Il perito non può allegare alla perizia atti non inseribili nel fascicolo del dibattimento, ma può esaminarli se l'esame è strumentale alla risposta ai quesiti: in ogni caso l'irrituale allegazione di atti non inseribili nel fascicolo del dibattimento non determina l'inutilizzabilità della perizia ma impone solo l'estromissione di tali atti, operazione da effettuarsi in occasione della formazione del fascicolo per il dibattimento, se trattasi di perizia disposta nell'incidente probatorio, ovvero in occasione dell'acquisizione della perizia, se trattasi di accertamento peritale disposto nel giudizio.
In tema d'attività peritali, gli atti di cui il perito può prendere visione sono non soltanto quelli già inseriti nel fascicolo per il dibattimento, ma anche quelli "dei quali la legge prevede l'acquisizione" al fascicolo medesimo, ossia gli atti suscettibili di farvi legittimamente ingresso nel corso del giudizio anche in un momento successivo al conferimento dell'incarico: necessaria peraltro l'autorizzazione del giudice.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
(ud. 04/12/2008) 13-01-2009, n. 809
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere
Dott. PETTI Ciro - Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. MARINI Luigi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
difensore di G.R., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della corte d'appello di Genova del 12 dicembre del 2007;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Guglielmo Passacantando, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile avv. AE il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore dell'imputato avv. BS il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata.
Osserva quanto segue:
Svolgimento del processo
La corte d'appello di Genova, con sentenza del 12 dicembre del 2007, confermava quella resa dal tribunale della medesima città il 1 dicembre del 2006, con cui G.R. era stato condannato alla pena di anni diciotto di reclusione oltre le sanzioni accessorie nonchè al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, quale responsabile del seguente reato:
del delitto di cui all'art. 81 c.p., art. 519 c.p., comma 2, n. 1 e art. 609 bis c.p., commi 1 e 2 e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1 e comma 2 per aver, in più occasioni, costretto, con violenza, minacce e comunque abusando delle condizioni d'inferiorità psicofisica, la minore degli anni 14 T.C., fin dalla tenera età di cinque anni, a subire e compiere atti sessuali - quali penetrazioni e toccamenti. Atti sessuali materialmente compiuti da G.R., la prima volta quando la minore aveva cinque anni nell'abitazione di (OMISSIS) e successivamente, da quando la minore aveva nove anni, con frequenza settimanale presso l'abitazione di Via (OMISSIS), ove la minore veniva accompagnata dalla madre B.D., che la poneva a disposizione del G. previo pagamento di una somma di denaro. Con l'aggravante di aver commesso il fatto minacciando la minore con la frase "non dire niente a nessuno se no succederanno brutte cose", e per aver commesso il fatto nei confronti di persona minore di anni 10, fino al (OMISSIS) e nei confronti di persona minore degli anni 14 dal (OMISSIS).
Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata il fatto oggetto del presente procedimento è emerso a seguito di alcune circostanze sintomatiche. L'educatrice che seguiva la minore per conto dei servizi sociali aveva notato che la ragazza, nonostante la famiglia fosse povera, disponeva di oggetti di valore, quali cellulari, play station ed altro. La ragazza aveva riferito che erano regali del padrino dal quale insieme con i genitori si recava spesso ed al quale era affidata in occasione dei fine settimana. In un'altra occasione, verificatasi nel 2001, una pattuglia della polizia notò la minore in strada con i pantaloni abbassati alla presenza dei suoi genitori. L'ispettore si avvicinò per chiedere spiegazione ed in quella circostanza i genitori non seppero fornire alcuna plausibile spiegazione. Gli agenti di polizia si insospettirono ed informarono il tribunale per i minori. In un'altra occasione l'educatrice, che seguiva la minore per conto dei servizi sociali, recatasi a casa della nonna materna della ragazza, assistette ad un litigio tra la madre della minore e la nonna, nel corso del quale si fece riferimento a foto che ritraevano la bimba nuda insieme con alcuni uomini. Nel (OMISSIS) la minore inserita nella comunità "Casa (OMISSIS)" cominciò progressivamente a confidarsi con gli assistenti sociali e con gli psicologi e successivamente ripetè il racconto al giudice nell'incidente probatorio. In particolare precisò che la madre spesso l'affidava al padrino ossia a G.R., il quale aveva abusato di lei la prima volta quando aveva appena cinque anni e la seconda volta quando aveva nove anni e da allora sistematicamente ogni fine settimana.
La madre nell'incidente probatorio ammetteva che portava la piccola dal padrino il quale abusava di lei e riceveva in cambio la somma di L. cinquantamila.
Tanto premesso in fatto, la corte nel richiamare la motivazione impugnata, riteneva attendibile la parte offesa anche se il ricordo non era preciso cronologicamente; osservava che le attenuanti generiche non potevano essere concesse per la particolare gravità del fatto e perchè non ricorrevano particolari situazioni per concederle.
Ricorre per cassazione l'imputato denunciando:
1) la violazione dell'art. 420 ter e 420 quater c.p.p., per avere la corte respinto un'istanza di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato con una motivazione illogica ed insufficiente avuto riguardo al fatto che per la stessa infermità in precedenza l'udienza era stata rinviata;
2) la violazione degli artt. 228 e 514 c.p.p., già proposta nei precedenti gradi di giudizio ed ora ribadita perchè il perito psicologo, chiamato a valutare la capacità testimoniale della minore, aveva inserito nell'elaborato peritale alcune dichiarazioni della vittima rese nel corso delle indagini preliminari e per avere allegato alla perizia atti dell'indagine preliminare;
3) la violazione dell'art. 495 c.p.p., in relazione ai mezzi di annullamento di cui all'art. 606 c.p.p., lett. d) ed e), per avere il tribunale respinto l'istanza di audizione degli agenti della Guardia di Finanza, che nel periodo compreso tra il (OMISSIS) avevano pedinato il G., nonchè l'istanza diretta ad ottenere l'esame della dott.ssa Po., che aveva sottoposto a visita ginecologica la minore senza riscontrare segni di abuso sessuale; quella diretta ad ottenere le trascrizioni delle conversazioni ambientali riguardanti i colloqui intervenuti tra B.D. ed il G. e quelli intercorsi tra la B. e P.M. nonchè la richiesta di perizia psicologica sulla capacità di testimoniare della madre della minore;
4) la violazione degli artt. 191, 192 e 194 c.p.p., per avere i giudici del merito utilizzato una perizia che non era utilizzabile, non solo perchè il perito aveva inserito nell'elaborato atti che non potevano essere inclusi, ma perchè costituendosi ai giudici, aveva valutato l'attendibilità della minore anzichè limitarsi a dimostrare la sua capacità a testimoniare, facendo peraltro ricorso anche a domande e tecniche suggestive;
5) la violazione dei criteri di valutazione della prova per avere la corte basato il proprio convincimento sulle dichiarazioni della minore nonostante che le stesse fossero contraddette da altri elementi processuali e più precisamente dalla certificazione rilasciata dall'Ufficio Esecuzione della Procura da cui risultava che quando la bambina aveva cinque e nove anni ossia quando i primi due fatti sarebbero avvenuti il prevenuto era detenuto;
6) la violazione dell'art. 125 c.p.p., per carenze motivazionali della sentenza impugnata la quale ha richiamato quella di primo grado senza svolgere una reale motivazione sui rilievi mossi dalla difesa;
7) la violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p. per l'omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche nonchè omessa motivazione sul punto;
8) la violazione dell'art. 81 c.p. nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione, per avere il tribunale, pur ritenendo più grave il fatto avvenuto nel (OMISSIS), immotivatamente raddoppiato la pena prevista per tale reato in occasione dell'aumento per la continuazione.
Motivi della decisione
Il ricorso è in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.
Con riferimento al primo motivo si osserva che in tema d'impedimento a comparire dell'imputato il giudice, nel disattendere un certificato medico ai fini della dichiarazione di contumacia, deve attenersi alla natura dell'infermità e valutarne il carattere impeditivo, potendo pervenire ad un giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia da cui si afferma colpito l'imputato.
Nella fattispecie la corte si è attenuta a tali principi perchè, dopo avere più volte aderito alla richiesta di rinvio del processo per legittimo impedimento dell'imputato, a seguito di ulteriore richiesta di rinvio, ha disposto una perizia da cui è emerso che le infermità croniche denunciate dall'imputato non erano tali da configurare un impedimento assoluto. Siffatta motivazione, che si fonda sul parere di un medico, ancorchè contrastato dal difensore dell'imputato, non può considerarsi manifestamente illogica e quindi non è censurabile in questa sede.
Infondato è anche il secondo motivo.
A norma dell'art. 228 c.p.p., comma 1 il perito su autorizzazione del giudice può esaminare gli atti ed i documenti prodotti dalle parti dei quali la legge prevede l'acquisizione al fascicolo del dibattimento. Quindi gli atti dei quali il perito può prendere cognizione non sono soltanto quelli già inseriti nel fascicolo per il dibattimento, ma anche quelli dei quali la legge prevede l'acquisizione a tale fascicolo ossia quelli suscettibili di esserlo in seguito, purchè si siano realizzate le condizioni di tale ingresso. Le dichiarazioni rese dalla parte offesa nell'incidente probatorio potevano legittimamente essere utilizzate dal perito ed eventualmente allegate alla perizia a sostegno della propria tesi trattandosi di atti destinati ad essere conosciuti dal giudice. Secondo l'orientamento di questa corte (Cass. 17 luglio del 2002 Botticelli ed altro) gli atti dei quali il perito può prendere cognizione non sono soltanto quelli già inseriti nel fascicolo del dibattimento ma anche quelli di cui la legge prevede l'acquisizione a tale fascicolo ossia quelli di cui non è esclusa in astratto la possibilità di inserimento in esso durante tutto il corso del giudizio anche in un momento successivo al conferimento dell'incarico peritale, di ufficio o a richiesta di parte o a seguito di contestazioni. Inoltre lo stesso divieto di consultare gli atti dell'indagine preliminare imposto in via generale al perito risulta attenuato dalla disposizione di cui all'art. 228 c.p.p., comma 3 nella parte in cui si consente al perito di interpellare l'offeso, l'imputato o altre persone. Invero sarebbe incongruo consentire al perito di interpellare imputato, parte offesa ed altre persone e poi vietargli di prendere cognizione di quanto riferito dalle predette persone nel corso delle indagini preliminari. In definitiva il perito non può allegare alla perizia atti non inseribili nel fascicolo del dibattimento, ma può esaminarli se l'esame è strumentale alla risposta ai quesiti. In ogni caso l'irrituale allegazione di atti non inseribili nel fascicolo del dibattimento non determina l'inutilizzabilità della perizia ma impone solo l'estromissione di tali atti, operazione da effettuarsi in occasione della formazione del fascicolo per il dibattimento, se trattasi di perizia disposta nell'incidente probatorio, ovvero in occasione dell'acquisizione della perizia, se trattasi di accertamento peritale disposto nel giudizio.
Ugualmente infondato è anche il quarto motivo (il terzo sarà esaminato in seguito) perchè l'affermazione di responsabilità non si fonda sulle presunte valutazioni di attendibilità della minore, che secondo il difensore sarebbero state effettuate dal perito esorbitando dal proprio compito, ma su valutazione direttamente espressa dal giudice in ordine all'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla vittima nell'incidente probatorio; dichiarazioni che sono state riscontrate anche da elementi esterni. I giudici del merito hanno richiamato la perizia solo per sottolineare la capacità di testimoniare della parte offesa, capacità che non è stata contestata neppure dal difensore o dai consulenti di parte. Quindi le eventuali considerazioni sull'attendibilità della minore, svolte ad abundantiam dal perito, non hanno inciso sulla valutazione autonomamente operata dai giudici del merito.
Parzialmente fondate sono le censure contenute nel terzo, quinto e sesto motivo.
In proposito va anzitutto premesso che il percorso argomentativo dei giudici del merito in ordine all'attendibilità della persona offesa non è illogico e non contiene errori giuridici, posto che l'accusa è stata riscontrata, oltre che da quanto riferito dalla minore al personale della comunità, da elementi obiettivi di univoca valenza probatoria, quali ad esempio: le stesse ammissioni della madre, la quale, sia pure con riluttanza, ha alla fine ammesso che riceveva dal G. denaro quale corrispettivo per gli abusi sessuali in danno della figlia; il riferimento a foto pedoporaografiche contenute nella deposizione dell'assistente sociale; la perforazione dell'imene, ecc. Le carenze motivazionali riguardano l'omesso esame di alcune censure e soprattutto la puntuale ricostruzione di alcuni abusi. Invero, mentre per alcune censure la risposta è stata adeguata, per altre, è stata omessa o comunque è inadeguata. In particolare è adeguata la valutazione della corte allorchè ha respinto l'istanza diretta ad ottenere l'audizione dei militari della Guardia di Finanza che nel (OMISSIS) avevano pedinato il prevenuto, sia perchè il fatto, commesso quando la bimba aveva cinque anni, era avvenuto, secondo la contestazione e secondo i giudici del merito, a (OMISSIS) e non a (OMISSIS), come indicato nei motivi d'appello, sia perchè l'abuso era stato perpetrato all'interno dell'abitazione e, quindi, non poteva essere notato dagli investigatori. D'altra parte, la saltuaria frequenza dell'abitazione del prevenuto da parte della bimba e dei suoi genitori non avrebbe destato alcun sospetto nelle persone che pedinavano l'imputato,non perchè fosse sospettato di pedofilia ma perchè indiziato di spaccio di sostanze stupefacenti.
Del pari adeguata è la risposta della corte territoriale in ordine alla censura relativa al primo episodio ossia a quello accaduto quando la bambina aveva cinque anni. Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata, il primo abuso era stato commesso quando la bimba aveva cinque anni. Questa ha compiuto il quinto anno nel mese di (OMISSIS) allorchè il prevenuto era detenuto, essendo stato arrestato nel precedente mese di agosto. In proposito i giudici del merito hanno chiarito che il primo abuso era stato commesso poco prima del compimento del quinto anno, sia perchè la minore non poteva essere precisa, sia perchè la stessa madre aveva riferito che il primo episodio era accaduto nell'estate del (OMISSIS) (cfr. sentenza di primo grado alla pag. 13). Quindi la versione della parte offesa, per tale fatto, non era contraddetta dallo stato di custodia carceraria dell'imputato in quel periodo, posto che in base alla dichiarazione resa dalla stessa madre il fatto poteva essere collocato nell'estate di quell'anno allorchè l'imputato non era ancora detenuto e la bimba era prossima a compiere il quinto anno d'età.
Ugualmente adeguata è la risposta dei giudici del merito in ordina, alla mancata audizione dei sanitari che avevano visitato la minore.
Costoro, pur rilevando che l'imene era perforata, non avevano evidenziato segni fisici di abuso sessuale In proposito i giudici del merito hanno precisato che la visita ginecologica era stata effettuata molti anni dopo il primo abuso quando cioè, per l'elasticità dei tessuti, i segni della violenza erano ormai scomparsi. Incensurabile in questa sede è anche la motivazione in ordine al mancato espletamento di una perizia sulla capacità di testimoniare della madre della minore. D'altra parte la perizia come prova neutra non può formare oggetto del mezzo di annullamento di cui all'art. 606 c.p.p., lett. d) (Cass. 18 giugno 2004, Piscitelli;
Cass. 1 dicembre 2003, Orgera).
Del tutto carente è invece la risposta in merito alla doglianza relativa al secondo episodio ossia a quello verificatosi quando la minore aveva nove anni, compiuti nel mese di ottobre del 1999. In proposito il prevenuto aveva dimostrato che dal mese di marzo del 1999 fino al mese di agosto del 2000 era detenuto in carcere. Quindi non poteva avere commesso l'abuso quando la bimba aveva compiuto nove in anni. Sul punto la risposta della corte territoriale, che pure ha confermato la condanna ad anni 18 di reclusione, è del tutto carente. Orbene mentre nel primo episodio si è potuto stabilire che il fatto era avvenuto nell'estate del (OMISSIS), in base alle dichiarazioni della stessa madre, non sono stati evidenziati elementi in base ai quali ritenere che l'episodio collocato dalla minore quando aveva nove anni potesse essere stato invece commesso quando ne aveva otto anni o quando ne aveva 11, ossia quando il prevenuto non era detenuto. Si tratta di una circostanza che meritava un approfondimento, anche ai fini della determinazione della pena.
Invero il fatto commesso nel (OMISSIS), quando la bimba non aveva compiuto ancora dieci anni, era sanzionato non più con la pena prevista dall'art. 519 previgente, ma con quella di cui all'art. 609 ter c.p., u.c. richiamato nella contestazione. In definitiva proprio su quello che sembra essere l'abuso più grave la motivazione è stata carente. Le incertezze probatorie su qualcuno degli episodi contestati, pur non escludendo la responsabilità, potrebbero incidere sulla determinazione della pena.
Apparente è altresì la motivazione in ordine alla reiezione dell'istanza di trascrizione delle intercettazioni ambientali relative ai colloqui intervenuti tra B.D. e G. R. e quelli tra B.D. e P.M.. In proposito la corte ha respinto l'istanza sostenendo che le prove raccolte erano più che sufficienti". L'apparenza della motivazione è palese perchè la corte non svolge alcuna ragione in ordine alla necessità o meno delle trascrizioni in atti.
Nei limiti dianzi precisati vanno accolti il terzo, il quinto ed il sesto motivo dell'impugnazione. Il settimo e l'ottavo che riguardano il trattamento sanzionatorio rimangono assorbiti.
Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata con rinvio. La corte del rinvio, se riterrà inutile la trascrizione delle intercettazioni ambientali invocata dal difensore già in primo grado, dovrà indicare la ragione dell'inutilità e dovrà prendere in esame, approfondendo eventualmente le indagini, la censura relativa all'episodio che sarebbe stato commesso quando la minore aveva nove anni.
La liquidazione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile viene rimessa al giudice del merito all'esito del giudizio di rinvio.
P.Q.M.
LA CORTE Letto l'art. 623 c.p.p. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Genova.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2009