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Pedopornografia virtuale con fotomontaggio è reato (Cass. 15575/18)

9 aprile 2018, Cassazione penale

L'introduzione del reato di pornografia virtuale sanziona la produzione dell'immagine virtuale realizzata utilizzando le immagini di minori reali, o parti di essi, coinvolti in attività sessuali,

Immagine virtuale è quella realizzata mediante l'uso di minori reali o di parti riconoscibili degli stessi comunque coinvolti in attività sessuali esplicite, ma immagine pornografica virtuale è anche quella  quella realizzata mediante fumetti riproducenti situazione reali di coinvolgimento di minori in attività sessuali, e dunque non di soggetti reali.

La realizzazione di una 'immagine pornografica virtuale', mediante fotomontaggio con creazione di un'immagini comprendente l'uso del volto del minore reale, parte riconoscibile dello stesso, con giustapposizione su un corpo di adulto intento a pratiche sessuali è reato.

E' indifferente per la realizzazione dell'immagine pornografica virtuale, e la configurabilità del reato, l'uso del corpo o del volto, ciò che rileva è il coinvolgimento del minore e, anche di una sua parte riconoscibile, come il volto, e il suo sfruttamento con potenziale pericolo per il suo sviluppo psico-fisico.

La produzione di una immagine pornografica virtuale, condotta punita dall'art. 600-quater 1 cod.pen. è integrata dalla realizzazione, con tecniche di elaborazione grafica, tra cui vi è il cd. fotomontaggio digitale mediante Photoshop, di immagini in cui il minore reale, o parti di esso riconoscibili, è coinvolto nel compimento di attività sessuali.

 

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. III PENALE - SENTENZA 9 aprile 2018, n.15757

Pres. Fiale – est. Gai

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 17 ottobre 2016, la Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Lecce che aveva condannato Sa. Bi. Ra., all'esito del giudizio abbreviato, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, perché ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81 comma 2 e 600-ter e 600-quater1 cod.pen., perché produceva materiale pornografico virtuale utilizzando immagini di minori degli anni 18, attraverso il programma Photoshop, utilizzando i volti delle minori Mi. Mi. e De. Fi. Be., di cui due immagini della minore Mi. venivano inviati tramite Facebook alla minore stessa, ha unicamente eliminato la confisca disposta degli apparecchi fotografici e videocamere digitali, confermando nel resto la sentenza impugnata.

1.1. Alla conferma della sentenza di primo grado, il giudice d'appello è pervenuto condividendo la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove del Giudice dell'udienza preliminare. Secondo quanto accertato dalle conformi sentenze di primo e secondo grado, l'imputato Sa., fotografo in Avetrana, aveva prodotto, attraverso il software Photoshop, materiale pornografico, mediante fotomontaggio e cioè utilizzando il viso di due minori (Mi. e De. Fi.) innestati in corpi di donne adulte protagoniste di rapporti sessuali con uomini adulti, e aveva inviato due immagini della Mi. alla minore stessa tramite il social network Facebook.

Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto, per ragioni diverse, l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'art. 600- ter e 600 quater1 cod.pen. per erronea applicazione della legge penale.

Argomenta il ricorrente che la Corte d'appello avrebbe errato nell'applicazione della legge penale in relazione alla qualificazione del materiale fotografico come pornografia minorile e ciò in quanto l'imputato aveva realizzato fotomontaggi che rappresentavano il corpo di persone adulte con il volto delle minori; le immagini così prodotte non avrebbero fatto apparire come vere situazione non reali. In conclusione, la circostanza che non era stato sfruttato il corpo del minore, ma solo il suo volto, posto sul corpo di persone adulte, non consentirebbe di ritenere integrata la fattispecie di pornografia minorile che consiste in 'qualsiasi rappresentazione di fanciulli indipendentemente dal mezzo utilizzato, coinvolti in attività sessuali esplicite, reali o simulate, e qualsiasi rappresentazione di organi sessuali di fanciulli a scopo sessuale'.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al concreto pericolo di diffusione. La motivazione del pericolo di diffusione sarebbe illogica e contraddittoria e fondata sul mero dato che due immagini della minore Mi. erano stati inviate alla stessa mediante utilizzo del social network Facebook, mezzo che non implica automaticamente la diffusione o il pericolo di diffusione, essendo visibile la chat univocamente alla destinataria. Il fatto che la minore avrebbe poi inviato le due immagini a terzi non potrebbe essere addebitato all'imputato.

2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 133 e 62-ò/s cod.pen. La Corte d'appello avrebbe ritenuto di non rivisitare il trattamento sanzionatorio in ragione della gravità dei fatti e non avrebbe accordato nessuna valenza alla circostanza che l'imputato era stato sollecitato dalle minori; quanto al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non avrebbe considerato l'incensuratezza e l'occasionalità della condotta.

In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso dell'imputato.

Considerato in diritto

Il ricorso dell'imputato è infondato e va, pertanto, rigettato.

Va anzitutto premesso che l'art. 600-quater1 cod.pen. è stato introdotto nel codice penale con l'art. 4 della legge 6 febbraio 2006, n. 38, recante disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet, in attuazione di quanto previsto dalla decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 22 dicembre 2003, e punisce le condotte di produzione di materiale pedopornografico, ex art. 600-ter cod.pen. e la detenzione dello stesso materiale ex art. 600 quater, quando il materiale pornografico «rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni 18 o parti di esse», specificando che «per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali».

Nessun dubbio, neppure contestato dalla difesa del ricorrente, sulla configurabilità della condotta di produzione di immagini virtuali mediante la tecnica del fotomontaggio, con utilizzo del programma Photoshop, come avvenuto nel caso in esame, il nodo interpretativo attiene alla definizione di 'immagine pornografica virtuale'.

In relazione alla nozione di pornografia, in passato questa Corte di legittimità aveva evidenziato l'inesistenza di una definizione normativa (Sez. 3, n. 5874 del 09/01/2013, L, Rv. 254420) avendo lasciato, il legislatore, all'interprete di valutare, di volta in volta, il carattere pornografico del materiale. Solo con la sentenza n. 10981 del 4.3.2010 (Sez. 3 n. 10981 del 04/03/2010, K., Rv 246351) questa Corte ha indicato, con precisione, i criteri di individuazione del 'materiale pornografico minorile', ritenendo che il delitto di pornografia minorile sia configurabile esclusivamente quando il materiale medesimo ritragga o rappresenti visivamente un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica, nozione ben più specifica del concetto di osceno.

Tale nozione derivava dal contenuto del Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti dell'infanzia, sulla vendita dei bambini, la prostituzione e la pornografia rappresentante bambini, stipulato a New York il 06/09/2000 e ratificato dall'Italia con la legge 11 marzo 2002, n. 46, secondo cui per pornografia minorile si intende 'qualsiasi rappresentazione, con qualsiasi mezzo, di un bambino dedito ad attività sessuali esplicite, concrete o simulate, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali a fini soprattutto sessuali'.

Sulla stessa linea era la definizione contenuta nella Decisione quadro del Consiglio Europeo n. 2004/ 68/GAI del 22.12.2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, secondo la quale si intendeva per 'bambino' una persona d'età inferiore ai diciotto anni, e per 'pornografia infantile' un materiale che ritrae o rappresenta visivamente: 1) 'un bambino reale implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l'esibizione lasciva dei genitali o dell'area pubica'; 2) 'una persona reale che sembra essere un bambino, implicata o coinvolta nella suddetta condotta'; 'immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta' (art. 1).

Entrambe le definizioni quindi sottolineavano due elementi essenziali della pornografia ovvero quello della rappresentazione di una figura umana e quello dell'atteggiamento sessuale della figura rappresentata.

In questo quadro normativo e giurisprudenziale è, di recente, intervenuta la legge 1 ottobre 2012, n. 172 di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007 e di adeguamento delle norme interne. Tale legge con l'art. 4, comma 1, lett. h) ha modificato il testo dell'art. 600-ter cod.pen. e, per quel che interessa in questa sede, ha inserito all'ultimo comma una definizione precisa di pornografia minorile secondo cui 'si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore degli anni diciotto per scopi sessuali'.

Tale norma che per la prima volta ha introdotto, nella legislazione italiana, una nozione legale di pornografia minorile (norma che non potrebbe trovare applicazione, ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4, essendo stato il fatto commesso dal luglio 2011 a novembre 2011, e quindi prima dell'entrata in vigore della L. n. 172 del 2012), si pone in linea con la nozione di pornografia minorile già elaborata dalla giurisprudenza di Questa corte, come sopra ricordata, intendendosi cioè per materiale pedopornografico quello che ritrae minori degli anni diciotto nel compimento di attività sessuali, nozione che deve costituire il parametro di riferimento per il caso concreto.

Per completezza, deve ricordarsi che, per quanto qui di rilievo in connessione con il primo motivo di ricorso, anche prima dell'introduzione dell'art. 600-quater1, si era ritenuto che rientrasse nell'ambito applicativo dell'art. 600-ter l'immagine di un minore realizzata mediante fotomontaggio, quando la fotografia di un minore reale coinvolto nel compimento di atti sessuali fosse stato sovrapposto il volto di un adulto essendovi anche in questo caso lo sfruttamento del minore con potenziale pericolo per il suo sano sviluppo psicofisico.

L'introduzione del reato di pornografia virtuale di cui all'art. 600-quater 1 cod.pen. va certamente a colpire la produzione dell'immagine virtuale realizzata utilizzando le immagini di minori reali, o parti di essi, coinvolti in attività sessuali, secondo un'opzione interpretativa della norma secondo cui l'immagine virtuale è quella realizzata mediante l'uso di minori reali o di parti riconoscibili degli stessi comunque coinvolti in attività sessuali esplicite.

Dà atto il Collegio che tale opzione ermeneutica è stata rivisitata da una recente pronuncia questa Corte che, superando tale restrittiva interpretazione, ha ritenuto immagine pornografica virtuale quella realizzata mediante fumetti riproducenti situazione reali di coinvolgimento di minori in attività sessuali, e dunque non di soggetti reali (Sez. 3 n. 22265 del 2017).

Peraltro, nel caso in scrutinio, la realizzazione di una 'immagine pornografica virtuale', è avvenuta mediante fotomontaggio con creazione di un'immagini comprendente l'uso del volto del minore reale, parte riconoscibile dello stesso, con giustapposizione su un corpo di adulto intento a pratiche sessuali, condotta che certamente rientra nella condotta punita dalla norma in questione.

La tesi difensiva secondo cui la realizzazione di immagini, mediante uso del solo volto del minore, non avrebbero fatto apparire come vere situazione non reali, non è per nulla condivisibile ed è contraria alla ratio legis laddove pretende di restringere la condotta di pornografia minorile ai casi in cui sarebbe coinvolto il solo corpo del minore in atti sessuali. E' indifferente per la realizzazione dell'immagine pornografica virtuale, e la configurabilità del reato, l'uso del corpo o del volto, ciò che rileva è il coinvolgimento del minore e, anche di una sua parte riconoscibile, come il volto, e il suo sfruttamento con potenziale pericolo per il suo sviluppo psico-fisico.

La produzione di una immagine pornografica virtuale, condotta punita dall'art. 600-quater 1 cod.pen. è integrata dalla realizzazione, con tecniche di elaborazione grafica, tra cui vi è il cd. fotomontaggio digitale mediante Photoshop, di immagini in cui il minore reale, o parti di esso riconoscibili, è coinvolto nel compimento di attività sessuali.

Infine, non c'è dubbio, poi, che la valutazione del carattere pedopornografico del materiale competa al giudice. A tale riguardo la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto che non potessero esservi dubbi di sorta in ordine al fatto che l'imputato avesse realizzato materiale pedopornografico in cui erano protagoniste le minori Mi. e De. Fi. rappresentate nell'atto di consumare rapporti sessuali con uomini adulti mediante inserimento del loro volto su corpi di donne adulte così da risultare immagini di qualità tale da far apparire come vere situazioni complessivamente non reali (cfr. pag. 4).

Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato. La sentenza impugnata ha argomentato che l'imputato aveva prodotto un quantitativo ingente di foto che ritraevano giovani ragazze nel compimento di attività sessuali esplicite e che era risultato provato che l'imputato aveva allestito un vero e proprio circuito di produzioni di immagini pedopornografiche, avendo anche a disposizione di materiale hardware e software per la realizzazione, da cui il concreto pericolo di diffusione, risultando poi anche l'effettiva diffusione di due immagini che ritraevano la minore Mi..

Trattasi di argomentazioni condivisibili e immuni va vizi logici e corrette in diritto in linea con la recente giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini dell'integrazione del reato di pornografica minorile, e anche di quella virtuale è necessario che la condotta abbia consistenza tale da concretizzare un pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, (Sez. 3, n. 37835 del 29/03/2017, D., Rv 270906), ipotesi esclusa dalla circostanza che l'imputato agiva dietro richieste delle minori per la realizzazione di un servizio fotografico destinato evidentemente alla diffusione e dalla circostanza che due fotografie erano state inviate tramite WhatsApp alla minore stessa.

Il terzo motivo di ricorso è generico e, per altro verso, manifestamente infondato.

Di carattere generico è la censura in punto trattamento sanzionatorio e in ordine al diniego delle circostanze di cui all'art. 62-bis cod.pen. che il ricorrente 'avrebbe meritato', omettendo la corte territoriale di valutare l'occasionalità della condotta e l'incensuratezza. A tacer d'altro che non si è trattata di condotta episodica essendo stata accertata la produzione di un ingente quantitativo di immagini pornografiche ritraenti minori, la Corte d'appello ha ritenuto di non poter rivisitare il trattamento sanzionatorio tenuto conto della gravità dei fatti e dell'assenza di elementi positivi di valutazione, motivazione a fronte della quale il ricorrente adduce censure prive di specificità.

In ogni caso, come questa Corte ha più volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900), elementi che neppure in ricorrente allega non potendo valere, a seguito della modifica dell'art. 62-bis cod.pen. ad opera della legge 24 luglio 2008, n. 125, la mera assenza di precedenti penali che da sola non può giustificare il riconoscimento delle menzionate attenuanti.

  1. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto e l'imputato deve, altresì, essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.