260851; Sez. 6, n. 47414 del 30/10/2008, Arruzzoli e altri, Rv. 242129), anche ove i motivi aggiunti valgano, in teoria, a colmare i difetti di quelli originali (Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, Lucarelli, Rv. 278387).
4. Alla pronuncia consegue:
-l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di R.C. limitatamente all’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio sul punto; la declaratoria di inammissibilità nel resto del ricorso di R.C. con conseguente irrevocabile affermazione di penale responsabilità della stessa;
-l’inammissibilità del ricorso di S.N. , con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R.C. limitatamente all’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio sul punto; dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di penale responsabilità della ricorrente.
Dichiara inammissibile il ricorso di S.N. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.