Volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti rinetrano ijn casi di "inferiorità psichica o fisica": la mancanza totale del consenso e l'impossibilità psico-fisica di esprimerlo colloca la condotta nella fattispecie di violenza sessuale quando l'assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti è tale da privare del tutto la persona della capacità di intendere e di volere ponendola in una situazione di palese incapacità di esprimere un consenso.
L'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non è mai configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale: ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali, diventando perciò irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato.
Costotuiisce errore metodologico lì"idealizzazione della vittima-modello del reato il cui comportamene deve adeguarsi, per essere credibile, a schemi comportamentali predefiniti e astratti, teorizzati da un approccio culturale-morale frutto, a sua volta, di pregiudizi non infrequentemente alimentati dalla personale esperienza di chi è chiamato a scrutinare il racconto della vittima": i costumi e le abitudini sessuali della vittima di reati sessuali non influiscono sulla sua credibilità e non possono costituire argomento di prova per l'esistenza, reale o putativa, del suo consenso, come è irrilevante l'antecedente condotta provocatoria tenuta dalla stessa persone offesa.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sent., (data ud. 29/10/2024) 13/01/2025, n. 1219
Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente
Dott. GIORGIANNI Giovanni - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A., nato in N Unione Rep.soc.sovietiche il (Omissis).
avverso la sentenza del 20/03/2024 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giovanni Giorgianni;
udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Gianluigi Pratola, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell'avv. FES del foro di Pavia che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 12 ottobre 2022, il G.U.P. del Tribunale di Milano condannava A.A., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti e ritenuta la continuazione tra i reati, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, oltre statuizioni civili, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 609-bis, 609-ter, nn. 2 e 5, cod. pen., per aver, con violenza e con l'uso di sostanze stupefacenti (una canna), costretto la minore H.H. a subire atti sessuali, portandola nel proprio appartamento, facendola spogliare e portandola sotto la doccia, dove la costringeva a subire un rapporto anale e, successivamente, in camera da letto, dove la costringeva a praticargli un rapporto orale; nonché del reato di cui agli artt. 73 , comma 4, e 80, lettera A), D.P.R. n. 309/1990 , per aver illecitamente ceduto sostanze stupefacenti (una canna) alla minore H.H.
Con sentenza in data 20 marzo 2024, la Corte di appello di Milano riduceva la pena a due anni e dieci mesi di reclusione, revocando le statuizioni civili in conseguenza della revoca della costituzione di parte civile.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, A.A. tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
2.1 Con il primo motivo lamenta ex art. 606 , comma 1, lett. e), cod. proc. pen., contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento di prove decisive ai fini della decisione.
In sintesi, la difesa deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto di dati e prove decisive per mettere in dubbio la credibilità e l'attendibilità della parte offesa che ha cambiato completamente la propria versione dei fatti, chattando con le amiche, da quello che era stato un rapporto consenziente e piacevole ad una subita violenza. Anche in ordine a quanto fattole assumere dal ricorrente, la persona offesa aveva reso dichiarazioni contraddittorie, in i n primo momento riferendo di aver ingerito una caramella offerta dal ricorrente, per poi riferire, in un secondo momento, che il ricorrente le aveva offerto una canna, ma fumata esclusivamente da lui; senza che tale argomento fosse stato approfondito, accertando se l'assunzione di sostanza stupefacente avrebbe potuto stordire per tutta la giornata la persona offesa, dedita all'alcool e alla droga così come da lei stessa sostenuto.
Deduce ancora la difesa che la testimonianza di B.B. aveva smentito le dichiarazioni della persona offesa, sia perché non aveva acquistato stupefacente dal ricorrente, bensì due biglietti per uno spettacolo, sia perché aveva parlato a lungo con la persona offesa, la quale rispondeva su temi scolastici e appariva del tutto presente e priva di qualsivoglia inibizione.
La condotta del ricorrente, pertanto, non era stata analizzata con obiettività, con particolare riferimento alla non sussistenza dell'elemento della costrizione e alla carenza dell'elemento soggettivo.
2.2 Con il secondo motivo lamenta ex art. 606, comma 1, lett. b), ccd. proc. pen.; inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché ex art. 606 , comma 1, lett. e), cod. proc. pen., contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La difesa, dopo aver articolato la vicenda in tre diverse fasi temporali, deduce che, prima del pomeriggio del 08/05/2021, la persona offesa, secondo quanto desumibile dalla messaggistica con le amiche, offre l'immagine di una ragazza, seppur minorenne, del tutto emancipata, dedita ai rapporti liberi, all'uso dell'alcool e della droga, con esperienze con persone molto più grandi di ei e con esperienze sessuali negative, anche di violenza. In messaggi del 06/05/2021, a chi la riprendeva perché beveva troppo, rispondeva di esser dipendente da tali sostanze e di avere rapporti sessuali con A.A. Aveva conosciuto il ricorrente il 04/05/2021 su un sito di incontri cui era iscritta, per poi incontrarsi il giorno successivo presso il parco di corso (Omissis), con baci, palpeggiamenti e fumando una canna.
Con riferimento al pomeriggio del 08/05/2021, deduce la difesa che il ricorrente era andato a prendere la persona offesa a scuola, e, dopo ave fumato una canna, passati da un amico, si erano recati a casa del ricorrerente, dove avevano pranzato insieme e poi sedutisi sul divano erano iniziati i primi contatti fisici. Dopo la consumazione dei rapporti, la persona offesa aveva inviato ad un gruppo di amiche un messaggio ("sono ancora da lui, abbiamo fatto sesso nella doccia...") e poi un selfie nel letto del ricorrente, con la sua maglia, mostrando un segno di vittoria.
Con riferimento alla fase successiva, i due si erano recati su un monopattino alla stazione della metro e, dalle 18 alle 22, la persona offesa aveva inviato messaggi ad amiche ed amici, descrivendo le dimensioni del pene del ricorrente e consigliando di praticare del sesso anale. Solo a partire dal 09/05/2021, incoraggiata a sporgere denuncia da alcuni amici, aveva raccontato di una caramella, poi diventata una canna, che l'avrebbe stordita, dicendo alle amiche di essere stata drogata e violentata.
La difesa ritiene, tuttavia, inaccettabile l'unica versione che la persona offesa, quel pomeriggio, sarebbe stata intontita da una canna, non esse ido stati presi in considerazione alcuni elementi emersi dall'istruttoria che avevano ritagliato una figura adolescenziale particolarmente problematica, in termini di conflittualità con la famiglia, bugie alla madre, uso smodato di alcool e droga, rapporti finiti male con una violenza subita a tredici anni, stati d'animo alterati da felicità a depressione.
La difesa osserva che altro tema non approfondito nella vicenda è la possibilità del ricorrente di aver percepito un dissenso da parte della persona offesa, avendo quest'ultima dichiarato innanzi al Nucleo Tutela Donne e Minori di non aver mai detto nulla, di non aver mai provato a ribellarsi, di non riuscire a inquadrare la situazione, di essere confusa, di non essersi mai opposta, v. tenuto conto dei messaggi inviati dalla minore di cui il ricorrente era a conoscenza (selfie mandati alle amiche con il segno di vittoria), con la conseguenza che la mancata esplicitazione del dissenso porta indubbiamente ad una carenza dell'elemento soggettivo.
In subordine, la difesa chiede di estendere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in prevalenza sulle contestate aggravanti, partendo da una pena inferiore ad anni sei di reclusione, con un lieve aumento per la continuazione, e pervenendo ad una pena di due anni e sei mesi di reclusione, con la sospensione della pena, considerata l'età dell'imputato, dovendo farsi riferimento ad una valutazione globale della vicenda, ed in particolare ai mezzi, alle modalità esecutive, al grado di coartazione esercitato, alle condizioni fisiche e mentali, alle sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, alla comprensione della coartazione, infine all'intervenuto risarcimento infierito, nelle more del giudizio, in favore della parte civile.
Motivi della decisione
1. Occorre premettere che, nel caso in esame, ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata n primo grado, cioè ad una c.d. "doppia conforme". Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto qu ello che, a presidio del devolutum, discende dalla pretermissione dell'esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, Petrocelli e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall'Agnola, Rv. 257967); c anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. E 336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc, pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conferme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza (Sez. 1, n. 33298 del 22/04/2024, Fall).
Quanto al travisamento della prova, esso è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la moti/azione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Inoltre, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, in ipotesi di doppia conforme, sia in ipotesi in cui entrambi i giudici siano incorsi in travisamento della prova, sia nella ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle censure della difesa, abbia richiamato elementi probatori non esaminati dal primo giudice, ma in questo ultimo caso la preclusione opera comunque rispetto a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori comuni e suscettibili di autonoma valutazione (Sez.5, n. 18975 del 13 febbraio 2017, Cadore, Rv. 269906), mentre in relazione alla ipotesi di duplice travisamento, lo stesso deve emergere in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le parti (Sez. 4, n. 32955 del 05/07/2024, Franzoni; Sez. 2, n. 5336 del 9 gennaio 2018, L. ed altro, Rv.272018).
Deve anche osservarsi come la giurisprudenza di legittimità abbia ormai da tempo delineato le coordinate di valutazione della testimonianza della persona offesa, ripetutamente affermando che la deposizione della persona offesa si configura, nel vigente ordinamento processuale, come "prova piena", legittimamente posta da sola a fondamento dell'affermazione di responsabilità, come tale dunque non necessitante di alcun elemento di riscontro.
Con riferimento specifico allo statuto dichiarativo della vittima c i reati sessuali, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ribadito la necessità di riservare una spiccata attenzione, da parte del giudice, ai racconti della persona offesa, vagliandone scrupolosamente la credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca del narrato, in modo più penetrante e rigoroso rispetto alle dichiarazioni rese da qualsiasi testimone, in specie quando vi sia stata la costituzione di parte civile e, dunque, l'astratta possibilità di uno specifico interesse al riconoscimento della responsabilità dell'imputato (Sez. 5, ri. 21135, del 26/03/2019, S., Rv. 275312; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 8/07/2014, dep. 2015, Pirajno e altro, Rv. "61730; Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).
Per chiarire il perimetro del sindacato riservato a questa Corte, va ricordato, quale principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità, che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, la quale ha la propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice di merito, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque aczidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola genere le priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n.10153 del 11/02/2020, C, Rv. 278609; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
2. Tanto premesso, i primi due motivi di ricorso, esaminati congiuri amente perché logicamente connessi, sono manifestamente infondati.
2.1 La Corte di appello, nel disattendere gli analoghi motivi di appello, ha illustrato, senza vizi logici, l'attendibilità del narrato della persona offesa, ritenendo di condividere il giudizio di piena attendibilità formulato dal giudice di primo grado e sottolineando l'irrilevanza sulla configurabilità del reato delle circostanze e degli eventi che hanno preceduto i fatti contestati, ovverosia la pacifica circostanza che la persona offesa desiderasse avere un rapporto sessuale con il ricorrente e lo stile di vita della persona offesa stessa, con riferimento all'abituale consumo di sostanze e ai rapporti disinibiti con l'altro sesso. I giudici di merito sottolineano, infatti, per un verso e con logica linearità, che, nel momento in cui ebbe luogo il rapporto, la ragazza non era in condizione di esprimere un libero consenso per aver assunto la sostanza stupefacente offertale dall'imputato. Per altro verso, la Corte territoriale precisa che oggetto di scrutinio non sono le condotte della persona offesa, bensì quelle del ricorrente, escludendo che le abitudini sessuali o di vita possano avere avuto un ruolo sulla capacità di riferire esattamente e fedelmente quanto accaduto, vale a d re sulla credibilità della persona offesa.
L'argomentare dei giudici di merito è del tutto coerente ai principi affermati da questa Corte.
La giurisprudenza di legittimità è ferma, infatti, nel ritenere, sotto l'angolo prospettico del soggetto passivo, che tra le condizioni di "inferiorità psichica o fisica", previste dall'art. 609-bis , comma 2, n. 1, cod. pen., rientrano anche quelle determinate dalla volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti, in quanto anche in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente (Sez. 3, n. 105 36 del 19/03/2020, Conticello, Rv. 278768). Ancora, che la mancanza totale del consenso e l'impossibilità psico-fisica di esprimerlo colloca la condotta nella fattispecie di cui al primo comma dell'art. 609-bis cod. pen.; più nel dettaglio, l'assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti quando è tale da privare del tutto la persona della capacità di intendere e di volere ponendola in una situazione di palese incapacità di esprimere un consenso, esclude la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 609-bis , comma 2, cod. pen., dovendosi piuttosto ritenere integrata la violenza di cui al primo comma del medesimo articolo (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, De Souza, Rv. 282834).
Costituisce, inoltre, principio consolidato, sotto l'angolo prospettico del soggetto attivo, che l'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non è mai configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Sez. 3, r. 2400 del 05/10/2017, Rv. 272074; Sez. 4, n. 38110 del 18.7.2014, B.F.; Sez. 3, n. 44641 del 17/04/2013, M.G.; Sez. 3, n. 17210 del 10/03/2011, Rv. 25014L). Ed invero, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiare mente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali, diventando perciò irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato.
Quanto alla condotta di vita pregressa della minore, questa Corte di legittimità ha più volte rimarcato l'errore metodologico che risiede nella "idealizzazione della vittima-modello del reato il cui comportamene deve adeguarsi, per essere credibile, a schemi comportamentali predefiniti e astratti, teorizzati da un approccio culturale-morale frutto, a sua volta, di pregiudizi non infrequentemente alimentati dalla personale esperienza di chi è chiamato a scrutinare il racconto della vittima" (Sez. 3, n. 5234 del 03/03/2022, dep. 2023, S., Rv. 284277). È stato inoltre affermato che i costumi e le abitudini sessuali della vittima di reati sessuali non influiscono sulla sua credibilità e non possono costituire argomento di prova per l'esistenza, reale o putativa, del suo consenso (Sez. 3, n. 46464 del 09/06/2017, Rv. 271124 - 01); allo stesso modo, è irrilevante l'antecedente condotta provocatoria tenuta dalla stessa persone offesa (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, Rv. 282834 - 01).
2.2. La Corte di merito, inoltre, nel ricostruire quanto accaduto nel pomeriggio del 08/05/2021, ha condiviso le conclusioni del giudice di primo grado circa il fatto che la persona offesa non fosse compos sui, in rag one di quanto fattole assumere dall'imputato, con la conseguenza che la messagistica e la foto inviata, più in generale la condotta tenuta dalla ragazza in quel pomeriggio dovessero essere valutate considerando che costei non fosse nel pieno possesso delle sue capacità. In proposito, la Corte di appello richiama la testimonianza della amica C.C., la quale, dopo aver letto i messaggi sulla chat, riceveva una chiamata dalla persona offesa, dicendole di essere scappata dalla casa dell'imputato e di avere bisogno di parlarle e di raccontarle quanto successo per non dimenticarlo; la ragazza aveva ripercorso i fatti di quel pomeriggio, apparendo strana e smarrita e facendo fatica a parlare. La chat del giorno successivo consentiva di apprezzare la graduale presa di coscienza di quanto accaduto il pomeriggio precedente e la sua gravità, nonché il fatto che la ragazza fosse stata un mero oggetto passivo, incapace di esprimere alcuna volontà. Ed a tale graduale emersione di consapevolezza - sottolinea la Corte di merito - corrispondeva l'emersione di sintomi di una sindrome post traumatica da stress, quali nausea, paura, difficoltà a dormire, attacchi di panico, tremori, nonché la colpevolizzazione per non aver reagito, quale ulteriore indice di genuinità del racconto, costituendo una delle reazioni tipiche delle vittime di violenza.
Il giudice di primo grado, nel ritenere credibile la persona offesa, sottolinea le modalità di emersione del fatto reato, non per denuncia della persona offesa, ma attraverso la segnalazione delle sue insegnanti, mentre quanto raccontato dalla ragazza nella chat durante il pomeriggio del 08/05/2021, mentre si trovava a casa del ricorrente, dava conto del suo stato di assoluto stordimento. Lo sviluppo delle chat consentiva di cogliere come la ragazza, gradatamente, nel mentre che l'effetto allucinogeno o psicotropo svaniva, prendeva coscienza dell'accaduto e, soprattutto, del fatto di non essere stata lucida, né consenziente, chiedendo consigli sulla eventuale presentazione di una denuncia ed affermando di stare male sia fisicamente, sia psicologicamente. Le dichiarazioni delle compagne (C.C., D.D., E.E.) mettevano in evidenza come il giorno seguente la persona offesa, oltre ad aver loro rivelato maggiori dettagli, in particolare la mancanza di lucidità dovuta all'assunzione della canna offertale dal ricorrente e le modalità degli atti sessuali, manifestava degli atteggiamenti singolari, riferiva del timore di rimanere da sola fuori di casa per paura di incontrarsi con il suo aggressore e appariva spenta, tanto che le compagne l'avevano invitata a rivolgersi presso un centro specializzato ospedaliero. Il giudice di primo grado richiamava ancora le denunce della dott.ssa F.F. e della psicologa G.G., le quali, nel raccogliere il racconto della ragazza, avevano constatato la sintomatologia comportamentale tipica dell'abuso sessuale.
Quanto alla testimonianza del teste B.B., idonea - secondo il ricorrente - a smentire le dichiarazioni della persona offesa, le osservazioni dei giudici di merito non prestano il fianco a vizi di manifesta illogicità. Il giudice di primo grado ha ritenuto che tali dichiarazioni non fossero idonei a minare l'attendibilità della persona offesa, esprimendo perplessità sul fatto che il teste potesse ricordare, a distanza di un anno, un incontro del tutto casuale, le fattezze fisiche della ragazza seduta sul sedile anteriore dell'auto e che costei conversava con lui tranquillamente senza difficoltà ad esprimersi. La Corte di merito aggiunge che la mancata conferma del racconto della persona offesa da parte del teste riceve una duplice spiegazione B.B. aveva tutto l'interesse a tacere quanto riferito dalla ragazza, secondo la quale il teste stava acquistando sostanza stupefacente dall'imputato; era comunque ben possibile che un osservatore distratto che non conosceva bene la persona offesa possa non essersi reso conto che la ragazza si sentisse strana e non riuscisse a parlare.
2.3 Alla stregua di quanto esposto, le motivazioni spese dei giudici di merito, che si saldano tra loro, appaiono corrette e logicamente lineari, secondo un percorso che non segnala deficienze o contraddizioni e le deduzioni difensive non sono valse ad evidenziare salti logici o lacune della motivazione e ad infirmare il percorso argomentativo.
È stato infatti illustrato il percorso logico in base al quale è stato ritenuto che, durante i fatti accaduti nel pomeriggio del 08/05/2021, la persona offesa non fosse compos sui in conseguenza dell'assunzione di sostanza stupefacente offertale dall'imputato, con la conseguenza che la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, era stata strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente.
È conseguentemente errato sostenere, da parte del ricorrente, la impossibilità di percepire un dissenso da parte della persona offesa, avendo quest'ultima dichiarato innanzi al Nucleo Tutela Donne e Minori di non aver mai detto nulla, di non aver mai provato a ribellarsi, di non riuscire a inquadrare la situazione, di essere confusa, di non essersi mai opposta, e tenuto corto dei messaggi inviati dalla minore di cui il ricorrente era a conoscenza (selfie mandati alle amiche con il segno di vittoria), con la conseguenza che la mancata esplicitazione del dissenso porta indubbiamente ad una carenza dell'elemento soggettivo.
Come già sottolineato, i giudici di merito, senza vizi logici, hanno sottolineato che la persona offesa si trovava in uno stato di menomazione psicofisica che le impediva di esprimere un valido consenso; circostanza quest'ultima certamente nota al ricorrente che aveva offerto alla ragazza se stanza stupefacente tale da stordirla (la stessa persona, offesa aveva chiesto al ricorrente se avesse inserito qualcos'altro nella canna e l'interlocutore le aveva fatto intendere di aver messo una sostanza stupefacente più pesante); e deve ricordarsi in proposito che il reato di cui all'art. 609-bis cod. pen. è posto a presidio della libertà personale dell'individuo che deve poter compie e atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l'inganno (Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, C., Rv. 263738).
3. La doglianza sul trattamento sanzionatorio è inammissibile.
I giudici di merito hanno già concesso le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza e la Corte di appello, muovendo dalla pena base del minimo edittale del reato di cui all'art. 609-bis cod. pen., con un abbattimento di pena nella massima estensione di un terzo e con un aumento di pena cortenuto per il reato satellite di cessione di sostanza stupefacente, è pervenuta alla pena finale di due anni e dieci mesi di reclusione. In proposito, la Corte di merito ha già correttamente rilevato che l'imputato invoca una pena finale sospendibile -due anni e sei mesi di reclusione - cui non è tecnicamente possibile pervenire.
Ed anche nel riferimento alla diminuente speciale di cui all'ultimo comma dell'art. 609-bis cod. pen., sulla quale la Corte di appello ha congruamente e logicamente affermato che la gravità del fatto e la situazione di totale impotenza in cui era stata posta la ragazza precludevano il riconoscimento dell'ipotesi di minore gravità, la doglianza è del tutto generica poiché si limita ad elencare, in modo del tutto astratto, i criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per la configurabilità della speciale attenuante, senza tuttavia riempire tali parametri di un contenuto concreto ed illustrando, attraverso un adeguato confronto con Ila motivazione della sentenza impugnata, i motivi per i quali il fatto può considerarsi di minore gravità, essendo già stato peraltro valutato dalla Corte di merito l'intervenuto risarcimento del danno.
4. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell'interesse del ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente stesso, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 , e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall'art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall'art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell'inammissibilità stesse come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Casse delle ammende.
Così deciso in Roma il 29 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2025.