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Patto di quota lite è circonvenzione di incapace? (Cass. 8022/25)

27 febbraio 2025, Cassazione penale

Costituisce deficienza psichica la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, di intensità tale da agevolare la suggestionabilità della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie: è situazione di deficienza psichica della persona offesa a carattere oggettivo, che tuttavia non deve necessariamente essere percepita immediatamente da chiunque, atteso che la relativa consapevolezza è richiesta soltanto in capo all'autore del reato, che abbia instaurato con la predetta una conoscenza significativa (certamente ricorrente nel caso in esame) alla cui stregua si sia potuto rendere conto, anche per la sua anomalia e, dunque, particolare arrendevolezza, delle fragilità che la affliggono.

Al fine di ritenere ricorrente il reato di circonvenzione di incapace devono sussistere la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico o deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali; l'induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in una apprezzabile attività di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto; l'abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza al fine di procurare a sé o ad altri un profitto.

In particolare, si deve sottolineare che, per la sussistenza dell'elemento della induzione, non è richiesto l'uso di mezzi coattivi o di artifici e raggiri, ma è pur sempre necessaria una apprezzabile attività di pressione morale, di suggestione, di persuasione, cioè di spinta psicologica che non può ravvisarsi nella semplice richiesta al soggetto passivo di compiere un atto giuridico.

In tema di circonvenzione di persone incapaci, debbono essere considerate, per verificare la sussistenza dell'elemento dell'induzione, non solo le condotte tenute dall'imputato al momento della commissione degli atti pregiudizievoli, ma anche tutto ciò che è accaduto successivamente, in quanto indice rivelatore di un antecedente approfittamento della minorata capacità psichica della persona offesa.

Il risultato dell'approfittamento dello stato di infermità o di deficienza psichica della vittima rilevante a norma dell'art. 643 cod. pen. può consistere anche nella stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive, sempre che tra queste sia rinvenibile uno squilibrio economico a danno dell'incapace.

Il divieto del patto di quota lite è integrato non soltanto nell'ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell'attività svolta, realizzandosi – così – quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.

Corte di Cassazione

sez. II penale

udienza 11 febbraio 2025 (dep. 27 febbraio 2025), n. 8022

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 25/06/2024, in parziale riforma della sentenza n. 3408/2022 del Gup del Tribunale di Milano del 15/12/2022, ha riconosciuto la non menzione della condanna a D.M.P., confermando nel resto la sentenza impugnata con la quale è stato condannato per il delitto di cui all'art. 643 cod. pen. aggravato dall'abuso di prestazione d'opera e dall'ingente danno patrimoniale.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, D.M.P. proponendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge, violazione di norme processuali e vizio della motivazione in relazione all'art. 643 cod. pen. con travisamento della prova ed erronea applicazione delle norme processuali in tema di valutazione della prova dichiarativa in ordine al preteso abuso dello stato incapacità. Si assume la mancanza totale di un'effettiva valutazione, con motivazione adeguata, di una delle componenti strutturali del reato ascritto, rappresentata dall'induzione, che la Corte di appello ha ritenuto sussistente sulla base di presupposti erronei, con particolare riferimento al ruolo professionalmente svolto dal ricorrente; la prova logico indiziaria non appare sufficiente a strutturare qualsiasi forma di induzione; la Corte di appello, nel motivare sull'abuso delle condizioni di vulnerabilità della persona offesa, cerca di far rientrare nell'ambito della tipicità normativa la condotta tenuta dal ricorrente riconnettendola a quella del C., senza considerare che il giudice di primo grado aveva escluso qualsiasi forma di concorso; sono state utilizzate, con motivazione sostanzialmente apodittica, categorie sfuggenti come quella della suggestione, persuasione e pressione morale, ricostruendo lo squilibrio dell'atto in considerazione della qualifica ricoperta dal ricorrente; lo squilibrio deriverebbe ex se dal rapporto cliente-avvocato, senza necessità di artifici e raggiri o di altre condotte d'indebita compressione della volontà negoziale; manca nella motivazione della Corte di appello qualsiasi effettiva argomentazione in ordine alla supposta intrinseca illiceità dell'accordo raggiunto sul compenso, mentre emerge un ragionamento logico circolare, e, in quanto tale, viziato, nel senso che la pattuizione sarebbe illecita perché frutto di induzione (mentre nulla si dice sulla procura speciale notarile e sulla competenza ad accertare la capacità di intendere della persona offesa da parte del notaio); la difesa ha inoltre osservato come il patto proposto dal ricorrente non avesse carattere illecito e non si versasse in uno di quei casi per cui la natura dell'atto dovrebbe far desumere logicamente l'esistenza di indebite pressioni, anche considerato che non ricorreva alcuna deminutio patrimoniale ed atteso che il calcolo realizzato dalla giudice di secondo grado comprendeva anche quanto ricevuto dal ricorrente direttamente dalla assicurazione, ritenuto pienamente lecito dal giudice di primo grado. La Corte di appello ha apoditticamente motivato in ordine all'eccessività del compenso, senza alcun riscontro e tale circostanza non può essere ritenuta di per sé prova della induzione; né si può attribuire alcuna valenza al comportamento successivo tenuto dal ricorrente nei rapporti con la banca, mancando dei requisiti di gravità e precisione, attesa la allegata presenza di una spiegazione alternativa (quella di natura fiscale). La difesa ha inoltre rilevato, nell'ambito della stessa doglianza, un vizio della motivazione perché carente quanto all'abuso dello stato di vulnerabilità della persona offesa, attesa la costante presenza alla contrattazione del compenso non solo della moglie della persona offesa, ma anche del C., indicato da entrambi come il referente della pratica risarcitoria. Quindi, a prescindere dalla posizione della persona offesa, erano comunque presenti due soggetti pienamente in grado di comprendere la portata dell'accordo per il compenso; la Corte di appello ha sostenuto che l'abuso dello stato di vulnerabilità sarebbe stato possibile attraverso l'esautorazione della T., determinata dai raggiri del C., nonostante la sentenza di primo grado avesse escluso qualsiasi accordo tra il C. e il ricorrente. Il giudice di secondo grado, per svilire il portato inequivoco delle dichiarazioni della moglie della persona offesa, travisa il significato delle stesse, sostenendo che risentirebbero dei raggiri del C. in presenza di un evidente equivoco temporale, atteso che tali dichiarazioni sono state rese quando la moglie della persona offesa aveva già denunciato il C.; nello stesso senso è stato sostenuto il travisamento della testimonianza della persona offesa, che non è stata in alcun modo valutata criticamente sulla base delle allegazioni difensive; la Corte di appello si è limitata ad affermare laconicamente che la persona offesa non aveva compreso le pattuizioni, mentre al contrario aveva dichiarato in modo inequivoco che il ricorrente avrebbe preso il compenso sulla base della liquidazione da parte della assicurazione.

2.2. Violazione di legge, erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione in ordine al profilo della ingiustizia del profitto. La Corte di appello ha completamente disatteso la disamina del motivo di appello con il quale si era evidenziata l'intrinseca legittimità dell'accordo circa il compenso previsto per il ricorrente; occorreva dimostrare che il profitto del reato fosse caratterizzato da ingiustizia, circostanza non ricorrente (come si era dimostrato allegando pronunce del CNF e della giurisprudenza di legittimità civile) atteso che la maggiorazione del compenso a titolo di palmario era da ritenersi del tutto legittima, considerata la sua natura di quota aggiuntiva del compenso (in misura percentuale all'esito della controversia); il compenso, proprio per le caratteristiche dell'accordo, era certo, mentre la percentuale in aggiunta del 15% rappresentava un importo aggiuntivo parametrato al buon esito della pratica finalizzato a stimolare lo zelo del difensore; nessuna motivazione è stata resa sul tema nonostante i motivi di appello, che hanno sottolineato la chiara percezione dell'accordo sin dal primo incontro e la mancanza di atti concreti e specifici a cui riconnettere l'induzione in assenza di depauperamento, nell'ambito di una vicenda complessivamente accrescitiva per la persona offesa.

2.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla riconoscibilità dello stato di deficienza psichica e all'elemento soggettivo del reato ascritto. La motivazione della Corte di appello per ritenere la ricorrenza di tale elemento ha sovrapposto elementi sopraggiunti rispetto all'accordo tra il ricorrente e la persona offesa, con particolare riferimento agli accertamenti medici e peritali, tutti successivi all'incontro tra le parti ed alla formalizzazione dell'accordo sul compenso; l'unico elemento che si poteva ritenere a conoscenza del ricorrente poteva essere la consulenza redatta dal Dott. Z., che tuttavia aveva precisato che, solo in presenza di conoscenze tecniche, sarebbe stato possibile avere consapevolezza dello stato mentale e delle caratteristiche della situazione della persona offesa; comunque tale documentazione medica risultava compilata e consegnata sette mesi dopo rispetto alla sottoscrizione dell'accordo sul compenso; né si poteva ritenere la ricorrenza dell'elemento soggettivo del reato, come ritenuto dalla Corte di appello, sulla base di incontri diretti intervenuti tra le parti presso lo studio del difensore; la motivazione della Corte di appello si pone in evidente contraddizione con le considerazioni spese quanto al ruolo del notaio nel rilasciare la procura speciale, così come del collega di studio del ricorrente; in particolare, la difesa ha osservato come le dichiarazioni rese dall'Avv. I. siano state oggettivamente travisate, avendo egli confermato la piena comprensione da parte della persona offesa degli accordi pregressi tra le parti; la Corte di appello ha inoltre omesso di motivare in ordine alle conclusioni del dott. Z. che erano state richiamate con specifico motivo di appello sulla base delle indagini difensive espletate; infine, la prova sul punto a discarico è stata completamente obliterata e la motivazione ha travisato e forzato la portata delle dichiarazioni della persona offesa, che aveva compreso la portata dell'accordo sul compenso.

3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

4. Il difensore della parte civile costituita ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile ed ha depositato nota spese.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi non consentiti, generici, oltre che manifestamente infondati.

2. La Corte di appello ha confermato pienamente il giudizio di responsabilità del ricorrente, con motivazione del tutto conforme a quella del giudice di primo grado quanto agli elementi costitutivi del delitto contestato.

Il ricorrente, nell'impugnare la sentenza, non si confronta compiutamente con le argomentazioni spese dai giudici di appello e si limita, come emerge anche graficamente, a riproporre i medesimi argomenti, anche in senso letterale, già proposti con i motivi di appello, senza allegare una critica argomentata e caratterizzata dalla proposizione dei vizi tipici del giudizio di legittimità, se non nell'epigrafe del motivo.

In tal senso, occorre ricordare che il vizio di motivazione non può essere articolato genericamente e si deve connotare quanto alla sua proposizione con precisione e adeguatezza, evidenziando dove la motivazione sia manifestamente illogica, e non meramente illogica, erronea o difettosa come lamentato dalla ricorrente.

Ricorre, dunque, una mera ripetizione dei motivi di appello, un mancato confronto con le argomentazioni della decisione impugnata, un'articolazione dei motivi secondo criteri che ne determinano l'inammissibilità in questa sede.

Deve, quindi, essere rilevata una mancanza di specificità del motivo.

In tal senso, si deve ricordare che la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell'art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. all'inammissibilità (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutatour, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945-01).

3. Nel proporre un'evidente lettura alternativa del merito, non ammissibile in questa sede, il ricorrente non si confronta compiutamente con la motivazione della sentenza di appello.

In aggiunta a quanto testè esposto, deve essere sul punto ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (ex multis, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01).

4. Deve essere sottolineato che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (cfr., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Barraglia, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702-01, Sez. 5., n. 48050 del 02/07/2019, Ferri, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01). Nel caso concreto, è stata pronunziata sentenza di condanna a carico del ricorrente, con valutazione conforme del giudice di appello.

Da ciò consegue l'inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965-01).

5. Ricorre, inoltre, nel caso in esame, una c.d. “doppia conforme”, avendo la sentenza di appello condiviso pienamente le considerazioni logico argomentative della sentenza di primo grado, ampiamente richiamata sia direttamente che per relationem.

Sul punto le due decisioni sono assolutamente concordi, avendo la Corte di appello confermato il giudizio di primo grado quanto alla condotta contestata al ricorrente. La struttura motivazionale della sentenza di appello si salda, dunque, con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito concordano nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni (cfr., Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062-01, in motivazione; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 2, n. 29007 del 09/10/2020, Casamonica, n.m.; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229-01).

Invero, il giudice di appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841-01).

Fermo quanto precede, neanche la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione, determina la nullità della sentenza d'appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa comunque essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01): ciò è all'evidenza riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali sollevati con motivazione congrua, articolata logicamente e priva di aporie (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643-01; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, dep. 2014, Maravalli, Rv. 256879-01).

I motivi di ricorso hanno inoltre, come già detto, denunciato la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con una generica deduzione, contrastante con il principio secondo il quale i vizi della motivazione si pongono «in rapporto di alternatività, ovvero di reciproca esclusione, posto che – all'evidenza – la motivazione, se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non è motivazione mancante» (così, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-01; v. anche, Sez. 1, n. 39122 del22/09/2015, Rugiano, Rv. 264535-01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263541- 01; Sez. 2, n. 31811 del08/05/2012, Sardo, Rv. 254329-01; Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, in motivazione).

In altri termini, occorre considerare che i motivi di ricorso, pur essendosi formalmente espressi richiamando censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ed anche al travisamento della prova, non hanno, effettivamente, denunciato una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, bensì una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente errata del materiale probatorio. Con numerose argomentazioni sono state, quindi, proposte doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio in un senso considerato più plausibile. Tuttavia, la valutazione dei dati processuali e la scelta, tra i vari risultati di prova, di quelli ritenuti più idonei a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (cfr., Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 278745-01; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965-01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv.262575-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01).

Deve, dunque, essere ribadito il principio secondo il quale è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (cfr., Sez. 3, n.18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099-01).

6. La parzialità, genericità e complessiva inammissibilità dei tre motivi di ricorso emerge dalla approfondita lettura e valutazione dell'insieme di elementi di prova ed indiziari fornita dalla Corte di Appello nella sua motivazione, con la quale il ricorrente non si confronta.

6.1. Infatti, quanto al primo motivo di ricorso, appare evidente come il ricorrente richiami valutazioni meramente astratte e generiche senza confrontarsi con la motivazione della sentenza dalla quale è emerso senza alcun dubbio - con motivazione logica, articolata e del tutto priva di aporie - che egli avesse piena consapevolezza della condizione di circonvenibilità della persona offesa, circostanza che era emersa senza alcun dubbio dalle modalità di accesso della stessa sin dal primo incontro con il legale, come ampiamente valorizzato dai giudici di merito in senso conforme tra loro.

6.2. Il ricorrente, dunque, sul punto non si confronta effettivamente con la motivazione della Corte di appello, che ha ricostruito in modo analitico e logico gli accertamenti espletati, la portata degli stessi, i criteri seguiti nel valutare le condizioni del ricorrente sulla base degli elementi acquisiti agli atti a fronte di una serie di elementi estremamente significativi, che, letti in chiaro combinato disposto tra loro, in modo logico e persuasivo e in assenza di contraddizioni, hanno portato a ricostruire in modo inequivoco:

- lo stato di circonvenibilità già al momento del primo incontro presso lo studio del difensore (circostanza emergente anche dalla ricostruzione relativa alla non autonomia della persona offesa, che si era presentata presso lo studio accompagnata o dalla moglie o da terzo estraneo, in assenza di qualsiasi specifica relazione anche solo parentale con lo stesso, e che si mostrava obiettivamente come persona priva di capacità organizzative ed autonomia nella propria gestione quotidiana, tanto da non avere neanche un conto corrente sul quale far confluire l'eventuale indennizzo);

- la piena conoscenza delle condizioni della persona offesa tenuto conto delle complessive circostanze del sinistro che lo aveva coinvolto e della gravità delle lesioni riportate, già oggettivamente emergenti e chiaramente comprensibili sulla base della mera lettura dalla cartella clinica, a prescindere da qualsiasi ulteriore e sopravvenuto accertamento peritale;

- la progressiva e consapevole intensificazione delle condotte di pressione e approfittamento da parte del ricorrente, tanto da indurlo a sottoscrivere una procura speciale, piuttosto che ad aprire un conto corrente, come sarebbe stato normale prassi, al fine di far confluire l'indennizzo conseguente al grave infortunio stradale nella immediata disponibilità del cliente piuttosto che del legale o di soggetto del tutto estraneo come l'accompagnatore C. (si afferma in giurisprudenza che, in tema di circonvenzione di persone incapaci, il rilascio di una procura generale alla gestione del patrimonio, atto di per sé "neutro", integra l'elemento materiale del reato laddove, all'esito di una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso concreto, si accerti che l'imputato ha indotto la persona offesa a conferirgliela attraverso la manipolazione della sua volontà vulnerabile, onde compiere successivamente atti di disposizione patrimoniali contrari all'interesse del delegante: Sez. 2, n. 26727 del 10/05/2023, G., Rv. 284767-02);

- la chiara inconsapevolezza da parte della persona offesa in ordine al contenuto dell'accordo sul corrispettivo, attesa la sua portata economica, la sua evidente illegittimità in quanto patto di quota lite, tenuto conto della specifica considerazione dei parametri tariffari di riferimento: persona offesa che prestava il proprio consenso senza comprenderne l'effettiva portata, come chiaramente dimostrato dalle sue dichiarazioni, acquisite agli atti e richiamate dalla difesa per sostenerne un'opposta interpretazione, nonostante l'evidente fondatezza della pretesa azionata nei confronti dell'assicurazione;

- la natura evidentemente non lecita della quota così stabilita (pag. 9 e seguenti dove si è valorizzata proprio la portata in concreto di tale patto).

Con tale ampiamente argomentata motivazione il ricorrente omette di confrontarsi.

6.3. Né ricorre l'asserita erronea considerazione dei presupposti per giungere ad applicare la disciplina di cui all'art. 643 cod. pen., aggravata dalla qualifica professionale svolta dal ricorrente.

Al riguardo, è opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, agli effetti dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 cod. pen., la relazione di prestazione d'opera corrisponde ad un concetto più ampio di quello di locazione d'opera a norma della legge civile e comprende ogni specie di attività, materiale ed intellettuale, che abbia dato luogo a quell'affidamento nel corso del quale si è verificata la condotta criminosa (Sez. 2, n. 5257 del 13/12/2005, dep. 2006, Rotolo, n.m.).

Sotto altro profilo, è stata evidenziata la necessità di accertare, per la sussistenza dell'aggravante, che la relazione tra le parti sia connotata da un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato, a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza (Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, Chatbi, Rv. 255792-01).

Non vi è dubbio che, nel caso in esame, la Corte di appello abbia compiutamente ricostruito la nozione di "abuso di relazioni di prestazione di opera" utilizzata dall'art. 61, comma primo, n. 11 cod. pen., che ricomprende, oltre all'ipotesi del contratto di lavoro, tutti i rapporti giuridici che comportino l'obbligo di un "facere" e che, comunque, instaurino tra le parti un rapporto di fiducia che possa agevolare la commissione del fatto (cfr., Sez. 6, n. 11631 del 27/02/2020, E., Rv. 278720-01; Sez. 2, n. 13775 del 30/01/2019, Greco, Rv. 276060-02; Sez. 2, n. 25912 del 02/03/2018, Ortolani, Rv. 272806-01; Sez. 2, n. 6350 del 14/11/2014, dep. 2015, Mantelli, Rv. 262563-01; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261554-01). La Corte di appello, in applicazione del principio appena richiamato, ha considerato una serie di elementi indicativi quanto alla sussistenza di un preciso nesso di interdipendenza tra l'ingiustificata appropriazione di somme di denaro frutto del riconosciuto danno subito dalla persona offesa (per come liquidato dalla assicurazione) ed il rapporto di prestazione d'opera che ha costituito la causa originaria degli atti che hanno provocato alla persona offesa un evidente danno ingiusto. Né colgono nel segno le censure proposte dalla difesa sempre nell'ambito di tale motivo con le quali si è dedotta la ricorrenza di un travisamento della prova quanto alle dichiarazioni rese dalla moglie della persona offesa. Invero, la difesa, più che ricostruire un effettivo travisamento della prova - senza alcun accenno alla prova di resistenza e conseguente genericità ed aspecificità del motivo (atteso che questa Corte ha chiarito che nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico il motivo di impugnazione deve comunque illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303-01) - si limita ad allegare una non consentita interpretazione alternativa della stessa in assenza di confronto con le considerazioni della Corte di appello.

Sul tema, occorre ribadire che «nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica deduzione - che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado» (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01), circostanza certamente non ricorrente nel caso in esame.

La Corte di appello ha compiutamente ricostruito la condotta ascritta al ricorrente sia sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che della moglie della stessa, con motivazione approfondita, articolata ed immune da manifesta illogicità, operando una ricostruzione specifica dei contatti con il ricorrente, dell'effettivo affidamento riposto nello stesso per una serie di circostanze obiettivamente riscontrabili. È stata, dunque, specificamente ricostruita la progressione degli eventi e le condotte ascrivibili al ricorrente anche sulla base di una serie di riscontri documentali e di ulteriori testimonianze (la testimonianza in particolare del notaio presso il quale su stimolo del ricorrente si recava la persona offesa e le dichiarazioni del collega di studio del legale, compiutamente analizzate nella loro portata, dichiarazioni che non sono state affatto travisate, contrariamente a quanto genericamente dedotto). Inoltre, a prescindere da eventuali giudizi di tipo morale proposti in sede di ricorso, è emersa la portata oggettiva e la rilevanza causale della relazione extraconiugale della moglie della persona offesa con il C., che appunto consigliava alla persona offesa la persona del ricorrente quale legale al quale rivolgersi, come persona di riferimento, conosciuta e del tutto affidabile; è stata riscontrata la partecipazione del C. agli incontri con il D.M.P. (in mancanza di qualsiasi titolo a tal fine) e sono state ricostruite le caratteristiche degli incontri, con pieno affidamento nell'opera del ricorrente anche in considerazione del livello socio culturale dei clienti e delle condizioni fisiche della persona offesa, inequivocabilmente emergenti anche dalla documentazione prodotta in occasione dei primi incontri, con particolare riferimento alle cartelle mediche di pronto soccorso e ricovero che attestavano portata e rilevanza del danno evidentemente subìto quale conseguenza del sinistro stradale e in relazione al quale il ricorrente svolgeva attività di rappresentanza e difesa del V. sia in sede penale che civile.

La Corte di appello ha precisamente evidenziato come le semplicistiche affermazioni della persona offesa e di sua moglie, la scarsa comprensione di quello che era accaduto dopo la liquidazione, il rilascio della procura speciale al difensore da parte del V., oltre alla gestione successiva dell'ammontare di denaro liquidato dalla compagnia assicuratrice, fossero tutti elementi univoci e convergenti nella chiara ricostruzione ed imputazione della condotta ascritta.

6.4. Anche il secondo motivo di ricorso - relativo al travisamento della prova dichiarativa quanto alla sussistenza della condotta induttiva ed ingiustizia del profitto, con conseguente violazione di legge e vizio della motivazione proposto genericamente in tutte e tre le sue forme - si presenta all'evidenza, ancora una volta, come una generica richiesta di rilettura del merito non consentita in questa sede.

Va evidenziato in premessa come, lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità, le doglianze articolate con il presente motivo finiscono per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di merito che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere al contrario tali elementi pienamente e integralmente riscontrati all'esito della ricostruzione della concreta vicenda processuale. Ed in effetti, è utile ribadire che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., il motivo di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l'erroneità dell'opera di “sussunzione” del fatto (non suscettibile di essere rimessa in discussione in sede di legittimità) rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito.

Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come, con la censura svolta, il ricorrente contesti, in sostanza, l'approdo decisionale cui sono pervenuti i giudici di merito nell'affermare la penale responsabilità dello stesso, sottoponendo alla Corte una serie di argomentazioni che si risolvono nella proposizione di diverse e rinnovate chiavi di lettura del compendio probatorio.

Invero, come correttamente evidenziato dal giudice di appello, il ricorrente era pienamente a conoscenza dello stato di indebolimento e degrado cognitivo della persona offesa, della sua fragilità emotiva evidentemente valorizzata in considerazione dell'essere lo stesso – come si è detto – costantemente accompagnato agli incontri presso lo studio legale con persona estranea, che si intrometteva nella gestione dei suoi interessi patrimoniali, del suo bisogno di sentirsi assistito proprio a causa delle sue condizioni, riponendo incondizionata fiducia nel C. e nel difensore dallo stesso indicato. La Corte di appello ha specificamente analizzato e richiamato l'insieme delle condotte poste in essere, la loro particolare insidiosità a fronte di una persona debole, la costanza e progressione delle stesse anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnici come la procura speciale, giungendo a condizionarla, tanto da farle porre in essere atti evidentemente pregiudizievoli per la stessa con un notevolissimo ed ingiustificato profitto economico per il difensore (anche in considerazione del compenso già ricevuto dalla assicurazione per la sua attività professionale).

Tale elemento è stato analizzato dalla Corte di appello proprio tenendo conto delle dichiarazioni del V., per nulla travisate e logicamente considerate, della loro evidente significatività in ordine alle condizioni dello stesso. In tal senso, è stato logicamente sottolineato e considerato anche il dato oggettivo relativo alla impossibilità per il V. di recarsi da solo presso lo studio legale, proprio a causa delle sue condizioni, quale elemento significativo al fine di riscontrare e pienamente comprendere il suo stato di particolare vulnerabilità, elemento questo che è stato posto in correlazione anche al tipo di lesioni subìte a seguito del sinistro (pienamente conosciute dal ricorrente in considerazione della corrispondenza intercorsa con la compagnia assicuratrice, richiamata esplicitamente anche dal giudice di primo grado). La Corte di appello ha, quindi, ritenuto, con motivazione del tutto priva di illogicità manifeste che non si presta a censure in questa sede, la vulnerabilità della persona offesa, oggettivamente riscontrata sulla base della documentazione nella disponibilità del ricorrente proprio in considerazione dell'incarico dallo stesso ricevuto e immediatamente percepibile proprio tenuto conto di una serie di condotte, conseguenza della pressione esercitata dal ricorrente sul V., che portavano alla possibilità di ottenere nell'espletamento dell'incarico difensivo somme del tutto sproporzionate e non correlate ad alcun reale rapporto di dare e avere tra le parti, anche dal punto di vista professionale, richiamando in modo specifico la illiceità del patto quota lite così introdotto nel rapporto tra le parti, caratterizzato senza alcun dubbio dall'affidamento della persona offesa nei confronti del suo difensore.

La Corte di appello ha, dunque, correttamente applicato i principi di diritto ripetutamente affermati su questo tema in modo del tutto conforme al giudice di primo grado (che ha richiamato la natura di previsione del tutto aleatoria del patto quota lite, ricorrendo una identificazione del compenso in collegamento con l'entità del risarcimento, con evidente imprevedibilità dell'esito dell'accordo, che inevitabilmente varia in relazione all'entità dell'eventuale liquidazione: v. pagg. 8 e segg.), chiarendo, con motivazione che non si presta a censure in questa sede, che l'accordo, per come proposto alla persona offesa, non solo non era stato dallo stesso chiaramente percepito nella sua portata, ma si presentava a carattere evidentemente illecito non solo per le sue caratteristiche, ma proprio perché intercorso con un soggetto in condizioni tali da non comprenderne gli effetti conseguenti rispetto al proprio diritto al risarcimento del danno subìto.

La Corte di appello ha esplicitamente argomentato sul punto, rilevando non solo la ricorrenza di un evidente profilo di oggettiva aleatorietà, come sottolineato anche dal giudice di primo grado, ma anche la ricorrenza di un profilo di evidente sproporzione rispetto alla tariffa professionale, tenuto conto del valore e della complessità della lite e considerata l'intervenuta corresponsione del compenso al ricorrente per la sua prestazione professionale da parte della compagnia assicurativa del soggetto che aveva provocato gravi lesioni alla persona offesa (assistita dal D.M.P. non solo in sede civile, ma anche in sede penale).

Sul tema occorre ricordare che, come sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione civile (in particolare, Sez. 2 del 06/07/2022, n. 21420) il divieto del cosiddetto "patto di quota lite" tra l'avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell'esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l'interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.

Le Sezioni Unite, pronunciando in tema di impugnazione delle decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, hanno ritenuto che la prescrizione dell'art. 45 del codice deontologico avesse inteso prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui, sicché il giudice deve valutare se la stima effettuata dalle parti, all'epoca della conclusione dell'accordo, sia sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell'assunzione del rischio (Sez. U civili del 25/11/2014, n. 25012, Rv. 633112-01; in senso conforme, Sez. U civili del 04/03/2021, n. 6002, Rv. 660834-02).

Il divieto del patto di quota lite è, quindi, integrato non soltanto nell'ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell'attività svolta, realizzandosi – così – quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.

La possibilità di pattuire tariffe speculative si accompagna quindi alla necessità dell'introduzione di particolari cautele sul piano deontologico, tese a prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui, anche per “distaccare” l'avvocato dagli esiti della lite, diminuendo la portata dell'eventuale commistione di interessi tra il cliente ed il legale (Sez. U civili n. 25012/2014, cit.). Ne consegue (in tal senso di recente Sez. 2 civile del 04/09/2024, n. 23738) che il compenso supplementare può essere riconosciuto all'avvocato sulla base del cosiddetto palmario, quale componente aggiuntiva voluta ed attribuita in piena coscienza dal cliente all'avvocato in caso di esito favorevole della lite, a titolo di premio o di compenso straordinario per l'importanza e la difficoltà della prestazione professionale (Sez. U civili del 08/06/2023, n. 16252; Sez. 2 civile del 26/04/2012, n. 6519): circostanza all'evidenza esclusa dai giudici di merito sia in considerazione delle condizioni di salute del V., evidentemente non in grado di comprendere chiaramente la portata dell'accordo sottoscritto con il suo difensore (sottoscrizione alla quale si determinava proprio per l'affidamento riposto nella competenza della persona che doveva seguire i suoi interessi), che in relazione a profili di evidente aleatorietà e chiara sproporzione per le caratteristiche della controversia che sin dall'inizio, sulla base della documentazione medica e relativa al sinistro che vedeva coinvolta la persona offesa, evidenziava la sostanziale estraneità della stessa alla sua causazione (in via transattiva riconosciuta nella misura del 20%). In tal senso, il giudice di merito ha effettivamente riconosciuto, con valutazione del tutto conforme - sia in primo che in secondo grado - come la percentuale del 15% sulla somma eventualmente liquidata apparisse di per sé eccessivamente onerosa e pregiudizievole per il cliente.

Con detta motivazione il ricorrente non si confronta effettivamente, limitandosi nella sostanza ad allegare elementi generici ed astratti rispetto al caso concreto, senza considerare e confrontarsi con le conclusioni dei giudici di merito quanto alla natura spropositata della cifra in questione (complessivamente 167.500,00 euro) in assenza di qualsiasi profilo di corrispondenza e proporzionalità con la prestazione resa. In particolare, il giudice di primo grado, con motivazione che è stata pienamente condivisa dal giudice di appello, ha esplicitamente richiamato quale parametro di riferimento i valori tariffari previsti quali compensi per la professione forense in tema di assistenza stragiudiziale, giudiziale civile e giudiziale penale. La motivazione è ampia, logica nelle sue conclusioni, e del tutto immune da illogicità manifesta.

6.5. Anche con il terzo motivo di ricorso vengono proposte doglianze asseritamente volte a far rilevare la mancanza di motivazione quanto all'elemento soggettivo del reato, ancora una volta cercando di introdurre una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede. L'insieme degli elementi richiamati dalla Corte di appello dimostra la corretta considerazione della posizione del ricorrente, nonché - nell'evidenziare la progressione delle condotte di circonvenzione poste in essere e la particolare pervasività delle stesse - il danno indotto nei confronti della persona offesa.

Il giudice di appello, in senso del tutto conforme alla sentenza di primo grado, ha chiaramente delineato la intenzionalità dell'agire del ricorrente nei confronti del V., la chiara previsione, coscienza e volontà della condotta posta in essere dallo stesso, così come la piena consapevolezza degli effetti conseguenti e dei vantaggi del tutto indebiti derivanti da tale contesto, caratterizzato da evidente affidamento della vittima al proprio legale.

La lettura frazionata, e non completa, delle motivazioni della Corte di appello rende evidente la genericità del motivo proposto anche in questo caso, tenuto conto degli elementi che hanno ricostruito in modo inequivoco l'accerchiamento che la persona offesa aveva subìto in questa fase della propria vita - caratterizzata da evidente fragilità emotiva, psichica e fisica - da più parti e, in particolare, da terza persona che, insieme al ricorrente, sebbene non in esplicito concorso con lo stesso, risultava essere destinatario e beneficiario senza effettivo titolo e giustificazione, in modo anomalo, delle disposizioni economiche della persona offesa, mediante la inconsapevole destinazione di parte ingente del risarcimento liquidato.

Con tale rilevantissimo elemento il ricorrente non si confronta affatto, procedendo ad una lettura ripetitiva, del tutto corrispondente ai motivi di appello, anche in questa sede.

La Corte di appello ha invece fatto corretta applicazione, nella articolata e logica valutazione del compendio istruttorio, del principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale costituisce deficienza psichica la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, di intensità tale da agevolare la suggestionabilità della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie (Sez. 2, n. 21464 del 20/03/2019, D., Rv. 275781-01). È stata, dunque, correttamente ritenuta la ricorrenza di una situazione di deficienza psichica della persona offesa a carattere oggettivo, che tuttavia non deve necessariamente essere percepita immediatamente da chiunque, atteso che la relativa consapevolezza è richiesta soltanto in capo all'autore del reato, che abbia instaurato con la predetta una conoscenza significativa (certamente ricorrente nel caso in esame) alla cui stregua si sia potuto rendere conto, anche per la sua anomalia e, dunque, particolare arrendevolezza, delle fragilità che la affliggono (Sez. 2, n. 4592 del 15/12/2021, D., Rv. 282587-01). Dopo aver considerato tale complessa situazione, la particolare incidenza della stessa è stata certamente provata e riscontrata oltre ogni ragionevole dubbio, atteso l'evidente ed effettivo depauperamento delle consistenze patrimoniali della vittima e l'evidente ingiustizia del profitto realizzato dal ricorrente al quale la persona offesa si era affidata per la tutela delle proprie ragioni (Sez. 2, n. 22481 del 22/04/2021, P., Rv. 281451-01; Sez. 2, n. 20677 del 13/05/2022, D., 283337-01; Sez. 2, n. 31438 del 30/06/2022, C., 283676-01) e certamente non vale a sminuire tale oggettiva considerazione l'affermazione del tutto generica di un contesto accrescitivo (dal punto di vista patrimoniale) che avrebbe comunque riguardato la persona offesa, atteso che oggettivamente la stessa, a causa della condotta posta in essere, veniva a subire una consistente sottrazione delle somme liquidate in suo favore quale conseguenza del gravissimo incidente che la aveva vista coinvolta con danni psichici e fisici permanenti. In tal senso è stata sottolineata la particolare significatività, proprio in relazione all'elemento intenzionale, della condotta tenuta dal ricorrente che non trasmetteva al proprio assistito ed alla moglie dello stesso le fatture relative ai compensi professionali trattenuti dall'importo liquidato dall'assicurazione (la fattura veniva emessa solo immediatamente dopo l'intervenuta conoscenza di una querela proposta nei suoi confronti dalla persona offesa). Né coglie nel segno il richiamo alla consulenza e considerazioni svolte dal Dott. Z.; la Corte di appello ha, infatti, esplicitamente richiamato non solo la portata di tale consulenza, ed anche la relazione medico psichiatrica del Dott. Z., oltre alla consulenza tecnica disposta dal Pubblico ministero nel processo penale per lesioni colpose a carico del conducente che travolse la persona offesa (pag. 5 e segg.), ma anche tutta la corrispondenza intercorsa con la compagnia assicuratrice. Ancora una volta, con motivazione del tutto immune da illogicità manifesta o apparenza, la Corte di appello ha desunto da tali elementi la piena consapevolezza del ricorrente quanto alle condizioni nelle quali si trovava la persona offesa, consapevolezza riscontrata da una serie di elementi oggettivi, che connotavano nel senso imputato la condotta ascritta (data dell'accordo per il compenso, procura speciale rilasciata appena un mese dopo, rapporto con il C. quale evidente segno di debolezza e mancanza di autonomia e consapevolezza, prelievo in contanti senza alcuna valida giustificazione e mancata fatturazione di quanto trattenuto dall'importo liquidato alla persona offesa e suoi congiunti dalla compagnia assicuratrice). Nuovamente del tutto generiche e non specificamente articolate si devono ritenere le censure in ordine alla portata delle dichiarazioni del collega di studio del ricorrente e al ruolo del notaio che ha rilasciato la procura speciale del V. in favore del ricorrente. La Corte di appello ha specificamente motivato sul punto, chiarendo portata delle dichiarazioni dell'Avv. I. e soffermandosi sull'attività del notaio e sulle sue caratteristiche (non contestate dalla difesa). Ed ancora una vota, con tale motivazione la difesa non si confronta effettivamente, limitandosi a proporre una diversa interpretazione delle dichiarazioni e sostenendone un travisamento pur senza articolare anche in questo caso argomentazioni a supporto della prova di resistenza. Valgono anche relativamente a questa doglianza le argomentazioni spese in precedenza in tema di travisamento della prova, ricorrenza di doppia decisione conforme e prova di resistenza.

7. Sono state dunque specificamente riscontrate le condizioni più volte richiamate dalla giurisprudenza di legittimità al fine di ritenere ricorrente il reato di cui art. 643 cod. pen., ovvero:

- la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico o deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali;

- l'induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in una apprezzabile attività di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto;

- l'abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza al fine di procurare a sé o ad altri un profitto (cfr., Sez. 2, n. 39144 del 26/03/2013, Alfaro Yepez, Rv. 257068-01; Sez. 2, n. 28080 del 12/06/2015, Benucci, Rv. 264146-01; Sez. 2, n. 8454 del 21/01/2019, D., Rv. 275612-01; Sez. 2, n. 4592 del 15/12/2020, D., Rv. 282587-01).

In particolare, si deve sottolineare che, per la sussistenza dell'elemento della induzione, non è richiesto l'uso di mezzi coattivi o di artifici e raggiri, ma è pur sempre necessaria una apprezzabile attività di pressione morale, di suggestione, di persuasione (come in particolare avvenuto nel caso in esame), cioè di spinta psicologica che non può ravvisarsi nella semplice richiesta al soggetto passivo di compiere un atto giuridico, come dimostra la circostanza valorizzata dalla Corte di appello di avere gestito la posizione della persona offesa non solo mediante un accordo volto a realizzare assistenza professionale, ma anche ad ottenere un compenso ulteriore secondo modalità non consentite e non comprensibili dalla persona offesa, per il tramite di attività dallo stesso ricorrente stimolate (come la circostanza valorizzata, in modo del tutto logico ed argomentato, di avere spinto la persona offesa a recarsi da un notaio per firmare una procura speciale a favore dello stesso per ricevere anche gli importi liquidati: cfr., Sez. 2, n. 28080 del 12/06/2015, Benucci, Rv. 264146-01; Sez. 2, n. 19834 del 01/03/2019, A., Rv. 276445-01; Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368-01; Sez. 2, n. 29641 del 20/07/2020, B., Rv. 279856-01).

Nel caso in esame, la Corte di appello ha desunto la prova della condotta imputata anche da elementi indiziari e prove logiche, in considerazione della natura dell'atto e dell'oggettivo pregiudizio dallo stesso derivante e di una serie di accadimenti allo stesso connessi (sottoscrizione della procura speciale, disponibilità a far confluire il risarcimento sul conto del difensore, diversa giustificazione del tutto priva di allegazione in ordine ad esigenze fiscali del ricorrente, importi transitati senza diretta consegna alla persona offesa, per essere stati prelevati in contanti, modalità di fatturazione ed altro), con evidente squilibrio economico in danno della persona offesa (Sez. 5, n. 771 del 18/11/1975, dep. 1976, Lombardo, Rv. 131921-01).

Nel considerare il complesso di azioni che ha caratterizzato l'accertamento della condotta contestata, la Corte di appello ha correttamente applicato il principio di diritto che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di circonvenzione di persone incapaci, debbono essere considerate, per verificare la sussistenza dell'elemento dell'induzione, non solo le condotte tenute dall'imputato al momento della commissione degli atti pregiudizievoli, ma anche tutto ciò che è accaduto successivamente, in quanto indice rivelatore di un antecedente approfittamento della minorata capacità psichica della persona offesa (Sez. 2, n. 32547 del 14/06/2024, S., Rv. 286886-01). Il giudizio di merito ha infatti dimostrato, con motivazione del tutto immune da manifesta illogicità ed in assenza dei travisamenti genericamente dedotti, la ricorrenza dell'induzione ed ha correttamente applicato il principio di diritto che qui si intende ribadire secondo il quale il risultato dell'approfittamento dello stato di infermità o di deficienza psichica della vittima rilevante a norma dell'art. 643 cod. pen. può consistere anche nella stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive, sempre che tra queste sia rinvenibile uno squilibrio economico a danno dell'incapace (Sez. 5, n. 771/1976, cit.).

8. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. Il ricorrente deve, inoltre, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della costituita parte civile V.L. (amministratore di sostegno), spese che si liquidano in complessivi 3.686,00 euro, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile V.L. che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.