Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà (Legge 26 luglio 1975 n. 354).
Pubblicata nella Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, S.O.; vedi, anche, la L. 10 ottobre 1986, n. 663.
TITOLO I
Trattamento penitenziario
Capo I
Princìpi direttivi
1. Trattamento e rieducazione.
Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona.
Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.
Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.
I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.
Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.
2. Spese per l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive.
Le spese per l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive sono a carico dello Stato.
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte dei condannati si effettua ai termini degli articoli 145, 188, 189 e 191 del codice penale e 274 del codice di procedura penale.
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte degli internati si effettua mediante prelievo di una quota della remunerazione a norma del penultimo capoverso dell'articolo 213 del codice penale, ovvero per effetto della disposizione sul rimborso delle spese di spedalità, richiamata nell'ultima parte dell'articolo 213 del codice penale.
Sono spese di mantenimento quelle concernenti gli alimenti ed il corredo.
Il rimborso delle spese di mantenimento ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del costo reale. Il Ministro per la grazia e giustizia, al principio di ogni esercizio finanziario, determina, sentito il Ministro per il tesoro, la quota media di mantenimento dei detenuti in tutti gli stabilimenti della Repubblica.
3. Parità di condizioni fra i detenuti e gli internati.
Negli istituti penitenziari è assicurata ai detenuti ed agli internati parità di condizioni di vita. In particolare il regolamento stabilisce limitazioni in ordine all'ammontare del peculio disponibile e dei beni provenienti dall'esterno.
4. Esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati.
I detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale.
4-bis. Divieto di concessione dei benefìci e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti (3).
1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter della presente legge: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies, e 630 del codice penale, all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni (4) .
1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall'articolo 114 ovvero dall'articolo 116, secondo comma, del codice penale (5).
1-ter. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies, 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, all'articolo 291-ter del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all'articolo 73 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico, all?articolo 416, primo e terzo comma, del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 del medesimo codice, e all'articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice, dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale e dall'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (6).
1-quater. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell'articolo 80 della presente legge. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano in ordine al delitto previsto dall'articolo 609-bis del codice penale salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata (7).
2. Ai fini della concessione dei benefìci di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.
2-bis. Ai fini della concessione dei benefìci di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni (8).
3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali (9).
3-bis. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3 (10) (11) (12).
(3) Rubrica così sostituita dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
(4) Comma sostituito dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, modificato dall'art. 11, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, dall'art. 6, L. 19 marzo 2001, n. 92 e dall'art. 12, comma 3- sexies del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, inserito dall'art. 11, comma 1, L. 30 luglio 2002, n. 189, sostituito dall'art. 1, L. 23 dicembre 2002, n. 279, modificato dall'art. 15, L. 6 febbraio 2006, n. 38, sostituito, con gli attuali commi da 1 a 1-quater, dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione e, da ultimo, così modificato dal n. 1) della lettera a) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
In relazione al testo precedentemente in vigore la Corte costituzionale, con sentenza 19-27 luglio 1994, n. 357 (Gazz. Uff. 3 agosto 1994, n. 32 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma, secondo periodo, nella parte in cui non prevede che i benefici di cui al primo periodo del medesimo comma possano essere concessi anche nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertata nella sentenza di condanna, renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. La stessa Corte, con sentenza 22 febbraio-1° marzo 1995, n. 68 (Gazz. Uff. 8 marzo 1995, n. 10 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, secondo periodo, come sostituito dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, nella parte in cui non prevede che i benefìci di cui al primo periodo del medesimo comma possano essere concessi anche nel caso in cui l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata; con sentenza 11-14 dicembre 1995, n. 504 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 52 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui prevede che la concessione di ulteriori permessi premio sia negata nei confronti dei condannati per i delitti indicati nel primo periodo del comma 1 dello stesso art. 4-bis, che non si trovino nelle condizioni per l'applicazione dell'art. 58-ter della L. 26 luglio 1975, n. 354, anche quando essi ne abbiano già fruito in precedenza e non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata. Con altra sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 445 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), la stessa Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio della semilibertà possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della data di entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata; con sentenza 14-22 aprile 1999, n. 137 (Gazz. Uff. 28 aprile 1999, n. 17 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.
(5) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione.
(6) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dal comma 6 dell?art. 15, L. 23 luglio 2009, n. 99.
(7) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dal n. 2) della lettera a) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(8) Comma aggiunto dall'art. 1, D.L. 14 giugno 1993, n. 187 e poi così modificato dall'art. 1, L. 23 dicembre 2002, n. 279 e dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione.
(9) Articolo aggiunto dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.
(10) Comma aggiunto dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
(11) La Corte costituzionale, con ordinanza 5-23 luglio 2001, n. 280 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis sollevata in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Cost.
(12) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 307 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, inserito dall'art. 1 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall'art. 15 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Cost.
La stessa Corte con altra ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 308 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4- bis, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Cost.
Capo II
Condizioni generali
5. Caratteristiche degli edifici penitenziari.
Gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo tale da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati.
Gli edifici penitenziari devono essere dotati, oltre che di locali per le esigenze di vita individuale, anche di locali per lo svolgimento di attività in comune.
6. Locali di soggiorno e di pernottamento.
I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia.
I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti.
Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti.
Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell'istituto non lo consenta.
Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto.
7. Vestiario e corredo.
Ciascun soggetto è fornito di biancheria di vestiario e di effetti d'uso in quantità sufficiente, in buono stato di conservazione e di pulizia e tali d'assicurare la soddisfazione delle normali esigenze di vita.
L'abito è di tessuto a tinta unita e di foggia decorosa. È concesso l'abito di lavoro quando è reso necessario dall'attività svolta.
Gli imputati e i condannati a pena detentiva inferiore ad un anno possono indossare abiti di loro proprietà, purché puliti e convenienti. L'abito fornito agli imputati deve essere comunque diverso da quello dei condannati e degli internati.
I detenuti e gli internati possono essere ammessi a far uso di corredo di loro proprietà e di oggetti che abbiano particolare valore morale o affettivo.
8. Igiene personale.
È assicurato ai detenuti e agli internati l'uso adeguato e sufficiente di lavabi e di bagni o docce, nonché degli altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona.
In ciascun istituto sono organizzati i servizi per il periodico taglio dei capelli e la rasatura della barba. Può essere consentito l'uso di rasoio elettrico personale.
Il taglio dei capelli e della barba può essere imposto soltanto per particolari ragioni igienico-sanitarie.
9. Alimentazione.
Ai detenuti e agli internati è assicurata un'alimentazione sana e sufficiente, adeguata all'età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima.
Il vitto è somministrato, di regola, in locali all'uopo destinati.
I detenuti e gli internati devono avere sempre a disposizione acqua potabile.
La quantità e la qualità del vitto giornaliero sono determinate da apposite tabelle approvate con decreto ministeriale.
Il servizio di vettovagliamento è di regola gestito direttamente dall'amministrazione penitenziaria.
Una rappresentanza dei detenuti o degli internati, designata mensilmente per sorteggio, controlla l'applicazione delle tabelle e la preparazione del vitto.
Ai detenuti e agli internati è consentito l'acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal regolamento. La vendita dei generi alimentari o di conforto deve essere affidata di regola a spacci gestiti direttamente dall'amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la vendita a prezzi controllati dall'autorità comunale. I prezzi non possono essere superiori a quelli comunemente praticati nel luogo in cui è sito l'istituto. La rappresentanza indicata nel precedente comma, integrata da un delegato del direttore, scelto tra il personale civile dell'istituto, controlla qualità e prezzi dei generi venduti nell'istituto.
10. Permanenza all'aperto.
Ai soggetti che non prestano lavoro all'aperto è consentito di permanere almeno per due ore al giorno all'aria aperta. Tale periodo di tempo può essere ridotto a non meno di un'ora al giorno soltanto per motivi eccezionali.
La permanenza all'aria aperta è effettuata in gruppi a meno che non ricorrano i casi indicati nell'articolo 33 e nei numeri 4) e 5) dell'articolo 39 ed è dedicata, se possibile, ad esercizi fisici.
11. Servizio sanitario.
Ogni istituto penitenziario è dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell'opera di almeno uno specialista in psichiatria.
Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado, dal giudice istruttore, durante l'istruttoria formale; dal pubblico ministero, durante l'istruzione sommaria e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla presentazione dell'imputato in udienza; dal presidente, durante gli atti preliminari al giudizio e nel corso del giudizio; dal pretore, nei procedimenti di sua competenza; dal presidente della corte di appello, nel corso degli atti preliminari al giudizio dinanzi la corte di assise, fino alla convocazione della corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione (13).
L'autorità giudiziaria competente ai sensi del comma precedente può disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore dell'istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della loro incolumità personale (14).
Il detenuto o l'internato che, non essendo sottoposto a piantonamento, si allontana dal luogo di cura senza giustificato motivo è punibile a norma del primo comma dell'art. 358 del C.P. (15).
All'atto dell'ingresso nell'istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L'assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell'istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati.
Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche; deve, inoltre, controllare periodicamente l'idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti.
I detenuti e gli internati sospetti o riconosciuti affetti da malattie contagiose sono immediatamente isolati. Nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l'assistenza psichiatrica e la sanità mentale.
In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l'assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere.
Alle madri è consentito di tenere presso di sé i figli fino all'età di tre anni. Per la cura e l'assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido.
L'amministrazione penitenziaria, per l'organizzazione e per il funzionamento dei servizi sanitari, può avvalersi della collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra ospedalieri, d'intesa con la regione e secondo gli indirizzi del Ministero della sanità (16). I detenuti e gli internati possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un sanitario di loro fiducia. Per gli imputati è necessaria l'autorizzazione del magistrato che procede, sino alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Il medico provinciale visita almeno due volte l'anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario, l'adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti.
Il medico provinciale riferisce sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare al Ministero della sanità e a quello di grazia e giustizia, informando altresì i competenti uffici regionali e il magistrato di sorveglianza.
(13) Comma così sostituito dall'art. 1, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
(14) Comma così inserito dall'art. 2, L. 17 aprile 1989, n. 134 (Gazz. Uff. 22 aprile 1989, n. 94).
(15) Con D.M. 18 novembre 1998 (Gazz. Uff. 5 marzo 1999, n. 53), sono stati approvati gli schemi di convenzione per prestazioni assistenziali, da parte di aziende sanitarie, ai casi di AIDS nei confronti di detenuti.
(16) Con D.M. 18 novembre 1998 (Gazz. Uff. 5 marzo 1999, n. 53), sono stati approvati gli schemi di convenzione per prestazioni assistenziali, da parte di aziende sanitarie, ai casi di AIDS nei confronti di detenuti.
12. Attrezzature per attività di lavoro di istruzione e di ricreazione.
Negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per lo svolgimento di attività lavorative, d'istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di ogni altra attività in comune.
Gli istituti devono inoltre essere forniti di una biblioteca costituita da libri e periodici, scelti dalla commissione prevista dal secondo comma dell'art. 16.
Alla gestione del servizio di biblioteca partecipano rappresentanti dei detenuti e degli internati.
Capo III
Modalità del trattamento
13. Individualizzazione del trattamento.
Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto.
Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l'osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale. L'osservazione è compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa.
Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati dell'osservazione, sono formulate indicazioni di merito al trattamento rieducativo da effettuare ed è compilato il relativo programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell'esecuzione.
Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono inserite, unitamente ai dati giudiziari, biografici e sanitari, nella cartella personale, nella quale sono successivamente annotati gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati.
Deve essere favorita la collaborazione dei condannati e degli internati alle attività di osservazione e di trattamento (17).
(17) La Corte costituzionale, con ordinanza 27 novembre-11 dicembre 1997, n. 394 (Gazz. Uff. 17 dicembre 1997, n. 51, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, sollevata in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 3 della Costituzione.
14. Assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli internati.
Il numero dei detenuti e degli internati negli istituti e nelle sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da favorire l'individualizzazione del trattamento.
L'assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti con particolare riguardo alla possibilità di procedere ad un trattamento rieducativo comune e all'esigenza di evitare influenze nocive reciproche. Per le assegnazioni sono, inoltre, applicati di norma i criteri di cui al primo ed al secondo comma dell'articolo 42.
È assicurata la separazione degli imputati dai condannati e internati, dei giovani al disotto dei venticinque anni dagli adulti, dei condannati dagli internati e dei condannati all'arresto dai condannati alla reclusione.
È consentita, in particolari circostanze, l'ammissione di detenuti e di internati ad attività organizzate per categorie diverse da quelle di appartenenza.
Le donne sono ospitate in istituti separati o in apposite sezioni d'istituto.
14-bis. Regime di sorveglianza particolare.
1. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati:
a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti;
b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati;
c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.
2. Il regime di cui al precedente comma 1 è disposto con provvedimento motivato dell'amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due degli esperti previsti dal quarto comma dell'articolo 80.
3. Nei confronti degli imputati il regime di sorveglianza particolare è disposto sentita anche l'autorità giudiziaria che procede.
4. In caso di necessità ed urgenza l'amministrazione può disporre in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri prescritti, che comunque devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla data del provvedimento. Scaduto tale termine l'amministrazione, acquisiti i pareri prescritti, decide in via definitiva entro dieci giorni decorsi i quali, senza che sia intervenuta la decisione, il provvedimento provvisorio decade.
5. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli internati e gli imputati, sulla base di precedenti comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di libertà. L'autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza all'amministrazione penitenziaria che decide sull'adozione dei provvedimenti di sua competenza.
6. Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente articolo è comunicato immediatamente al magistrato di sorveglianza ai fini dell'esercizio del suo potere di vigilanza (18).
(18) Articolo aggiunto dall'art. 1, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
14-ter. Reclamo.
1. Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare può essere proposto dall'interessato reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento.
2. Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo.
3. Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L'interessato e l'amministrazione penitenziaria possono presentare memorie.
4. Per quanto non diversamente disposto si applicano le disposizioni del capo II-bis del titolo II (19) (20) (21) (22).
(19) Articolo aggiunto dall'art. 2, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(20) La Corte costituzionale, con sentenza 8-16 febbraio 1993, n. 53 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1993, n. 9 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14-ter, primo, secondo e terzo comma e dell'art. 30-bis, nella parte in cui non consentono l'applicazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio.
(21) La Corte costituzionale, con sentenza 14-18 ottobre 1996, n. 351 (Gazz. Uff. 23 ottobre 1996, n. 43, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, secondo comma, e dell'art. 14-ter, sollevata in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 3, primo comma, 27, terzo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n. 376 (Gazz. Uff. 10 dicembre 1997, n. 50, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis comma 2, e dell'art. 14-ter, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, 27, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione. Successivamente la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione, con ordinanza 20-26 maggio 1998, n. 192 (Gazz. Uff. 3 giugno 1998, n. 22, Serie speciale), ne ha dichiarato lamanifesta infondatezza.
(22) La Corte costituzionale, con sentenza 8 - 23 ottobre 2009, n. 266 (Gazz. Uff. 28 ottobre 2009, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l?altro, inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell?articolo 14-ter, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, «ed ai principi generali sulla giurisdizione».
14-quater. Contenuti del regime di sorveglianza particolare.
1. Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni strettamente necessarie per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, all'esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dall'ordinamento penitenziario.
2. Per quanto concerne la corrispondenza dei detenuti, si applicano le disposizioni dell'articolo 18-ter (23).
3. Le restrizioni di cui ai commi precedenti sono motivatamente stabilite nel provvedimento che dispone il regime di sorveglianza particolare.
4. In ogni caso le restrizioni non possono riguardare: l'igiene e le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il possesso, l'acquisto e la ricezione di generi ed oggetti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e periodici; le pratiche di culto; l'uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all'aperto per almeno due ore al giorno salvo quanto disposto dall'articolo 10; i colloqui con i difensori, nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.
5. Se il regime di sorveglianza particolare non è attuabile nell'istituto ove il detenuto o l'internato si trova, l'amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento motivato, il trasferimento in altro istituto idoneo, con il minimo pregiudizio possibile per la difesa e per i familiari, dandone immediato avviso al magistrato di sorveglianza. Questi riferisce al Ministro in ordine ad eventuali casi di infondatezza dei motivi posti a base del trasferimento (24).
(23) Comma così sostituito dall'art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(24) Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
15. Elementi del trattamento.
Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.
Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi d'impossibilità, al condannato e all'internato è assicurato il lavoro.
Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica.
16. Regolamento dell'istituto.
In ciascun istituto il trattamento penitenziario è organizzato secondo le direttive che l'amministrazione penitenziaria impartisce con riguardo alle esigenze dei gruppi di detenuti ed internati ivi ristretti.
Le modalità del trattamento da seguire in ciascun istituto sono disciplinate nel regolamento interno, che è predisposto e modificato da una commissione composta dal magistrato di sorveglianza, che la presiede, dal direttore, dal medico, dal cappellano, dal preposto alle attività lavorative, da un educatore e da un assistente sociale. La commissione può avvalersi della collaborazione degli esperti indicati nel quarto comma dell'articolo 80.
Il regolamento interno disciplina, altresì, i controlli cui devono sottoporsi tutti coloro che, a qualsiasi titolo, accedono all'istituto o ne escono.
Il regolamento interno e le sue modificazioni sono approvati dal Ministro per la grazia e giustizia.
17. Partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa.
La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all'associazione rieducativa.
Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l'autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l'opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.
Le persone indicate nel comma precedente operano sotto il controllo del direttore.
18. Colloqui, corrispondenza e informazione.
detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, nonché con il garante dei diritti dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici (25).
I colloqui si svolgono in appositi locali, sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia.
Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari.
L'amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.
Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento.
I detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sé i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all'esterno e ad avvalersi di altri mezzi di informazione.
[La corrispondenza dei singoli condannati o internati può essere sottoposta, con provvedimento motivato del magistrato di sorveglianza, a visto di controllo del direttore o di un appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore] (26).
Salvo quanto disposto dall'articolo 18-bis, per gli imputati i permessi di colloquio fino alla pronuncia della sentenza di primo grado e le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica sono di competenza dell'autorità giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado i permessi di colloquio sono di competenza del direttore dell'istituto (27).
[Le dette autorità giudiziarie, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritengono di provvedervi direttamente, possono delegare il controllo al direttore o a un appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore. Le medesime autorità possono anche disporre limitazioni nella corrispondenza e nella ricezione della stampa] (28) (29).
(25) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 12-bis, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(26) Comma abrogato dall'art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(27) Comma prima sostituito dall'art. 4, L. 10 ottobre 1986, n. 663 e poi così modificato dall'art. 16, D.L. 8 giugno 1992, n. 306 e dall'art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(28) Comma abrogato dall'art. 3, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(29) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15). Con sentenza 19 giugno-3 luglio 1997, n. 212 (Gazz. Uff. 9 luglio 1997, n. 28 - Serie speciale) la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della pena.
18-bis. Colloqui a fini investigativi.
1. Il personale della Direzione investigativa antimafia di cui all'articolo 3 del D.L. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 1991, n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di cui all'art. 12 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, nonché gli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili, a livello centrale, della predetta Direzione e dei predetti servizi, hanno facoltà di visitare gli istituti penitenziari e possono essere autorizzati, a norma del comma 2 del presente articolo, ad avere colloqui personali con detenuti e internati, al fine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti di criminalità organizzata.
1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della Polizia di Stato o dell'Arma dei carabinieri competenti per lo svolgimento di indagini in materia di terrorismo, nonché agli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili di livello centrale e, limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del terrorismo, a quelli del Corpo della guardia di finanza, designati dal responsabile di livello centrale, al fine di acquisire dai detenuti o dagli internati informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico (30). 2. Al personale di polizia indicato nei commi 1 e 1-bis, l'autorizzazione ai colloqui è rilasciata:
a) quando si tratta di internati, di condannati o di imputati, dal Ministro di grazia e giustizia o da un suo delegato;
b) quando si tratta di persone sottoposte ad indagini, dal pubblico ministero (31).
3. Le autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2 sono annotate in apposito registro riservato tenuto presso l'autorità competente al rilascio.
4. In casi di particolare urgenza, attestati con provvedimento del Ministro dell'interno o, per sua delega, dal Capo della Polizia, l'autorizzazione prevista nel comma 2, lettera a), non è richiesta, e del colloquio è data immediata comunicazione all'autorità ivi indicata, che provvede all'annotazione nel registro riservato di cui al comma 3.
5. La facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti e internati è attribuita, senza necessità di autorizzazione, altresì al Procuratore nazionale antimafia ai fini dell'esercizio delle funzioni di impulso e di coordinamento previste dall'art. 371-bis del codice di procedura penale; al medesimo Procuratore nazionale antimafia sono comunicati i provvedimenti di cui ai commi 2 e 4, qualora concernenti colloqui con persone sottoposte ad indagini, imputate o condannate per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura penale (32).
(30) Comma aggiunto dall'art. 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(31) Comma così modificato dall'art. 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144.
(32) Articolo aggiunto dall'art. 16, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
18-ter. Limitazioni e controlli della corrispondenza.
1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:
a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;
b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;
c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima.
2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 103 del codice di procedura penale, all'autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell'articolo 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte.
3. I provvedimenti previsti dal comma 1 sono adottati con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell'istituto:
a) nei confronti dei condannati e degli internati, nonché nei confronti degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza;
b) nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice indicato nell'articolo 279 del codice di procedura penale; se procede un giudice collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del tribunale o della corte di assise.
4. L'autorità giudiziaria indicata nel comma 3, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, può delegare il controllo al direttore o ad un appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore.
5. Qualora, in seguito al visto di controllo, l'autorità giudiziaria indicata nel comma 3 ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta. Il detenuto e l'internato vengono immediatamente informati.
6. Contro i provvedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 5 può essere proposto reclamo, secondo la procedura prevista dall'articolo 14-ter, al tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento. Per quanto non diversamente disposto dal presente comma si applicano le disposizioni dell'articolo 666 del codice di procedura penale.
7. Nel caso previsto dalla lettera c) del comma 1, l'apertura delle buste che racchiudono la corrispondenza avviene alla presenza del detenuto o dell'internato (33).
(33) Articolo aggiunto dall'art. 1, L. 8 aprile 2004, n. 95 (Gazz. Uff. 14 aprile 2004, n. 87), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. L'art. 2, della stessa legge ha così disposto: «Art. 2. 1. Le disposizioni dell'articolo 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, introdotto dall'articolo 1 della presente legge, si applicano anche ai provvedimenti in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della medesima legge; avverso tali provvedimenti l'interessato, nel termine di venti giorni, può proporre reclamo secondo le modalità indicate al comma 6 del medesimo articolo 18-ter».
19. Istruzione.
Negli istituti penitenziari la formazione culturale e professionale, è curata mediante l'organizzazione dei corsi della scuola dell'obbligo e di corsi di addestramento professionale, secondo gli orientamenti vigenti e con l'ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti.
Particolare cura è dedicata alla formazione culturale e professionale dei detenuti di età inferiore ai venticinque anni.
Con le procedure previste dagli ordinamenti scolastici possono essere istituite scuole d'istruzione secondaria di secondo grado negli istituti penitenziari.
È agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione.
È favorito l'accesso alle pubblicazioni contenute nella biblioteca, con piena libertà di scelta delle letture.
20. Lavoro.
Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la regione.
Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato.
Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro.
I sottoposti alle misure di sicurezza della casa di cura e di custodia e dell'ospedale psichiatrico giudiziario possono essere assegnati al lavoro quando questo risponda a finalità terapeutiche.
L'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale.
Nell'assegnazione dei soggetti al lavoro si deve tener conto esclusivamente dell'anzianità di disoccupazione durante lo stato di detenzione o di internamento, dei carichi familiari, della professionalità, nonché delle precedenti e documentate attività svolte e di quelle a cui essi potranno dedicarsi dopo la dimissione, con l'esclusione dei detenuti e internati sottoposti al regime di sorveglianza particolare di cui all'art. 14-bis della presente legge.
Il collocamento al lavoro da svolgersi all'interno dell'istituto avviene nel rispetto di graduatorie fissate in due apposite liste, delle quali una generica e l'altra per qualifica o mestiere.
Per la formazione delle graduatorie all'interno delle liste e per il nulla-osta agli organismi competenti per il collocamento, è istituita, presso ogni istituto, una commissione composta dal direttore, da un appartenente al ruolo degli ispettori o dei sovrintendenti del Corpo di polizia penitenziaria e da un rappresentante del personale educativo, eletti all'interno della categoria di appartenenza, da un rappresentante unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, da un rappresentante designato dalla commissione circoscrizionale per l'impiego territorialmente competente e da un rappresentante delle organizzazioni sindacali territoriali.
Alle riunioni della commissione partecipa senza potere deliberativo un rappresentante dei detenuti e degli internati, designato per sorteggio secondo le modalità indicate nel regolamento interno dell'istituto.
Per ogni componente viene indicato un supplente eletto o designato secondo i criteri in precedenza indicati.
Al lavoro all'esterno, si applicano la disciplina generale sul collocamento ordinario ed agricolo, nonché l'art. 19, L. 28 febbraio 1987, n. 56.
Per tutto quanto non previsto dal presente articolo si applica la disciplina generale sul collocamento.
Le amministrazioni penitenziarie, centrali e periferiche, stipulano apposite convenzioni con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a fornire a detenuti o internati opportunità di lavoro. Le convenzioni disciplinano l'oggetto e le condizioni di svolgimento dell'attività lavorativa, la formazione e il trattamento retributivo, senza oneri a carico della finanza pubblica (34).
Le direzioni degli istituti penitenziari, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale, possono, previa autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia, vendere prodotti delle lavorazioni penitenziarie a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per prodotti corrispondenti nel mercato all'ingrosso della zona in cui è situato l'istituto.
I detenuti e gli internati che mostrino attitudini artigianali, culturali o artistiche possono essere esonerati dal lavoro ordinario ed essere ammessi ad esercitare per proprio conto, attività artigianali, intellettuali o artistiche.
I soggetti che non abbiano sufficienti cognizioni tecniche possono essere ammessi a un tirocinio retribuito.
La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi di formazione professionale di cui al comma primo è garantita, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti in ordine a tali corsi (35).
Agli effetti della presente legge, per la costituzione e lo svolgimento di rapporti di lavoro nonché per l'assunzione della qualità di socio nelle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, non si applicano le incapacità derivanti da condanne penali o civili (36). Entro il 31 marzo di ogni anno il Ministro di grazia e giustizia trasmette al Parlamento una analitica relazione circa lo stato di attuazione delle disposizioni di legge relative al lavoro dei detenuti nell'anno precedente (37).
(34) Comma aggiunto dall'art. 5, L. 22 giugno 2000, n. 193.
(35) La Corte costituzionale, con sentenza 10-22 maggio 2001, n. 158 (Gazz. Uff. 23 maggio 2001, n. 20 - Serie speciale), corretta con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 294 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell'amministrazione carceraria.
(36) Comma aggiunto dall'art. 5, L. 22 giugno 2000, n. 193.
(37) Articolo così modificato prima dall'art. 5, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi dall'art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo a sua volta modificato dalla relativa legge di conversione.
20-bis. Modalità di organizzazione del lavoro.
1. Il provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria può affidare, con contratto d'opera, la direzione tecnica delle lavorazioni a persone estranee all'Amministrazione penitenziaria, le quali curano anche la specifica formazione dei responsabili delle lavorazioni e concorrono alla qualificazione professionale dei detenuti, d'intesa con la regione. Possono essere inoltre istituite, a titolo sperimentale, nuove lavorazioni, avvalendosi, se necessario, dei servizi prestati da imprese pubbliche o private ed acquistando le relative progettazioni.
2. L'Amministrazione penitenziaria, inoltre, applicando, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'undicesimo comma dell'articolo 20, promuove la vendita dei prodotti delle lavorazioni penitenziarie anche mediante apposite convenzioni da stipulare con imprese pubbliche o private, che abbiano una propria rete di distribuzione commerciale.
3. Previo assenso della direzione dell'istituto, i privati che commissionano forniture all'Amministrazione penitenziaria possono, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e a quelle di contabilità speciale, effettuare pagamenti differiti, secondo gli usi e le consuetudini vigenti.
4. Sono abrogati l'articolo 1 della legge 3 luglio 1942, n. 971, e l'articolo 611 delle disposizioni approvate con regio decreto 16 maggio 1920, n. 1908 (38).
(38) Articolo aggiunto dall'art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione.
21. Lavoro all'esterno.
1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'e sterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'articolo 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis, l'assegnazione al lavoro esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni (39).
2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all'esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all'esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.
3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell'istituto a cui il detenuto o l'internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine del personale dipendente e del servizio sociale.
4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza (40).
4-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la disposizione di cui al secondo periodo del comma sedicesimo dell'articolo 20 si applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a frequentare corsi di formazione professionale all'esterno degli istituti penitenziari (41).
(39) Comma prima sostituito dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152 e poi così modificato dalla lettera b) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(40) Articolo così sostituito dall'art. 6, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(41) Comma aggiunto dall'art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione.
21-bis. Assistenza all'esterno dei figli minori.
1. Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall'articolo 21.
2. Si applicano tutte le disposizioni relative al lavoro all'esterno, in particolare l'articolo 21, in quanto compatibili.
3. La misura dell'assistenza all'esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre (42).
(42) Articolo aggiunto dall'art. 5, L. 8 marzo 2001, n. 40.
22. Determinazione delle mercedi.
1. Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. A tale fine è costituita una commissione composta dal direttore generale degli istituti di prevenzione e di pena, che la presiede, dal direttore dell'ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, da un ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena, da un rappresentante del Ministero del tesoro, da un rappresentante del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e da un delegato per ciascuna delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale.
2. L'ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena funge da segretario della commissione.
3. La medesima commissione stabilisce il trattamento economico dei tirocinanti.
4. La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni e modalità di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli internati addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d'obbligo o delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, o i corsi di addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano, negli istituti penitenziari, durante l'orario di lavoro ordinario (43).
(43) Articolo così sostituito dall'art. 7, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
23. Remunerazione e assegni familiari.
[La remunerazione corrisposta per il lavoro è determinata nella misura dell'intera mercede per gli internati e di sette decimi della mercede per gli imputati e i condannati] (44).
[La differenza tra mercede e remunerazione corrisposta ai condannati è versata alla cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto] (45).
[La differenza tra mercede e remunerazione corrisposta agli imputati è accantonata ed è versata all'avente diritto in caso di proscioglimento o di assoluzione oppure alla massa di cui al precedente comma in caso di condanna] (46).
Ai detenuti e agli internati che lavorano sono dovuti, per le persone a carico, gli assegni familiari nella misura e secondo le modalità di legge.
Gli assegni familiari sono versati direttamente alle persone a carico con le modalità fissate dal regolamento (47).
(44) Comma abrogato dall'art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(45) Comma abrogato dall'art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(46) Comma abrogato dall'art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(47) La Corte costituzionale, con sentenza 3-18 febbraio 1992, n. 49 (Gazz. Uff. 26 febbraio 1992, n. 9 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, nella parte in cui stabilisce una riduzione dei tre decimi della mercede corrisposta per il lavoro dei detenuti da versarsi alla Cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime dei delitti e, dopo la sua soppressione, alle regioni ed agli enti locali (province e comuni).
24. Pignorabilità e sequestrabilità della remunerazione.
Sulla remunerazione spettante ai condannati sono prelevate le somme dovute a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese di procedimento. Sulla remunerazione spettante ai condannati ed agli internati sono altresì prelevate le somme dovute ai sensi del secondo e del terzo comma dell'articolo 2.
In ogni caso deve essere riservata a favore dei condannati una quota pari a tre quarti. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti, o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili dell'amministrazione.
La remunerazione dovuta agli internati e agli imputati non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti, o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili dell'amministrazione.
25. Peculio.
Il peculio dei detenuti e degli internati è costituito dalla parte della remunerazione ad essi riservata ai sensi del precedente articolo, dal danaro posseduto all'atto dell'ingresso in istituto, da quello ricavato dalla vendita degli oggetti di loro proprietà o inviato dalla famiglia e da altri o ricevuto a titolo di premio o di sussidio.
Le somme costituite in peculio producono a favore dei titolari interessi legali.
Il peculio è tenuto in deposito dalla direzione dell'istituto.
Il regolamento deve prevedere le modalità del deposito e stabilire la parte di peculio disponibile dai detenuti e dagli internati per acquisti autorizzati di oggetti personali o invii ai familiari o conviventi, e la parte da consegnare agli stessi all'atto della dimissione dagli istituti.
25-bis. Commissioni regionali per il lavoro penitenziario.
1. Sono istituite le commissioni regionali per il lavoro penitenziario. Esse sono presiedute dal provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria e sono composte dai rappresentanti, in sede locale, delle associazioni imprenditoriali e delle associazioni cooperative e dai rappresentanti della regione che operino nel settore del lavoro e della formazione professionale. Per il Ministero del lavoro e della previdenza sociale interviene un funzionario in servizio presso l'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione.
2. Le lavorazioni penitenziarie sono organizzate, sulla base di direttive, dai provveditorati regionali dell'Amministrazione penitenziaria, sentite le commissioni regionali per il lavoro penitenziario nonché le direzioni dei singoli istituti.
3. I posti di lavoro a disposizione della popolazione penitenziaria devono essere quantitativamente e qualitativamente dimensionati alle effettive esigenze di ogni singolo istituto. Essi sono fissati in una tabella predisposta dalla direzione dell'istituto, nella quale sono separatamente elencati i posti relativi alle lavorazioni interne industriali, agricole ed ai servizi di istituto.
4. Nella tabella di cui al comma 3 sono altresì indicati i posti di lavoro disponibili all'esterno presso imprese pubbliche o private o associazioni cooperative nonché i posti relativi alle produzioni che imprese private o associazioni cooperative intendono organizzare e gestire direttamente all'interno degli istituti.
5. Annualmente la direzione dell'istituto elabora ed indica il piano di lavoro in relazione al numero dei detenuti, all'organico del personale civile e di polizia penitenziaria disponibile e alle strutture produttive.
6. La tabella, che può essere modificata secondo il variare della situazione, ed il piano di lavoro annuale sono approvati dal provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria, sentita la commissione regionale per il lavoro penitenziario.
7. Nel regolamento di ciascun istituto sono indicate le attività lavorative che possono avere esecuzione in luoghi a sicurezza attenuata (48).
(48) Articolo aggiunto dall'art. 2, D.L. 14 giugno 1993, n. 187, nel testo introdotto dalla relativa legge di conversione.
26. Religione e pratiche di culto.
I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto.
Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico.
A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano.
Gli appartenenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, l'assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti (49) (50).
(49) Comma così modificato dall'art. 8, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(50) Il presente articolo era stato abrogato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto. Successivamente, in seguito alle rettifiche disposte con Comunicato 6 dicembre 2002 (Gazz. Uff. 6 dicembre 2002, n. 286), la nuova formulazione dei suddetti articoli 299 non prevede tale abrogazione.
27. Attività culturali, ricreative e sportive.
Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo.
Una commissione composta dal direttore dell'istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale.
28. Rapporti con la famiglia.
Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie.
29. Comunicazioni dello stato di detenzione, dei trasferimenti, delle malattie e dei decessi.
I detenuti e gli internati sono posti in grado d'informare immediatamente i congiunti e le altre persone da essi eventualmente indicate del loro ingresso in un istituto penitenziario o dell'avvenuto trasferimento.
In caso di decesso o di grave infermità fisica o psichica di un detenuto o di un internato, deve essere data tempestiva notizia ai congiunti ed alle altre persone eventualmente da lui indicate; analogamente i detenuti e gli internati devono essere tempestivamente informati del decesso o della grave infermità delle persone di cui al comma precedente.
30. Permessi.
Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento l'infermo. Agli imputati il permesso è concesso, durante il procedimento di primo grado, dalle medesime autorità giudiziarie, competenti ai sensi del secondo comma dell'articolo 11 a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Durante il procedimento di appello provvede il presidente del collegio e, nel corso di quello di cassazione, il presidente dell'ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento di appello (51).
Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità (52).
Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso senza giustificato motivo, se l'assenza si protrae per oltre tre ore e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, è punibile a norma del primo comma dell'articolo 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo capoverso dello stesso articolo.
L'internato che rientra in istituto dopo tre ore dalla scadenza del permesso senza giustificato motivo è punito in via disciplinare.
(51) Comma così sostituito dall'art. 3, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
(52) Comma così sostituito dall'art. 1, L. 20 luglio 1977, n. 450 (Gazz. Uff. 1° agosto 1977, n. 209).
30-bis. Provvedimenti e reclami in materia di permessi.
Prima di pronunciarsi sull'istanza di permesso, l'autorità competente deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, a mezzo delle autorità di pubblica sicurezza, anche del luogo in cui l'istante chiede di recarsi.
La decisione sull'istanza è adottata con provvedimento motivato.
Il provvedimento è comunicato immediatamente senza formalità, anche a mezzo del telegrafo o del telefono, al pubblico ministero e all'interessato, i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, possono proporre reclamo, se il provvedimento è stato emesso dal magistrato di sorveglianza, alla sezione di sorveglianza, o, se il provvedimento è stato emesso da altro organo giudiziario, alla corte di appello (53).
La sezione di sorveglianza o la corte di appello, assunte, se del caso, sommarie informazioni, provvede entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo dandone immediata comunicazione ai sensi del comma precedente (54).
Il magistrato di sorveglianza, o il presidente della corte d'appello, non fa parte del collegio che decide sul reclamo avverso il provvedimento da lui emesso.
Quando per effetto della disposizione contenuta nel precedente comma non è possibile comporre la sezione di sorveglianza con i magistrati di sorveglianza del distretto, si procede all'integrazione della sezione ai sensi dell'articolo 68, terzo e quarto comma.
L'esecuzione del permesso è sospesa sino alla scadenza del termine stabilito dal terzo comma e durante il procedimento previsto dal quarto comma, sino alla scadenza del termine ivi previsto.
Le disposizioni del comma precedente non si applicano ai permessi concessi ai sensi del primo comma dell'art. 30. In tale caso è obbligatoria la scorta.
Il procuratore generale presso la corte d'appello è informato dei permessi concessi e del relativo esito, con relazione trimestrale, degli organi che li hanno rilasciati (55).
(53) La Corte costituzionale, con sentenza 26 giugno-4 luglio 1996, n. 235 (Gazz. Uff. 17 luglio 1996, n. 29, Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30-bis, terzo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione.
(54) La Corte costituzionale, con ordinanza 26 giugno-4 luglio 1996, n. 237 (Gazz. Uff. 17 luglio 1996, n. 29, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30-bis, quarto comma, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione.
(55) Articolo aggiunto dall'art. 2, L. 20 luglio 1977, n. 450 (Gazz. Uff. 1° agosto 1977, n. 209), entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione. La Corte costituzionale, con sentenza 8-16 febbraio 1993, n. 53 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1993, n. 9 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14-ter, primo, secondo e terzo comma e dell'art. 30-bis, nella parte in cui non consentono l'applicazione degli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio.
30-ter. Permessi premio.
1. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell'istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione (56).
1-bis. ... (57).
2. Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non può superare ogni volta i venti giorni e la durata complessiva non può eccedere i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione.
3. L'esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio.
4. La concessione dei permessi è ammessa:
a) nei confronti dei condannati all'arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all'arresto;
b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena;
c) nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis, dopo l'espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni (58) (59);
d) nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni (60) (61).
5. Nei confronti dei soggetti che durante l'espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l'espiazione della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto (62) (63).
6. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al primo comma dell'articolo 30; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo.
7. Il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all'articolo 30-bis.
8. La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali (64).
(56) Comma così modificato dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.
(57) Comma aggiunto dall'art. 13, L. 19 marzo 1990, n. 55, e successivamente abrogato dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.
(58) Lettera così modificata dalla lettera b) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(59) Con sentenza 16-30 dicembre 1998, n. 450 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1999, n. 1 - Serie speciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera nella parte in cui si riferisce ai minorenni.
(60) Comma così sostituito dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.
(61) La Corte costituzionale, con sentenza 2-6 giugno 1995, n. 227 (Gazz. Uff. 14 giugno 1995, n. 25 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter, quarto comma, introdotto dall'art. 9, L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede l'ammissione al permesso premio dei condannati alla reclusione militare.
(62) La Corte costituzionale, con sentenza 10-17 dicembre 1997, n. 403 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1997, n. 52 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma 5, introdotto dall'art. 9, L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui si riferisce ai minorenni.
(63) La Corte costituzionale, con sentenza 18-30 luglio 1997, n. 296 (Gazz. Uff. 20 agosto 1997, n. 34, Serie speciale), ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30-ter, quinto comma, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 27, secondo e terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 10-17 dicembre 1997, n. 403 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1997, n. 52, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma 5, introdotto dall'art. 9 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione.
(64) Articolo aggiunto dall'art. 9, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
30-quater. Concessione dei permessi premio ai recidivi.
1. I permessi premio possono essere concessi ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale, nei seguenti casi previsti dal comma 4 dell'articolo 30-ter:
a) alla lettera a) dopo l'espiazione di un terzo della pena;
b) alla lettera b) dopo l'espiazione della metà della pena;
c) alle lettere c) e d) dopo l'espiazione di due terzi della pena e, comunque, di non oltre quindici anni (65).
(65) Articolo aggiunto dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. La Corte costituzionale, con sentenza 21 giugno-4 luglio 2006, n. 257 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l?altro, l?illegittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso sulla base della normativa previgente nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto.
31. Costituzione delle rappresentanze dei detenuti e degli internati.
Le rappresentanze dei detenuti e degli internati previste dagli articoli 12 e 27 sono nominate per sorteggio secondo le modalità indicate dal regolamento interno dell'istituto.
Capo IV
Regime penitenziario
32. Norme di condotta dei detenuti e degli internati. Obbligo di risarcimento del danno.
I detenuti e gli internati, all'atto del loro ingresso negli istituti, e quando sia necessario, successivamente sono informati delle disposizioni generali e particolari attinenti ai loro diritti e doveri, alla disciplina e al trattamento.
Essi devono osservare le norme e le disposizioni che regolano la vita penitenziaria.
Nessun detenuto o internato può avere, nei servizi dell'istituto, mansioni che importino un potere disciplinare o consentano la acquisizione di una posizione di preminenza sugli altri.
I detenuti e gli internati devono avere cura degli oggetti messi a loro disposizione e astenersi da qualsiasi danneggiamento di cose altrui.
I detenuti e gli internati che arrecano danno alle cose mobili o immobili dell'amministrazione penitenziaria sono tenuti a risarcirlo senza pregiudizio dell'eventuale procedimento penale e disciplinare.
33. Isolamento.
Negli istituti penitenziari l'isolamento continuo è ammesso:
1) quando è prescritto per ragioni sanitarie;
2) durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune;
3) per gli imputati durante l'istruttoria e per gli arrestati nel procedimento di prevenzione, se e fino a quando ciò sia ritenuto necessario dall'autorità giudiziaria.
34. Perquisizione personale.
I detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione personale per motivi di sicurezza.
La perquisizione personale deve essere effettuata nel pieno rispetto della personalità (66).
(66) La Corte costituzionale, con sentenza 15-22 novembre 2000, n. 526 (Gazz. Uff. 29 novembre 2000, n. 49, serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 sollevata in riferimento agli articoli 3, 13, secondo e terzo comma, 24, primo e secondo comma, 97, primo comma, 113, primo e secondo comma, della Cost.
35. Diritto di reclamo.
I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa:
1) al direttore dell'istituto, nonché agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e al Ministro per la grazia e giustizia;
2) al magistrato di sorveglianza;
3) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all'istituto;
4) al presidente della Giunta regionale;
5) al Capo dello Stato (67) (68).
(67) Con sentenza 8-11 febbraio 1999, n. 26 (Gazz. Uff. 17 febbraio 1999, n. 7, Serie speciale) la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69, quest'ultimo come sostituito dall'art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale.
(68) La Corte costituzionale, con sentenza 8 - 23 ottobre 2009, n. 266 (Gazz. Uff. 28 ottobre 2009, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l?altro, inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell?articolo 35, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, «ed ai principi generali sulla giurisdizione».
36. Regime disciplinare.
Il regime disciplinare è attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo. Esso è adeguato alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti.
37. Ricompense.
Le ricompense costituiscono il riconoscimento del senso di responsabilità dimostrato nella condotta personale e nelle attività organizzate negli istituti.
Le ricompense e gli organi competenti a concederle sono previsti dal regolamento.
38. Infrazioni disciplinari.
I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come infrazione al regolamento.
Nessuna sanzione può essere inflitta se non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell'addebito all'interessato, il quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe.
Nell'applicazione delle sanzioni bisogna tener conto, oltre che della natura e della gravità del fatto, del comportamento e delle condizioni personali del soggetto.
Le sanzioni sono eseguite nel rispetto della personalità.
39. Sanzioni disciplinari.
Le infrazioni disciplinari possono dar luogo solo alle seguenti sanzioni:
1) richiamo del direttore;
2) ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al personale e di un gruppo di detenuti o internati;
3) esclusione da attività ricreative e sportive per non più di dieci giorni;
4) isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non più di dieci giorni;
5) esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni.
La sanzione della esclusione dalle attività in comune non può essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto può sopportarla. Il soggetto escluso dalle attività in comune è sottoposto a costante controllo sanitario.
L'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune è sospesa nei confronti delle donne gestanti e delle puerpere fino a sei mesi, e dalle madri che allattino la propria prole fino ad un anno.
40. Autorità competente a deliberare le sanzioni.
Le sanzioni del richiamo e della ammonizione sono deliberate dal direttore.
Le altre sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina, composto dal direttore o, in caso di suo legittimo impedimento, dall'impiegato più elevato in grado, con funzioni di presidente, dal sanitario e dall'educatore.
41. Impiego della forza fisica e uso dei mezzi di coercizione.
Non è consentito l'impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non sia indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva all'esecuzione degli ordini impartiti.
Il personale che per qualsiasi motivo, abbia fatto uso della forza fisica nei confronti dei detenuti o degli internati, deve immediatamente riferirne al direttore dell'istituto il quale dispone, senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre indagini del caso.
Non può essere usato alcun mezzo di coercizione fisica che non sia espressamente previsto dal regolamento e, comunque, non vi si può far ricorso ai fini disciplinari ma solo al fine di evitare danni a persone o cose o di garantire la incolumità dello stesso soggetto. L'uso deve essere limitato al tempo strettamente necessario e deve essere costantemente controllato dal sanitario.
Gli agenti in servizio nell'interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato dal direttore.
41-bis. Situazioni di emergenza (69).
1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto (70).
2. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l?associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l'associazione di cui al periodo precedente. In caso di unificazione di pene concorrenti o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, la sospensione può essere disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati nell?articolo 4-bis (71) (72).
2-bis. Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell?interno, sentito l?ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell?azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell?ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l?associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all?associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sè, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l?associazione o dimostrare il venir meno dell?operatività della stessa (73).
2-ter. [Se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede, anche d'ufficio, alla revoca con decreto motivato. Il provvedimento che non accoglie l'istanza presentata dal detenuto, dall'internato o dal difensore è reclamabile ai sensi dei commi 2-quinquies e 2-sexies. In caso di mancata adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell'internato o del difensore, la stessa si intende non accolta decorsi trenta giorni dalla sua presentazione] (74).
2-quater. I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all?interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all?interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell?istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 (75):
a) l'adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate;
b) la determinazione dei colloqui nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11. I colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo secondo comma dell'articolo 11; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui cono comunque videoregistrati. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari (76);
c) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno;
d) l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;
e) la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia;
f) la limitazione della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell'articolo 10. Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi (77) (78).
2-quinquies. Il detenuto o l?internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l?applicazione del regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l?esecuzione del provvedimento (79).
2-sexies. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 2-quinquies, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, sulla sussistenza dei presupposti per l?adozione del provvedimento. All?udienza le funzioni di pubblico ministero possono essere altresì svolte da un rappresentante dell?ufficio del procuratore della Repubblica di cui al comma 2-bis o del procuratore nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia, il procuratore di cui al comma 2-bis, il procuratore generale presso la corte d?appello, il detenuto, l?internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l?ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l?esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo (80).
2septies. 2Per la partecipazione del detenuto o dell?internato all?udienza si applicano le disposizioni di cui all?articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (81).
(69) Articolo aggiunto dal primo comma dell'art. 10, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(70) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(71) Comma aggiunto dall'art. 19, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. L'efficacia delle disposizioni di cui al presente comma è stata prima prorogata al 31 dicembre 1999 dall'art. 1, L. 16 febbraio 1995, n. 36 (Gazz. Uff. 18 febbraio 1995, n. 41) e, poi, al 31 dicembre 2002, dall'art. 6, comma 1-bis, L. 7 gennaio 1998, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1998, n. 30), integrato dall'art. 1, L. 26 novembre 1999, n. 446 (Gazz. Uff. 1° dicembre 1999, n. 282). Il suddetto art. 6 era stato abrogato dall'art. 8, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 ma l'abrogazione non era più contenuta nella nuova formulazione del citato art. 8 disposta dalla legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. Il citato articolo 6 è stato abrogato dall'art. 3, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Da ultimo, il presente comma è stato così modificato dalle lettere b) e c) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(72) La Corte costituzionale, con sentenza 14-18 ottobre 1996, n. 351 (Gazz. Uff. 23 ottobre 1996, n. 43, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, secondo comma, e dell'art. 14-ter, sollevata in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 3, primo comma, 27, terzo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n. 376 (Gazz. Uff. 10 dicembre 1997, n. 50, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis comma 2, e dell'art. 14-ter, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, 27, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione. Successivamente la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione, con ordinanza 20-26 maggio 1998, n. 192 (Gazz. Uff. 3 giugno 1998, n. 22, Serie speciale), ne ha dichiarato la manifesta infondatezza.
(73) Comma aggiunto dall'art. 4, L. 7 gennaio 1998, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1998, n. 30). Il comma 1 dell'art. 6 della stessa legge, come modificato dall'art. 12, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, aveva, inoltre, così disposto: «Art. 6. [1. Il termine di efficacia delle disposizioni della presente legge è posto alla data del 31 dicembre 2002]». Il suddetto art. 6 era stato abrogato dall'art. 8, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 ma l'abrogazione non era più contenuta nella nuova formulazione del citato art. 8 disposta dalla legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. Il citato articolo 6 è stato abrogato dall'art. 3, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Da ultimo, il presente comma è stato così sostituito dalla lettera d) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(74) Gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, il presente comma è stato abrogato dalla lettera e) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(75) Alinea così modificato dal n. 1) della lettera f) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(76) Lettera così modificata dal n. 2) della lettera f) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(77) Lettera così modificata dal n. 3) della lettera f) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(78) Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279.
(79) Gli attuali commi da 2 a 2-sexies hanno sostituito gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, il presente comma è stato così sostituito dalla lettera g) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(80) Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279. Successivamente, il presente comma è stato così sostituito dalla lettera h) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(81) Comma aggiunto dalla lettera i) del comma 25 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
42. Trasferimenti (82).
I trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari.
Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie.
I detenuti e gli internati debbono essere trasferiti con il bagaglio personale e con almeno parte del loro peculio.
[Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti vengono eseguite, nel tempo più breve possibile, dall'Arma dei carabinieri e dal Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti e, se trattasi di donne, con l'assistenza di personale femminile] (83).
... (84).
(82) Rubrica così sostituita dall'art. 1, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302).
(83) Comma abrogato dall'art. 1, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302).
(84) Comma abrogato dall'art. 1, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302).
42-bis. Traduzioni.
1. Sono traduzioni tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà personale.
2. Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti sono eseguite, nel tempo più breve possibile, dal Corpo di polizia penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti e, se trattasi di donne, con l'assistenza di personale femminile.
3. Le traduzioni di soggetti che rientrano nella competenza dei servizi dei centri per la giustizia minorile possono essere richieste, nelle sedi in cui non sono disponibili contingenti del Corpo di polizia penitenziaria assegnati al settore minorile, ad altre forze di polizia.
4. Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L'inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari.
5. Nelle traduzioni individuali l'uso delle manette ai polsi è obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli altri casi l'uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Nel caso di traduzioni individuali di detenuti o internati la valutazione della pericolosità del soggetto o del pericolo di fuga è compiuta, all'atto di disporre la traduzione, dall'autorità giudiziaria o dalla direzione penitenziaria competente, le quali dettano le conseguenti prescrizioni.
6. Nelle traduzioni collettive è sempre obbligatorio l'uso di manette modulari multiple dei tipi definiti con decreto ministeriale. È vietato l'uso di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica.
7. Nelle traduzioni individuali e collettive è consentito, nei casi indicati dal regolamento, l'uso di abiti civili. Le traduzioni dei soggetti di cui al comma 3 sono eseguite, di regola, in abiti civili (85).
(85) Articolo aggiunto dall'art. 2, L. 12 dicembre 1992, n. 492 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1992, n. 302).
43. Dimissione
La dimissione dei detenuti e degli internati è eseguita senza indugio dalla direzione dell'istituto in base ad ordine scritto della competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza.
Il direttore dell'istituto dà notizia della prevista dimissione, almeno tre mesi prima, al consiglio di aiuto sociale e al centro di servizio sociale del luogo in cui ha sede l'istituto ed a quelli del luogo dove il soggetto intende stabilire la sua residenza, comunicando tutti i dati necessari per gli opportuni interventi assistenziali. Nel caso in cui il momento della dimissione non possa essere previsto tre mesi prima, il direttore dà le prescritte notizie non appena viene a conoscenza della relativa decisione.
Oltre a quanto stabilito da specifiche disposizioni di legge, il direttore informa anticipatamente il magistrato di sorveglianza, il questore e l'ufficio di polizia territorialmente competente di ogni dimissione anche temporanea dall'istituto (86).
Il consiglio di disciplina dell'istituto, all'atto della dimissione o successivamente, rilascia al soggetto, che lo richieda, un attestato con l'eventuale qualificazione professionale conseguita e notizie obiettive circa la condotta tenuta.
I soggetti che ne sono privi, vengono provvisti di un corredo di vestiario civile.
(86) Comma così sostituito dall'art. 18, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
44. Nascite, matrimoni, decessi.
Negli atti di stato civile relativi ai matrimoni celebrati e alle nascite e morti avvenute in istituti di prevenzione e di pena non si fa menzione dell'istituto.
La direzione dell'istituto deve dare immediata notizia del decesso di un detenuto o di un internato all'autorità giudiziaria del luogo, a quella da cui il soggetto dipendeva e al Ministero di grazia e giustizia.
La salma è messa immediatamente a disposizione dei congiunti.
Capo V
Assistenza
45. Assistenza alle famiglie.
Il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un'azione di assistenza alle loro famiglie.
Tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolarne il reinserimento sociale.
È utilizzata, all'uopo, la collaborazione degli enti pubblici e privati qualificati nell'assistenza sociale.
46. Assistenza post-penitenziaria.
I detenuti e gli internati ricevono un particolare aiuto nel periodo di tempo che immediatamente precede la loro dimissione e per un congruo periodo a questa successivo.
Il definitivo reinserimento nella vita libera è agevolato da interventi di servizio sociale svolti anche in collaborazione con gli enti indicati nell'articolo precedente.
I dimessi affetti da gravi infermità fisiche o da infermità o anormalità psichiche sono segnalati, per la necessaria assistenza, anche agli organi preposti alla tutela della sanità pubblica.
Capo VI
Misure alternative alla detenzione e remissione del debito
(giurisprudenza di legittimità)
47. Affidamento in prova al servizio sociale.
1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare (87).
2. Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
3. L'affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2 (88) (89).
4. Se l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga. La sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro quarantacinque giorni. Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena, e non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta (90) (91).
5. All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.
6. Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.
7. Nel verbale deve anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.
8. Nel corso dell'affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.
9. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.
10. Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto (92).
11. L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.
12. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. Il tribunale di sorveglianza, qualora l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa (93) (94) (95).
12-bis. All'affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 54. Si applicano gli articoli 69, comma 8, e 69-bis nonché l'articolo 54, comma 3 (96) (97).
(87) La Corte costituzionale, con sentenza 4-11 luglio 1989, n. 386 (Gazz. Uff. 19 luglio 1989, n. 28 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 47, primo comma, così come sostituito dall'art. 11, L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che nel computo delle pene, ai fini della determinazione del limite dei tre anni, non si debba tener conto anche della pena espiata. Per l'interpretazione autentica del comma 1 dell'art. 47, vedi l'art. 14-bis, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
(88) La Corte costituzionale, con riferimento alla disposizione precedente alla sostituzione disposta dall'art. 3, L. 27 maggio 1998, n. 165, con sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 569 (Gazz. Uff. 27 dicembre 1989, n. 52 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47, terzo comma, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, il condannato possa essere ammesso all'affidamento in prova al servizio sociale se, in presenza delle altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente comma 2 dello stesso articolo.
(89) Comma così sostituito dall'art. 2, L. 27 maggio 1998, n. 165.
(90) Comma così sostituito dall'art. 2, L. 27 maggio 1998, n. 165.
(91) La Corte costituzionale, con ordinanza 14-28 luglio 1999, n. 375 (Gazz. Uff. 4 agosto 1999, n. 31, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 4, come sostituito, da ultimo, dall'art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165, sollevata in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 101 e 112 della Costituzione, e dell'art. 47-ter, comma 1-quater, aggiunto dall'art. 4 della predetta legge n. 165 del 1998, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 17-29 dicembre 2008, n. 446 (Gazz. Uff. 7 gennaio 2009, n. 1, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 4, come sostituito dall'art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(92) La Corte costituzionale, con sentenza 15 ottobre 1987, n. 343 (Gazz. Uff. 4 novembre 1987, n. 46 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del decimo comma dell'art. 47 nella parte in cui - in caso di revoca del provvedimento di ammissione all'affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova - non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova.
(93) Comma così modificato dall'art. 4-vicies semel, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(94) Articolo prima modificato dall'art. 4, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), dall'art. 7, L. 13 settembre 1982, n. 646 e dall'art. 4-bis, D.L. 22 aprile 1985, n. 144, e poi così sostituito dall'art. 11, L. 10 ottobre 1986, n. 663. In relazione al testo precedentemente in vigore, la Corte costituzionale aveva emesso due sentenze: con la prima (sent. 12-13 giugno 1985, n. 185) aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo in questione nella parte in cui non consentiva che valesse come espiazione di pena il periodo di affidamento in prova al servizio sociale, in caso di annullamento dei provvedimenti di ammissione; con la seconda (sent. 3 dicembre 1985, n. 312) aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del medesimo articolo nella parte in cui non prevedeva che valesse come espiazione di pena il periodo di affidamento al servizio sociale, nel caso di revoca del provvedimento di ammissione per motivi dipendenti dall'esito negativo della prova.
(95) La Corte costituzionale, con ordinanza 17-24 giugno 1997, n. 199 (Gazz. Uff. 2 luglio 1997, n. 27, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma dodicesimo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.
(96) Comma aggiunto dall'art. 3, L. 19 dicembre 2002, n. 277. Vedi, anche, l'art. 4 della stessa legge.
(97) La Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 78 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato l?illegittimità degli artt. 47, 48 e 50, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l'accesso alle misure alternative da essi previste.
47-bis. Affidamento di prova in casi particolari.
[1. Se la pena detentiva, inflitta entro il limite di cui al comma 1 dell'articolo 47, deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, l'interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l'attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con una unità sanitaria locale o con uno degli enti, associazioni, cooperative o privati di cui all'art. 1-bis del D.L. 22 aprile 1985, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1985, n. 297. Alla domanda deve essere allegata certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza e la idoneità, ai fini del recupero del condannato, del programma concordato.
2. Si applica la procedura di cui al comma 4 dell'articolo 47 anche se la domanda è presentata dopo che l'ordine di carcerazione è stato eseguito. In tal caso il pubblico ministero o il pretore ordina la scarcerazione del condannato.
3. Il tribunale di sorveglianza, nominato un difensore al condannato che ne sia privo, fissa senza indugio la data della trattazione, dandone avviso al richiedente, al difensore e al pubblico ministero almeno cinque giorni prima. Se non è possibile effettuare la notifica dell'avviso al condannato nel domicilio indicato nella richiesta e lo stesso non compare all'udienza, il tribunale di sorveglianza dichiara inammissibile la richiesta.
4. Ai fini della decisione, il tribunale di sorveglianza può anche acquisire copia degli atti del procedimento e disporre gli opportuni accertamenti in ordine al programma terapeutico concordato; deve altresì accertare che lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza o l'esecuzione del programma di recupero non siano preordinati al conseguimento del beneficio.
5. Dell'ordinanza che conclude il procedimento è data immediata comunicazione al pubblico ministero o al pretore competente per l'esecuzione, il quale, se l'affidamento non è disposto, emette ordine di carcerazione.
6. Se il tribunale di sorveglianza dispone l'affidamento, tra le prescrizioni impartite devono essere comprese quelle che determinano le modalità di esecuzione del programma. Sono altresì stabilite le prescrizioni e le forme di controllo per accertare che il tossicodipendente o l'alcooldipendente prosegue il programma di recupero. L'esecuzione della pena si considera iniziata dalla data del verbale di affidamento.
7. L'affidamento in prova al servizio sociale non può essere disposto, ai sensi del presente articolo, più di due volte.
8. Si applica, per quanto non diversamente stabilito, la disciplina prevista dalla presente legge per la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale] (98) (99).
(98) Articolo prima aggiunto dall'art. 4-ter, D.L. 22 aprile 1985, n. 144, poi sostituito dall'art. 12, L. 10 ottobre 1986, n. 663, ed infine abrogato dall'art. 3, L. 27 maggio 1998, n. 165.
(99) La Corte costituzionale con ordinanza 13-24 luglio 1995, n. 367 (Gazz. Uff. 16 agosto 1995, n. 34, Serie speciale) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47-bis, sollevata in riferimento all'art. 27 della Costituzione.
47-ter. Detenzione domiciliare.
01. La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall' articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall'articolo 4-bis della presente legge, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all' articolo 99 del codice penale (100).
1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di:
a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente (101);
b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;
c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali;
d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente;
e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia (102).
1.1. Al condannato, al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale, può essere concessa la detenzione domiciliare se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, non supera tre anni (103).
1-bis. La detenzione domiciliare può essere applicata per l'espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La presente disposizione non si applica ai condannati per i reati di cui all'articolo 4-bis e a quelli cui sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale (104).
1-ter. Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare (105).
1-quater. Se l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza cui la domanda deve essere rivolta può disporre l'applicazione provvisoria della misura, quando ricorrono i requisiti di cui ai commi 1 e 1-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 47, comma 4 (106) (107).
2. [La detenzione domiciliare non può essere concessa quando è accertata l'attualità di collegamenti del condannato con la criminalità organizzata o di una scelta di criminalità] (108).
3. [Se la condanna di cui al comma 1 deve essere eseguita nei confronti di persona che trovasi in stato di libertà o ha trascorso la custodia cautelare, o la parte terminale di essa, in regime di arresti domiciliari, si applica la procedura di cui al comma 4 dell'articolo 47] (109).
4. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalità secondo quanto stabilito dall'articolo 284 del codice di procedura penale. Determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare (110).
4-bis. Nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo, può prevedere modalità di verifica per l'osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale (111).
5. Il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto dalla presente legge e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare.
6. La detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure.
7. Deve essere inoltre revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis (112) (113).
8. Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana, è punito ai sensi dell'articolo 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo (114).
9. La denuncia per il delitto di cui al comma 8 importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca (115).
9-bis. Se la misura di cui al comma 1-bis è revocata ai sensi dei commi precedenti la pena residua non può essere sostituita con altra misura (116).
(100) Comma così premesso dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(101) La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 giugno 2009, n. 177 (Gazz. Uff. 17 giugno 2009, n. 24 - Prima Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 47-ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8, nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell'art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dal comma 2, dell?art. 47-sexies, sul presupposto, di cui all'art. 47-quinquies, comma 1, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.
(102) L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis,1-ter e 1-quater. Successivamente l'art.7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1 e 1.1. In precedenza la Corte costituzionale, con sentenza 24 novembre-5 dicembre 2003, n. 350 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2003, n. 49 - Prima serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità della lettera a) del presente comma, nella parte in cui non prevedeva la concessione della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre condannata, e, nei casi previsti dalla lettera b) del presente comma, del padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante. La stessa Corte, con riferimento al testo vigente prima della sostituzione disposta dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, con sentenza 4-13 aprile 1990, n. 215 (Gazz. Uff. 18 aprile 1990, n. 16 - Serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 47-ter, primo comma, n. 1, nella parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare, concedibile alla madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, potesse essere concessa, nelle stesse condizioni, anche al padre detenuto, qualora la madre fosse deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.
(103) Gli attuali commi 1 e 1.1 così sostituiscono il comma 1 ai sensi di quanto disposto dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(104) L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis,1-ter e 1-quater. Successivamente l'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, ha così sostituito il presente comma 1-bis.
(105) L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater.
(106) L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater.
(107) La Corte costituzionale, con ordinanza 20 giugno-1° luglio 2005, n. 255 (Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-quater, introdotto dall'art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione.
(108) Comma abrogato dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.
(109) Comma abrogato dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.
(110) Comma così modificato dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.
(111) Comma aggiunto dall'art. 17, D.L. 24 novembre 2000, n. 341. Vedi, anche gli artt. 18 e 19 dello stesso decreto.
(112) Comma così modificato dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.
(113) La Corte costituzionale con sentenza 16-24 maggio 1996, n. 165 (Gazz. Uff. 29 maggio 1996, n. 22, Serie speciale), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della precedente formulazione dell'art. 47-ter, primo comma, numero 3, e settimo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.
(114) La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 giugno 2009, n. 177 (Gazz. Uff. 17 giugno 2009, n. 24 - Prima Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 47-ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8, nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell'art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dal comma 2, dell?art. 47-sexies, sul presupposto, di cui all'art. 47-quinquies, comma 1, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.
(115) Articolo aggiunto dall'art. 13, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Pertanto, la Corte costituzionale, con sentenza 6-19 novembre 1991, n. 414 (Gazz. Uff. 27 novembre 1991, n. 47 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, nel testo introdotto dall'art. 13 della L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che la reclusione militare sia espiata in detenzione domiciliare quando trattasi di «persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali». Con sentenza 5-13 giugno 1997, n. 173 (Gazz. Uff. 18 giugno 1997, n. 25 - Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo comma, nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato previsto del comma 8 dello stesso articolo.
(116) Comma aggiunto dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.
47-quater. Misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria.
1. Le misure previste dagli articoli 47 e 47-ter possono essere applicate, anche oltre i limiti di pena ivi previsti, su istanza dell'interessato o del suo difensore, nei confronti di coloro che sono affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale e che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS.
2. L'istanza di cui al comma 1 deve essere corredata da certificazione del servizio sanitario pubblico competente o del servizio sanitario penitenziario, che attesti la sussistenza delle condizioni di salute ivi indicate e la concreta attuabilità del programma di cura e assistenza, in corso o da effettuare, presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS.
3. Le prescrizioni da impartire per l'esecuzione della misura alternativa devono contenere anche quelle relative alle modalità di esecuzione del programma.
4. In caso di applicazione della misura della detenzione domiciliare, i centri di servizio sociale per adulti svolgono l'attività di sostegno e controllo circa l'attuazione del programma.
5. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice può non applicare la misura alternativa qualora l'interessato abbia già fruito di analoga misura e questa sia stata revocata da meno di un anno.
6. Il giudice può revocare la misura alternativa disposta ai sensi del comma 1 qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto a misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, relativamente a fatti commessi successivamente alla concessione del beneficio.
7. Il giudice, quando non applica o quando revoca la misura alternativa per uno dei motivi di cui ai commi 5 e 6, ordina che il soggetto sia detenuto presso un istituto carcerario dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.
8. Per quanto non diversamente stabilito dal presente articolo si applicano le disposizioni dell'articolo 47-ter.
9. Ai fini del presente articolo non si applica il divieto di concessione dei benefìci previsto dall'articolo 4-bis, fermi restando gli accertamenti previsti dai commi 2, 2-bis e 3 dello stesso articolo.
10. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle persone internate (117).
(117) Articolo aggiunto dall'art. 5, L. 12 luglio 1999, n. 231.
47-quinquies. Detenzione domiciliare speciale.
1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo.
2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale.
3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall'articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all'esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l'articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale.
4. All'atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale.
5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.
7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre (118).
8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:
a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l'applicazione della semilibertà di cui all'articolo 50, commi 2, 3 e 5;
b) disporre l'ammissione all'assistenza all'esterno dei figli minori di cui all'articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell'interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell'entità della pena residua (119).
(118) La Corte costituzionale, con sentenza 08 - 09 luglio 2009, n. 211 (Gazz. Uff. 15 luglio 2009, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 7, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione.
(119) Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 8 marzo 2001, n. 40.
47-sexies. Allontanamento dal domicilio senza giustificato motivo.
1. La condannata ammessa al regime della detenzione domiciliare speciale che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, può essere proposta per la revoca della misura.
2. Se l'assenza si protrae per un tempo maggiore la condannata è punita ai sensi dell'articolo 385, primo comma, del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo.
3. La condanna per il delitto di evasione comporta la revoca del beneficio.
4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano al padre detenuto, qualora la detenzione domiciliare sia stata concessa a questi, ai sensi dell'articolo 47-quinquies, comma 7 (120).
(120) Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 8 marzo 2001, n. 40.
48. Regime di semilibertà.
Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.
[La concessione della semilibertà non è ammessa nei casi di cui al secondo comma dell'articolo 47] (121) (122).
(121) Comma abrogato dall'art. 29, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
(122) La Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 78 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato l?illegittimità degli artt. 47, 48 e 50, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l'accesso alle misure alternative da essi previste.
49. Ammissione obbligatoria al regime di semilibertà.
... (123).
(123) Articolo abrogato dall'art. 110, L. 24 novembre 1981, n. 689.
50. Ammissione alla semilibertà.
1. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell'arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale.
2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis, di almeno due terzi di essa. L'internato può esservi ammesso in ogni tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall'articolo 47, se mancano i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da quelli indicati nel comma 1 dell'articolo 4-bis può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell'espiazione di metà della pena (124) (125).
3. Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva.
4. L'ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
5. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena (126).
6. Nei casi previsti dal comma 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale, la semi-libertà può essere altresì disposta successivamente all'inizio dell'esecuzione della pena. Si applica l'articolo 47, comma 4, in quanto compatibile (127).
7. Se l'ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà di cui all'ultimo comma dell'articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431 (128).
(124) Comma prima sostituito dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152 e poi così modificato dall?art. 5, L. 27 maggio 1998, n. 165 e dalla lettera b) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(125) La Corte costituzionale, con sentenza 7-18 aprile 1997, n. 100 (Gazz. Uff. 23 aprile 1997, n. 17, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, comma 2, terzo periodo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione. La stessa Corte, con altra sentenza 8-10 marzo 2008, n. 338 (Gazz. Uff. 15 ottobre 2008, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, comma 2, sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
(126) La Corte costituzionale con ordinanza 12-20 luglio 1995, n. 337 (Gazz. Uff. 9 agosto 1995, n. 33, Serie speciale) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, quinto comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
(127) Comma così sostituito dall'art. 5, L. 27 maggio 1998, n. 165.
(128) Articolo così sostituito dall'art. 14, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 78 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato l?illegittimità degli artt. 47, 48 e 50, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l'accesso alle misure alternative da essi previste.
50-bis. Concessione della semilibertà ai recidivi.
1. La semilibertà può essere concessa ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale, soltanto dopo l'espiazione dei due terzi della pena ovvero, se si tratta di un condannato per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis della presente legge, di almeno tre quarti di essa (129)
(129) Articolo aggiunto dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, e poi così modificato dalla lettera b) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
51. Sospensione e revoca del regime di semilibertà.
Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento.
Il condannato, ammesso al regime di semilibertà, che rimane assente dall'istituto senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, è punito in via disciplinare e può essere proposto per la revoca della concessione.
Se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, il condannato è punibile a norma del primo comma dell'articolo 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo capoverso dello stesso articolo.
La denuncia per il delitto di cui al precedente comma importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca.
All'internato ammesso al regime di semilibertà che rimane assente dall'istituto senza giustificato motivo, per oltre tre ore, si applicano le disposizioni dell'ultimo comma dell'articolo 53.
51-bis. Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà.
1. Quando durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, rileva che permangono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 47 o ai commi 1 e 1-bis dell'articolo 47-ter o ai commi 1 e 2 dell'articolo 47-quinquies o ai primi tre commi dell'articolo 50, dispone con decreto la prosecuzione provvisoria della misura in corso; in caso contrario dispone la sospensione della misura stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura (130) (131).
(130) Articolo aggiunto dall'art. 15, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi così modificato dall'art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40.
(131) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 aprile 2000, n. 96 (Gazz. Uff. 12 aprile 2000, n. 16, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51-bis, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 32 e 101, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 9 - 24 aprile 2003, n. 139 (Gazz. Uff. 30 aprile 2003, n. 17, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51-bis sollevata in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
51-ter. Sospensione cautelativa delle misure alternative.
1. Se l'affidato in prova al servizio sociale o l'ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare o di detenzione domiciliare speciale pone in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso ne dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l'accompagnamento del trasgressore in istituto. Trasmette quindi immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti (132).
(132) Articolo aggiunto dall'art. 16, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi così modificato dall'art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40.
52. Licenza al condannato ammesso al regime di semilibertà.
Al condannato ammesso al regime di semilibertà possono essere concesse a titolo di premio una o più licenze di durata non superiore nel complesso a giorni quarantacinque all'anno.
Durante la licenza il condannato è sottoposto al regime della libertà vigilata.
Se il condannato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli, la licenza può essere revocata indipendentemente dalla revoca di semilibertà.
Al condannato che, allo scadere della licenza o dopo la revoca di essa, non rientra in istituto sono applicabili le disposizioni di cui al precedente articolo.
53. Licenze agli internati.
Agli internati può essere concessa una licenza di sei mesi nel periodo immediatamente precedente alla scadenza fissata per il riesame di pericolosità.
Ai medesimi può essere concessa, per gravi esigenze personali o familiari, una licenza di durata non superiore a giorni quindici; può essere inoltre concessa una licenza di durata non superiore a giorni trenta, una volta all'anno, al fine di favorirne il riadattamento sociale.
Agli internati ammessi al regime di semilibertà possono inoltre essere concesse, a titolo di premio, le licenze previste nel primo comma dell'articolo precedente.
Durante la licenza l'internato è sottoposto al regime della libertà vigilata.
Se l'internato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli, la licenza può essere revocata indipendentemente dalla revoca della semilibertà.
L'internato che rientra in istituto dopo tre ore dallo scadere della licenza, senza giustificato motivo, è punito in via disciplinare e, se in regime di semilibertà, può subire la revoca della concessione.
53-bis. Computo del periodo di permesso o licenza.
1. Il tempo trascorso dal detenuto o dall'internato in permesso o licenza è computato a ogni effetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale, salvi i casi di mancato rientro o di altri gravi comportamenti da cui risulta che il soggetto non si è dimostrato meritevole del beneficio. In questi casi sull'esclusione dal computo decide, con decreto motivato, il magistrato di sorveglianza.
2. Avverso il decreto può essere proposto dall'interessato reclamo al tribunale di sorveglianza secondo la procedura di cui all'articolo 14-ter. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio (133).
(133) Articolo aggiunto dall'art. 17, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
54. Liberazione anticipata.
1. Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare.
2. La concessione del beneficio è comunicata all'ufficio del pubblico ministero presso la corte d'appello o il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione o al pretore se tale provvedimento è stato da lui emesso.
3. La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca (134) (135).
4. Agli effetti del computo della misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefici dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale, la parte di pena detratta ai sensi del comma 1 si considera come scontata. La presente disposizione si applica anche ai condannati all'ergastolo (136).
(134) La Corte costituzionale, con sentenza 17-23 maggio 1995, n. 186 (Gazz. Uff. 31 maggio 1995, n. 23 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 3, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anziché stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.
(135) La Corte costituzionale, con ordinanza 19-28 giugno 2002, n. 300 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 54, terzo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, e 112 della Costituzione.
(136) Articolo prima modificato dall'art. 5, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall'art. 18, L. 10 ottobre 1986, n. 663. In relazione al precedente testo normativo, con sentenza 21-27 settembre 1983, n. 274 (Gazz. Uff. 5 ottobre 1983, n. 274), la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 54, nella parte in cui non prevedeva la possibilità di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantità di pena, così detratta nella quantità scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale.)
55. Interventi del servizio sociale nella libertà vigilata.
Nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 228 del codice penale, il servizio sociale svolge interventi di sostegno e di assistenza al fine del loro reinserimento sociale (137).
(137) Articolo così sostituito dall'art. 6, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
56. Remissione del debito.
[1. Il debito per le spese di procedimento e di mantenimento è rimesso nei confronti dei condannati e degli internati che si trovano in disagiate condizioni economiche e hanno tenuto regolare condotta ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 30-ter. La relativa domanda può essere proposta fino a che non sia conclusa la procedura per il recupero delle spese] (138) (139).
(138) Articolo così sostituito dall'art. 19, L. 10 ottobre 1986, n. 663 e successivamente abrogato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto. Vedi, ora, l'art. 6 del citato D.P.R. n. 115 del 2002. La Corte costituzionale, con sentenza 11-15 luglio 1991, n. 342 (Gazz. Uff. 24 luglio 1991, n. 29 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 56, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, al condannato possano essere rimesse le spese del procedimento se, in presenza del presupposto delle «disagiate condizioni economiche», abbia serbato in libertà una «condotta regolare».
(139) La Corte costituzionale, con sentenza 7-17 luglio 1998, n. 271 (Gazz. Uff. 22 luglio 1998, n. 29, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, come sostituito dall'art. 19, della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
57. Legittimazione alla richiesta dei benefici.
Il trattamento ed i benefici di cui agli articoli 47, 50, 52, 53, 54 possono essere richiesti dal condannato, dall'internato e dai loro prossimi congiunti o proposti dal consiglio di disciplina (140).
(140) Articolo così modificato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto.
58. Comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza.
Dei provvedimenti previsti dal presente capo ed adottati dal magistrato o dalla sezione di sorveglianza è data immediata comunicazione all'autorità provinciale di pubblica sicurezza a cura della cancelleria (141).
(141) Articolo così modificato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto.
58-bis. Iscrizione nel casellario giudiziale.
[Nel casellario giudiziale sono iscritti i provvedimenti della sezione di sorveglianza relativi alla irrogazione e alla revoca delle misure alternative alla pena detentiva] (142).
(142) Articolo aggiunto dall'art. 74, L. 24 novembre 1981, n. 689 e poi abrogato dall'art. 52 del testo unico di cui al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, con la decorrenza indicata nell'art. 55 dello stesso decreto. Le norme di cui al presente articolo sono ora contenute nell'art. 3 del citato testo unico.
58-ter. Persone che collaborano con la giustizia.
1. I limiti di pena previsti dalle disposizioni del comma 1 dell'art. 21, del comma 4 dell'art. 30-ter e del comma 2 dell'art. 50, concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati (143).
2. Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione (144) (145).
(143) Comma così modificato prima dall'art. 21, L. 13 febbraio 2001, n. 45 e poi dalla lettera b) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(144) Articolo aggiunto dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione.
(145) La Corte costituzionale, con sentenza 12-23 marzo 1999, n. 89 (Gazz. Uff. 31 marzo 1999, n. 13, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-ter, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.
58-quater. Divieto di concessione di benefìci
1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio, l'affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall'articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell' articolo 385 del codice penale (146).
2. La disposizione del comma 1 si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, primo comma (147) (148) (149).
3. Il divieto di concessione dei benefìci opera per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2 (150).
4. I condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni (151).
5. Oltre a quanto previsto dai commi 1 e 3, l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI non possono essere concessi, o se già concessi sono revocati, ai condannati per taluni dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, nei cui confronti si procede o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso da chi ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'articolo 385 del codice penale ovvero durante il lavoro all'esterno o la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione (152).
6. Ai fini dell'applicazione della disposizione di cui al comma 5, l'autorità che procede per il nuovo delitto ne dà comunicazione al magistrato di sorveglianza del luogo di ultima detenzione dell'imputato (153).
7. Il divieto di concessione dei benefìci di cui al comma 5 opera per un periodo di cinque anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca della misura (154).
7-bis. L'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale (155).
(146) Comma così sostituito dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 79 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l?altro, l?illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede che i benefici in esso indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.
(147) La Corte costituzionale, con sentenza 22 novembre-1° dicembre 1999, n. 436 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1999, n. 49, Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma 2, nella parte in cui si riferisce ai minorenni.
(148) La Corte costituzionale, con sentenza 27-31 maggio 1996, n. 181 (Gazz. Uff. 5 giugno 1996, n. 23, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, commi 1 e 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 19-26 giugno 2002, n. 289 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
(149) La Corte costituzionale, con ordinanza 26 febbraio-9 marzo 2004, n. 87 (Gazz. Uff. 17 marzo 2004, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, commi 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.
(150) La Corte costituzionale, con ordinanza 26 febbraio-9 marzo 2004, n. 87 (Gazz. Uff. 17 marzo 2004, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, commi 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.
(151) Articolo aggiunto dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione.
(152) Comma aggiunto dall'art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306 e poi così modificato dalla lettera b) del comma 27 dell?art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.
(153) Comma aggiunto dall'art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
(154) Comma aggiunto dall'art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
(155) Comma aggiunto dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 79 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l?altro, l?illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede che i benefici in esso indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.
TITOLO II
Disposizioni relative alla organizzazione penitenziaria
Capo I
Istituti penitenziari
59. Istituti per adulti.
Gli istituti per adulti dipendenti dall'amministrazione penitenziaria si distinguono in: 1) istituti di custodia preventiva; 2) istituti per l'esecuzione delle pene; 3) istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza; 4) centri di osservazione.
60. Istituti di custodia preventiva.
Gli istituti di custodia preventiva si distinguono in case mandamentali e circondariali.
Le case mandamentali assicurano la custodia degli imputati a disposizione del pretore. Esse sono istituite nei capoluoghi di mandamento che non sono sede di case circondariali.
Le case circondariali assicurano la custodia degli imputati a disposizione di ogni autorità giudiziaria. Esse sono istituite nei capoluoghi di circondario.
Le case mandamentali e circondariali assicurano altresì la custodia delle persone fermate o arrestate dall'autorità di pubblica sicurezza o dagli organi di polizia giudiziaria e quella dei detenuti e degli internati in transito.
Può essere istituita una sola casa mandamentale o circondariale rispettivamente per più mandamenti o circondari.
61. Istituti per l'esecuzione delle pene.
Gli istituti per l'esecuzione delle pene si distinguono in:
1) case di arresto, per l'esecuzione della pena dell'arresto.
Sezioni di case di arresto possono essere istituite presso le case di custodia mandamentali o circondariali;
2) case di reclusione, per l'esecuzione della pena della reclusione.
Sezioni di case di reclusione possono essere istituite presso le case di custodia circondariali.
Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati alla pena dell'arresto o della reclusione possono essere assegnati alle case di custodia preventiva; i condannati alla pena della reclusione possono essere altresì assegnati alle case di arresto.
62. Istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive.
Gli istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive si distinguono in: colonie agricole, case di lavoro; case di cura e custodia; ospedali psichiatrici giudiziari.
In detti istituti si eseguono le misure di sicurezza rispettivamente previste dai numeri 1, 2 e 3 del primo capoverso dell'articolo 215 del codice penale.
Possono essere istituite:
sezioni per l'esecuzione della misura di sicurezza della colonia agricola presso una casa di lavoro e viceversa;
sezioni per l'esecuzione della misura di sicurezza della casa di cura e di custodia presso un ospedale psichiatrico giudiziario;
sezioni per l'esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro presso le case di reclusione.
63. Centri di osservazione.
I centri di osservazione sono costituiti come istituti autonomi o come sezioni di altri istituti.
I predetti svolgono direttamente le attività di osservazione indicate nell'articolo 13 e prestano consulenze per le analoghe attività di osservazione svolte nei singoli istituti.
Le risultanze dell'osservazione sono inserite nella cartella personale.
Su richiesta dell'autorità giudiziaria possono essere assegnate ai detti centri per la esecuzione di perizie medico-legali anche le persone sottoposte a procedimento penale.
I centri di osservazione svolgono, altresì, attività di ricerca scientifica.
64. Differenziazione degli istituti per l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza.
I singoli istituti devono essere organizzati con caratteristiche differenziate in relazione alla posizione giuridica dei detenuti e degli internati e alle necessità di trattamento individuale o di gruppo degli stessi.
65. Istituti per infermi e minorati.
I soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per idoneo trattamento.
A tali istituti o sezioni sono assegnati i soggetti che, a causa delle loro condizioni, non possono essere sottoposti al regime degli istituti ordinari.
66. Costituzione, trasformazione e soppressione degli istituti.
La costituzione, la trasformazione, la soppressione degli istituti penitenziari nonché delle sezioni sono disposte con decreto ministeriale.
67. Visite agli istituti.
Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da:
a) il Presidente del Consiglio dei Ministri e il presidente della Corte costituzionale;
b) i ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura;
c) il presidente della corte d'appello, il procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l'esercizio delle sue funzioni;
d) i consiglieri regionali e il commissario di Governo per la regione, nell'ambito della loro circoscrizione;
e) l'ordinario diocesano per l'esercizio del suo ministero;
f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale;
g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati;
h) gli ispettori generali dell'amministrazione penitenziaria;
i) l'ispettore dei cappellani;
l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia;
l-bis) i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati (156).
L'autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano le persone di cui al comma precedente per ragioni del loro ufficio e per il personale indicato nell'art. 18-bis (157).
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
Possono accedere agli istituti, con l'autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti.
(156) Lettera aggiunta dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 12-bis, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(157) Comma così modificato dall'art. 16, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.
Capo II
Giudici di sorveglianza
68. Uffici di sorveglianza.
1. Gli uffici di sorveglianza sono costituiti nelle sedi di cui alla tabella A allegata alla presente legge e hanno giurisdizione sulle circoscrizioni dei tribunali in essa indicati.
2. Ai suddetti uffici, per l'esercizio delle funzioni rispettivamente elencate negli articoli 69, 70 e 70-bis, sono assegnati magistrati di cassazione, di appello e di tribunale nonché personale del ruolo delle cancellerie e segreterie giudiziarie e personale esecutivo e subalterno.
3. Con decreto del presidente della Corte di appello può essere temporaneamente destinato a esercitare le funzioni del magistrato di sorveglianza mancante o impedito un giudice avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale.
4. I magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non debbono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie (158).
(158) Articolo prima modificato dall'art. 7, L. 12 gennaio 1977, n. 1(Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall'art. 20, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
69. Funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza.
1. Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo.
2. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti.
3. Sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali.
4. Provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e secondo comma dell'articolo 208 del codice penale, nonché all'applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Provvede altresì, con decreto motivato, in occasione dei provvedimenti anzidetti, alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale.
5. Approva, con decreto, il programma di trattamento di cui al terzo comma dell'articolo 13, ovvero, se ravvisa in esso elementi che costituiscono violazione dei diritti del condannato o dell'internato, lo restituisce, con osservazioni, al fine di una nuova formulazione. Approva, con decreto, il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno. Impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati.
6. Decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura di cui all'articolo 14-ter, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l'osservanza delle norme riguardanti:
a) l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali (159);
b) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa.
7. Provvede, con decreto motivato, sui permessi, sulle licenze ai detenuti semiliberi ed agli internati, e sulle modifiche relative all'affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare.
8. Provvede con ordinanza sulla riduzione di pena per la liberazione anticipata e sulla remissione del debito, nonché sui ricoveri previsti dall'articolo 148 del codice penale (160).
9. Esprime motivato parere sulle proposte e le istanze di grazia concernenti i detenuti.
10. Svolge, inoltre, tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge (161).
(159) La Corte costituzionale, con sentenza 23-27 ottobre 2006, n. 341 (Gazz. Uff. 2 novembre 2006, ediz. straord. - Prima serie speciale), ha dichiarato l?illegittimità della presente lettera.
(160) Comma così sostituito dall'art. 1, L. 19 dicembre 2002, n. 277.
(161) Articolo prima modificato dall'art. 8, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall'art. 21, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Con sentenza 8-11 febbraio 1999, n. 26 (Gazz. Uff. 17 febbraio 1999, n. 7 Serie speciale) la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69, quest'ultimo come sostituito dall'art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale.
69-bis. Procedimento in materia di liberazione anticipata.
1. Sull'istanza di concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza, adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti, che è comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell'articolo 127 del codice di procedura penale.
2. Il magistrato di sorveglianza decide non prima di quindici giorni dalla richiesta del parere al pubblico ministero e anche in assenza di esso.
3. Avverso l'ordinanza di cui al comma 1 il difensore, l'interessato e il pubblico ministero possono, entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente per territorio.
4. Il tribunale di sorveglianza decide ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale. Si applicano le disposizioni del quinto e del sesto comma dell'articolo 30-bis.
5. Il tribunale di sorveglianza, ove nel corso dei procedimenti previsti dall'articolo 70, comma 1, sia stata presentata istanza per la concessione della liberazione anticipata, può trasmetterla al magistrato di sorveglianza (162) (163).
(162) Articolo aggiunto dall'art. 1, comma 2, L. 19 dicembre 2002, n. 277. Vedi, anche, quanto disposto dal comma 3 dello stesso articolo 1.
(163) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 novembre-5 dicembre 2003, n. 352 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2003, n. 49, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69-bis sollevata in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 7-19 luglio 2005, n. 291 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69-bis aggiunto dall'art. 1, comma 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione.
70. Funzioni e provvedimenti del tribunale di sorveglianza.
1. In ciascun distretto di corte d'appello e in ciascuna circoscrizione territoriale di sezione distaccata di corte d'appello è costituito un tribunale di sorveglianza competente per l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare speciale, la semilibertà, la liberazione condizionale, la revoca o cessazione dei suddetti benefìci nonché della riduzione di pena per la liberazione anticipata, il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione delle pene detentive ai sensi degli articoli 146 e 147, numeri 2) e 3), del codice penale, nonché per ogni altro provvedimento ad esso attribuito dalla legge (164).
2. Il tribunale di sorveglianza decide inoltre in sede di appello sui ricorsi avverso i provvedimenti di cui al comma 4 dell'articolo 69. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio.
3. Il tribunale è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto o nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di corte d'appello e da esperti scelti fra le categorie indicate nel quarto comma dell'articolo 80, nonché fra docenti di scienze criminalistiche.
4. Gli esperti effettivi e supplenti sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura in numero adeguato alle necessita del servizio presso ogni tribunale per periodi triennali rinnovabili.
5. I provvedimenti del tribunale sono adottati da un collegio composto dal presidente o, in sua assenza o impedimento, dal magistrato di sorveglianza che lo segue nell'ordine delle funzioni giudiziarie e, a parità di funzioni, nell'anzianità; da un magistrato di sorveglianza e da due fra gli esperti di cui al precedente comma 4.
6. Uno dei due magistrati ordinari deve essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il condannato o l'internato in ordine alla cui posizione si deve provvedere (165).
7. La composizione dei collegi giudicanti è annualmente determinata secondo le disposizioni dell'ordinamento giudiziario.
8. Le decisioni del tribunale sono emesse con ordinanza in camera di consiglio; in caso di parità di voti prevale il voto del presidente.
9. [Agli esperti componenti del tribunale è riservato il trattamento economico assegnato agli esperti di cui al quarto comma dell'articolo 80 operanti negli istituti di prevenzione e di pena] (166) (167).
(164) Comma così modificato prima dall'art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40 e poi dall'art. 2, L. 19 dicembre 2002, n. 277.
(165) La Corte costituzionale, con sentenza 24-28 novembre 1997, n. 364 (Gazz. Uff. 3 dicembre 1997, n. 49, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70, comma 6, nel testo sostituito con l'art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.
(166) Comma abrogato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto. Vedi, ora, l'art. 67 del citato D.P.R. n. 115 del 2002.
(167) Articolo prima modificato dall'art. 9, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall'art. 22, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
70-bis. Presidente del tribunale di sorveglianza.
1. Le funzioni di presidente del tribunale di sorveglianza sono conferite a un magistrato di cassazione o, per i tribunali istituiti nelle sezioni distaccate di corte d'appello, a un magistrato d'appello.
2. Il presidente del tribunale, fermo l'espletamento delle funzioni di magistrato di sorveglianza nell'ufficio di appartenenza, provvede:
a) a dirigere e ad organizzare le attività del tribunale di sorveglianza;
b) a coordinare, in via organizzativa, in funzione del disbrigo degli affari di competenza del tribunale, l'attività degli uffici di sorveglianza compresi nella giurisdizione del tribunale medesimo;
c) a disporre le applicazioni dei magistrati e del personale ausiliario nell'ambito dei vari uffici di sorveglianza nei casi di assenza, impedimento o urgenti necessità di servizio;
d) a richiedere al presidente della corte di appello l'emanazione dei provvedimenti di cui al comma 3 dell'articolo 68;
e) a proporre al Consiglio superiore della magistratura la nomina degli esperti effettivi o supplenti componenti del tribunale e a compilare le tabelle per gli emolumenti loro spettanti;
f) a svolgere tutte le altre attività a lui riservate dalla legge e dai regolamenti (168).
(168) Articolo aggiunto dall'art. 23, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
70-ter. Nuove denominazioni.
1. Le denominazioni «sezione di sorveglianza» e «giudice di sorveglianza» di cui alle leggi vigenti sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: «tribunale di sorveglianza» e «magistrato di sorveglianza».
2. Per il funzionamento del tribunale di sorveglianza nonché degli uffici di sorveglianza di cui all'articolo 68 si provvede con assegnazioni dirette di fondi e di attrezzature mediante prelievo delle somme necessarie dagli appositi capitoli del bilancio di previsione del Ministero di grazia e giustizia (169).
(169) Articolo aggiunto dall'art. 24, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
Capo II-bis
Procedimento di sorveglianza (170)
71. Norme generali.
1. Per l'adozione dei provvedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza espressamente indicati nei commi 1 e 2 dell'articolo 70, nonché dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di remissione del debito, di ricoveri di cui all'articolo 148 del codice penale, di applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca anche anticipata delle misure di sicurezza e di quelli relativi all'accertamento dell'identità personale ai fini delle dette misure, si applica il procedimento di cui ai commi e agli articoli seguenti.
2. Il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza, a seguito di richiesta o di proposta ovvero di ufficio, invita l'interessato ad esercitare la facoltà di nominare un difensore. Se l'interessato non vi provvede entro cinque giorni dalla comunicazione dell'invito, il difensore è nominato di ufficio dal presidente del tribunale o dal magistrato di sorveglianza. Successivamente il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza fissa con decreto il giorno della trattazione e ne fa comunicare avviso al pubblico ministero, all'interessato e al difensore almeno cinque giorni prima di quello stabilito.
3. La competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull'istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l'interessato all'atto della richiesta o della proposta o all'inizio d'ufficio del procedimento.
4. Se l'interessato non è detenuto o internato, la competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione nel luogo in cui l'interessato ha la residenza o il domicilio. Nel caso in cui non sia possibile determinare la competenza secondo il criterio sopra indicato, si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 635 del codice di procedura penale.
5. Le disposizioni contenute nel capo I del titolo V del libro IV del codice di procedura penale sono applicabili in quanto non diversamente disposto dalla presente legge. L'articolo 641 del codice di procedura penale resta in vigore limitatamente ai casi di cui all'articolo 212 dello stesso codice (171) (172).
(170) Intitolazione del Capo introdotta dall'art. 10, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
(171) Articolo così sostituito prima dall'art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi dall'art. 25, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Vedi, anche, l'art. 236 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del nuovo codice di procedura penale.
(172) La Corte costituzionale, con sentenza 8 - 23 ottobre 2009, n. 266 (Gazz. Uff. 28 ottobre 2009, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l?altro, inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell?articolo 71, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, «ed ai principi generali sulla giurisdizione».
71-bis. Udienza.
L'udienza si svolge con la partecipazione del difensore e del rappresentante dell'ufficio del pubblico ministero. L'interessato può partecipare personalmente alla discussione e presentare memorie.
Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti alla sezione di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte d'appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza.
I provvedimenti della sezione e del magistrato di sorveglianza sono emessi sulla base dell'acquisizione in udienza dei documenti relativi all'osservazione e al trattamento nonché, quando occorre, svolgendo i necessari accertamenti ed avvalendosi della consulenza dei tecnici del trattamento.
L'ordinanza che conclude il procedimento di sorveglianza è comunicata al pubblico ministero, all'interessato e al difensore nel termine di dieci giorni dalla data della deliberazione (173).
(173) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
71-ter. Ricorso per cassazione.
1. Avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza, il pubblico ministero, l'interessato e, nei casi di cui agli articoli 14-ter e 69, comma 6, l'amministrazione penitenziaria, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. Si applicano le disposizioni del terzo comma dell'articolo 640 del codice di procedura penale. Si applica, altresì, l'ultimo comma dell'articolo 631 del codice di procedura penale (174).
(174) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi così sostituito dall'art. 26, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Peraltro, l'art. 680 del nuovo c.p.p. consente al pubblico ministero, all'interessato e al difensore la possibilità di proporre appello al Tribunale di sorveglianza contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza.
71-quater. Comunicazioni.
Le comunicazioni all'interessato degli avvisi e dei provvedimenti previsti negli articoli precedenti sono effettuati ai sensi dell'articolo 645 del codice di procedura penale (175).
(175) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
71-quinquies. Revoca.
[Alla revoca delle riduzioni di pena, ai sensi del terzo comma dell'articolo 54 quando la condanna è intervenuta successivamente alla liberazione anticipata, la sezione di sorveglianza provvede secondo le modalità stabilite per gli incidenti di esecuzione] (176).
(176) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), e poi abrogato dall'art. 27, L. 10 ottobre 1986, n. 663.
71-sexies. Inammissibilità.
Qualora l'istanza per l'adozione dei provvedimenti indicati nel primo comma dell'articolo 71, appaia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, ovvero costituisca mera riproposizione di una istanza già rigettata, basata sui medesimi elementi, il presidente, sentito il pubblico ministero, emette decreto motivato con il quale dichiara inammissibile l'istanza e dispone non farsi luogo a procedimento di sorveglianza.
Il decreto è comunicato entro cinque giorni all'interessato, il quale ha facoltà di proporre opposizione nel termine di cinque giorni dalla comunicazione stessa facendo richiesta di trattazione.
A seguito dell'opposizione, il presidente della sezione dà corso al procedimento di sorveglianza (177).
(177) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
Capo III
Esecuzione penale esterna ed assistenza (178)
72. Uffici locali di esecuzione penale esterna.
1. Gli uffici locali di esecuzione penale esterna dipendono dal Ministero della giustizia e la loro organizzazione è disciplinata con regolamento adottato dal Ministro ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni.
2. Gli uffici:
a) svolgono, su richiesta dell'autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza;
b) svolgono le indagini socio-familiari per l'applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati;
c) propongono all'autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare;
d) controllano l'esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all'autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca;
e) su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario;
f) svolgono ogni altra attività prescritta dalla legge e dal regolamento (179).
(178) Rubrica così sostituita dall'art. 3, comma 1, L. 27 luglio 2005, n. 154.
(179) Articolo così sostituito dall'art. 3, comma 1, L. 27 luglio 2005, n. 154. Vedi, anche, il comma 2 dello stesso articolo 3.
73. Cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto.
Presso la direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena è costituita la cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto.
La cassa ha personalità giuridica, è amministrata con le norme della contabilità di Stato e può avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.
Per il bilancio, l'amministrazione e il servizio della cassa di applicano le norme previste dall'articolo 4 della legge 9 maggio 1932, numero 547.
La cassa è amministrata da un consiglio composto:
1) dal direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena, presidente;
2) da un rappresentante del Ministero del tesoro;
3) da un rappresentante del Ministero dell'interno.
Le funzioni di segretario sono esercitate dal direttore dell'ufficio della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, competente per l'assistenza.
Nessuna indennità o retribuzione è dovuta alle persone suddette.
Il patrimonio della cassa è costituito, oltre che dai lasciti, donazioni o altre contribuzioni, dalle somme costituenti le differenze fra mercede e remunerazione di cui all'articolo 23.
I fondi della cassa sono destinati a soccorrere e ad assistere le vittime che a causa del delitto si trovino in condizioni di comprovato bisogno.
74. Consigli di aiuto sociale.
Nel capoluogo di ciascun circondario è costituito un consiglio di aiuto sociale, presieduto dal presidente del tribunale o da un magistrato da lui delegato, e composto dal presidente del tribunale dei minorenni o da un altro magistrato da lui designato, da un magistrato di sorveglianza, da un rappresentante della regione, da un rappresentante della provincia, da un funzionario dell'amministrazione civile dell'interno designato dal prefetto, dal sindaco o da un suo delegato, dal medico provinciale, dal dirigente dell'ufficio provinciale del lavoro, da un delegato dell'ordinario diocesano, dai direttori degli istituti penitenziari del circondario. Ne fanno parte, inoltre, sei componenti nominati dal presidente del tribunale fra i designati da enti pubblici e privati qualificati nell'assistenza sociale.
Il consiglio di aiuto sociale ha personalità giuridica, è sottoposto alla vigilanza del Ministero di grazia e giustizia e può avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.
I componenti del consiglio di aiuto sociale prestano la loro opera gratuitamente.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la grazia e giustizia, può essere disposta la fusione di più consigli di aiuto sociale in un unico ente.
Alle spese necessarie per lo svolgimento dei compiti del consiglio di aiuto sociale nel settore dell'assistenza penitenziaria e post-penitenziaria si provvede:
1) con le assegnazioni della cassa delle ammende di cui all'articolo 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547;
2) con lo stanziamento annuale previsto dalla legge 23 maggio 1956, n. 491 (180);
3) con i proventi delle manifatture carcerarie assegnati annualmente con decreto del Ministro per il tesoro sul bilancio della cassa delle ammende nella misura del cinquanta per cento del loro ammontare;
4) con i fondi ordinari di bilancio;
5) con gli altri fondi costituenti il patrimonio dell'ente.
Alle spese necessarie per lo svolgimento dei compiti del consiglio di aiuto sociale nel settore del soccorso e dell'assistenza alle vittime del delitto si provvede con le assegnazioni della cassa prevista dall'articolo precedente e con i fondi costituiti da lasciti, donazioni o altre contribuzioni ricevuti dall'ente a tale scopo.
Il regolamento stabilisce l'organizzazione interna e le modalità del funzionamento del consiglio di aiuto sociale, che delibera con la presenza di almeno sette componenti.
(180) Recante modificazioni alla L. 9 agosto 1964, n. 633, sull'assistenza ai liberati dal carcereeca.
75. Attività del consiglio di aiuto sociale per l'assistenza penitenziaria e post-penitenziaria.
Il consiglio di aiuto sociale svolge le seguenti attività:
1) cura che siano fatte frequenti visite ai liberandi, al fine di favorire, con opportuni consigli e aiuti, il loro reinserimento nella vita sociale;
2) cura che siano raccolte tutte le notizie occorrenti per accertare i reali bisogni dei liberandi e studia il modo di provvedervi, secondo le loro attitudini e le condizioni familiari:
3) assume notizie sulle possibilità di collocamento al lavoro nel circondario e svolge, anche a mezzo del comitato di cui all'articolo 77, opera diretta ad assicurare una occupazione ai liberati che abbiano o stabiliscano residenza nel circondario stesso;
4) organizza, anche con il concorso di enti o di privati, corsi di addestramento e attività lavorative per i liberati che hanno bisogno di integrare la loro preparazione professionale e che non possono immediatamente trovare lavoro; promuovere altresì la frequenza dei liberati ai normali corsi di addestramento e di avviamento professionale predisposti dalle regioni;
5) cura il mantenimento delle relazioni dei detenuti e degli internati con le loro famiglie;
6) segnala alle autorità e agli enti competenti i bisogni delle famiglie dei detenuti e degli internati, che rendono necessari speciali interventi;
7) concede sussidi in denaro o in natura;
8) collabora con i competenti organi per il coordinamento dell'attività assistenziale degli enti e delle associazioni pubbliche e private nonché delle persone che svolgono opera di assistenza e beneficenza diretta ad assicurare il più efficace e appropriato intervento in favore dei liberati e dei familiari dei detenuti e degli internati.
76. Attività del consiglio di aiuto sociale per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto.
Il consiglio di aiuto sociale presta soccorso, con la concessione di sussidi in natura o in denaro, alle vittime del delitto e provvede all'assistenza in favore dei minorenni orfani a causa del delitto.
77. Comitato per l'occupazione degli assistiti dal consiglio di aiuto sociale.
Al fine di favorire l'avviamento al lavoro dei dimessi dagli istituti di prevenzione e di pena, presso ogni consiglio di aiuto sociale, ovvero presso l'ente di cui al quarto comma dell'articolo 74, è istituito il comitato per l'occupazione degli assistiti dal consiglio di aiuto sociale.
Di tale comitato, presieduto dal presidente del consiglio di aiuto sociale o da un magistrato da lui delegato, fanno parte quattro rappresentanti rispettivamente dell'industria, del commercio, dell'agricoltura e dell'artigianato locale, designati dal presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, tre rappresentanti dei datori di lavoro e tre rappresentanti dei prestatori di opera, designati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, un rappresentante dei coltivatori diretti, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, un impiegato della carriera direttiva dell'amministrazione penitenziaria e un assistente sociale del centro di servizio sociale di cui all'articolo 72.
I componenti del comitato sono nominati dal presidente del consiglio di aiuto sociale.
Il comitato delibera con la presenza di almeno cinque componenti.
78. Assistenti volontari.
L'amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all'assistenza e all'educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all'opera rivolta al a sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale.
Gli assistenti volontari possono cooperare nelle attività culturali e ricreative dell'istituto sotto la guida del direttore, il quale ne coordina l'azione con quella di tutto il personale addetto al trattamento.
L'attività prevista nei commi precedenti non può essere retribuita.
Gli assistenti volontari possono collaborare coi centri di servizio sociale per l'affidamento in prova, per il regime di semilibertà e per l'assistenza ai dimessi e alle loro famiglie.
Capo IV
Disposizioni finali e transitorie
79. Minori degli anni diciotto sottoposti a misure penale. Magistratura di sorveglianza.
Le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge.
Nei confronti dei minori di cui al comma precedente e dei soggetti maggiorenni che commisero il reato quando erano minori degli anni diciotto, le funzioni della sezione di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza sono esercitate rispettivamente, dal tribunale per i minorenni e dal giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni.
Al giudice di sorveglianza per i minorenni non si applica l'ultimo comma dell'articolo 68 (181).
(181) Articolo così sostituito dall'art. 12, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
80. Personale dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena.
Presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti, oltre al personale previsto dalle leggi vigenti, operano gli educatori per adulti e gli assistenti sociali dipendenti dai centri di servizio sociale previsti dall'articolo 72.
L'amministrazione penitenziaria può avvalersi, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, di personale incaricato giornaliero, entro limiti numerici da concordare annualmente, con il Ministero del tesoro.
Al personale incaricato giornaliero è attribuito lo stesso trattamento ragguagliato a giornata previsto per il corrispondente personale incaricato.
Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate.
Il servizio infermieristico degli istituti penitenziari, previsti dall'art. 59, è assicurato mediante operai specializzati con la qualifica di infermieri (182).
A tal fine la dotazione organica degli operai dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 275, emanato a norma dell'articolo 17 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è incrementata di 800 unità riservate alla suddetta categoria. Tali unità sono attribuite nella misura di 640 agli operai specializzati e di 160 ai capi operai.
Le modalità relative all'assunzione di detto personale saranno stabilite dal regolamento di esecuzione (183).
(182) Comma così sostituito dall'art. 14, D.L. 14 aprile 1978, n. 111.
(183) L'indennità spettante agli esperti componenti dei tribunali di sorveglianza è stata determinata con D.Dirett. 27 gennaio 2000 (Gazz. Uff. 1° marzo 2000, n. 50) e con D.Dirett. 9 maggio 2002 (Gazz. Uff. 4 giugno 2002, n. 129).
81. Attribuzioni degli assistenti sociali.
Gli assistenti sociali della carriera direttiva esercitano le attribuzioni previste dagli articoli 9, 10 e 11 della legge 16 luglio 1962, n. 1085, anche nell'ambito dei centri di servizio sociale previsti dall'articolo 72 della presente legge.
Gli assistenti sociali della carriera di concetto esercitano le attività indicate nell'articolo 72 della presente legge nell'ambito dei centri di servizio sociale. Essi espletano compiti di vigilanza e di assistenza nei confronti dei sottoposti a misure alternative alla detenzione nonché compiti di sostegno e di assistenza nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata; partecipano, inoltre, alle attività di assistenza ai dimessi (184).
(184) L'attuale comma secondo così sostituisce gli originari commi secondo e terzo per effetto dell'art. 13, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).
82. Attribuzioni degli educatori.
Gli educatori partecipano all'attività di gruppo per la osservazione scientifica della personalità dei detenuti e degli internati e attendono al trattamento rieducativo individuale o di gruppo, coordinando la loro azione con quella di tutto il personale addetto alle attività concernenti la rieducazione.
Essi svolgono, quando sia consentito, attività educative anche nei confronti degli imputati.
Collaborano, inoltre nella tenuta della biblioteca e nella distribuzione dei libri, delle riviste e dei giornali.
83. Ruoli organici del personale di servizio sociale e degli educatori.
La tabella dell'organico del personale della carriera direttiva di servizio sociale, annessa alla legge 16 luglio 1962, n. 1085, è sostituita dalla tabella B allegata alla presente legge.
Sono istituiti i ruoli organici delle carriere di concetto degli educatori per adulti e degli assistenti sociali per adulti.
Le dotazioni organiche dei ruoli, di cui al precedente comma, sono stabilite rispettivamente dalle tabelle C e D allegate alla presente legge.
Al personale delle carriere suddette si applicano le disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, nonché, in quanto compatibili, quelle di cui al regio decreto 30 luglio 1940, n. 2041, e successive modificazioni; lo stesso personale dipende direttamente dall'amministrazione penitenziaria e dai suoi organi periferici.
Gli impiegati della carriera direttiva di servizio sociale che al 1° luglio 1970 rivestivano la qualifica di direttore, al conseguimento dell'anzianità di cui al primo comma dell'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, sono esonerati, per la nomina alla qualifica di primo dirigente, dalla partecipazione al corso previsto dagli articoli 22 e 23 del decreto stesso.
La nomina è effettuata, nei limiti dei posti disponibili, con decreto del Ministro, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione sulla base dei rapporti informativi e dei giudizi complessivi conseguiti dagli interessati.
84. Concorso per esame speciale per l'accesso al ruolo della carriera di concetto degli assistenti sociali per adulti.
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro per la grazia e giustizia indirà un concorso, per esame speciale, di accesso al ruolo della carriera di concetto degli assistenti sociali per adulti, istituito dal precedente articolo, nel limite del cinquanta per cento della complessiva dotazione organica del ruolo stesso.
Entro trenta mesi dall'entrata in vigore della presente legge sarà indetto un concorso pubblico di accesso al ruolo della carriera di concetto degli assistenti sociali per adulti, nel limite del residuo cinquanta per cento della complessiva dotazione organica del ruolo stesso. A tale concorso sono ammessi anche gli assistenti sociali immessi nel ruolo del servizio sociale per i minorenni per effetto del concorso a 160 posti di assistente sociale, di cui al decreto ministeriale 21 giugno 1971.
Il concorso previsto al primo comma è riservato, indipendentemente dai limiti di età previsti dalle vigenti disposizioni per l'accesso agli impieghi dello Stato, a coloro i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, svolgano attività retribuita di assistente sociale presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti e siano forniti di diploma di istituto di istruzione di secondo grado nonché di certificato di qualificazione professionale rilasciato da una scuola biennale o triennale di servizio sociale.
Il concorso consiste in una prova orale avente per oggetto le seguenti materie:
1) teoria e pratica del servizio sociale;
2) psicologia;
3) nozioni di diritto e procedura penale;
4) regolamenti per gli istituti di prevenzione e di pena.
La commissione esaminatrice è presieduta dal direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena o dal magistrato che ne fa le veci ed è composta dai seguenti membri:
un magistrato di corte d'appello addetto alla direzione generale, per gli istituti di prevenzione e di pena;
un docente universitario in neuropsichiatria o in psicologia o in criminologia o in antropologia criminale;
un ispettore generale dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena;
un docente di materia di servizio sociale.
Le funzioni di segretario sono esercitate da un impiegato del ruolo amministrativo della carriera direttiva della detta amministrazione con qualifica non inferiore a direttore alla seconda classe di stipendio (ex coefficiente 257).
La prova si considera superata dai candidati che hanno riportato un punteggio non inferiore a sei decimi.
I vincitori del concorso sono nominati:
a) alla prima classe di stipendio della qualifica di assistente sociale se abbiano prestato servizio continuativo ai sensi del terzo comma del presente articolo per almeno due anni;
b) alla seconda classe di stipendio della qualifica di assistente sociale se abbiano prestato tale servizio per almeno quattro anni;
c) alla terza classe di stipendio della qualifica di assistente sociale se abbiano prestato tale servizio per almeno otto anni.
Nei confronti di coloro che sono inquadrati nella prima o nella seconda classe di stipendio, ai sensi del comma precedente, gli anni di servizio di assistente sociale prestato in modo continuativo, ai sensi del terzo comma del presente articolo, oltre i limiti rispettivi di due e quattro anni sono computati ai fini dell'inquadramento nella classe di stipendio immediatamente superiore.
Entro tre mesi dalla data di pubblicazione del decreto di nomina i vincitori del concorso hanno facoltà di chiedere il riscatto degli anni di servizio prestato ai sensi del terzo comma del presente articolo, ai fini del trattamento di quiescenza e della indennità di buonuscita.
85. Accesso alla carriera direttiva di servizio sociale.
Alla lettera e) dell'articolo 5 della legge 16 luglio 1962, n. 1085, sono soppresse le parole «istituita o autorizzata a norma di legge».
86. Personale per gli uffici di sorveglianza.
Con decreti del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la grazia e giustizia, di concerto con il Ministro per il tesoro, è determinato, entro sei mesi dalla entrata in vigore della presente legge, il contingente dei magistrati e del personale di cui all'articolo 68 da assegnare a ciascun ufficio di sorveglianza nei limiti delle attuali complessive dotazioni organiche.
87. Norme di esecuzione.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la grazia e giustizia, di concerto con il Ministro per il tesoro, entro sei mesi dalla entrata in vigore della presente legge, sarà emanato il regolamento di esecuzione. Per quanto concerne la materia della istruzione negli istituti di prevenzione e di pena il regolamento di esecuzione sarà emanato di concerto anche con il Ministro per la pubblica istruzione (185).
Fino all'emanazione del suddetto regolamento restano applicabili, in quanto non incompatibili con le norme della presente legge le disposizioni del regolamento vigente.
Entro il termine indicato nel primo comma dovranno essere emanate le norme che disciplinano l'ingresso in carriera del personale di concerto dei ruoli degli educatori per adulti e degli assistenti sociali per adulti.
Le disposizioni concernenti l'affidamento al servizio sociale e il regime di semilibertà entreranno in vigore un anno dopo la pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale.
(185) Per il regolamento sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, vedi il D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230.
88. Attuazione dei ruoli del personale.
L'istituzione del ruolo organico del personale di concetto di servizio sociale per adulti, l'ampliamento del ruolo organico del personale direttivo di servizio sociale, l'istituzione del ruolo organico della carriera di concetto degli educatori per adulti e l'ampliamento del ruolo degli operai specializzati addetti agli ospedali psichiatrici e alle case di cura e di custodia, previsti dalla presente legge, saranno attuati entro un periodo di sette anni.
89. Norme abrogate.
Sono abrogati gli articoli 141, 142, 143, 144, 149 e l'ultimo capoverso dell'articolo 207 del codice penale, l'articolo 585 del codice di procedura penale nonché ogni altra norma incompatibile con la presente legge.
90. Esigenze di sicurezza.
[Quando ricorrono gravi ed eccezionali motivi di ordine e di sicurezza, il Ministro per la grazia e giustizia ha facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l'applicazione in uno o più stabilimenti penitenziari, per un periodo determinato strettamente necessario, delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza] (186).
(186) Articolo abrogato dal comma secondo dell'art. 10, L. 4 ottobre 1986, n. 663, che, con il primo comma, ha aggiunto l'art. 41-bis alla presente legge.
91. Copertura finanziaria.
All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in lire 25 miliardi per l'anno finanziario 1975, si provvede mediante riduzione di pari importo dello stanziamento iscritto al capitolo 6856 dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per l'anno finanziario medesimo.
Il Ministro per il tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio.
TABELLA A (187)
Sedi e giurisdizioni degli uffici di sorveglianza per adulti
Ancona: tribunali di Ancona, Pesaro, Urbino.
Macerata: tribunali di Macerata, Ascoli Piceno, Camerino, Fermo.
Bari: tribunali di Bari, Trani.
Foggia: tribunali di Foggia, Lucera.
Bologna: tribunali di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna, Rimini.
Modena: tribunale di Modena.
Reggio Emilia: tribunali di Reggio Emilia, Parma, Piacenza.
Brescia: tribunali di Brescia, Bergamo, Crema.
Mantova: tribunali di Mantova, Cremona.
Cagliari: tribunali di Cagliari, Oristano.
Nuoro: tribunali di Nuoro, Lanusei.
Sassari: tribunali di Sassari, Tempio Pausania.
Caltanissetta: tribunali di Caltanissetta, Enna, Nicosia.
Catania: tribunali di Catania, Caltagirone.
Siracusa: tribunali di Siracusa, Ragusa, Modica.
Catanzaro: tribunali di Catanzaro, Crotone, Nicastro, Vibo Valentia.
Cosenza: tribunali di Cosenza, Rossano, Castrovillari, Paola.
Reggio Calabria: tribunali di Reggio Calabria, Locri, Palmi.
Firenze: tribunali di Firenze, Arezzo, Prato, Pistoia.
Siena: tribunali di Siena, Grosseto.
Livorno: tribunale di Livorno.
Pisa: tribunali di Pisa, Lucca.
Genova: tribunali di Genova, Chiavari, Imperia. San Remo, Savona.
Massa: tribunali di Massa, La Spezia.
L?Aquila: tribunali di L?Aquila, Avezzano, Sulmona.
Pescara: tribunali di Pescara, Lanciano, Teramo,Vasto, Chieti.
Lecce: tribunali di Lecce, Brindisi, Taranto.
Messina: tribunali di Messina, Mistretta, Patti.
Milano: tribunali di Milano, Lodi, Mantova.
Pavia: tribunali di Pavia, Vigevano, Voghera.
Varese: tribunali di Varese, Busto Arsizio, Como, Lecco, Sondrio.
Napoli: tribunale di Napoli
Avellino: tribunali di Avellino, Ariano Irpino, Benevento, Sant?Angelo dei Lombardi
Campobasso: tribunali di Campobasso, Isernia, Larino.
Salerno: tribunali di Salerno, Sala Consilina, Vallo della Lucania.
Santa Maria Capua Vetere: tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Palermo: tribunali di Palermo, Termini Imerese.
Agrigento: tribunali di Agrigento, Sciacca.
Trapani: tribunali di Trapani, Marsala.
Perugia: tribunali di Perugia, Orvieto.
Spoleto: tribunali di Spoleto, Terni.
Potenza: tribunali di Potenza, Lagonegro, Matera, Melfi.
Roma: tribunali di Roma, Latina, Velletri, Civitavecchia.
Frosinone: tribunali di Frosinone, Cassino.
Viterbo: tribunali di Viterbo, Rieti.
Torino: tribunali di Torino, Asti, Pinerolo.
Alessandria: tribunali di Alessandria, Acqui, Tortona.
Novara: tribunali di Novara, Aosta, Biella, Verbania.(188)
Vercelli: tribunali di Vercelli, Casale Monferrato, Ivrea. (189)
Cuneo: tribunali di Cuneo, Mondovì, Saluzzo, Alba.
Trento: tribunali di Trento, Bolzano, Rovereto.
Trieste: tribunale di Trieste.
Udine: tribunali di Udine, Gorizia, Pordenone, Tolmezzo.
Venezia: tribunali di Venezia, Belluno, Treviso.
Padova: tribunali di Padova, Rovigo, Bassano del Grappa.
Verona: tribunali di Verona, Vicenza
(omissis)
***
REGOLAMENTO RECANTE NORME SULL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO E SULLE MISURE PRIVATIVE E LIMITATIVE DELLA LIBERTA'
(DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 giugno 2000, n. 230, pubblicato sulla G.U. n. 195 del 22.08.2000)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l'articolo 87, quinto comma, della Costituzione;
Vista la legge 26 luglio 1975, n. 354, recante: "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", e successive modificazioni ed integrazioni;
Visto l'articolo 87, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354;
Visto l'articolo 17, commi 1 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Ritenuta la necessità di procedere ad una completa revisione delle norme di esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni ed integrazioni, alla luce dell'evoluzione delle strutture e delle disponibilità della pubblica amministrazione, nonché delle mutate esigenze trattamentali nell'ambito di un diverso quadro legislativo di riferimento;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 17 aprile 2000;
Ritenuto di doversi comunque discostare dal suddetto parere, ravvisandosi l'opportunità di una specifica norma regolamentare in tema di affidamento in prova in casi particolari ai sensi dell'articolo 94, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, giacché tale ultima disposizione rinvia, per quanto non diversamente stabilito, alla disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 16 giugno 2000;
Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'interno, della difesa, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, della pubblica istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, della sanità e del lavoro e della previdenza sociale;
Emana
il seguente regolamento:
PARTE I
Trattamento penitenziario e disposizioni relative all'organizzazione penitenziaria
Titolo I
TRATTAMENTO PENITENZIARIO
Capo I
Principi direttivi
Art. 1.
Interventi di trattamento
1. Il trattamento degli imputati sottoposti a misure privative della libertà consiste nell'offerta di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali.
2. Il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati è diretto, inoltre, a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale.
3. Le disposizioni del presente regolamento che fanno riferimento all'imputato si estendono, in quanto compatibili, alla persona sottoposta alle indagini.
Art. 2.
Sicurezza e rispetto delle regole
1. L'ordine e la disciplina negli istituti penitenziari garantiscono la sicurezza che costituisce la condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento dei detenuti e degli internati. Il direttore dell'istituto assicura il mantenimento della sicurezza e del rispetto delle regole avvalendosi del personale penitenziario secondo le rispettive competenze.
2. Il servizio di sicurezza e custodia negli istituti penitenziari diversi dalle case mandamentali è affidato agli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, che esercitano le loro attribuzioni in conformità delle leggi e dei regolamenti vigenti.
Art. 3.
Direzione degli istituti penitenziari e dei centri di servizio sociale
1. Alla direzione degli istituti penitenziari e dei centri di servizio sociale è preposto personale dei rispettivi ruoli dell'amministrazione penitenziaria individuato secondo la vigente normativa.
2. Il direttore dell'istituto e quello del centro di servizio sociale esercitano i poteri attinenti alla organizzazione, al coordinamento ed al controllo dello svolgimento delle attività dell'istituto o del servizio; decidono le iniziative idonee ad assicurare lo svolgimento dei programmi negli istituti, nonché gli interventi all'esterno; impartiscono direttive agli operatori penitenziari, anche non appartenenti all'amministrazione i quali svolgono i compiti loro affidati con l'autonomia professionale di competenza.
3. Il direttore dell'istituto e quello del centro di servizio sociale rispondono dell'esercizio delle loro attribuzioni al provveditore regionale e al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Art. 4.
Integrazione e coordinamento degli interventi
1. Alle attività di trattamento svolte negli istituti e dai centri di servizio sociale partecipano tutti gli operatori penitenziari, secondo le rispettive competenze. Gli interventi di ciascun operatore professionale o volontario devono contribuire alla realizzazione di una positiva atmosfera di relazioni umane e svolgersi in una prospettiva di integrazioni e collaborazione.
2. A tal fine, gli istituti penitenziari e i centri di servizio sociali dislocati in ciascun ambito regionale, costituiscono un complesso operativo unitario, i cui programmi sono organizzati e svolti con riferimento alle risorse della comunità locale; i direttori degli istituti e dei centri di servizio sociale indicono apposite e periodiche conferenze di servizio.
3. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed i provveditori regionali adottano le opportune iniziative per promuovere il coordinamento operativo rispettivamente a livello nazionale e regionale.
Art. 5.
Vigilanza del magistrato di sorveglianza sulla organizzazione degli istituti
1. Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati.
Capo II
Condizioni generali
Art. 6.
Condizioni igieniche e illuminazione dei locali
1. I locali in cui si svolge la vita dei detenuti e internati devono essere igienicamente adeguati.
2. Le finestre delle camere devono consentire il passaggio diretto di luce e aria naturali. Non sono consentite schermature che impediscano tale passaggio. Solo in casi eccezionali e per dimostrate ragioni di sicurezza, possono utilizzarsi schermature, collocate non in aderenza alle mura dell'edificio, che consentano comunque un sufficiente passaggio diretto di aria e luce.
3. Sono approntati pulsanti per l'illuminazione artificiale delle camere, nonché per il funzionamento degli apparecchi radio e televisivi, sia all'esterno, per il personale, sia all'interno, per i detenuti e internati. Il personale, con i pulsanti esterni, può escludere il funzionamento di quelli interni, quando la utilizzazione di questi pregiudichi l'ordinata convivenza dei detenuti e internati.
4. Per i controlli notturni da parte del personale la illuminazione deve essere di intensità attenuata.
5. I detenuti e gli internati, che siano in condizioni fisiche e psichiche che lo consentano, provvedono direttamente alla pulizia delle loro camere e dei relativi servizi igienici. A tal fine sono messi a disposizione mezzi adeguati.
6. Per la pulizia delle camere nelle quali si trovano soggetti impossibilitati a provvedervi, l'amministrazione si avvale dell'opera retribuita di detenuti o internati.
7. Se le condizioni logistiche lo consentono, sono assicurati reparti per non fumatori.
Art. 7.
Servizi igienici
1. I servizi igienici sono collocati in un vano annesso alla camera.
2. I vani in cui sono collocati i servizi igienici forniti di acqua corrente, calda e fredda, sono dotati di lavabo, di doccia e, in particolare negli istituti o sezioni femminili, anche di bidet, per le esigenze igieniche dei detenuti e internati.
3. Servizi igienici, lavabi e docce in numero adeguato devono essere, inoltre, collocati nelle adiacenze dei locali e delle aree dove si svolgono attività in comune.
Art. 8.
Igiene personale
1. Gli oggetti necessari per la cura e la pulizia della persona sono indicati con specifico riferimento alla loro qualità e quantità in tabelle, distinte per uomini e donne, stabilite con decreto ministeriale.
2. Per gli uomini e per le donne sono, rispettivamente, organizzati servizi di barbiere e parrucchiere, di cui essi possono usufruire periodicamente secondo le necessità.
3. Nei locali di pernottamento è consentito l'uso di rasoio elettrico.
4. Il regolamento interno prevede i tempi e le modalità di accesso ai servizi di barbiere e di parrucchiere e gli orari di utilizzazione quotidiana dell'acqua calda.
5. L'obbligo della doccia può essere imposto per motivi igienico-sanitari.
Art. 9.
Vestiario e corredo
1. Gli oggetti che costituiscono il corredo del letto, i capi di vestiario e di biancheria personale, nonché gli altri effetti di uso che l'amministrazione è tenuta a corrispondere ai detenuti e agli internati, sono indicati, con specifico riferimento alla loro qualità in tabelle, distinte per uomini e donne, stabilite con decreto ministeriale.
2. I capi e gli effetti sopra indicati devono avere caratteristiche adeguate al variare delle stagioni e alle particolari condizioni climatiche delle zone in cui gli istituti sono ubicati: la loro quantità deve consentire un ricambio che assicuri buone condizioni di pulizia e di conservazione.
3. Per ciascun capo o effetto è prevista la durata d'uso.
4. L'amministrazione sostituisce, anche prima della scadenza del termine di durata, i capi e gli effetti deteriorati. Se l'anticipato deterioramento è imputabile al detenuto o internato, questi è tenuto a risarcire il danno.
5. Il sanitario dell'istituto prescrive variazioni qualitative e quantitative del corredo del letto, dei capi di biancheria e di vestiario in relazione a particolari bisogni dei singoli soggetti.
6. I minorenni vestono, comunque, abiti di foggia civile.
7. I capi di biancheria personale e di vestiario nonché gli effetti d'uso consegnati ai detenuti e agli internati sono annotati, con le successive variazioni, in una scheda, un esemplare della quale viene conservato dall'interessato e un altro custodito dalla direzione e trasmesso in caso di trasferimento.
8. La direzione dell'istituto cura che a ciascun detenuto o internato, dopo le operazioni di pulizia, siano restituiti i capi di sua spettanza.
9. I detenuti e gli internati, i quali fanno uso di abiti e di corredo personale di loro proprietà che non possono essere lavati con le normali procedure usate per quelli forniti dell'amministrazione, devono provvedervi a loro spese.
10. L'amministrazione provvede a fornire abiti civili ai dimittendi, qualora essi non siano in condizioni di provvedervi a loro spese.
Art. 10.
Corredo e oggetti di proprietà personale
1. Il regolamento interno stabilisce i casi in cui i detenuti e gli internati possono essere ammessi a fare uso di corredo di loro proprietà e prevede, altresì, quali sono gli effetti di corredo che possono usarsi.
2. È assicurato un servizio di lavanderia cui i detenuti e gli internati possono accedere, anche a loro spese.
3. È ammesso il possesso di oggetti di particolare valore morale o affettivo qualora non abbiano un consistente valore economico e non siano incompatibili con l'ordinato svolgimento della vita nell'istituto.
Art. 11.
Vitto giornaliero
1. Ai detenuti e agli internati vengono somministrati giornalmente tre pasti.
2. Il regolamento interno stabilisce l'orario dei pasti in modo tale che il primo possa essere consumato non lontano dalla sveglia, il secondo dopo circa cinque ore dal primo ed il terzo dopo circa sei ore dal secondo.
3. Ai minorenni vengono somministrati giornalmente quattro pasti opportunamente intervallati.
4. Le tabelle vittuarie, distinte in riferimento ai criteri di cui al primo comma dell'articolo 9 della legge, sono approvate con decreto ministeriale ai sensi del comma quarto dello stesso articolo, in conformità del parere dell'Istituto superiore della nutrizione.
Le tabelle vittuarie devono essere aggiornate almeno ogni cinque anni. Nella formulazione delle tabelle vittuarie si deve anche tenere conto, in quanto possibile, delle prescrizioni proprie delle diverse fedi religiose.
Art. 12.
Controllo sul trattamento alimentare e sui prezzi dei generi venduti nell'istituto
1. La rappresentanza dei detenuti e degli internati prevista dal sesto comma dell'articolo 9 della legge è composta di tre persone.
2. Negli istituti in cui la preparazione del vitto è effettuata in più cucine, è costituita una rappresentanza per ciascuna cucina.
3. I rappresentanti dei detenuti e degli internati assistono al prelievo dei generi vittuari, ne controllano la qualità e la quantità, verificano che i generi prelevati siano interamente usati per la confezione del vitto.
4. Ai detenuti e agli internati lavoratori o studenti, facenti parte della rappresentanza, sono concessi permessi di assenza dal lavoro o dalla scuola per rendere possibile lo svolgimento del loro compito, per i detenuti e gli internati che lavorano per l'amministrazione penitenziaria tali permessi orari sono retribuiti.
5. La rappresentanza suddetta e il delegato del direttore, indicato nel settimo comma dell'articolo 9 della legge, presentano, congiuntamente o disgiuntamente, le loro osservazioni al direttore.
6. La direzione assume mensilmente informazioni dall'autorità comunale sui prezzi correnti all'esterno relativi ai generi corrispondenti a quelli in vendita da parte dello spaccio o assume informazioni sui prezzi praticati negli esercizi della grande distribuzione più vicini all'istituto. I prezzi dei generi in vendita nello spaccio, che sono comunicati anche alla rappresentanza dei detenuti e degli internati, devono adeguarsi a quelli esterni risultanti dalle informazioni predette.
Art. 13.
Locali per la confezione e la somministrazione del vitto - Uso di fornelli
1. Negli istituti ogni cucina deve servire alla preparazione del vitto per un massimo di duecento persone. Se il numero dei detenuti o internati è maggiore, sono attrezzate più cucine.
2. Il servizio di cucina è svolto dai detenuti e internati. A tal fine sono costantemente organizzati corsi di formazione professionale per gli stessi.
3. Il vitto è consumato di regola in locali all'uopo destinati, utilizzabili per un numero non elevato di detenuti o internati. Il regolamento interno stabilisce le modalità con le quali, a turno, i detenuti e gli internati sono ammessi a cucinare in locali attrezzati a tal fine.
4. È consentito ai detenuti ed internati, nelle proprie camere, l'uso di fornelli personali per riscaldare liquidi e cibi già cotti, nonché per la preparazione di bevande e cibi di facile e rapido approntamento.
5. Le dimensioni e le caratteristiche dei fornelli devono essere conformi a prescrizioni ministeriali che regoleranno altresì le modalità di uso e di recupero, anche forfettario, della spesa.
6. La mancata adozione della gestione diretta, da parte dell'amministrazione, dei servizi di vettovagliamento e di sopravitto di cui ai commi quinto e settimo dell'articolo 9 della legge deve essere specificamente ed adeguatamente motivata dalle singole direzioni. La gestione diretta può, comunque, attuarsi anche con un unico fornitore dei generi vittuari. Alla gestione diretta è equiparata quella realizzata attraverso convenzioni con cooperative sociali ai sensi del comma 3 dell'articolo 47.
7. Il regolamento interno può prevedere che, senza carattere di continuità, sia consentita ai detenuti e agli internati la cottura di generi alimentari, stabilendo i generi ammessi nonché le modalità da osservare.
Art. 14.
Ricezione, acquisto e possesso di oggetti e di generi alimentari
1. Il regolamento interno stabilisce, nei confronti di tutti i detenuti o internati dell'istituto, i generi e gli oggetti di cui è consentito il possesso, l'acquisto e la ricezione, finalizzati alla cura della persona e all'espletamento delle attività trattamentali, culturali, ricreative e sportive. Nella individuazione dei generi e oggetti ammessi si terrà anche conto delle nuove strumentazioni tecnologiche. È vietato, comunque, il possesso di denaro.
2. Sono ammesse limitazioni sostenute da motivate esigenze di sicurezza, anche in relazione alla differenziazione del regime detentivo che consegue all'applicazione degli articoli 14-bis, 41-bis e 64 della legge.
3. Non è ammessa la ricezione dall'esterno di bevande alcoliche.
È consentito l'acquisto presso lo spaccio interno e il consumo giornaliero di vino in misura non superiore a mezzo litro e di gradazione non superiore a dodici gradi o di birra in misura non superiore ad un litro. La distribuzione e il consumo di tali bevande avviene nei locali in cui si consumano i pasti. In ogni caso è vietato l'accumulo di bevande alcoliche.
4. Gli oggetti non consentiti sono ritirati dalla direzione e, salvo che costituiscano corpi di reato, sono consegnati ai detenuti e agli internati all'atto della loro dimissione. I generi e gli oggetti deperibili o ingombranti che non possono essere trattenuti in deposito presso il magazzino sono restituiti ai familiari in occasione dei colloqui ovvero spediti agli stessi a cura e spese del detenuto o dell'internato.
5. I generi e gli oggetti provenienti dall'esterno devono essere contenuti in pacchi, che, prima della consegna ai destinatari, devono essere sottoposti a controllo.
6. I detenuti e gli internati possono ricevere quattro pacchi al mese complessivamente di peso non superiore a venti chili, contenente esclusivamente generi di abbigliamento, ovvero, nei casi e con le modalità stabiliti dal regolamento interno, anche generi alimentari di consumo comune che non richiedono manomissioni in sede di controllo.
7. Gli oggetti di uso personale possono essere acquistati o ricevuti in misura non eccedente le normali esigenze dell'individuo.
8. I generi alimentari, ricevuti dall'esterno o acquistati, non devono eccedere in quantità il fabbisogno di una persona.
9. Il detenuto o l'internato non può accumulare generi alimentari in quantità eccedente il suo fabbisogno settimanale.
10. Le limitazioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai pacchi, agli oggetti ed ai generi destinati alle detenute madri con prole in istituto per il fabbisogno dei bambini.
Art. 15.
Cessioni fra detenuti o internati
1. La cessione e la ricezione di somme in peculio fra detenuti e internati sono vietate, salvo che si tratti di componenti dello stesso nucleo familiare.
2. È consentita la cessione fra detenuti e internati di oggetti di modico valore.
Art. 16.
Utilizzazione degli spazi all'aperto
1. Gli spazi all'aperto, oltre che per le finalità di cui all'articolo 10 della legge, sono utilizzati per lo svolgimento di attività trattamentali e, in particolare, per attività sportive, ricreative e culturali secondo i programmi predisposti dalla direzione.
2. La permanenza all'aperto, che deve avvenire, se possibile, in spazi non interclusi fra fabbricati, deve essere assicurata per periodi adeguati anche attraverso le valutazioni dei servizi sanitario e psicologico, accanto allo svolgimento delle attività trattamentali, come strumento di contenimento degli effetti negativi della privazione della libertà personale.
3. La riduzione della permanenza all'aperto a non meno di un'ora al giorno, dovuta a motivi eccezionali, deve essere limitata a tempi brevi e disposta con provvedimento motivato del direttore dell'istituto, che viene comunicato al provveditore regionale e al magistrato di sorveglianza.
4. Gli spazi destinati alla permanenza all'aperto devono offrire possibilità di protezione dagli agenti atmosferici.
Art. 17.
Assistenza sanitaria
1. I detenuti e gli internati usufruiscono dell'assistenza sanitaria secondo le disposizioni della vigente normativa.
2. Le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento ed organizzazione dei servizi sanitari in ambito penitenziario, nonché di controllo sul funzionamento dei servizi medesimi, sono esercitate secondo le competenze e con le modalità indicate dalla vigente normativa.
3. L'assistenza sanitaria viene prestata all'interno degli istituti penitenziari, salvo quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 11 della legge.
4. Sulla base delle indicazioni desunte dalla rilevazione e dall'analisi delle esigenze sanitarie della popolazione penitenziaria, sono organizzati, con opportune dislocazioni nel territorio nazionale, reparti clinici e chirurgici.
5. In ogni caso in cui le prestazioni di carattere psichiatrico non siano assicurate a mezzo dell'opera di specialisti in psichiatria di ruolo, la direzione dell'istituto si avvale di specialisti ai sensi del quarto comma dell'articolo 80 della legge.
6. L'autorizzazione per le visite a proprie spese di un sanitario di fiducia per gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e per i condannati e gli internati è data dal direttore.
7. Con le medesime forme previste per la visita a proprie spese possono essere autorizzati trattamenti medici, chirurgici e terapeutici da effettuarsi a spese degli interessati da parte di sanitari e tecnici di fiducia nelle infermerie o nei reparti clinici e chirurgici negli istituti.
8. Quando deve provvedersi con estrema urgenza al trasferimento di un detenuto o di un internato in luogo esterno di cura e non sia possibile ottenere con immediatezza la decisione della competente autorità giudiziaria, il direttore provvede direttamente al trasferimento, dandone contemporanea comunicazione alla predetta autorità: dà inoltre notizia del trasferimento al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al provveditore regionale.
9. In ogni istituto devono essere svolte con continuità attività di medicina preventiva che rilevino, segnalino ed intervengano in merito alle situazioni che possono favorire lo sviluppo di forme patologiche, comprese quelle collegabili alle prolungate situazioni di inerzia e di riduzione del movimento e dell'attività fisica.
Art. 18.
Rimborso delle spese per prestazioni sanitarie
1. È fatto divieto di richiedere alle persone detenute o internate alcuna forma di partecipazione alla spesa per prestazioni sanitarie erogate dal servizio sanitario nazionale.
2. I detenuti o internati stranieri, apolidi o senza fissa dimora iscritti al servizio sanitario nazionale, ai sensi della vigente normativa, ricevono l'assistenza sanitaria a carico del servizio sanitario pubblico nel cui territorio ha sede l'istituto di assegnazione del soggetto interessato.
3. Gli enti tenuti ad erogare l'assistenza sanitaria provvedono direttamente a fornire le prestazioni previste dalle leggi vigenti nei confronti dei familiari dei detenuti e degli internati lavoratori.
Art. 19.
Assistenza particolare alle gestanti e alle madri con bambini. Asili nido
1. Le gestanti e le madri con bambini sono assistite da specialisti in ostetricia e ginecologia, incaricati o professionisti esterni. Il parto deve essere preferibilmente effettuato in luogo esterno di cura.
2. È prestata, altresì, l'assistenza da parte di personale paramedico ostetrico.
3. L'assistenza sanitaria ai bambini, che le madri detenute o internate tengono presso di sé, è curata da professionisti specialisti in pediatria.
4. Gli specialisti in ostetricia e ginecologia e i pediatri, il personale paramedico, nonché gli operatori in puericultura degli asili nido, sono compensati con onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate.
5. Presso gli istituti o sezioni dove sono ospitati gestanti e madri con bambini, sono organizzati, di norma, appositi reparti ostetrici e asili nido. Le camere dove sono ospitati le gestanti e madri con i bambini non devono essere chiuse, affinché gli stessi possano spostarsi all'interno del reparto o della sezione, con il limite di non turbare l'ordinato svolgimento della vita nei medesimi.
6. Sono assicurati ai bambini all'interno degli istituti attività ricreative e formative proprie della loro età. I bambini, inoltre, con l'intervento dei servizi pubblici territoriali o del volontariato, sono accompagnati all'esterno con il consenso della madre, per lo svolgimento delle attività predette, anche presso gli asili nido esistenti sul territorio.
7. Quando i bambini debbono essere separati dalle madri detenute o internate, per avere superato il limite di età stabilito dalla legge o per altre ragioni, sentita in questo ultimo caso la madre, e non esistono persone a cui la madre possa affidare il figlio, la direzione dell'istituto, in tempo utile per le necessarie iniziative, segnala il caso agli enti per l'assistenza all'infanzia e al centro di servizio sociale, che assicura comunque il mantenimento di costanti rapporti tra la madre e il bambino.
Art. 20.
Disposizioni particolari per gli infermi e i seminfermi di mente
1. Nei confronti dei detenuti e degli internati infermi o seminfermi di mente, salve le disposizioni di cui ai commi seguenti, devono essere attuati interventi che favoriscano la loro partecipazione a tutte le attività trattamentali e in particolare a quelle che consentano, in quanto possibile, di mantenere, migliorare o ristabilire le loro relazioni con la famiglia e l'ambiente sociale, anche attraverso lo svolgimento di colloqui fuori dei limiti stabiliti dall'articolo 37. Il servizio sanitario pubblico, territorialmente competente, accede all'istituto per rilevare le condizioni e le esigenze degli interessati e concordare con gli operatori penitenziari l'individuazione delle risorse esterne utili per la loro presa in carico da parte del servizio pubblico e per il loro successivo reinserimento sociale.
2. La sottoposizione a visto di controllo della corrispondenza dei detenuti e degli internati infermi o seminfermi di mente può essere proposta, oltre che nei casi previsti dall'articolo 38, anche per esigenze connesse al trattamento terapeutico, accertate dal sanitario.
3. Nella concessione dei permessi di colloquio e nelle autorizzazioni alla corrispondenza telefonica si devono tenere in conto anche le esigenze di cui al comma 1.
4. I detenuti e gli internati infermi o seminfermi di mente che, a giudizio del sanitario, sono in grado di svolgere un lavoro produttivo o un servizio utile sono ammessi al lavoro e godono di tutti i diritti relativi.
5. Coloro che non sono in grado di svolgere un lavoro produttivo o un servizio utile possono essere assegnati, secondo le indicazioni sanitarie, ad attività ergoterapiche e ad essi viene corrisposto un sussidio nella misura stabilita con decreto ministeriale.
6. Le disposizioni concernenti la formazione delle rappresentanze previste dagli articoli 9, 12, 20 e 27 della legge, si applicano anche agli infermi o seminfermi di mente. Tuttavia, se fra i sorteggiati vi siano individui che, a giudizio del sanitario, per le loro condizioni psichiche non sono in grado di svolgere il compito, il magistrato di sorveglianza dispone la loro esclusione. Gli esclusi sono sostituiti da altri detenuti o internati nominati anch'essi per sorteggio.
7. Nei confronti degli infermi e dei seminfermi di mente, le sanzioni disciplinari si applicano solo quando, a giudizio del sanitario, esista la sufficiente capacità naturale che consenta loro coscienza dell'infrazione commessa ed adeguata percezione della sanzione conseguente.
8. Gli infermi e seminfermi in permesso, in licenza o in regime di semilibertà ricevono, ove occorra, assistenza da parte dei servizi psichiatrici pubblici degli enti locali.
9. I detenuti e internati tossicodipendenti che presentino anche infermità mentali sono seguiti in collaborazione dal servizio per le tossicodipendenze e dal servizio psichiatrico.
10. Il presente articolo, nonché gli articoli 17, 18 e 19 si applicano fino alla completa attuazione del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230.
Art. 21.
Servizio di biblioteca
1. La direzione dell'istituto deve curare che i detenuti e gli internati abbiano agevole accesso alle pubblicazioni della biblioteca dell'istituto, nonché la possibilità, a mezzo di opportune intese, di usufruire della lettura di pubblicazioni esistenti in biblioteche e centri di lettura pubblici, funzionanti nel luogo in cui è situato l'istituto stesso.
2. Nella scelta dei libri e dei periodici si deve realizzare una equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale esistente nella società.
3. Il servizio di biblioteca è affidato, di regola, a un educatore. Il responsabile del servizio si avvale, per la tenuta delle pubblicazioni, per la formazione degli schedari, per la distribuzione dei libri e dei periodici, nonché per lo svolgimento di iniziative per la diffusione della cultura, dei rappresentanti dei detenuti e degli internati previsti dall'articolo 12 della legge, i quali espletano le suddette attività durante il tempo libero. Si avvale altresì di uno o più detenuti scrivani, regolarmente retribuiti.
4. I rappresentanti dei detenuti o degli internati sono sorteggiati, con le modalità previste nell'articolo 67, nel numero di tre o cinque, rispettivamente per gli istituti con un numero di presenti non superiore o superiore a cinquecento.
5. Nell'ambito del servizio di biblioteca, è attrezzata una sala lettura, cui vengono ammessi i detenuti e gli internati. I detenuti e internati lavoratori e studenti possono frequentare la sala lettura anche in orari successivi a quelli di svolgimento dell'attività di lavoro e di studio. Il regolamento interno stabilisce le modalità e gli orari di accesso alla sala di lettura.
Capo III
Ingresso in istituto e modalità del trattamento
Art. 22.
Ammissione in istituto
1. Le direzioni degli istituti penitenziari devono ricevere le persone indicate nell'articolo 94 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e quelle che si costituiscono dichiarando che ciò fanno per dare esecuzione ad un provvedimento da cui consegue la privazione dello stato di libertà.
2. In ogni caso la persona viene sottoposta all'isolamento previsto dal n. 3) del primo comma dell'articolo 33 della legge, soltanto se l'autorità giudiziaria abbia disposto in tal senso.
3. Quando viene ricevuta una persona, che non può essere trattenuta perché deve essere sottoposta a misura privativa della libertà diversa da quella alla cui esecuzione l'istituto è destinato, la direzione provvede ad informare il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ai fini dell'assegnazione.
4. In caso di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, la prescritta informazione all'autorità giudiziaria competente deve essere effettuata dalla polizia giudiziaria prima dell'introduzione del detenuto nell'istituto, al fine di consentire la tempestiva emanazione dell'eventuale provvedimento di sottoposizione all'isolamento di cui al comma 3. Allo stesso modo provvede il direttore nel caso di presentazione spontanea in istituto di persona a carico della quale non sia stato ancora emesso provvedimento restrittivo della libertà personale dall'autorità giudiziaria.
5. Il provvedimento dell'autorità giudiziaria che dispone l'isolamento deve precisare le modalità, i limiti e la durata dell'isolamento medesimo.
6. In caso di mancata indicazione dei predetti elementi, la direzione richiede all'autorità giudiziaria competente le integrazioni necessarie. Segnala in ogni caso l'eventuale insorgenza di stati di sofferenza psicofisica della persona.
7. Durante l'isolamento giudiziario possono avere contatti con il detenuto isolato, con l'osservanza delle modalità stabilite dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il personale, nonché gli altri operatori penitenziari anche non appartenenti al personale dell'amministrazione, incaricati, autorizzati o delegati dal direttore dell'istituto.
Art. 23.
Modalità dell'ingresso in istituto
1. La direzione cura che il detenuto o l'internato all'atto del suo ingresso dalla libertà sia sottoposto a perquisizione personale, al rilievo delle impronte digitali e messo in grado di esercitare la facoltà prevista dal primo comma dell'articolo 29 della legge, con le modalità di cui all'articolo 62 del presente regolamento. Il soggetto è sottoposto a visita medica non oltre il giorno successivo.
2. Fermo restando quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 24, qualora dagli accertamenti sanitari o altrimenti, risulti che una persona condannata si trovi in una delle condizioni previste dagli articoli 146 e 147, primo comma, numeri 2) e 3), del codice penale, la direzione dell'istituto trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza per i provvedimenti di rispettiva competenza. La direzione provvede analogamente, quando la persona interessata si trovi in custodia cautelare, trasmettendo gli atti alla autorità giudiziaria procedente.
3. Un esperto dell'osservazione e trattamento effettua un colloquio con il detenuto o internato all'atto del suo ingresso in istituto, per verificare se, ed eventualmente con quali cautele, possa affrontare adeguatamente lo stato di restrizione. Il risultato di tali accertamenti è comunicato agli operatori incaricati per gli interventi opportuni e al gruppo degli operatori dell'osservazione e trattamento di cui all'articolo 29. Gli eventuali aspetti di rischio sono anche segnalati agli organi giudiziari indicati nel comma 2. Se la persona ha problemi di tossicodipendenza, è segnalata anche al Servizio tossicodipendenze operante all'interno dell'istituto.
4. Dopo l'espletamento delle operazioni di cui ai commi precedenti e nel più breve tempo possibile, la direzione dell'istituto richiede al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria notizia su eventuali precedenti detenzioni, al fine di acquisire la preesistente cartella personale.
5. Il direttore dell'istituto, o un operatore penitenziario da lui designato, svolge un colloquio con il soggetto, al fine di conoscere le notizie necessarie per le iscrizioni nel registro, previsto dall'articolo 7 del Regolamento per l'esecuzione del codice di procedura penale di cui al decreto ministeriale 30 settembre 1989, n. 334, e per iniziare la compilazione della cartella personale, nonché allo scopo di fornirgli le informazioni previste dal primo comma dell'articolo 32 della legge e di consegnargli l'estratto indicato nel comma 2 dall'articolo 69 del presente regolamento. In particolare, vengono forniti chiarimenti sulla possibilità di ammissione alle misure alternative alla detenzione e agli altri benefici penitenziari.
6. Qualora il detenuto o l'internato si rifiuti di fornire le sue generalità o quando vi siano fondati motivi per ritenere che le generalità fornite siano false, e sempre che non si riesca a conoscere altrimenti le esatte generalità, il soggetto è identificato sotto la provvisoria denominazione di "sconosciuto" a mezzo di fotografia e di riferimenti a connotati e contrassegni fisici e ne è fatto rapporto all'autorità giudiziaria.
7. Nel corso del colloquio il soggetto è invitato a segnalare gli eventuali problemi personali e familiari che richiedono interventi immediati. Di tali problemi la direzione informa il centro di servizio sociale.
8. Gli oggetti consegnati dal detenuto o dall'internato, nonché quelli rinvenuti sulla sua persona e che non possono essere lasciati in suo possesso, sono ritirati e depositati presso la direzione. Gli oggetti che non possono essere conservati sono venduti a beneficio del soggetto o inviati, a sue spese, alla persona da lui designata.
Delle predette operazioni viene redatto verbale.
9. Degli oggetti consegnati dall'imputato o rinvenuti sulla sua persona è data notizia all'autorità giudiziaria che procede.
10. I contatti e gli interventi degli operatori penitenziari, degli assistenti volontari di cui all'articolo 78 della legge, dei rappresentanti della comunità esterna autorizzati ai sensi dell'articolo 17 della legge, nonché quelli degli operatori sociali e sanitari delle strutture e dei servizi assistenziali territoriali intesi alla prosecuzione dei programmi terapeutici o di trattamento educativo-sociale, istituzionalmente svolti con gli imputati, i condannati e gli internati, non si considerano colloqui e ad essi non si applicano pertanto le disposizioni contenute nell'articolo 18 della legge e nell'articolo 37 del presente regolamento.
Art. 24.
Iscrizioni a registro
1. Nel registro previsto dell'articolo 7 del regolamento per l'esecuzione del codice di procedura penale, di cui al decreto del Ministro di grazia e giustizia 30 settembre 1989, n. 334, oltre alle iscrizioni relative alle persone ivi indicate, devono essere inserite, in ordine cronologico, analoghe iscrizioni relative ai detenuti e agli internati che entrano o escono dall'istituto a causa di trasferimento o di transito.
2. Il registro, prima che sia posto in uso, è presentato al direttore dell'istituto, che ne fa numerare ciascuna pagina, vistandola e segnandola con sigillo del proprio ufficio. In fine del registro lo stesso direttore indica il numero complessivo delle pagine e vi appone la data e la sottoscrizione.
3. La disposizione di cui al comma 2 si osserva anche per il registro di cui all'articolo 123 del codice di procedura penale e dall'articolo 44 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.
4. Le istanze, le impugnazioni e le dichiarazioni previste dall'articolo 123 del codice di procedura penale, sono comunicate all'autorità giudiziaria mediante estratto o copia autentica. In caso di urgenza, si utilizza il mezzo di comunicazione più rapido.
Le istanze dei detenuti e degli internati relative ai provvedimenti di cui al capo VI del titolo I della legge sono trasmesse al magistrato di sorveglianza o al tribunale di sorveglianza entro tre giorni dalla loro presentazione.
Art. 25.
Albo degli avvocati
1. Presso ogni istituto penitenziario è tenuto l'albo degli avvocati del circondario, che deve essere affisso in modo che i detenuti e gli internati ne possano prendere visione.
2. È fatto divieto agli operatori penitenziari di influire, direttamente o indirettamente, sulla scelta del difensore.
Art. 26.
Cartella personale
1. Per ogni detenuto o internato è istituita una cartella personale, la cui compilazione inizia all'atto dell'ingresso in istituto dalla libertà. La cartella segue il soggetto in caso di trasferimento e resta custodita nell'archivio dell'istituto da cui il detenuto o l'internato è dimesso. Di tale custodia è data tempestiva notizia al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
2. L'intestazione della cartella personale è corredata dei dati anagrafici, delle impronte digitali, della fotografia e di ogni altro elemento necessario per la precisa identificazione della persona.
3. Nella cartella personale, oltre quanto stabilito dall'articolo 94 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono inseriti i dati e le indicazioni previsti dal quarto comma dell'articolo 13 della legge, con specifica menzione delle ricompense, delle sanzioni disciplinari e delle infrazioni che le hanno determinate, nonché della eventuale sospensione, condono ed estinzione delle sanzioni stesse, delle istanze e dei provvedimenti di cui al capo VI del titolo I della legge, della sottoposizione al regime di sorveglianza particolare e del reclamo eventualmente proposto, nonché di ogni altro dato richiesto da disposizioni ministeriali.
4. Tutti i provvedimenti del magistrato di sorveglianza e del tribunale di sorveglianza, di cui all'articolo l4-ter e al capo VI del titolo I della legge, sono comunicati alla direzione dell'istituto per la annotazione nella cartella personale. I provvedimenti relativi all'affidamento in prova al servizio sociale, al regime di semilibertà ed alla detenzione domiciliare, sono, altresì, comunicati al centro di servizio sociale del luogo nel quale viene eseguita la misura alternativa alla detenzione.
5. Allo scadere di ogni semestre di custodia cautelare e di pena detentiva, nella cartella personale di ciascun detenuto è annotato il giudizio espresso dalla direzione sugli elementi indicati nel comma 2 dell'articolo 103.
6. All'atto del trasferimento del detenuto o dell'internato in altro istituto, nella cartella personale è annotato un giudizio complessivo sugli sviluppi del trattamento e sulla condotta tenuta.
Art. 27.
Osservazione della personalità
1. L'osservazione scientifica della personalità è diretta all'accertamento dei bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all'instaurazione di una normale vita di relazione. Ai fini dell'osservazione si provvede all'acquisizione di dati giudiziari e penitenziari, clinici, psicologici e sociali e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli interventi del trattamento. Sulla base dei dati giudiziari acquisiti, viene espletata, con il condannato o l'internato, una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l'interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa.
2. All'inizio dell'esecuzione l'osservazione è specificamente rivolta, con la collaborazione del condannato o dell'internato, a desumere elementi per la formulazione del programma individualizzato di trattamento, il quale è compilato nel termine di nove mesi.
3. Nel corso del trattamento l'osservazione è rivolta ad accertare, attraverso l'esame del comportamento del soggetto e delle modificazioni intervenute nella sua vita di relazione, le eventuali nuove esigenze che richiedono una variazione del programma di trattamento.
4. L'osservazione e il trattamento dei detenuti e degli internati devono mantenere i caratteri della continuità in caso di trasferimento in altri istituti.
Art. 28.
Espletamento dell'osservazione della personalità
1. L'osservazione scientifica della personalità è espletata, di regola, presso gli stessi istituti dove si eseguono le pene e le misure di sicurezza.
2. Quando si ravvisa la necessità di procedere a particolari approfondimenti, i soggetti da osservare sono assegnati, su motivata proposta della direzione, ai centri di osservazione.
3. L'osservazione è condotta da personale dipendente dall'amministrazione e, secondo le occorrenze, anche dai professionisti indicati nel secondo e quarto comma dell'articolo 80 della legge.
4. Le attività di osservazione si svolgono sotto la responsabilità del direttore dell'istituto e sono dal medesimo coordinate.
Art. 29.
Programma individualizzato di trattamento
1. Il programma di trattamento contiene le specifiche indicazioni di cui al terzo comma dell'articolo 13 della legge, secondo i principi indicati nel sesto comma dell'articolo 1 della stessa.
2. La compilazione del programma è effettuata da un gruppo di osservazione e trattamento presieduto dal direttore dell'istituto e composto dal personale e dagli esperti che hanno svolto le attività di osservazione indicate nell'articolo 28.
3. Il gruppo tiene riunioni periodiche, nel corso delle quali esamina gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati.
4. La segreteria tecnica del gruppo è affidata, di regola, all'educatore.
Art. 30.
Assegnazione dei detenuti e degli internati agli istituti
1. I condannati e gli internati, all'inizio dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, sono provvisoriamente assegnati in un istituto destinato all'esecuzione del tipo di pena o di misura cui sono stati sottoposti, situato nell'ambito della regione di residenza. Qualora ciò non sia possibile per mancanza di tale istituto o per indisponibilità di posti, l'assegnazione deve avvenire ad altro istituto della stessa categoria situato in località prossima.
2. Nell'istituto di assegnazione provvisoria vengono espletate le attività di osservazione previste dall'articolo 13 della legge.
3. Sulla base della formulazione del programma di trattamento individualizzato viene disposta l'assegnazione definitiva.
4. Per l'assegnazione definitiva dei condannati e degli internati si ha riguardo alla corrispondenza fra le indicazioni del trattamento contenute nel programma individualizzato e il tipo di trattamento organizzato negli istituti ai sensi dell'articolo 115.
5. Alle assegnazioni provvisorie e definitive, che comportino trasferimento dalla circoscrizione di un provveditorato regionale a quella di un altro provveditorato, provvede il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Nell'ambito della stessa circoscrizione dispone il provveditore regionale, informandone il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, fatte salve le assegnazioni dei detenuti e degli internati riservate dalla vigente normativa alla competenza del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Art. 31.
Raggruppamento nelle sezioni
1. Gli istituti penitenziari, al fine di attuare la distribuzione dei condannati e degli internati, secondo i criteri indicati nel secondo comma dell'articolo 14 della legge, sono organizzati in modo da realizzare nel loro interno suddivisioni in sezioni che consentano raggruppamenti limitati di soggetti.
2. Gli imputati che non sono sottoposti all'isolamento previsto dal n. 3) del primo comma dell'articolo 33 della legge, sono assegnati alle varie sezioni nelle quali l'istituto di custodia cautelare è suddiviso, in considerazione della loro età, di precedenti esperienze penitenziarie, della natura colposa o dolosa del reato ascritto e della indole dello stesso.
Art. 32.
Assegnazione e raggruppamento per motivi cautelari
1. I detenuti e gli internati, che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele, anche per la tutela dei compagni da possibili aggressioni o sopraffazioni, sono assegnati ad appositi istituti o sezioni dove sia più agevole adottare le suddette cautele.
2. La permanenza dei motivi cautelari viene verificata semestralmente.
3. Si cura, inoltre, la collocazione più idonea di quei detenuti ed internati per i quali si possano temere aggressioni o sopraffazioni da parte dei compagni. Sono anche utilizzate apposite sezioni a tal fine, ma la assegnazione presso le stesse deve essere frequentemente riesaminata nei confronti delle singole persone per verificare il permanere delle ragioni della separazione delle stesse dalla comunità.
Art. 33.
Regime di sorveglianza particolare
1. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, quando, di propria iniziativa, o su segnalazione o proposta della direzione dell'istituto o su segnalazione dell'autorità giudiziaria, ritiene di disporre o prorogare la sottoposizione a regime di sorveglianza particolare di un detenuto o di un internato ai sensi dell'articolo 14-bis, primo comma, della legge, richiede al direttore dell'istituto la convocazione del consiglio di disciplina, affinché esprima parere nel termine di dieci giorni.
2. L'autorità giudiziaria deve far pervenire i pareri di cui al terzo comma dell'articolo 14-bis della legge al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria entro il termine di dieci giorni.
3. La direzione dell'istituto chiede preventivamente alla autorità giudiziaria competente ai sensi del secondo comma dell'articolo 11 della legge l'autorizzazione ad effettuare il visto di controllo sulla corrispondenza in arrivo ed in partenza, quando tale restrizione è prevista nel provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare. Il provvedimento dell'autorità giudiziaria viene emesso entro il termine di dieci giorni da quello in cui l'ufficio ha ricevuto la richiesta.
4. Del provvedimento che dispone in via provvisoria il regime di sorveglianza particolare e delle restrizioni a cui il detenuto o l'internato è sottoposto, è data comunicazione al medesimo, che sottoscrive per presa visione.
5. I provvedimenti che dispongono in via definitiva o che prorogano il regime di sorveglianza particolare sono comunicati dalla direzione dell'istituto al detenuto o internato mediante rilascio di copia integrale di essi e del provvedimento con cui in precedenza sia stata eventualmente disposta la sorveglianza particolare in via provvisoria.
6. Dei provvedimenti che dispongono o prorogano il regime di sorveglianza particolare e dei reclami proposti e del loro esito è presa nota nella cartella personale.
7. La direzione dell'istituto provvede, di volta in volta, ad inviare al magistrato di sorveglianza le copie di ciascuno dei predetti provvedimenti e degli eventuali reclami proposti dall'interessato.
8. Quando il detenuto o internato sottoposto al regime di sorveglianza particolare viene trasferito, anche temporaneamente, in altro istituto posto nella giurisdizione di un diverso ufficio di sorveglianza, la direzione dell'istituto di destinazione ne dà comunicazione a tale ufficio, trasmettendogli anche le copie dei provvedimenti e dei reclami di cui ai commi precedenti.
9. Il trasferimento ad altro istituto idoneo viene disposto quando nell'istituto in cui il detenuto o l'internato si trova non sia disponibile una sezione nella quale il regime di sorveglianza particolare possa essere attuato senza comportare pregiudizio per la popolazione detenuta o internata e senza pregiudicare l'ordine o la sicurezza. Ove sia necessario, il detenuto o internato sottoposto a regime di sorveglianza può essere trasferito in uno degli istituti o in una delle sezioni di cui all'articolo 32.
Art. 34.
Reclamo avverso il provvedimento di sorveglianza particolare
1. Il reclamo avverso il provvedimento definitivo che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare, se proposto con atto ricevuto dal direttore dell'istituto, è iscritto nel registro previsto dall'articolo 123 del codice di procedura penale e dall'articolo 44 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ed è trasmesso al più tardi entro il giorno successivo in copia autentica al tribunale di sorveglianza, al quale è altresì trasmessa copia della cartella personale dell'interessato e del provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare. In caso di urgenza, la comunicazione è fatta con il mezzo più rapido.
2. Il detenuto o l'internato, nel proporre reclamo, può nominare contestualmente il difensore.
3. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ove non ritenga di provvedere direttamente, può delegare il provveditore regionale o il direttore dell'istituto a presentare al tribunale di sorveglianza memorie relative al provvedimento avverso il quale il detenuto o l'internato ha proposto reclamo.
Art. 35.
Detenuti ed internati stranieri
1. Nell'esecuzione delle misure privative della libertà nei confronti di cittadini stranieri, si deve tenere conto delle loro difficoltà linguistiche e delle differenze culturali. Devono essere favorite possibilità di contatto con le autorità consolari del loro Paese.
2. Deve essere, inoltre, favorito l'intervento di operatori di mediazione culturale, anche attraverso convenzioni con gli enti locali o con organizzazioni di volontariato.
Art. 36.
Regolamento interno
1. L'amministrazione penitenziaria impartisce le direttive indicate nel primo comma dell'articolo 16 della legge, al fine di realizzare le differenti modalità trattamentali indicate nell'articolo 14 della legge stessa, anche attraverso la differenziazione degli istituti.
2. Il regolamento interno, oltre alle modalità degli interventi di trattamento e a quanto previsto dagli articoli 16 e 31 della legge e dagli articoli 8, 10, 11, 13, 14, 37, 67 e 74 del presente regolamento, disciplina, in ogni caso, le seguenti materie:
a) gli orari di apertura e di chiusura degli istituti;
b) gli orari relativi all'organizzazione della vita quotidiana della popolazione detenuta o internata;
c) le modalità relative allo svolgimento dei vari servizi predisposti per i detenuti e per gli internati;
d) gli orari di permanenza nei locali comuni;
e) gli orari, i turni e le modalità di permanenza all'aperto;
f) i tempi e le modalità particolari per i colloqui e la corrispondenza anche telefonica;
g) le affissioni consentite e le relative modalità;
h) i giochi consentiti.
3. Il regolamento interno può disciplinare alcune materie sopraindicate in modo differenziato per particolari sezioni dell'istituto.
4. Nella predisposizione del regolamento interno, la commissione prevista dal secondo comma dell'articolo 16 della legge deve uniformarsi alle direttive impartite dall'amministrazione penitenziaria ai sensi del primo comma dell'articolo 16 della legge e del comma 1 del presente articolo. Nel caso di direttive sopravvenute, le norme del regolamento interno non conformi ad esse cessano di avere applicazione e devono essere modificate dalla commissione, per uniformarle alle direttive medesime, entro venti giorni dal loro ricevimento.
5. Il regolamento interno deve essere portato a conoscenza dei detenuti e internati.
Art. 37.
Colloqui
1. I colloqui dei condannati, degli internati e quelli degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado sono autorizzati dal direttore dell'istituto. I colloqui con persone diverse dai congiunti e dai conviventi sono autorizzati quando ricorrono ragionevoli motivi.
2. Per i colloqui con gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, i richiedenti debbono presentare il permesso rilasciato dall'autorità giudiziaria che procede.
3. Le persone ammesse al colloquio sono identificate e, inoltre, sottoposte a controllo, con le modalità previste dal regolamento interno, al fine di garantire che non siano introdotti nell'istituto strumenti pericolosi o altri oggetti non ammessi.
4. Nel corso del colloquio deve essere mantenuto un comportamento corretto e tale da non recare disturbo ad altri. Il personale preposto al controllo sospende dal colloquio le persone che tengono comportamento scorretto o molesto, riferendone al direttore, il quale decide sulla esclusione.
5. I colloqui avvengono in locali interni senza mezzi divisori o in spazi all'aperto a ciò destinati. Quando sussistono ragioni sanitarie o di sicurezza, i colloqui avvengono in locali interni comuni muniti di elementi divisori. La direzione può consentire che, per speciali motivi, il colloquio si svolga in locale distinto. In ogni caso, i colloqui si svolgono sotto il controllo a vista del personale del Corpo di polizia penitenziaria.
6. Appositi locali sono destinati ai colloqui dei detenuti con i loro difensori.
7. Per i detenuti e gli internati infermi i colloqui possono avere luogo nell'infermeria.
8. I detenuti e gli internati usufruiscono di sei colloqui al mese.
Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell'articolo 4-bis della legge e per i quali si applichi il divieto di benefici ivi previsto, il numero di colloqui non può essere superiore a quattro al mese.
9. Ai soggetti gravemente infermi, o quando il colloquio si svolge con prole di età inferiore a dieci anni ovvero quando ricorrano particolari circostanze, possono essere concessi colloqui anche fuori dei limiti stabiliti nel comma 8.
10. Il colloquio ha la durata massima di un'ora. In considerazione di eccezionali circostanze, è consentito di prolungare la durata del colloquio con i congiunti o i conviventi. Il colloquio con i congiunti o conviventi è comunque prolungato sino a due ore quando i medesimi risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto, se nella settimana precedente il detenuto o l'internato non ha fruito di alcun colloquio e se le esigenze e l'organizzazione dell'istituto lo consentono. A ciascun colloquio con il detenuto o con l'internato possono partecipare non più di tre persone. È consentito di derogare a tale norma quando si tratti di congiunti o conviventi.
11. Qualora risulti che i familiari non mantengono rapporti con il detenuto o l'internato, la direzione ne fa segnalazione al centro di servizio sociale per gli opportuni interventi.
12. Del colloquio, con l'indicazione degli estremi del permesso, si fa annotazione in apposito registro.
13. Nei confronti dei detenuti che svolgono attività lavorativa articolata su tutti i giorni feriali, è favorito lo svolgimento dei colloqui nei giorni festivi, ove possibile.
Art. 38.
Corrispondenza epistolare e telegrafica
1. I detenuti e gli internati sono ammessi a inviare e a ricevere corrispondenza epistolare e telegrafica. La direzione può consentire la ricezione di fax.
2. Al fine di consentire la corrispondenza, l'amministrazione fornisce gratuitamente ai detenuti e agli internati, che non possono provvedervi a loro spese, settimanalmente, l'occorrente per scrivere una lettera e l'affrancatura ordinaria.
3. Presso lo spaccio dell'istituto devono essere sempre disponibili, per l'acquisto, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.
4. Sulla busta della corrispondenza epistolare in partenza il detenuto o l'internato deve apporre il proprio nome e cognome.
5. La corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in partenza, è sottoposta a ispezione al fine di rilevare l'eventuale presenza di valori o altri oggetti non consentiti. L'ispezione deve avvenire con modalità tali da garantire l'assenza di controlli sullo scritto.
6. La direzione, quando vi sia sospetto che nella corrispondenza epistolare, in arrivo o in partenza, siano inseriti contenuti che costituiscono elementi di reato o che possono determinare pericolo per l'ordine e la sicurezza, trattiene la missiva, facendone immediata segnalazione, per i provvedimenti del caso, al magistrato di sorveglianza, o, se trattasi di imputato sino alla pronuncia della sentenza di primo grado, all'autorità giudiziaria che procede.
7. La corrispondenza epistolare, sottoposta a visto di controllo su segnalazione o d'ufficio, è inoltrata o trattenuta su decisione del magistrato di sorveglianza o dell'autorità giudiziaria che procede.
8. Le disposizioni di cui ai commi 6 e 7, si applicano anche ai telegrammi e ai fax in arrivo.
9. Ove la direzione ritenga che un telegramma in partenza non debba essere inoltrato, per i motivi di cui al comma 6, ne informa il magistrato di sorveglianza o l'autorità giudiziaria procedente, che decide se si debba o meno provvedere all'inoltro.
10. Il detenuto o l'internato viene immediatamente informato che la corrispondenza è stata trattenuta.
11. Non può essere sottoposta a visto di controllo la corrispondenza epistolare dei detenuti e degli internati indirizzata ad organismi internazionali amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell'uomo, di cui l'Italia fa parte.
Art. 39.
Corrispondenza telefonica
1. In ogni istituto sono installati uno o più telefoni secondo le occorrenze.
2. I condannati e gli internati possono essere autorizzati dal direttore dell'istituto alla corrispondenza telefonica con i congiunti e conviventi, ovvero, allorché ricorrano ragionevoli e verificati motivi, con persone diverse dai congiunti e conviventi, una volta alla settima. Essi possono, altresì, essere autorizzati ad effettuare una corrispondenza telefonica, con i familiari o con le persone conviventi, in occasione del loro rientro nell'istituto dal permesso o dalla licenza. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell'articolo 4-bis della legge, e per i quali si applichi il divieto dei benefici ivi previsto, il numero dei colloqui telefonici non può essere superiore a due al mese.
3. L'autorizzazione può essere concessa, oltre i limiti stabiliti nel comma 2, in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonché in caso di trasferimento del detenuto.
4. Gli imputati possono essere autorizzati alla corrispondenza telefonica, con la frequenza e le modalità di cui ai commi 2 e 3, dall'autorità giudiziaria procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza.
5. Il detenuto o l'internato che intende intrattenere corrispondenza telefonica deve rivolgere istanza scritta all'autorità competente, indicando il numero telefonico richiesto e le persone con cui deve corrispondere. L'autorizzazione concessa è efficace fino a che non ne intervenga la revoca. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, il richiedente deve anche indicare i motivi che consentono l'autorizzazione, che resta efficace, se concessa, solo fino a che sussistono i motivi indicati. La decisione sulla richiesta, sia in caso di accoglimento che di rigetto, deve essere motivata.
6. Il contatto telefonico viene stabilito dal personale dell'istituto con le modalità tecnologiche disponibili. La durata massima di ciascuna conversazione telefonica è di dieci minuti.
7. L'autorità giudiziaria competente a disporre il visto di controllo sulla corrispondenza epistolare, ai sensi dell'articolo 18 della legge, può disporre che le conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate a mezzo di idonee apparecchiature. È sempre disposta la registrazione delle conversazioni telefoniche autorizzate su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati nell'articolo 4-bis della legge.
8. La corrispondenza telefonica è effettuata a spese dell'interessato, anche mediante scheda telefonica prepagata.
9. La contabilizzazione della spesa avviene per ciascuna telefonata e contestualmente ad essa.
10. In caso di chiama dall'esterno, diretta ad avere corrispondenza telefonica con i detenuti e gli internati, all'interessato può essere data solo comunicazione del nominativo dichiarato dalla persona che ha chiamato, sempre che non ostino particolari motivi di cautela. Nel caso in cui la chiamata provenga da congiunto o convivente anch'esso detenuto, si dà corso alla conversazione, purché entrambi siano stati regolarmente autorizzati ferme restando le disposizioni di cui al comma 7.
Art. 40.
Uso di apparecchi radio e di altri strumenti
1. Ai detenuti e agli internati è consentito usare un apparecchio radio personale. Il direttore, inoltre, può autorizzare l'uso, anche nella camera di pernottamento, di personal computer e di lettori di nastri e di compact disc portatili, per motivi di lavoro o di studio.
2. Apposite prescrizioni ministeriali stabiliranno le caratteristiche, le modalità di uso e la eventuale spesa convenzionale per energia elettrica.
Art. 41.
Corsi di istruzione a livello della scuola d'obbligo
1. Il Ministero della pubblica istruzione, previe opportune intese con il Ministero della giustizia, impartisce direttive agli organi periferici della pubblica istruzione per l'organizzazione di corsi a livello della scuola d'obbligo, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 43, comma 1, relativamente alla scolarità obbligatoria nei corsi di istruzione secondaria superiore. L'attivazione, lo svolgimento e il coordinamento dei corsi di istruzione si attuano preferibilmente sulla base di protocolli di intesa fra i Ministeri predetti.
2. Il dirigente dell'ufficio scolastico regionale, sulla base delle indicazioni e delle richieste formulate dalle direzioni degli istituti penitenziari e dai dirigenti scolastici, concerta con il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, la dislocazione e il tipo dei vari corsi a livello della scuola d'obbligo da istituire nell'ambito del provveditorato, secondo le esigenze della popolazione penitenziaria.
3. L'organizzazione didattica e lo svolgimento dei corsi sono curati dai competenti organi dell'amministrazione scolastica. Le direzioni degli istituti forniscono locali e attrezzature adeguate.
4. Le direzioni degli istituti curano che venga data adeguata informazione ai detenuti e agli internati dello svolgimento dei corsi scolastici e ne favoriscono la più ampia partecipazione. Le direzioni curano che gli orari di svolgimento dei corsi siano compatibili con la partecipazione di persone già impegnate in attività lavorativa o in altre attività organizzate nell'istituto.
Sono evitati, in quanto possibile, i trasferimenti ad altri istituti, dei detenuti ed internati impegnati in attività scolastiche, anche se motivati da esigenze di sfollamento, e qualunque intervento che possa interrompere la partecipazione a tali attività. Le direzioni, quando ritengono opportuno proporre il trasferimento di detenuti o internati che frequentano i corsi, acquisiscono in proposito il parere degli operatori dell'osservazione e trattamento e quello delle autorità scolastiche, pareri che sono uniti alla proposta di trasferimento trasmessa agli organi competenti a decidere. Se viene deciso il trasferimento, lo stesso è attuato, in quanto possibile, in un istituto che assicuri alla persona trasferita la continuità didattica.
5. Per lo svolgimento dei corsi e delle attività integrative dei relativi curricoli, può essere utilizzato dalle autorità scolastiche, d'intesa con le direzioni degli istituti, il contributo volontario di persone qualificate, le quali operano sotto la responsabilità didattica del personale scolastico.6. In ciascun istituto penitenziario è costituita una commissione didattica, con compiti consultivi e propositivi, della quale fanno parte il direttore dell'istituto, che la presiede, il responsabile dell'area trattamentale e gli insegnanti. La commissione è convocata dal direttore e formula un progetto annuale o pluriennale di istruzione.
Art. 42.
Corsi di formazione professionale
1. Le direzioni degli istituti favoriscono la partecipazione dei detenuti a corsi di formazione professionale, in base alle esigenze della popolazione detenuta, italiana e straniera, e alle richieste del mercato del lavoro. A tal fine promuovono accordi con la regione e gli enti locali competenti. Ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 21 della legge, i corsi possono svolgersi in tutto o in parte, con particolare riferimento alle esercitazioni pratiche, all'esterno degli istituti.
2. L'amministrazione penitenziaria promuove protocolli d'intesa con gli enti locali, che garantiscano al detenuto o internato la continuità della frequenza e la possibilità di conseguire il titolo di qualificazione anche dopo la dimissione.
3. Le direzioni degli istituti possono fornire locali e attrezzature adeguate e possono progettare, d'intesa con il provveditorato regionale, attività formative rispondenti a esigenze particolari dei detenuti e degli internati e tali da sviluppare il lavoro penitenziario.
4. Le direzioni degli istituti curano che venga data adeguata informazione ai detenuti ed agli internati dello svolgimento dei corsi e ne favoriscono la più ampia partecipazione. Le direzioni curano che gli orari di svolgimento dei corsi siano compatibili con la partecipazione di persone già impegnate in attività lavorativa o in altre attività organizzate in istituto. Sono evitati, in quanto possibile, i trasferimenti ad altri istituti dei detenuti ed internati impegnati nei corsi, anche se motivati da esigenze di sfollamento, e qualunque intervento che possa interrompere la partecipazione a tali attività. Le direzioni, quando il trasferimento di detenuti o internati che frequentano i corsi derivi da motivi di opportunità, acquisiscono in proposito il parere degli operatori dell'osservazione e trattamento e quello degli insegnanti, pareri che sono uniti alla proposta di trasferimento trasmessa agli organi competenti a decidere. Se viene deciso il trasferimento, lo stesso è attuato, in quanto possibile, in un istituto che assicuri alla persona trasferita la continuità didattica.
5. Per lo svolgimento dei programmi e per le attività integrative di essi, può essere utilizzato d'intesa con le direzioni degli istituti, il contributo volontario di persone qualificate, le quali operano sotto la responsabilità del personale degli enti locali.
6. Si applica il comma 6 dell'articolo 41.
Art. 43.
Corsi di istruzione secondaria superiore
1. I corsi di istruzione secondaria superiore, comprensivi della scolarità obbligatoria prevista dalle vigenti disposizioni, sono organizzati, su richiesta dell'amministrazione penitenziaria, dal Ministero della pubblica istruzione a mezzo della istituzione di succursali di scuole del predetto livello in determinati istituti penitenziari. La dislocazione di tali succursali è decisa con riferimento alle indicazioni del protocollo di intesa di cui al comma 1 dell'articolo 41, assicurando la presenza di almeno una delle succursali predette in ogni regione.
2. A tali corsi sono ammessi detenuti e internati che manifestano seria aspirazione allo svolgimento degli studi e che debbano permanere in esecuzione della misura privativa della libertà per un periodo di tempo non inferiore ad un anno scolastico.
3. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 dell'articolo 41.
4. Per agevolare i condannati e gli internati che non siano in condizioni di frequentare i corsi regolari, la direzione dell'istituto può concordare con un vicino istituto d'istruzione secondaria superiore, le modalità di organizzazione di percorsi individuali di preparazione agli esami, per l'accesso agli anni di studio intermedi dei corsi di istruzione secondaria superiore. A tal fine possono essere utilizzate anche persone dotate della necessaria qualificazione professionale. Analoga agevolazione è offerta agli imputati.
5. Sono stabilite intese con le autorità scolastiche per offrire la possibilità agli studenti di sostenere gli esami previsti per i vari corsi.
6. Qualora non sia possibile rendere compatibile lo svolgimento dei corsi di studio con quello della attività di lavoro, come previsto dal comma 4 dell'articolo 41, i condannati e gli internati, durante la frequenza dei corsi, previsti dal comma 1 del presente articolo, sono esonerati dal lavoro. Coloro che seguono i corsi di preparazione, di cui al comma 4, possono essere esonerati dal lavoro, a loro richiesta.
Art. 44.
Studi universitari
1. I detenuti e gli internati, che risultano iscritti ai corsi di studio universitari o che siano in possesso dei requisiti per l'iscrizione a tali corsi, sono agevolati per il compimento degli studi.
2. A tal fine, sono stabilite le opportune intese con le autorità accademiche per consentire agli studenti di usufruire di ogni possibile aiuto e di sostenere gli esami.
3. Coloro che seguono corsi universitari possono essere esonerati dal lavoro, a loro richiesta, in considerazione dell'impegno e del profitto dimostrati.
4. I detenuti e internati, studenti universitari, sono assegnati, ove possibile, in camere e reparti adeguati allo svolgimento dello studio, rendendo, inoltre, disponibili per loro, appositi locali comuni. Gli studenti possono essere autorizzati a tenere nella propria camera e negli altri locali di studio, i libri, le pubblicazioni e tutti gli strumenti didattici necessari al loro studio.
Art. 45.
Benefici economici per gli studenti
1. Per la frequenza dei corsi di formazione professionale è corrisposto un sussidio orario nella misura determinata con decreto ministeriale.
2. I corsi possono svolgersi anche durante le ore lavorative solo nel caso in cui non risulti possibile lo svolgimento in tempi diversi da quelli delle attività di studio e di lavoro. In tal caso i detenuti e gli internati che li frequentano, percepiscono, per il lavoro prestato, una mercede proporzionata al numero delle ore di lavoro effettivamente svolto, oltre al sussidio previsto nel comma 1, per le ore di effettiva frequenza ai corsi.
3. Per la frequenza ai corsi di istruzione secondaria di secondo grado, i detenuti ricevono un sussidio giornaliero, nella misura determinata con decreto ministeriale per ciascuna giornata di frequenza o di assenza non volontaria. Nell'intervallo tra la chiusura dell'anno scolastico e l'inizio del nuovo corso, agli studenti è corrisposto un sussidio ridotto per i giorni feriali, nella misura determinata con decreto ministeriale, purché abbiano superato con esito positivo il corso effettuato nell'anno scolastico e non percepiscano mercede.
4. A conclusione di ciascun anno scolastico, agli studenti che seguono corsi individuali di scuola di istruzione secondaria di secondo grado e che hanno superato gli esami con effetti legali, nonché agli studenti che seguono corsi presso università pubbliche o equiparate e che hanno superato tutti gli esami del loro anno, vengono rimborsate, qualora versino in disagiate condizioni economiche, le spese sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo, e viene corrisposto un premio di rendimento nella misura stabilita dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
5. I corsi a livello di scuola d'obbligo possono svolgersi anche durante le ore lavorative solo nel caso in cui non risulti possibile lo svolgimento in tempi diversi da quelli delle attività di studio e di lavoro, come indicato nel comma 4 dell'articolo 41. In tal caso, i detenuti e gli internati che li frequentano percepiscono, per il lavoro prestato, una mercede proporzionata al numero delle ore di lavoro effettivamente svolto.
6. Ai detenuti e agli internati che hanno superato con esito positivo il corso frequentato, è corrisposto un premio di rendimento nella misura stabilita dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
7. I soggetti che fruiscono di assegni o borse di studio non percepiscono i benefici economici previsti dal presente articolo.
8. L'importo complessivo dei sussidi e dei premi di rendimento, previsti dal presente articolo, è determinato annualmente con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Art. 46.
Esclusione dai corsi di istruzione e di formazione professionale
1. Il detenuto o l'internato che, nei corsi di istruzione, anche individuale, o in quello di formazione professionale, tenga un comportamento che configuri sostanziale inadempimento dei suoi compiti è escluso dal corso.
2. Il provvedimento di esclusione dal corso è adottato dal direttore dell'istituto sentito il parere del gruppo di osservazione e trattamento e delle autorità scolastiche e deve essere motivato, particolarmente nel caso in cui l'esclusione sia disposta in difformità dal parere espresso dalle autorità predette. Il provvedimento può essere sempre revocato ove il complessivo comportamento del detenuto o dell'internato ne consenta la riammissione ai corsi.
Art. 47.
Organizzazione del lavoro
1. Le lavorazioni penitenziarie, sia all'interno sia all'esterno dell'istituto, possono essere organizzate e gestite dalle direzioni degli istituti, secondo le linee programmatiche determinate dai provveditorati.
Allo stesso modo possono essere organizzate e gestite da imprese pubbliche e private e, in particolare, da imprese cooperative sociali, in locali concessi in comodato dalle direzioni.
I rapporti fra la direzione e le imprese sono definiti con convenzioni che regolano anche l'eventuale utilizzazione, eventualmente in comodato, dei locali e delle attrezzature già esistenti negli istituti, nonché le modalità di addebito all'impresa, delle spese sostenute per lo svolgimento della attività produttiva. I detenuti e internati che prestano la propria opera in tali lavorazioni, dipendono, quanto al rapporto di lavoro, direttamente dalle imprese che le gestiscono. I datori di lavoro sono tenuti a versare alla direzione dell'istituto, la retribuzione dovuta al lavoratore, al netto delle ritenute previste dalla legge, e l'importo degli eventuali assegni per il nucleo familiare, sulla base della documentazione inviata dalla direzione. I datori di lavoro devono dimostrare alla direzione l'adempimento degli obblighi relativi alla tutela assicurativa e previdenziale.
2. Le lavorazioni interne dell'istituto, sono organizzate, in quanto possibile, in locali esterni alle sezioni detentive, attrezzati con spazi per la consumazione dei pasti durante l'orario di lavoro.
3. Le convenzioni di cui al comma 1, particolarmente con cooperative sociali, possono anche avere ad oggetto servizi interni, come quello di somministrazione del vitto, di pulizia e di manutenzione dei fabbricati.
4. L'amministrazione penitenziaria, deve, di regola, utilizzare le lavorazioni penitenziarie per le forniture di vestiario e corredo, nonché per le forniture di arredi e quant'altro necessario negli istituti. Gli ordinativi di lavoro fra gli istituti non implicano alcun rapporto economico fra gli stessi, dovendosi solo accertare da parte del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria o del provveditorato regionale, secondo la rispettiva competenza, la fondatezza della richiesta e la possibilità di produzione dei beni necessari, presso l'istituto al quale l'ordinativo viene indirizzato.
Il ricorso per le forniture suindicate a imprese esterne, si giustifica soltanto quando vi sia una significativa convenienza economica, per la valutazione della quale si deve tenere conto anche della funzione essenziale di attuazione del trattamento penitenziario alla quale devono assolvere le lavorazioni penitenziarie.
5. La produzione è destinata a soddisfare, nell'ordine, le commesse dell'amministrazione penitenziaria, delle altre amministrazioni statali, di enti pubblici e di privati.
6. Le commesse di lavoro delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici sono distribuite dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che a tal fine tiene gli opportuni contatti anche con i Provveditorati dello Stato. Le direzioni possono accogliere direttamente le commesse di lavoro provenienti dai privati.
7. Quando le commesse provengono da imprese pubbliche o private, può essere convenuto che il committente fornisca materie prime e accessorie, attrezzature e personale tecnico. Del valore di queste prestazioni si tiene conto al fine di determinare le incidenze sui costi e il conseguente prezzo dei prodotti.
8. Se le commesse non sono sufficienti ad assorbire la capacità di mano d'opera delle lavorazioni penitenziarie, l'amministrazione, previa analisi delle possibilità di assorbimento del mercato, può organizzare e gestire lavorazioni dirette alla produzione di determinati beni, che vengono offerti in libera vendita anche a mezzo di imprese pubbliche.
9. Le direzioni degli istituti penitenziari, quando, per favorire la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro, ritengono opportuno vendere i prodotti delle lavorazioni penitenziarie a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, ai sensi del tredicesimo comma dell'articolo 20 della legge, richiedono informazioni sui prezzi praticati per prodotti corrispondenti nel mercato all'ingrosso della zona in cui è situato l'istituto, alla camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura, o all'ufficio tecnico erariale o all'autorità comunale, al fine di stabilire i prezzi di vendita dei prodotti.
10. I posti di lavoro, a disposizione della popolazione detenuta di ciascun istituto, sono fissati in un'apposita tabella predisposta dalla direzione e distinta tra lavorazioni interne, lavorazioni esterne, servizi di istituto. Nella tabella, sono, altresì, indicati i posti di lavoro disponibili all'interno per il lavoro a domicilio, nonché i posti di lavoro disponibili all'esterno. La tabella è modificata secondo il variare della situazione ed è approvata dal provveditore regionale.
11. Negli istituti per minorenni, particolare cura è esplicata nell'organizzazione delle attività lavorative per la formazione professionale.
Art. 48.
Lavoro esterno
1. L'ammissione dei condannati e degli internati al lavoro all'esterno è disposta dalle direzioni solo quando ne è prevista la possibilità nel programma di trattamento e diviene esecutiva solo quando il provvedimento sia stato approvato dal magistrato di sorveglianza, ai sensi del quarto comma dell'articolo 21 della legge.
2. L'ammissione degli imputati al lavoro all'esterno, disposta dalle direzioni su autorizzazione della competente autorità giudiziaria, ai sensi del secondo comma dell'articolo 21 della legge, è comunicata al magistrato di sorveglianza.
3. La direzione dell'istituto deve motivare la richiesta di approvazione del provvedimento o la richiesta di autorizzazione all'ammissione al lavoro all'esterno, anche con riguardo all'opportunità della previsione della scorta, corredandola di tutta la necessaria documentazione.
4. Il magistrato di sorveglianza o l'autorità giudiziaria procedente, a seconda dei casi, nell'approvare il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno del condannato o internato o nell'autorizzare l'ammissione al lavoro all'esterno dell'imputato, deve tenere conto del tipo di reato, della durata, effettiva o prevista, della misura privativa della libertà e della residua parte di essa, nonché dell'esigenza di prevenire il pericolo che l'ammesso al lavoro all'esterno commetti altri reati.
5. I detenuti e gli internati ammessi al lavoro all'esterno indossano abiti civili; ad essi non possono essere imposte manette.
6. La scorta dei detenuti e degli internati ammessi al lavoro all'esterno, qualora sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza, è effettuata dal personale del Corpo di polizia penitenziaria, con le modalità stabilite dalla direzione dell'istituto. Il personale del Corpo di polizia penitenziaria, specificamente comandato, nonché il personale della polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, possono effettuare controlli del detenuto durante il lavoro all'esterno.
7. L'accompagnamento dei minori ai luoghi di lavoro esterno, qualora sia ritenuto necessario per motivi di sicurezza, può essere effettuato da personale dell'amministrazione penitenziaria appartenente a ogni qualifica.
8. Al fine di consentire l'assegnazione dei detenuti e degli internati ai lavoro all'esterno, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ricerca, nell'ambito della disciplina vigente, forme di collaborazione con le autorità competenti.
9. Il provveditore regionale impartisce disposizioni alle direzioni degli istituti dipendenti per favorire la piena occupazione dei posti di lavoro disponibili all'esterno.
10. I datori di lavoro dei detenuti o internati, sono tenuti a versare, alla direzione dell'istituto, la retribuzione, al netto delle ritenute previste dalle leggi vigenti, dovuta al lavoratore e l'importo degli eventuali assegni per il nucleo familiare, sulla base della documentazione inviata alla direzione. I datori di lavoro devono dimostrare alla stessa direzione l'adempimento degli obblighi relativi alla tutela assicurativa e previdenziale.
11. I detenuti e gli internati ammessi al lavoro all'esterno esercitano i diritti riconosciuti ai lavoratori liberi, con le sole limitazioni che conseguono agli obblighi inerenti alla esecuzione della misura privata della libertà.
12. L'ammissione al lavoro all'esterno, per lo svolgimento di lavoro autonomo, può essere disposta, ove sussistano le condizioni, di cui al primo comma dell'articolo 21 della legge, solo se trattasi di attività regolarmente autorizzata dagli organi competenti ed il detenuto o l'internato dimostri di possedere le attitudini necessarie e si possa dedicare ad essa con impegno professionale. Il detenuto o l'internato è tenuto a versare alla direzione dell'istituto l'utile finanziario derivante dal lavoro autonomo svolto e su di esso vengono effettuati i prelievi, ai sensi del primo comma dell'articolo 24 della legge.
13. Nel provvedimento di assegnazione al lavoro all'esterno senza scorta, devono essere indicate le prescrizioni che il detenuto o internato deve impegnarsi per iscritto a rispettare durante il tempo da trascorrere fuori dall'istituto, nonché quelle relative agli orari di uscita e di rientro, tenuto anche conto della esigenza di consumazione dei pasti e del mantenimento dei rapporti con la famiglia, secondo le indicazioni del programma di trattamento.
Inoltre, l'orario di rientro deve essere fissato all'interno di una fascia oraria che preveda l'ipotesi di ritardo per forza maggiore.
Scaduto il termine previsto da tale fascia oraria, viene inoltrato a carico del detenuto rapporto per il reato previsto dall'articolo 385 del codice penale.
14. La direzione dell'istituto provvede a consegnare, al detenuto o internato, ed a trasmettere al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al provveditore regionale ed al direttore del centro di servizio sociale, copia del provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno, dandone notizia all'autorità di pubblica sicurezza del luogo in cui si dovrà svolgere il lavoro all'esterno.
15. Le eventuali modifiche delle prescrizioni e la revoca del provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno, sono comunicate al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al provveditore regionale e al magistrato di sorveglianza, per i condannati e gli internati, o alla autorità giudiziaria procedente, per gli imputati.
La revoca del provvedimento di ammissione al lavoro esterno diviene esecutiva dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza. Il direttore dell'istituto può disporre, con provvedimento motivato, la sospensione dell'efficacia dell'ammissione al lavoro all'esterno, in attesa della approvazione da parte del magistrato di sorveglianza del provvedimento di revoca.
16. I controlli, di cui al terzo comma dell'articolo 21 della legge, sono diretti a verificare che il detenuto o l'internato osservi le prescrizioni dettategli e che il lavoro si svolga nel pieno rispetto dei diritti e della dignità.
17. La disposizione, di cui al terzo comma dell'articolo 21 della legge, si applica anche nel caso di ammissione al lavoro all'esterno per svolgere un lavoro autonomo.
18. Quando il lavoro si svolge presso imprese pubbliche, il direttore dell'istituto cura l'adozione di precisi accordi con i responsabili di dette imprese per l'immediata segnalazione alla direzione stessa di eventuali comportamenti del detenuto o internato lavoratore che richiedano interventi di controllo.
Art. 49.
Criteri di priorità per l'assegnazione al lavoro all'interno degli istituti
1. Nella determinazione delle priorità per l'assegnazione dei detenuti e degli internati al lavoro si ha riguardo agli elementi indicati nel sesto comma dell'articolo 20 della legge.
2. Il direttore dell'istituto assicura imparzialità e trasparenza nelle assegnazioni al lavoro avvalendosi anche del gruppo di osservazione e trattamento.
Art. 50.
Obbligo del lavoro
1. I condannati e i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro, che non siano stati ammessi al regime di semilibertà o al lavoro all'esterno o non siano stati autorizzati a svolgere attività artigianali, intellettuali o artistiche o lavoro a domicilio, per i quali non sia disponibile un lavoro rispondente ai criteri indicati nel sesto comma dell'articolo 20 della legge, sono tenuti a svolgere un'altra attività lavorativa tra quelle organizzate nell'istituto.
Art. 51.
Attività artigianali, intellettuali o artistiche
1. Le attività artigianali, intellettuali e artistiche si svolgono, fuori delle ore destinate al lavoro ordinario, in appositi locali o, in casi particolari, nelle camere, se ciò non comporti l'uso di attrezzi ingombranti o pericolosi o non arrechi molestia.
2. Gli imputati possono essere ammessi ad esercitare tali attività, a loro richiesta anche nelle ore dedicate al lavoro.
3. I condannati e gli internati che richiedono di svolgere attività artigianali, intellettuali o artistiche durante le ore di lavoro, possono esservi autorizzati ed esonerati dal lavoro ordinario, quando dimostrino di possedere le attitudini previste dal quattordicesimo comma dell'articolo 20 della legge e si dedichino ad esse con impegno professionale.
4. Le autorizzazioni, sentito il gruppo di osservazione e trattamento, sono date dal direttore dell'istituto che determina le prescrizioni da osservare anche in relazione al rimborso delle spese eventualmente sostenute dall'amministrazione.
5. Può essere consentito l'invio dei beni prodotti a destinatari fuori dall'istituto, senza spese per l'amministrazione.
6. Sull'utile finanziario derivante dall'attività artigianale, intellettuale o artistica, percepito dal condannato o dall'internato, anche in semilibertà o al lavoro all'esterno, vengono effettuati i prelievi ai sensi dell'articolo 24, primo comma, della legge.
Art. 52.
Lavoro a domicilio
1. Il lavoro a domicilio all'interno dell'istituto penitenziario può essere svolto, nel rispetto della normativa in materia, anche durante le ore destinate al lavoro ordinario, con l'osservanza delle modalità e condizioni di cui all'articolo 51.
Art. 53.
Esclusione dalle attività lavorative
1. L'esclusione dall'attività lavorativa è adottata dal direttore dell'istituto, sentito il parere dei componenti del gruppo di osservazione, nonché, se del caso, del preposto alle lavorazioni e del datore di lavoro, nei casi in cui il detenuto o l'internato manifesti un sostanziale rifiuto nell'adempimento dei suoi compiti e doveri lavorativi.
Art. 54.
Lavoro in semilibertà
1. I datori di lavoro dei condannati e degli internati in regime di semilibertà sono tenuti a versare alla direzione dell'istituto la retribuzione al netto delle ritenute previste dalle leggi vigenti e l'importo degli eventuali assegni per il nucleo familiare dovuti al lavoratore. I datori di lavoro devono anche dimostrare alla stessa direzione l'adempimento degli obblighi relativi alla tutela assicurativa e previdenziale.
2. I condannati e gli internati ammessi al lavoro in semilibertà esercitano i diritti riconosciuti ai lavoratori liberi con le sole limitazioni che conseguono agli obblighi inerenti alla esecuzione della misura privativa della libertà.
3. I condannati e gli internati ammessi al lavoro autonomo in semilibertà versano alla direzione dell'istituto i corrispettivi al netto delle ritenute non appena percepiti.
Art. 55.
Assegni per il nucleo familiare
1. I detenuti e gli internati lavoratori devono fornire alla direzione dell'istituto la documentazione, per essi prescritta, intesa a dimostrare il diritto agli assegni per il nucleo familiare per le persone a carico.
2. Qualora il detenuto o l'internato non provveda a fornire la documentazione, la direzione ne informa le persone a carico, invitandole a provvedervi.
3. Ove i soggetti o le persone a carico incontrino difficoltà nella produzione dei documenti richiesti, la direzione provvede direttamente all'acquisizione, chiedendo agli uffici competenti le certificazioni necessarie.
4. Gli importi sono consegnati direttamente alle persone a carico o spediti alle stesse.
5. Se la persona a carico è incapace, gli assegni sono versati al suo legale rappresentante o, se questi è lo stesso detenuto o internato, alla persona a cui l'incapace è affidato.
Art. 56.
Prelievi sulla remunerazione
1. Il prelievo della quota di remunerazione a titolo di rimborso delle spese di mantenimento e i prelievi previsti dal secondo comma, numeri 1) e 3), dell'articolo 145 del codice penale nei confronti dei condannati si effettuano in occasione di ogni liquidazione della remunerazione.
2. Ferma restando la competenza del giudice dell'esecuzione per le controversie relative all'attribuzione e alla liquidazione delle spese di mantenimento, sui reclami relativi all'ordine seguito nei prelievi di cui all'articolo 145 del codice penale decide il magistrato di sorveglianza.
Art. 57.
Peculio
1. Il peculio dei condannati e degli internati si distingue in fondo vincolato e fondo disponibile.
2. È destinata al fondo vincolato la quota di un quinto della mercede. La rimanente parte del peculio costituisce il fondo disponibile, che non può superare il limite di due milioni di lire.
L'eventuale eccedenza non fa parte del peculio e, salvo che non debba essere immediatamente utilizzata per spese inerenti alla difesa legale, al pagamento di multe o ammende, nonché al pagamento di debiti, viene inviata ai familiari o conviventi secondo le indicazioni dell'interessato, o depositata a suo nome presso un istituto bancario o un ufficio postale.
3. Il fondo vincolato non può essere utilizzato nel corso della esecuzione delle misure privative della libertà. Tuttavia, in considerazione di particolari motivazioni il direttore dell'istituto può autorizzare l'utilizzazione di parte del fondo vincolato.
4. Il fondo disponibile può essere usato per invii ai familiari o conviventi, per acquisti autorizzati, per la corrispondenza, per spese inerenti alla difesa legale, al pagamento di multe, ammende o debiti e per tutti gli altri usi rispondenti a finalità trattamentali. Il pagamento delle spese inerenti alla difesa legale avviene su presentazione della parcella o della richiesta scritta di anticipo sulla medesima, recante l'indicazione degli estremi del procedimento, se questo è in corso; una copia della parcella o della richiesta di anticipo viene conservata dalla direzione dell'istituto.
5. Il peculio degli imputati è interamente disponibile e non può superare il limite di quattro milioni.
6. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria stabilisce, all'inizio di ciascun anno, l'ammontare delle somme che possono essere spese per gli acquisti e la corrispondenza e di quelle che possono essere inviate ai familiari o conviventi.
7. La disposizione del comma 6 è derogabile su autorizzazione del direttore dell'istituto solo per acquisti di strumenti, oggetti e libri occorrenti per attività di studio e di lavoro.
8. La direzione dell'istituto, alla fine di ciascun anno finanziario, procede alla determinazione e all'accredito degli interessi legali maturati sul peculio di ciascun detenuto o internato presente nell'istituto.
9. Gli interessi si calcolano sui saldi di fine mese.
10. Al detenuto o all'internato dimesso la direzione dell'istituto corrisponde la somma costituente il peculio e l'importo degli interessi maturati. Il fondo dei detenuti e degli internati eccedente gli ordinari bisogni della cassa dell'istituto per il servizio relativo al fondo stesso è versato alla Cassa depositi e prestiti.
L'ammontare degli interessi corrisposti dalla Cassa depositi e prestiti è versato all'erario.
11. Al condannato o all'internato ammesso al regime di semilibertà sono consegnate somme in contanti prelevate dal fondo disponibile, in relazione alle spese che egli deve sostenere, anche in eccesso al limite fissato nel comma 6.
12. Al detenuto o all'internato in permesso o in licenza è consegnata una somma in contanti prelevata dal peculio disponibile, nella misura richiesta dalle circostanze.
13. I limiti di somme determinati nel presente articolo possono essere variati con decreto del Ministro della giustizia.
Art. 58.
Manifestazioni della libertà religiosa
1. I detenuti e gli internati hanno diritto di partecipare ai riti della loro confessione religiosa purché compatibili con l'ordine e la sicurezza dell'istituto e non contrari alla legge, secondo le disposizioni del presente articolo.
2. È consentito ai detenuti e agli internati che lo desiderino di esporre, nella propria camera individuale o nel proprio spazio di appartenenza nella camera a più posti, immagini e simboli della propria confessione religiosa.
3. È consentito, durante il tempo libero, a singoli detenuti e internati di praticare il culto della propria professione religiosa, purché non si esprima in comportamenti molesti per la comunità.
4. Per la celebrazione dei riti del culto cattolico, ogni istituto è dotato di una o più cappelle in relazione alle esigenze del servizio religioso. Fino all'entrata in vigore delle disposizioni di esecuzione dell'intesa di cui all'articolo 11, comma 2, dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121, le pratiche di culto, l'istruzione e l'assistenza spirituale dei cattolici sono assicurate da uno o più cappellani in relazione alle esigenze medesime, negli istituti in cui operano più cappellani, l'incarico di coordinare il servizio religioso è affidato ad uno di essi dal provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, ovvero, se trattasi di istituti per minorenni, dal direttore del centro di rieducazione minorenni, sentito l'ispettore dei cappellani.
5. Per l'istruzione religiosa le pratiche di culto di appartenenti ad altre confessioni religiose, anche in assenza di ministri di culto, la direzione dell'istituto mette a disposizione idonei locali.
6. La direzione dell'istituto, al fine di assicurare ai detenuti e agli internati che ne facciano richiesta, l'istruzione e l'assistenza spirituale, nonché la celebrazione dei riti delle confessioni diverse da quella cattolica, si avvale dei ministri di culto indicati da quelle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato italiano sono regolati con legge; si avvale altresì dei ministri di culto indicati a tal fine dal Ministero dell'interno; può, comunque, fare ricorso, anche fuori dei casi suindicati, a quanto disposto dall'articolo 17, secondo comma, della legge.
Art. 59.
Attività culturali, ricreative e sportive
1. I programmi delle attività culturali, ricreative e sportive sono articolati in modo da favornire possibilità di espressioni differenziate.
Tali attività devono essere organizzate in modo da favorire la partecipazione dei detenuti e internati lavoratori e studenti.
2. I programmi delle attività sportive sono rivolti, in particolare, ai giovani; per il loro svolgimento deve essere sollecitata la collaborazione degli enti nazionali e locali preposti alla cura delle attività sportive.
3. I rappresentanti dei detenuti e degli internati nella commissione prevista dall'articolo 27 della legge sono nominati con le modalità indicate dall'articolo 67 del presente regolamento, nel numero di tre o cinque, rispettivamente, per gli istituti con un numero di detenuti o di internati presenti non superiore o superiore a cinquecento unità.
4. La commissione, avvalendosi anche della collaborazione dei detenuti e degli internati indicati nell'articolo 71, cura l'organizzazione delle varie attività in corrispondenza alle previsioni dei programmi.
5. Le riunioni delle commissioni si svolgono durate il tempo libero.
6. Nella organizzazione e nello svolgimento delle attività, la direzione può avvalersi dell'opera degli assistenti volontari e delle persone indicate nell'articolo 17 della legge.
Art. 60.
Attività organizzate per i detenuti e gli internati che non lavorano
1. La direzione si adopera per organizzare, in coincidenza con le ore di lavoro. attività di tempo libero per i soggetti che, indipendentemente dalla loro volontà, non svolgono attività lavorativa.
Art. 61.
Rapporti con la famiglia e progressione nel trattamento
1. La predisposizione dei programmi di intervento per la cura dei rapporti dei detenuti e degli internati con le loro famiglie è concertata fra i rappresentanti delle direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale.
2. Particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale. A tal fine, secondo le specifiche indicazioni del gruppo di osservazione, il direttore dell'istituto può:
a) concedere colloqui oltre quelli previsti dall'articolo 37;
b) autorizzare la visita da parte delle persone ammesse ai colloqui, con il permesso di trascorrere parte della giornata insieme a loro in appositi locali o all'aperto e di consumare un pasto in compagnia, ferme restando le modalità previste dal secondo comma dell'articolo 18 della legge.
Art. 62.
Comunicazione dell'ingresso in istituto
1. Immediatamente dopo l'ingresso nell'istituto penitenziario, sia in caso di provenienza dalla libertà, sia in caso di trasferimento, al detenuto e all'internato viene richiesto, da parte degli operatori penitenziari, se intenda dar notizia del fatto a un congiunto o ad altra persona, indicata e, in caso positivo, se vuole avvalersi del mezzo postale ordinario o telegrafico. Della dichiarazione è redatto processo verbale.
2. La comunicazione, contenuta in un lettera in busta aperta o in modulo di telegramma e limitata alla sola notizia relativa al primo ingresso nell'istituto penitenziario o all'avvenuto trasferimento, è presentata alla direzione, che provvede immediatamente all'inoltro, a carico dell'interessato. Se si tratta di minore o di detenuto o internato privo di fondi, la spesa è a carico dell'amministrazione.
3. Se si tratta di straniero, l'ingresso nell'istituto è comunicato all'autorità consolare nei casi e con le modalità previste dalla normativa vigente.
Art. 63.
Comunicazione di infermità e di decessi
1. In caso di grave infermità fisica o psichica o di decesso di un detenuto o di un internato, la direzione dell'istituto ne dà immediata comunicazione a un congiunto e alla persona eventualmente da lui indicata, a cura e spese dell'amministrazione con il mezzo più rapido e le modalità più opportune.
2. Non appena la direzione dell'istituto ha notizia della grave infermità o del decesso di un congiunto del detenuto o dell'internato, o di altra persona con cui questi è abitualmente in contatto, deve darne immediata comunicazione all'interessato nelle forme più convenienti.
3. Del decesso di un detenuto o di un internato è data immediata comunicazione anche al magistrato di sorveglianza.
Art. 64.
Permessi
1. I permessi, previsti dal primo e secondo comma dell'articolo 30 della legge, sono concessi su domanda e hanno una durata massima di cinque giorni, oltre al tempo necessario per raggiungere il luogo dove il detenuto o l'internato deve recarsi.
2. Nel provvedimento di concessione sono stabilite le opportune prescrizioni ed è in ogni caso specificato se il detenuto o l'internato deve o meno essere scortato per tutto o per parte del tempo del permesso, avuto riguardo alla personalità del soggetto e all'indole del reato di cui è imputato o per il quale è stato condannato.
3. Al fine di acquisire elementi di valutazione sulla personalità del soggetto, il magistrato di sorveglianza o la competente autorità giudiziaria chiede alla direzione dell'istituto le necessarie informazioni.
4. Per i permessi di durata superiore alle dodici ore può esser disposto che il detenuto o l'internato trascorra la notte in un istituto penitenziario.
5. Le operazioni di scorta sono effettuate dal Corpo di polizia penitenziaria. Nel provvedimento di concessione del permesso possono essere specificate le modalità.
6. Nel caso in cui risulti che il permesso deve essere eseguito in luogo diverso da quello indicato nel provvedimento, vengono rinnovati con la massima urgenza, se necessario, gli accertamenti con riferimento alla situazione e al luogo di effettiva esecuzione. Il conseguente provvedimento è comunicato ai sensi del terzo comma dell'articolo 30-bis della legge.
Art. 65.
Permessi premio
1. Il direttore dell'istituto deve corredare la domanda del condannato di concessione del permesso premio con l'estratto della cartella personale contenente tutte le notizie di cui all'articolo 26, esprimendo il proprio parere motivato al magistrato di sorveglianza, avuto riguardo alla condotta del condannato, alla sua pericolosità sociale, ai motivi addotti, ai risultati dell'osservazione scientifica della personalità espletata e del trattamento rieducativo praticato, nonché alla durata della pena detentiva inflitta ed alla durata della pena ancora da scontare.
2. Nell'adottare il provvedimento di concessione, il magistrato di sorveglianza stabilisce le opportune prescrizioni relative alla dimora e, ove occorra, al domicilio del condannato durante il permesso, sulla base delle informazioni eventualmente assunte, ad integrazione di quelle già disponibili, a mezzo degli organi di polizia.
3. Durante il permesso premio, i controlli del condannato sono effettuati dall'Arma dei carabinieri o dalla Polizia di Stato. In casi particolari l'amministrazione penitenziaria può disporre ulteriori controlli da parte del personale del Corpo di polizia penitenziaria.
4. In fase di esecuzione del provvedimento, gli operatori penitenziari, designati dal direttore dell'istituto e da quello del centro di servizio sociale, forniscono, se necessario, al condannato e ai servizi assistenziali territoriali, le indicazioni utili a stabilire validi collegamenti per gli eventuali problemi di competenza degli enti locali.
5. Qualora il permesso premio debba essere fruito in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto, il direttore dell'istituto di provenienza ne dà comunicazione alla direzione dell'istituto ed al centro di servizio sociale territorialmente competenti, affinché di concerto con gli operatori sociali del territorio, possano effettuare gli interventi di competenza, secondo quanto previsto dai commi 4 e 6, riferendo poi alle direzioni dell'istituto e del centro di servizio sociale competenti.
6. Il condannato in permesso, in caso di necessità, può rivolgersi all'istituto ed al centro di servizio sociale territorialmente competenti, che saranno informati e forniti di documentazione adeguata nei tempi più rapidi. L'interessato può segnalare le proprie esigenze, in ordine alle quali l'istituto o il centro si attiva per dare la più opportuna e tempestiva risposta secondo le rispettive competenze istituzionali.
Art. 66.
Comunicazioni all'autorità di pubblica sicurezza
1. Dei provvedimenti esecutivi di concessione dei permessi, previsti dagli articoli 64 e 65, il direttore dell'istituto, presso il quale l'interessato si trova, dà notizia senza ritardo al prefetto della provincia nel cui territorio è sito il comune ove il permesso deve essere fruito.
Art. 67.
Garanzie di sorteggio delle rappresentanze
1. Le modalità dei sorteggi dei componenti delle rappresentanze, previste dagli articoli 9, 12, 20, e 27 della legge, sono disciplinate dal regolamento interno in maniera da garantire uguali possibilità di nomina per tutti i detenuti e gli internati. Con il medesimo sorteggio sono nominati i rappresentanti in carica e i loro sostituti.
2. I detenuti e gli internati nominati nelle rappresentanze, previste dagli articoli 12, 20 e 27 della legge, durano in carica quattro mesi.
Art. 68.
Partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa
1. La direzione dell'istituto promuove la partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa, avvalendosi dei contributi di privati cittadini e delle istituzioni o associazioni pubbliche o private, previste dall'articolo 17 della legge.
2. La direzione dell'istituto esamina con i privati e con gli appartenenti alle istituzioni o associazioni le iniziative da realizzare all'interno dell'istituto e trasmette proposte al magistrato di sorveglianza, con il suo parere, anche in ordine ai compiti da svolgere e alle modalità della loro esecuzione.
3. Il magistrato di sorveglianza, nell'autorizzare gli ingressi in istituto, stabilisce le condizioni che devono essere rispettate nello svolgimento dei compiti.
4. La direzione dell'istituto cura che le iniziative indicate ai commi precedenti siano svolte in piena integrazione con gli operatori penitenziari. A tal fine, le persone autorizzate hanno accesso agli istituti secondo le modalità e i tempi previsti per le attività alle quali collaborano.
5. In caso di inosservanza delle condizioni o di comportamento pregiudizievole all'ordine e alla sicurezza dell'istituto, il direttore comunica al magistrato di sorveglianza il venir meno del proprio parere favorevole, per i provvedimenti conseguenti, disponendo eventualmente, con provvedimento motivato, la sospensione dell'efficacia del provvedimento autorizzativo.
6. Al fine di sollecitare la disponibilità di persone ed enti idonei e per programmarne periodicamente la collaborazione, la direzione dell'istituto e quella del centro servizio sociale, di concerto fra loro, curano la partecipazione della comunità al reinserimento sociale dei condannati e degli internati e le possibili forme di essa.
Capo IV
Regime penitenziario
Art. 69.
Informazioni sulle norme e sulle disposizioni che regolano la vita penitenziaria
1. In ogni istituto penitenziario devono essere tenuti, presso la biblioteca o altro locale a cui i detenuti possono accedere, i testi della legge, del presente regolamento, del regolamento interno nonché delle altre disposizioni attinenti ai diritti e ai doveri dei detenuti e degli internati, alla disciplina e al trattamento.
2. All'atto dell'ingresso, a ciascun detenuto o internato è consegnato un estratto delle principali norme di cui al comma 1, con l'indicazione del luogo dove è possibile consultare i testi integrali. L'estratto suindicato è fornito nelle lingue più diffuse tra i detenuti e internati stranieri.
3. Di ogni successiva disposizione nelle materie indicate nel comma 1 è data notizia ai detenuti e agli internati.
4. L'osservanza, da parte dei detenuti e degli internati delle norme e delle disposizioni che regolano la vita penitenziaria, deve essere ottenuta anche attraverso il chiarimento delle ragioni delle medesime.
Art. 70.
Norme di comportamento
1. I detenuti e gli internati hanno l'obbligo di osservare le norme che regolano la vita penitenziaria e le disposizioni impartite dal personale; devono tenere un contegno rispettoso nei confronti degli operatori penitenziari e di coloro che visitano l'istituto.
2. I detenuti e gli internati, nei reciproci contatti, devono tenere un comportamento corretto.
3. Nei rapporti reciproci degli operatori penitenziari con i detenuti e gli internati deve essere usato il "lei".
Art. 71.
Compiti di animazione e di assistenza
1. A singoli detenuti o internati, che dimostrino particolari attitudini a collaborare per il proficuo svolgimento dei programmi dell'istituto, possono essere affidate dalla direzione mansioni che comportino compiti di animazione nelle attività di gruppo, di carattere culturale, ricreativo e sportivo, nonché di assistenza nelle attività di lavoro in comune.
2. Le mansioni suddette sono espletate sotto la diretta supervisione del personale, il quale deve garantire che in nessuna circostanza l'esercizio di esse importi un potere disciplinare o possa servire come pretesto per l'acquisizione di una posizione di preminenza sugli altri detenuti o internati.
Art. 72.
Risarcimento dei danni arrecati a beni dell'amministrazione o di terzi
1. In caso di danni a cose mobili o immobili dell'amministrazione, la direzione svolge indagini intese ad accertare l'ammontare del danno e a identificare il responsabile valutandone la colpa.
2. All'esito degli accertamenti e dopo aver sentito l'interessato, la direzione notifica per iscritto l'addebito al responsabile, invitandolo al risarcimento e fissandone le modalità, le quali possono comportare anche pagamenti rateali.
3. La somma dovuta a titolo di risarcimento viene prelevata dal peculio disponibile.
4. In caso di danni a cose appartenenti ad altri detenuti o internati, la direzione dell'istituto si adopera per favorire il risarcimento spontaneo.
5. Il risarcimento spontaneo è considerato come circostanza attenuante nell'eventuale procedimento disciplinare.
Art. 73.
Isolamento
1. L'isolamento continuo per ragioni sanitarie è prescritto dal medico nei casi di malattia contagiosa. Esso è eseguito, secondo le circostanze, in appositi locali dell'infermeria o in un reparto clinico. Durante l'isolamento, speciale cura è dedicata dal personale all'infermo anche per sostenerlo moralmente. L'isolamento deve cessare non appena sia venuto meno lo stato contagioso.
2. L'isolamento continuo durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune è eseguito in una camera ordinaria, a meno che il comportamento del detenuto o dell'internato sia tale da arrecare disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine e la disciplina. Anche in tal caso, l'isolamento si esegue in locali con le caratteristiche di cui all'articolo 6 della legge.
3. Ai detenuti e gli internati, nel periodo di esclusione dalle attività in comune, di cui al comma 2, è precluso di comunicare con i compagni.
4. L'isolamento diurno nei confronti dei condannati all'ergastolo non esclude l'ammissione degli stessi alle attività lavorative, nonché di istruzione e formazione diverse dai normali corsi scolastici, ed alle funzioni religiose.
5. Sono assicurati il vitto ordinario e la normale disponibilità di acqua.
6. Le condizioni delle persone sottoposte ad indagini preliminari che sono in isolamento non devono differire da quelle degli altri detenuti, salvo le limitazioni disposte dall'autorità giudiziaria che procede.
7. La situazione di isolamento dei detenuti e degli internati deve essere oggetto di particolare attenzione, con adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento, da parte sia di un medico, sia di un componente del gruppo di osservazione e trattamento, e con vigilanza continuativa ed adeguata da parte del personale del Corpo di polizia penitenziaria.
8. Non possono essere utilizzate sezioni o reparti di isolamento per casi diversi da quelli previsti per legge.
Art. 74.
Perquisizioni
1. Le operazioni di perquisizione previste dall'articolo 34 della legge sono effettuate dal personale del Corpo di polizia penitenziaria alla presenza di un appartenente a tale Corpo, di qualifica non inferiore a quella di vice sovrintendente. Il personale che effettua la perquisizione e quello che vi presenzia deve essere dello stesso sesso del soggetto da perquisire.
2. La perquisizione può non essere eseguita quando è possibile compiere l'accertamento con strumenti di controllo.
3. Le perquisizioni nelle camere dei detenuti e degli internati devono essere effettuate con rispetto della dignità dei detenuti nonché delle cose di appartenenza degli stessi.
4. Il regolamento interno stabilisce quali sono le situazioni, con quella prevista dall'articolo 83, in cui si effettuano perquisizioni ordinarie.
5. Per procedere a perquisizione fuori dei casi ordinari è necessario l'ordine del direttore.
6. Per operazioni di perquisizione generale il direttore può avvalersi, in casi eccezionali, della collaborazione di personale appartenente alle Forze di polizia e alle altre Forze poste a disposizione del Prefetto, ai sensi del quinto comma dell'articolo 13 della legge 1o aprile 1981, n. 121.
7. In casi di particolare urgenza, il personale procede di sua iniziativa alla perquisizione, informandone immediatamente il direttore, specificando i motivi che hanno determinato l'urgenza.
Art. 75.
Istanze e reclami
1. Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. Gli accessi in istituto del magistrato di sorveglianza e del provveditore regionale sono annotati in un registro riservato a ciascuna delle due autorità, nel quale le stesse indicano i rilievi emersi a seguito degli accessi predetti. Anche il direttore annota in apposito registro le udienze effettuate.
2. Ai detenuti e agli internati che lo richiedono è fornito l'occorrente per redigere per iscritto istanze e reclami alle autorità indicate nell'articolo 35 della legge.
3. Qualora il detenuto o l'internato intenda avvalersi della facoltà di usare il sistema della busta chiusa, dovrà provvedere direttamente alla chiusura della stessa apponendo all'esterno la dicitura "riservata". Se il mittente è privo di fondi, si provvede a cura della direzione.
4. Il magistrato di sorveglianza e il personale dell'amministrazione penitenziaria informano, nel più breve tempo possibile, il detenuto o l'internato che ha presentato istanza o reclamo, orale o scritto, dei provvedimenti adottati e dei motivi che ne hanno determinato il mancato accoglimento.
Art. 76.
Ricompense
1. Le ricompense sono concesse su iniziativa del direttore ai detenuti e agli internati che si sono distinti per:
a) particolare impegno nello svolgimento del lavoro;
b) particolare impegno e profitto nei corsi scolastici e di addestramento professionale;
c) attiva collaborazione nell'organizzazione e nello svolgimento delle attività culturali, ricreative e sportive;
d) particolare sensibilità e disponibilità nell'offrire aiuto ad altri detenuti o internati, per sostenerli moralmente nei momenti di difficoltà di fronte a loro problemi personali;
e) responsabile comportamento in situazioni di turbamento della vita dell'istituto, diretto a favorire atteggiamenti collettivi di ragionevolezza;
f) atti meritori di valore civile.
2. I comportamenti suindicati sono ricompensati con:
a) encomio;
b) proposta di concessione dei benefici indicati negli articoli 47, 47-ter, 50, 52, 53, 54 e 56 della legge n. 94 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sempre che ne ricorrano i presupposti;
c) proposta di grazia, di liberazione condizionale e di revoca anticipata della misura di sicurezza.
3. La ricompensa di cui alla lettera a) del comma 2 è concessa dal direttore, quelle di cui alle lettere b) e c) dello stesso comma sono concesse dal consiglio di disciplina, sentito il gruppo di osservazione.
4. Nella scelta del tipo e delle modalità delle ricompense da concedere si deve tenere conto della rilevanza del comportamento nonché della condotta abituale del soggetto.
5. Delle ricompense concesse all'imputato è data comunicazione all'autorità giudiziaria che procede.
Art. 77.
Infrazioni disciplinari e sanzioni
1. Le sanzioni disciplinari sono inflitte ai detenuti e agli internati che si siano resi responsabili di:
1) negligenza nella pulizia e nell'ordine della persona o della camera;
2) abbandono ingiustificato del posto assegnato;
3) volontario inadempimento di obblighi lavorativi;
4) atteggiamenti e comportamenti molesti nei confronti della comunità;
5) giochi o altre attività non consentite dal regolamento interno;
6) simulazione di malattia;
7) traffico di beni di cui è consentito il possesso;
8) possesso o traffico di oggetti non consentiti o di denaro;
9) comunicazioni fraudolente con l'esterno o all'interno, nei casi indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma dell'articolo 33 della legge;
10) atti osceni o contrari alla pubblica decenza;
11) intimidazione di compagni o sopraffazioni nei confronti dei medesimi;
12) falsificazione di documenti provenienti dall'amministrazione affidati alla custodia del detenuto o dell'internato;
13) appropriazione o danneggiamento di beni dell'amministrazione;
14) possesso o traffico di strumenti atti ad offendere;
15) atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell'istituto per ragioni del loro ufficio o per visita;
16) inosservanza di ordini o prescrizioni o ingiustificato ritardo nell'esecuzione di essi;
17) ritardi ingiustificati nel rientro previsti dagli articoli 30, 30-ter, 51, 52 e 53 della legge;
18) partecipazione a disordini o a sommosse;
19) promozione di disordini o di sommosse;
20) evasione;
21) fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori.
2. Le sanzioni disciplinari sono inflitte anche nell'ipotesi di tentativo delle infrazioni sopra elencate.
3. La sanzione dell'esclusione dalle attività in comune non può essere inflitta per le infrazioni previste nei numeri da 1) a 8) del comma 1, salvo che l'infrazione sia stata commessa nel termine di tre mesi dalla commissione di una precedente infrazione della stessa natura.
4. Delle sanzioni inflitte all'imputato è data notizia all'autorità giudiziaria che procede.
Art. 78.
Provvedimenti disciplinari in via cautelare
1. In caso di assoluta urgenza, determinata dalla necessità di prevenire danni a persone o a cose, nonché l'insorgenza o la diffusione di disordini o in presenza di fatti di particolare gravità per la sicurezza e l'ordine dell'istituto, il direttore può disporre, in via cautelare, con provvedimento motivato, che il detenuto o l'internato, che abbia commesso una infrazione sanzionabile con la esclusione dalle attività in comune, permanga in una camera individuale, in attesa della convocazione del consiglio di disciplina.
2. Subito dopo l'adozione del provvedimento cautelare, il sanitario visita il soggetto e rilascia la certificazione prevista dal secondo comma dell'articolo 39 della legge.
3. Il direttore attiva e svolge al più presto il procedimento disciplinare, applicando il disposto dei commi 2 e seguenti dell'articolo 81.
4. La durata della misura cautelare non può comunque eccedere i dieci giorni. Il tempo trascorso in misura cautelare si detrae dalla durata della sanzione eventualmente applicata.
Art. 79.
Procedimento penale e provvedimenti disciplinari
1. Il giudizio disciplinare dinanzi al consiglio di disciplina può essere sospeso allorché, per lo stesso fatto, vi è informativa di reato alla autorità giudiziaria.
2. In tal caso la direzione avrà cura di richiedere periodicamente l'esito del procedimento penale. I definitivi provvedimenti disciplinari sono emessi al termine del procedimento medesimo.
Art. 80.
Sospensione e condono delle sanzioni
1. L'esecuzione delle sanzioni può essere condizionalmente sospesa, per il termine di sei mesi, allorché si presuma che il responsabile si asterrà dal commettere ulteriori infrazioni. Se nel detto termine il soggetto commette altre infrazioni disciplinari, la sospensione è revocata e la sanzione è eseguita; altrimenti la infrazione è estinta.
2. Per eccezionali circostanze l'autorità che ha deliberato la sanzione può condonarla.
3. Qualora il sanitario certifichi che le condizioni di salute del soggetto non gli permettono di sopportare la sanzione della esclusione dalle attività in comune, questa è eseguita quando viene a cessare la causa che ne ha impedito l'esecuzione.
Art. 81.
Procedimento disciplinare
1. Allorché un operatore penitenziario constata direttamente o viene a conoscenza che una infrazione è stata commessa, redige rapporto, indicando in esso tutte le circostanze del fatto. Il rapporto viene trasmesso al direttore per via gerarchica.
2. Il direttore, alla presenza del comandante del reparto di polizia penitenziaria, contesta l'addebito all'accusato, sollecitamente e non oltre dieci giorni dal rapporto, informandolo contemporaneamente del diritto ad esporre le proprie discolpe.
3. Il direttore, personalmente o a mezzo del personale dipendente, svolge accertamenti sul fatto.
4. Quando il direttore ritiene che debba essere inflitta una delle sanzioni previste nei numeri 1) e 2) del primo comma dell'articolo 39 della legge convoca, entro dieci giorni dalla data della contestazione di cui al comma 2, l'accusato davanti a se per la decisione disciplinare. Altrimenti fissa, negli stessi termini, il giorno e l'ora della convocazione dell'accusato davanti al consiglio di disciplina. Della convocazione è data notizia all'interessato con le forme di cui al comma 2.
5. Nel corso dell'udienza, l'accusato ha la facoltà di essere sentito e di esporre personalmente le proprie discolpe.
6. Se nel corso del procedimento risulta che il fatto è diverso da quello contestato e comporta una sanzione di competenza del consiglio di disciplina, il procedimento è rimesso a quest'ultimo.
7. La sanzione viene deliberata e pronunciata nel corso della stessa udienza o dell'eventuale sommario processo verbale.
8. Il provvedimento definitivo con cui è deliberata la sanzione disciplinare è tempestivamente comunicato dalla direzione al detenuto o internato e al magistrato di sorveglianza e viene annotato nella cartella personale.
Art. 82.
Mezzi di coercizione fisica
1. La coercizione fisica, consentita per le finalità indicate nel terzo comma dell'articolo 41 della legge, si effettua sotto il controllo sanitario con l'uso dei mezzi impiegati per le medesime finalità presso le istituzioni ospedaliere pubbliche.
Art. 83.
Trasferimenti
1. Nei trasferimenti per motivi diversi da quelli di giustizia o di sicurezza si tiene conto delle richieste espresse dai detenuti e dagli internati in ordine alla destinazione.
2. Il detenuto o l'internato, prima di essere trasferito, è sottoposto a perquisizione personale ed è visitato dal medico, che ne certifica lo stato psico-fisico, con particolare riguardo alle condizioni che rendano possibile sopportare il viaggio o che non lo consentano. In quest'ultimo caso, la direzione ne informa immediatamente l'autorità che ha disposto il trasferimento.
3. All'atto del trasferimento la direzione consegna al detenuto o all'internato gli oggetti personali che egli intende portare direttamente con sé, nei limiti previsti dalle disposizioni in vigore in materia di traduzioni.
4. Il capo scorta riceve in consegna dalla direzione:
a) generi alimentari in quantità e qualità adeguate alle esigenze del soggetto durante il viaggio o, alternativamente, in somma di denaro per l'acquisto dei detti generi, nella misura giornaliera che viene fissata con decreto del Ministro della giustizia;
b) la cartella personale;
c) il certificato sanitario previsto dal comma 2;
d) la nota degli oggetti costituenti il bagaglio personale;
e) il peculio, in tutto o in parte, costituito in fondo disponibile;
f) il certificato dell'ammontare del peculio consegnato.
5. Il capo scorta rilascia ricevuta degli oggetti, dei valori e dei documenti a lui consegnati dalla direzione dell'istituto di provenienza e ottiene, a sua volta, ricevuta dalla direzione dell'istituto di destinazione di quanto da lui consegnato.
6. Il peculio del detenuto o dell'internato e gli altri oggetti di sua spettanza, che non sono stati consegnati alla scorta o inclusi nel bagaglio personale sono, nel più breve tempo possibile, trasmessi alla direzione dell'istituto di destinazione, contemporaneamente al fascicolo personale.
7. Le spese per la spedizione degli oggetti indicati nel comma 6 sono, in ogni caso, sopportate dall'amministrazione fino al limite di dieci chilogrammi di peso e, per l'eccedenza, dal detenuto o dall'internato che sia stato trasferito a sua domanda.
8. Nel caso di trasferimenti temporanei di breve durata, le disposizioni dei commi 4, 5 e 6 si applicano nella misura richiesta dalle circostanze, considerati anche i desideri dell'interessato.
9. Quando si rende necessario un trasferimento collettivo di detenuti o di internati non sono inclusi, ove possibile:
a) i detenuti e gli internati per i quali sono in corso attività trattamentali, particolarmente in materia di lavoro, istruzione e formazione professionale o per i quali sia in corso procedura di sorveglianza per la ammissione a misure alternative;
b) i detenuti e gli internati nei cui confronti sono in corso trattamenti sanitari non agevolmente proseguibili in altra sede;
c) le detenute con prole in istituto;
d) gli imputati prima della pronuncia della sentenza di primo grado o gli imputati appellanti quando sia già stata fissata udienza per la decisione della impugnazione.
Art. 84.
Traduzioni
1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 42-bis della legge e dalle altre disposizioni normative che regolano la materia, le traduzioni dei detenuti e degli internati si effettuano con le modalità stabilite con decreto del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Art. 85.
Autorità che dispongono i trasferimenti tra istituti o le traduzioni
1. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria dispone i trasferimenti tra istituti di diversi provveditorati ovvero quelli ad esso riservati dalla normativa vigente. I trasferimenti tra istituti dello stesso provveditorato sono disposti dal provveditore regionale.
I trasferimenti degli imputati per motivi diversi da quelli di giustizia sono disposti previo nulla osta della autorità giudiziaria che procede.
2. Quando, sussistendo gravi e comprovati motivi di sicurezza, occorre trasferire gli imputati, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dopo aver chiesto il nulla osta all'autorità giudiziaria che procede precisandone i motivi, la durata e la sede di destinazione, può dare anticipata esecuzione al trasferimento, che, comunque, deve essere convalidato dall'autorità giudiziaria procedente.
3. I trasferimenti o le traduzioni per la comparizione degli imputati alle udienze dibattimentali sono richiesti dall'autorità giudiziaria alle direzioni degli istituti, che vi provvedono senza indugio, informandone il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. La stessa disposizione si applica ai trasferimenti e alle traduzioni per la comparizione davanti ai tribunali di sorveglianza.
4. La direzione dell'istituto comunica senza indugio al magistrato di sorveglianza ogni trasferimento definitivo di un detenuto o internato.
5. I trasferimenti o le traduzioni per motivi di giustizia penale diversi da quelli indicati dal comma 3 ed i trasferimenti o le traduzioni per motivi di giustizia civile sono consentiti solo quando, a giudizio dell'autorità giudiziaria competente, gravi motivi rendono inopportuno il compimento dell'attività da espletare nel luogo dove il detenuto è ristretto.
6. Soddisfatte le esigenze giudiziarie, il soggetto viene restituito all'istituto di provenienza.
7. Nei casi di assoluta urgenza, determinata da motivi di salute, il direttore provvede direttamente al trasferimento, informandone immediatamente l'autorità competente.
8. Il trasferimento dei condannati o degli internati è comunicato all'organo del pubblico ministero competente per la esecuzione.
9. L'assegnazione prevista dal secondo comma dell'articolo 28 è disposta dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Art. 86.
Traduzioni di detenute e di internate
1. Le traduzioni delle detenute e delle internate sono effettuate con la partecipazione di personale femminile del Corpo di polizia penitenziaria.
Art. 87.
Uso di abiti civili nelle traduzioni
1. Nelle traduzioni i detenuti e gli internati possono indossare abiti civili.
Art. 88.
Trattamento del dimittendo
1. Nel periodo che precede la dimissione, possibilmente a partire da sei mesi prima di essa, il condannato e l'internato beneficiano di un particolare programma di trattamento, orientato alla soluzione dei problemi specifici connessi alle condizioni di vita familiare, di lavoro e di ambiente a cui dovranno andare incontro. A tal fine, particolare cura è dedicata a discutere con loro le varie questioni che si prospettano e ad esaminare le possibilità che si offrono per il loro superamento anche trasferendo gli interessati, a domanda, in un istituto prossimo al luogo di residenza, salvo che non ostino motivate ragioni contrarie.
2. Per la definizione e la esecuzione del suddetto programma, la direzione richiede la collaborazione del centro di servizio sociale, dei servizi territoriali competenti e del volontariato.
Art. 89.
Dimissione
1. La dimissione dei detenuti e degli internati si attua su ordine scritto della competente autorità giudiziaria.
2. La dimissione dei condannati che hanno espiato la pena ha luogo nel giorno indicato nel provvedimento, e, quando possibile, nelle ore antimeridiane.
3. La dimissione degli altri detenuti e degli internati è effettuata non appena la direzione riceve il relativo provvedimento.
4. Quando all'esito della pena deve seguire a misura di sicurezza detentiva di cui sia stata disposta la esecuzione ai sensi articolo 679 del codice di procedura penale, o viceversa, non si dà corso alla dimissione e si procede, secondo le norme indicate dall'articolo 30, alla nuova assegnazione.
5. Il centro di servizio sociale, i servizi territoriali competenti e il volontariato, di intesa fra loro, si adoperano per prendere contatto con il nucleo familiare presso cui il condannato o l'internato andrà a stabilirsi, ai fini degli opportuni interventi.
6. I dimessi che, a causa di gravi infermità fisiche o di infermità o minorazioni psichiche, abbisognano di ricovero in luogo di cura, sono trasferiti alla più vicina appropriata istituzione ospedaliera.
7. In caso di intrasportabilità, attestata dal sanitario, la dimissione può essere sospesa e l'infermo rimane nell'istituto dove, compatibilmente con le esigenze di organizzazione generali, gli sono evitate le limitazioni del regime penitenziario.
8. Della sospensione è data immediata comunicazione, quando si tratta di imputato, all'autorità giudiziaria competente; quando si tratta di condannato o di internato, al magistrato di sorveglianza e, in ogni caso, al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
9. Se il dimesso non è in grado di provvedere per suo conto a raggiungere il luogo della sua residenza, il direttore lo munisce, a richiesta, dei necessari titoli di viaggio; se trattasi di persona residente all'estero, vengono forniti i titoli di viaggio necessari per raggiungere il consolato del paese nel quale è residente.
10. All'atto della dimissione vengono consegnati al soggetto il peculio e gli oggetti di sua proprietà.
11. Il peculio e gli oggetti che non siano stati comunque ritirati dal dimesso sono trattenuti dalla direzione dell'istituto, che provvede, previe opportune ricerche, alla restituzione nel tempo più breve possibile.
12. Trascorso un anno dalla dimissione senza che sia possibile la restituzione, gli oggetti vengono venduti a cura della direzione e il ricavato, unitamente all'eventuale peculio, viene versato alla Cassa delle ammende che trattiene la somma in deposito, ai fini della restituzione all'interessato.
Art. 90.
Provvedimenti in caso di evasione
1. In caso di evasione di un detenuto o di un internato, la direzione ne dà immediata notizia alle locali autorità di polizia, alla procura della Repubblica, al magistrato di sorveglianza e al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, provvedendo, contemporaneamente, ad attuare, a mezzo del personale dipendente, le prime ricerche.
2. I beni dell'evaso, che non sia stato catturato, vengono trattenuti per un anno, e successivamente, venduti a cura della direzione. Il ricavato entra a far parte di un fondo sul quale viene versato anche l'eventuale peculio. Il fondo è depositato a cura della direzione presso la Cassa depositi e prestiti.
3. All'atto del rientro dell'evaso in istituto, la direzione che ha effettuato il deposito ne dispone lo svincolo e ne richiede la restituzione. La somma restituita entra a far parte del peculio.
4. Nel caso in cui il soggetto deceda durante lo stato di evasione, la direzione dell'istituto, a richiesta degli eredi o di altri aventi diritto che abbiano provato tale loro qualità ai sensi del comma 4 dell'articolo 92, autorizza la Cassa depositi e prestiti a versare direttamente agli aventi diritto la somma depositata secondo le loro spettanze.
Art. 91.
Indicazioni negli atti dello stato civile
1. Negli atti dello stato civile previsti dal primo comma dell'articolo 44 della legge, devono essere indicati la strada e il numero civico dell'istituto ove il fatto si è verificato, omettendo ogni altro riferimento.
Art. 92.
Provvedimenti in caso di decesso
1. Nel caso di morte di un detenuto o di un internato, il sanitario, fatte le constatazioni di legge, presenta rapporto alla direzione.
2. La direzione, contemporaneamente alla trasmissione della notizia del decesso alle autorità previste dal secondo comma dell'articolo 44 della legge, fa denuncia di morte all'ufficiale di stato civile.
3. I beni del defunto sono inventariati e copia dell'inventario è inviata al sindaco del comune di origine o di residenza, per le notificazioni agli eredi.
4. I beni sono consegnati agli eredi o agli altri aventi diritto, quando essi abbiano provato tale loro qualità, in base alla normativa vigente in materia.
5. Decorso un anno dalla morte, senza che gli eredi o gli altri aventi diritto abbiano ritirato i beni, questi vengono trasmessi al tribunale del luogo, per la devoluzione successoria.
6. Se si tratta di detenuti o di internati stranieri o italiani nati all'estero o di cui non si conosca il luogo di nascita, notizia del decesso è data al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma.
7. Qualora alla sepoltura della salma non sia provveduto da parte dei congiunti, si provvede a cura e spese dell'amministrazione.
Art. 93.
Intervento delle Forze di polizia
1. Qualora si verifichino disordini collettivi con manifestazioni di violenza o tali da far ritenere che possano degenerare in manifestazioni di violenza, il direttore dell'istituto, che non sia in grado di intervenire efficacemente con il personale a disposizione, richiede al prefetto l'intervento delle Forze di polizia e delle altre Forze eventualmente poste a sua disposizione, ai sensi dell'articolo 13 della legge 1o aprile 1981, n. 121, informandone immediatamente il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Capo V
Assistenza
Art. 94.
Assistenza alle famiglie
1. Nell'azione di assistenza alle famiglie dei detenuti e degli internati, prevista dall'articolo 45 della legge, particolare cura è rivolta alla situazione di crisi che si verifica nel periodo che segue immediatamente la separazione dal congiunto. In tale situazione, deve essere fornito ai familiari, specialmente di età minore, sostegno morale e consiglio per aiutarli a far fronte al trauma affettivo, senza trascurare i problemi pratici e materiali eventualmente causati dall'allontanamento del congiunto.
2. Particolare cura è, altresì, rivolta per aiutare le famiglie dei detenuti e degli internati nel periodo che precede il loro ritorno.
Art. 95.
Integrazione degli interventi nell'assistenza alle famiglie e ai dimessi
1. Nello svolgimento degli interventi a favore delle famiglie dei detenuti e degli internati e di quelli a favore dei dimessi, il centro di servizio sociale e il consiglio di aiuto sociale mantengono contatti con gli organi locali competenti per l'assistenza e con gli enti pubblici e privati che operano nel settore. Ai detti organi ed enti sono rappresentate le speciali esigenze dell'assistenza penitenziaria e post-penitenziaria e il modo più appropriato per tenerle presenti nei loro programmi.
Capo VI
Misure alternative alla detenzione e altri provvedimenti della magistratura di sorveglianza
Art. 96.
Istanza di affidamento in prova al servizio sociale e decisione
1. L'istanza di affidamento in prova al servizio sociale da parte del condannato detenuto è presentata al direttore dell'istituto, il quale la trasmette al magistrato di sorveglianza territorialmente competente in relazione al luogo di detenzione, unitamente a copia della cartella personale. Il direttore provvede analogamente alla trasmissione della proposta del consiglio di disciplina.
2. Salvo quanto previsto dal comma 3, se il condannato si trova in libertà l'istanza è presentata al pubblico ministero competente per l'esecuzione.
3. Nell'ipotesi prevista dall'articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, l'istanza è presentata direttamente al tribunale di sorveglianza competente.
4. L'ordinanza di affidamento in prova al servizio sociale contiene le prescrizioni di cui all'articolo 47 della legge e indica l'ufficio di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui dovrà svolgersi l'affidamento. La cancelleria del tribunale di sorveglianza provvede all'immediata trasmissione dell'ordinanza, anche con mezzi telematici che ne assicurino l'autenticità, e la sicurezza, al casellario giudiziario e alla direzione dell'istituto, se l'interessato è detenuto, nonché alle comunicazioni all'interessato, al pubblico ministero e al centro di servizio sociale per adulti, dopo aver annotato in calce all'ordinanza stessa:
a) i dati di identificazione della sentenza o delle sentenze di condanna e, se vi è provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, i dati necessari ad identificarlo, compreso in ogni caso l'organo del pubblico ministero competente all'esecuzione della pena e il numero di registro della procedura esecutiva;
b) l'indirizzo dell'ufficio del magistrato di sorveglianza e del centro di servizio sociale per adulti competenti in relazione al luogo in cui dovrà svolgersi l'affidamento.
5. Il controllo dell'osservanza delle prescrizioni di cui all'articolo 47 della legge è di competenza del centro di servizio sociale e viene attuato secondo le modalità precisate all'articolo 118.
6. Nei casi in cui è stata disposta la sospensione dell'esecuzione dal pubblico ministero o dal magistrato di sorveglianza, l'ordinanza che respinge l'istanza deve contenere i dati di cui alla lettera a) del comma 4 e deve essere comunicata senza ritardo all'organo del pubblico ministero competente per l'ulteriore corso della esecuzione.
In ogni caso, l'ordinanza di rigetto è notificata all'interessato ed al suo difensore ed è sempre comunicata al centro di servizio sociale competente, o relativa sede distaccata.
Art. 97.
Esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale
1. L'ordinanza, immediatamente esecutiva, salva la ipotesi di sospensione della esecuzione di cui al comma 7 dell'articolo 666 del codice di procedura penale, a cura della cancelleria del tribunale di sorveglianza è subito trasmessa in copia, se il condannato è detenuto, alla direzione dell'istituto in cui lo stesso si trova, per la sua liberazione e l'attuazione della misura alternativa, previa la sottoscrizione del verbale di cui al comma 3. All'interessato è rilasciata anche per notifica copia dell'ordinanza e del verbale. In ogni caso, l'ordinanza è trasmessa senza ritardo:
a) all'ufficio di sorveglianza competente per la prova, unitamente al fascicolo processuale;
b) al centro di servizio sociale per adulti competente per la prova, o relativa sede distaccata;
c) all'organo del pubblico ministero competente per la esecuzione della pena;
d) agli organi competenti per la comunicazione o la notificazione alle parti ed ai difensori, se l'interessato è libero, o trovasi sottoposto alla detenzione domiciliare, o comunque nello stato detentivo di cui al comma 10 dell'articolo 656 del codice di procedura penale, con l'avviso che deve presentarsi, libero nella persona, entro dieci giorni, al centro di servizio sociale competente per la sottoscrizione del verbale di cui al comma 3 e per l'esecuzione della prova. Detti organi daranno immediata comunicazione dell'avvenuta notifica al centro di servizio sociale per adulti competente, o relativa sede distaccata.
2. Il direttore del centro dà immediata comunicazione al tribunale di sorveglianza della mancata presentazione nel termine. Il tribunale di sorveglianza revoca la misura salvo che risulti l'esistenza di fondate ragioni del ritardo.
3. L'ordinanza di affidamento in prova ha effetto se l'interessato sottoscrive il verbale previsto dal quinto comma dell'articolo 47 della legge, con l'impegno a rispettare le prescrizioni dallo stesso previste. Il verbale è sottoscritto davanti al direttore dell'istituto se il condannato è detenuto, o davanti al direttore del centro di servizio sociale per adulti, competente per la prova, previa notifica di cui alla lettera d) del comma 1, se il condannato è libero o trovasi sottoposto alla detenzione domiciliare, o comunque nello stato detentivo di cui al comma 10 dell'articolo 656 del codice di procedura penale. Il centro di servizio sociale per adulti trasmette senza indugio il verbale di accettazione delle prescrizioni:
a) al tribunale di sorveglianza che ha emesso l'ordinanza;
b) all'ufficio di sorveglianza competente per la prova;
c) all'organo del pubblico ministero competente per la esecuzione e la determinazione del fine pena.
4. Dalla data di sottoscrizione del verbale di accettazione delle prescrizioni ha inizio l'affidamento in prova al servizio sociale.
Nel caso di condannato che ha ottenuto l'affidamento mentre era libero, copia del verbale di accettazione delle prescrizioni viene inviata all'organo del pubblico ministero competente per la esecuzione, che aggiorna l'ordine di esecuzione della pena, indicando la data di conclusione del periodo di prova all'ufficio di sorveglianza e al centro di servizio sociale competente, disponendo anche la notifica all'interessato. Se l'affidamento concerne pene inflitte con sentenze di condanna diverse, il pubblico ministero, competente, ai sensi del comma 2 dell'articolo 663 del codice di procedura penale, emette provvedimento di esecuzione di pene concorrenti.
5. Con l'ordinanza di affidamento in prova al servizio sociale, il tribunale di sorveglianza, se il condannato è detenuto e presenta speciali esigenze di sostegno personale, può stabilire anche particolari modalità di dimissione dal carcere nonché l'eventuale accompagnamento dell'affidato da parte dei familiari o di volontari presso il luogo di svolgimento della prova.
6. Quando il luogo di svolgimento della prova è lontano dal luogo della dimissione, si applica la disposizione di cui al comma 9 dell'articolo 89.
7. Se nel corso della prova viene richiesto che la stessa prosegua in luogo situato in altra giurisdizione, il magistrato di sorveglianza, su dettagliato parere del centro di servizio sociale che segue la prova, provvede di conseguenza, con corrispondente modifica delle prescrizioni. Il provvedimento è comunicato all'affidato e ai centri di servizio sociale interessati. La cancelleria dell'ufficio di sorveglianza trasmette il fascicolo dell'affidamento in prova, all'ufficio di sorveglianza divenuto competente. Anche il centro di servizio sociale che seguiva la prova trasmette i propri atti a quello divenuto competente. Se il magistrato di sorveglianza non accoglie la domanda, ne fa dare comunicazione all'interessato dal centro di servizio sociale.
8. Il direttore del centro di servizio sociale per adulti designa un assistente sociale appartenente al centro affinché provveda all'espletamento dei compiti indicati dall'articolo 47 della legge, secondo le modalità precisate all'articolo 118. Il centro si avvale anche della collaborazione di assistenti volontari, ai sensi dell'articolo 78 della legge.
9. Il centro di servizio sociale riferisce al magistrato di sorveglianza le notizie indicate nel decimo comma dell'articolo 47 della legge, almeno ogni tre mesi. Il magistrato di sorveglianza può, in ogni tempo, convocare il soggetto sottoposto a prova e chiedere informazioni all'assistente sociale di cui al comma 8.
10. Il magistrato di sorveglianza, tenuto anche conto delle informazioni del centro di servizio sociale, provvede se necessario alla modifica delle prescrizioni, con decreto motivato, dandone notizia al tribunale di sorveglianza ed al centro di servizio sociale.
Art. 98.
Prosecuzione o cessazione, revoca e annullamento
dell'affidamento in prova al servizio sociale
1. Se sopravvengono nuovi titoli di esecuzione di pena detentiva, il magistrato di sorveglianza, comunque informato, provvede a norma dell'articolo 51-bis della legge. Il provvedimento di prosecuzione provvisoria, che contiene la indicazione dei dati indicati nella lettera a) del comma 4 dell'articolo 96, se già disponibili, è comunicato al centro servizio sociale che segue l'affidamento. Il provvedimento di sospensione provvisoria, oltre agli stessi dati su indicati, relativi alla nuova pena da eseguire, contiene l'ordine agli organi di polizia di provvedere all'accompagnamento dell'affidato nell'istituto penitenziario più vicino o in quello che, comunque, sarà indicato nel provvedimento stesso, che è direttamente ed immediatamente eseguibile.
2. Il magistrato di sorveglianza, in entrambi i casi, trasmette gli atti e il provvedimento adottato al tribunale di sorveglianza per i definitivi provvedimenti dello stesso. Il provvedimento, adottato in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza, conserva i suoi effetti fino alla decisione definitiva del tribunale di sorveglianza se questo esamina il caso in udienza entro il termine stabilito dall'articolo 51-bis della legge, anche se la decisione intervenga in una udienza successiva, ove occorrano ulteriori accertamenti.
3. Se il tribunale di sorveglianza estende l'affidamento in prova alla nuova pena da eseguire, nella ordinanza vengono annotati i dati di cui alle lettere a) e b) del comma 4 dell'articolo 96. L'ordinanza è notificata e comunicata, come previsto dal comma 1 dell'articolo 97, in quanto applicabile. L'organo del pubblico ministero, competente, ai sensi del comma 2 dell'articolo 663 del codice di procedura penale, emette provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, indicando la nuova data di conclusione della esecuzione del periodo di prova, dandone notifica all'interessato e comunicazione agli uffici competenti. Il direttore del centro di servizio sociale che segue la prova, o suo sostituto, redige apposito verbale con cui l'affidato si impegna al rispetto delle prescrizioni precedentemente determinate anche per il periodo di prosecuzione della misura alternativa, dandone comunicazione al tribunale di sorveglianza e all'ufficio di sorveglianza.
4. Se il tribunale di sorveglianza, invece, prende atto del venire meno delle condizioni di ammissibilità alla misura alternativa, ne dichiara la inefficacia e dispone che la esecuzione della pena complessiva prosegua in regine detentivo. Nella ordinanza si menzionano i dati essenziali della pena stessa, come indicati alle lettere a) e b) del comma 4 dell'articolo 96, specificando la pena residua ancora da espiare e deducendo il periodo di esecuzione della pena in regime di affidamento in prova, che resta utilmente espiato.
L'ordinanza è comunicata e notificata, come previsto dal comma 1 dell'articolo 97. L'organo del pubblico ministero competente, ai sensi del comma 2 dell'articolo 663 del codice di procedura penale, provvede come indicato al comma 3 del presente articolo.
5. Qualora il magistrato di sorveglianza ritenga, direttamente o in base ad informazioni acquisite, che si debba verificare se ricorrono le condizioni per la revoca dell'affidamento in prova, investe il tribunale di sorveglianza della decisione. Se lo ritiene necessario, provvede anche alla sospensione provvisoria della misura alternativa, ai sensi dell'articolo 51-ter della legge, indicando l'organo di polizia competente al riaccompagnamento in istituto, al quale viene direttamente trasmessa copia del provvedimento per la esecuzione.
6. Al tribunale di sorveglianza sono trasmessi gli atti e, se emesso, anche il provvedimento di sospensione provvisoria della misura alternativa.
7. Il tribunale di sorveglianza adotta la decisione definitiva, previ ulteriori accertamenti, se li ritenga necessari. Se il tribunale di sorveglianza revoca la misura alternativa, nella ordinanza vengono annotati i dati di cui alle lettere a) e b) del comma 4 dell'articolo 96 e determinata la pena detentiva residua da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il periodo trascorso in affidamento in prova. Nel caso in cui vi sia stata sospensione della esecuzione della misura alternativa e riaccompagnamento in carcere, la data di questo viene indicata come data di decorrenza della pena detentiva residua da espiare. L'ordinanza è comunicata e notificata come previsto dal comma 1 dell'articolo 97, in quanto applicabile.
L'organo del pubblico ministero competente alla esecuzione della pena emette nuovo ordine di esecuzione della stessa; si applica l'ultima parte del comma 3 dell'articolo 97.
8. Nel caso di annullamento da parte della Corte di cassazione della ordinanza di concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, cessa la esecuzione della misura alternativa. La sentenza di annullamento deve essere comunicata al pubblico ministero competente alla esecuzione. Il pubblico ministero, quando debba emettere nuovo ordine di esecuzione della pena detentiva, deduce il periodo di esecuzione della stessa in regime di affidamento in prova, che resta utilmente espiato.
Art. 99. Affidamento in prova in casi particolari
1. Qualora il condannato tossicodipendente o alcool dipendente richieda l'affidamento in prova previsto dall'articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dopo che l'ordine di esecuzione della pena è stato eseguito, la relativa domanda è presentata al direttore dell'istituto, il quale la trasmette senza ritardo all'organo del pubblico ministero competente per l'esecuzione.
2. Quando l'interessato è libero, si applica l'articolo 656 del codice di procedura penale. L'interessato è tenuto a eseguire immediatamente il programma terapeutico concordato. La mancata esecuzione dipendente dalla volontà dell'interessato è valutata dal tribunale di sorveglianza.
3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di affidamento in prova al servizio sociale previste dagli articoli 96, 97 e 98.
4. Qualora, nel corso della prova, risulti che il programma di recupero, per l'attuazione del quale l'affidamento è stato concesso, si è concluso positivamente, secondo quanto riferito dall'organo o dall'ente che ne cura l'attuazione, il magistrato di sorveglianza, acquisita dettagliata relazione del centro servizio sociale competente, ridetermina le prescrizioni per l'ulteriore svolgimento della prova. Solo nel caso in cui il periodo residuo della pena è superiore ad anni tre, il magistrato di sorveglianza procede ai sensi dell'articolo 51-bis della legge, trasmettendo al tribunale di sorveglianza il provvedimento emesso e gli atti relativi.
Art. 100.
Detenzione domiciliare
1. La detenzione domiciliare ha inizio dal giorno in cui è notificato il provvedimento esecutivo che la dispone.
2. Nell'ordinanza di concessione della detenzione domiciliare deve essere indicato l'ufficio di sorveglianza nella cui giurisdizione dovrà essere eseguita la misura.
3. Nei casi previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'articolo 47-ter della legge e fatto salvo quanto previsto dal comma 2, lettera b), dell'articolo 76 del presente regolamento, la detenzione domiciliare può essere concessa dal tribunale di sorveglianza anche su segnalazione della direzione dell'istituto.
4. Non appena il provvedimento di concessione della detenzione domiciliare è esecutivo, la cancelleria del tribunale provvede a trasmetterlo, unitamente agli atti, alla cancelleria dell'ufficio di sorveglianza nello stesso indicato.
5. Se nel corso della detenzione domiciliare l'interessato richiede che la misura sia proseguita in località situata in altra giurisdizione, si applicano le disposizioni di cui al comma 7 dell'articolo 97.
6. In caso di modifica delle prescrizioni e delle disposizioni relative alla detenzione domiciliare, il magistrato di sorveglianza ne dà notizia al tribunale di sorveglianza, all'ufficio di polizia giudiziaria competente ad eseguire i controlli, e al centro di servizio sociale.
7. Gli interventi rimessi dalla legge alla competenza del servizio sociale vengono svolti secondo le modalità precisate dall'articolo 118, nei limiti del regime proprio della misura.
8. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 96, 97 e 98.
Art. 101.
Regime di semilibertà
1. L'ordinanza di ammissione alla semilibertà esecutiva, salva la ipotesi di sospensione della esecuzione di cui al comma 7 dell'articolo 666 del codice di procedura penale, è inviata, in copia, dalla cancelleria del tribunale di sorveglianza all'ufficio di sorveglianza ed alle direzioni dell'istituto penitenziario e del centro servizio sociale.
2. Nei confronti del condannato e dell'internato ammesso al regime di semilibertà è formulato un particolare programma di trattamento, che deve essere redatto entro cinque giorni, anche in via provvisoria dal solo direttore, e che è approvato dal magistrato di sorveglianza. Quando la misura deve essere eseguita in luogo diverso, il soggetto lo raggiunge libero nella persona, munito di copia del programma di trattamento provvisorio, che può essere limitato a definire le modalità per raggiungere l'istituto o sezione in cui la semilibertà deve essere attuata.
Nel programma di trattamento per l'attuazione della semilibertà sono dettate le prescrizioni che il condannato o l'internato si deve impegnare, per scritto, ad osservare durante il tempo da trascorrere fuori dell'istituto, anche in ordine ai rapporti con la famiglia e con il servizio sociale, nonché quelle relative all'orario di uscita e di rientro. Nel programma di trattamento, al fine di accompaguare l'inserimento esterno per la specifica attività per cui vi è ammissione alla semilibertà con la integrazione della persona nell'ambiente familiare e sociale, sia nei giorni di svolgimento della specifica attività predetta, particolarmente per la possibile consumazione dei pasti in famiglia, sia negli altri giorni, sono indicati i rapporti che la persona potrà mantenere all'esterno negli ambienti indicati, rapporti che risultino utili al processo di reinserimento sociale, secondo le indicazioni provenienti dalla attività di osservazione e in particolare dagli aggiornamenti sulla situazione esterna da parte del centro servizio sociale.
3. La responsabilità del trattamento resta affidata al direttore, che si avvale del centro di servizio sociale per la vigilanza e l'assistenza del soggetto nell'ambiente libero. Gli interventi del servizio sociale vengono svolti secondo le modalità precisate dall'articolo 118, nei limiti del regime proprio della misura.
4. Nei casi in cui all'articolo 51 della legge, il direttore riferisce al tribunale ed al magistrato di sorveglianza.
5. L'ammesso al regime di semilibertà deve dare conto al personale dell'istituto, appositamente incaricato, dell'uso del denaro di cui è autorizzato a disporre.
6. Nel caso di mutamento dell'attività di cui al primo comma dell'articolo 48 della legge o se la misura deve essere proseguita in località situata in altra giurisdizione, si applicano le disposizioni di cui al comma 9 dell'articolo 89. Il direttore dell'istituto di provenienza informa dell'arrivo del semilibero l'istituto di destinazione. L'interessato viene subito ammesso al regime di semilibertà nel nuovo istituto secondo il programma di trattamento già redatto, con le eventuali modifiche.
7. Per il semilibero ricoverato in luogo esterno di cura, ai sensi dell'articolo 11, secondo comma della legge, non è disposto piantonamento.
8. Sezioni autonome di istituti per la semilibertà possono essere ubicate in edifici o in parti di edifici di civile abitazione.
9. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 96, 97 e 98.
Art. 102.
Licenze
1. Al condannato ammesso al regime di semilibertà e all'internato in ogni caso, ai quali viene concessa licenza, è consegnato dalla direzione parte del peculio disponibile in relazione alle esigenze alle quali far fronte nel corso della licenza stessa.
2. Per le spese di viaggio necessarie a raggiungere il luogo in cui la licenza deve trascorrersi, si applica il comma 9 dell'articolo 89.
3. ll soggetto deve raggiungere direttamente la sede di destinazione e presentarsi all'autorità di pubblica sicurezza per la certificazione del giorno e dell'ora dell'arrivo. Analogamente, al momento del rientro, deve munirsi di certificazione del giorno e dell'ora di partenza.
Art. 103.
Riduzioni di pena per la liberazione anticipata
1. Per l'inoltro delle richieste e delle proposte per la concessione del beneficio previsto dall'articolo 54 della legge; si applicano le disposizioni del comma 1 dell'articolo 96, in quanto compatibili.
2. La partecipazione del condannato all'opera di rieducazione è valutata con particolare riferimento all'impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offertegli nel corso del trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, con i compagni, con la famiglia e la comunità esterna.
3. L'organo del pubblico ministero competente per l'esecuzione comunica al tribunale di sorveglianza la sentenza di condanna inflitta al soggetto per delitto non colposo commesso durante l'esecuzione della pena.
4. L'ordinanza indica nel dispositivo la misura della riduzione apportata alla durata di una determinata pena in corso di esecuzione.
Art. 104.
Liberazione condizionale
1. Il direttore trasmette senza indugio al tribunale di sorveglianza la domanda o la proposta di liberazione condizionale corredata della copia della cartella personale e dei risultati della osservazione della personalità, se già espletata.
2. L'ordinanza di concessione della liberazione condizionale immediatamente esecutiva, salva la ipotesi di sospensione della esecuzione di cui al comma 7 dell'articolo 666 del codice di procedura penale, è trasmessa alla direzione dell'istituto per la scarcerazione e comunicata, per gli adempimenti relativi alla attuazione della liberazione condizionale, oltre che all'interessato, al magistrato di sorveglianza, alla questura e al centro di servizio sociale territorialmente competenti. Il magistrato di sorveglianza emette il provvedimento con il quale stabilisce le prescrizioni della libertà vigilata, la questura provvede alla redazione del verbale di sottoposizione dell'interessato alle prescrizioni e il centro di servizio sociale attiva l'intervento di cui all'articolo 105.
3. Nell'ordinanza è fissato il termine massimo entro il quale, dopo la scarcerazione, l'interessato dovrà presentarsi all'ufficio di sorveglianza del luogo dove si esegue la libertà vigilata.
4. Il magistrato di sorveglianza, in caso di accertata violazione delle prescrizioni, trasmette al tribunale di sorveglianza la proposta di revoca della liberazione condizionale.
Art. 105.
Intervento del servizio sociale nella libertà vigilata
1. Copia dell'atto relativo alla esecuzione della libertà vigilata emanato dal magistrato di sorveglianza, è trasmessa al centro di servizio sociale, che svolge gli interventi previsti dalla legge secondo le modalità precisate dall'articolo 118 nei limiti del regime proprio della misura.
2. Il centro riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sui risultati degli interventi effettuati.
Art. 106.
Remissione del debito
1. Ai fini della remissione del debito per spese di procedimento e di mantenimento, il magistrato di sorveglianza tiene conto, per la valutazione della condotta del soggetto, oltre che degli elementi di sua diretta conoscenza, anche delle annotazioni contenute nella carrella personale, con particolare riguardo all'evoluzione della condotta del soggetto. Se non vi è stata detenzione, si tiene conto della regolarità della condotta in libertà.
2. Per l'accertamento delle condizioni economiche, il magistrato di sorveglianza si avvale della collaborazione del centro di servizio sociale e può chiedere informazioni agli organi finanziari.
3. La presentazione della proposta o della richiesta sospende la procedura di esecuzione per il pagamento delle spese del procedimento eventualmente in corso. A tal fine, la cancelleria dell'ufficio di sorveglianza dà notizia della avvenuta presentazione dell'istanza o della proposta alla cancelleria del giudice della esecuzione. Alla medesima cancelleria viene comunicata l'ordinanza di accoglimento o di rigetto.
4. Della richiesta di remissione del debito concernente le spese di mantenimento viene data comunicazione anche alla direzione dell'istituto da cui il detenuto o l'internato è stato dimesso. A seguito di questa comunicazione, o contemporaneamente alla proposta di remissione del debito, la direzione dell'istituto che non abbia ancora provveduto, non dà corso alla procedura per il recupero delle spese di mantenimento. L'ordinanza di accoglimento o di rigetto viene comunicata alla direzione competente.
5. A seguito della comunicazione dell'ordinanza di rigetto viene dato corso alla procedura sospesa o non ancora iniziata.
Art. 107.
Comunicazioni all'organo dell'esecuzione
1. Il dispositivo dei provvedimenti della magistratura di sorveglianza che comunque incidono sulla pena in esecuzione viene trasmesso a cura della cancelleria, anche con mezzi telematici che ne assicurino l'autenticità e la sicurezza, al casellario giudiziale e, se l'interessato è detenuto, alla direzione dell'istituto e viene comunicato all'interessato, al pubblico ministero e, quando occorre, al centro di servizio sociale, dopo aver annotato i dati di identificazione della sentenza o delle sentenze di condanna o, se vi è provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, i dati necessari ad identificarlo. In ogni caso sono indicati l'organo del pubblico ministero competente all'esecuzione della pena e il numero di registro della procedura esecutiva.
2. Quando contro i provvedimenti indicati nel comma 1 sia stato proposto ricorso per cassazione, il cancelliere della corte comunica entro tre giorni dalla decisione il relativo dispositivo al cancelliere del tribunale di sorveglianza che ha pronunciato il provvedimento impugnato, il quale provvede a norma del comma 1.
Art. 108.
Rinvio dell'esecuzione delle pene detentive
1. Il pubblico ministero competente per l'esecuzione, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, il direttore dell'istituto penitenziario e il direttore del centro di servizio sociale, quando abbiano notizia di talune delle circostanze che, ai sensi degli articoli 146 e 147, primo comma, numeri 2) e 3), del codice penale, consentono il rinvio dell'esecuzione della pena, ne informano senza ritardo il tribunale di sorveglianza competente e il magistrato di sorveglianza.
Art. 109.
Pareri sulla domanda o proposta di grazia
1. Il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione si trova il condannato esprime il proprio motivato parere sulla domanda o proposta di grazia entro il più breve tempo possibile, dopo aver assunto gli opportuni elementi presso la direzione dell'istituto o del centro di servizio sociale.
Titolo II
DISPOSIZIONI RELATIVE ALL'ORGANIZZAZIONE PENITENZIARIA
Capo I
Istituti penitenziari
Art. 110.
Esecuzione di pene in istituti di categoria diversa
1. Alle case mandamentali, per le esigenze previste dal terzo comma dell'articolo 61 della legge, possono essere assegnati anche i condannati alla pena della reclusione per un tempo non superiore a due anni o con un residuo di pena non superiore a due anni, che non presentino particolari problemi di custodia. Le funzioni relative alla direzione dell'istituto e alla osservazione e trattamento sono svolte dal personale che opera in un istituto sito nello stesso circondario in cui è compresa la casa mandamentale.
2. Nelle case circondariali possono essere assegnati i condannati alla pena dell'arresto nonché i condannati alla pena della reclusione per un tempo non superiore a cinque anni o con un residuo di pena non superiore a cinque anni.
3. Per le medesime esigenze indicate nel comma 1 possono essere assegnati nelle case di arresto i condannati alla pena della reclusione non superiore a due anni.
4. Le assegnazioni previste nel presente articolo sono disposte dal provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria.
5. L'esecuzione della pena dell'ergastolo si effettua nella case di reclusione.
Art. 111.
Ospedali psichiatrici giudiziari, case di cura e custodia, istituti e
sezioni speciali per infermi e minorati fisici e psichici.
1. Alla direzione degli ospedali psichiatrici giudiziari, salvo quanto disposto dall'articolo 113, nonché delle case di cura e custodia e degli istituti o sezioni speciali per soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche è preposto personale del ruolo tecnico-sanitario degli istituti di prevenzione e di pena, ed è assegnato, in particolare, il personale infermieristico necessario con riferimento alla funzione di cura e di riabilitazione degli stessi.
2. Gli operatori professionali e volontari che svolgono la loro attività nelle case di cura e custodia, negli ospedali psichiatrici giudiziari e negli istituti o nelle sezioni per infermi e minorati psichici, sono selezionati e qualificati con particolare riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti ivi ospitati.
3. Agli ospedali psichiatrici giudiziari sono assegnati, oltre a coloro nei cui confronti è applicata, in via definitiva o provvisoria, la misura di sicurezza prevista dal n. 3) del secondo comma dell'articolo 215 del codice di procedura penale, anche gli imputati, i condannati e gli internati che vengono a trovarsi, rispettivamente, nelle condizioni previste dagli articoli 148, 206 e 212, secondo comma, del codice di procedura penale.
4. Alle case di cura e custodia sono assegnati, oltre a coloro nei cui confronti è applicata, in via definitiva o provvisoria, la misura di sicurezza prevista dal n. 2) del secondo comma dell'articolo 215 del codice penale, anche gli imputati e gli internati che vengono a trovarsi, rispettivamente, nelle condizioni previste dagli articoli 148, 206 e 212, secondo comma, del codice di procedura penale.
5. Gli imputati e i condannati, ai quali nel corso della misura detentiva sopravviene una infermità psichica che non comporti, rispettivamente, l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza o l'ordine di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia, sono assegnati a un istituto o sezione speciale per infermi e minorati psichici.
6. La direzione dell'ospedale psichiatrico giudiziario o della casa di cura e custodia informa mensilmente le autorità giudiziarie competenti sulle condizioni psichiche dei soggetti ricoverati ai sensi degli articoli 148, 206 e 212, secondo comma, del codice di procedura penale.
7. I soggetti condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente per l'esecuzione della pena possono essere assegnati agli istituti o sezioni per soggetti affetti da infermità o minorazioni psichiche quando le loro condizioni siano incompatibili con la permanenza negli istituti ordinari.
Gli stessi, quando le situazioni patologiche risultino superate o migliorate in modo significativo, sono nuovamente assegnati agli istituti ordinari, previo eventuale periodo di prova nei medesimi.
Art. 112.
Accertamento delle infermità psichiche
1. L'accertamento delle condizioni psichiche degli imputati, dei condannati e degli internati, ai fini dell'adozione dei provvedimenti previsti dagli articoli 148, 206, 212, secondo comma, del codice di procedura penale, dagli articoli 70, 71 e 72 del codice di procedura penale e dal comma 4 dell'articolo 111 del presente regolamento, è disposto, su segnalazione della direzione dell'istituto o di propria iniziativa, nei confronti degli imputati, dall'autorità giudiziaria che procede, e, nei confronti dei condannati e degli internati, dal magistrato di sorveglianza. L'accertamento è espletato nel medesimo istituto in cui il soggetto si trova o, in caso di insufficienza di quel servizio diagnostico, in altro istituto della medesima categoria.
2. L'autorità giudiziaria che procede o il magistrato di sorveglianza possono, per particolari motivi, disporre che l'accertamento sia svolto presso un ospedale psichiatrico giudiziario, una casa di cura e custodia o in un istituto o sezione per infermi o minorati psichici, ovvero presso un ospedale civile. Il soggetto non può comunque permanere in osservazione per un periodo superiore a trenta giorni.
3. All'esito dell'accertamento, l'autorità giudiziaria che procede o il magistrato di sorveglianza, ove non adotti uno dei provvedimenti previsti dagli articoli 148, 206 e 212, secondo comma, del codice di procedura penale o dagli articoli 70, 71, e 72 del codice di procedura penale e dal comma 4 dell'articolo 111 del presente regolamento, dispone il rientro nell'istituto di provenienza.
Art. 113.
Convenzioni con i servizi psichiatrici pubblici
1. Nel rispetto della normativa vigente l'amministrazione penitenziaria, al fine di agevolare la cura delle infermità ed il reinserimento sociale dei soggetti internati negli ospedali psichiatrici giudiziari, organizza le strutture di accoglienza tenendo conto delle più avanzate acquisizioni terapeutiche anche attraverso protocolli di trattamento psichiatrico convenuti con altri servizi psichiatrici territoriali pubblici.
Art. 114.
Coordinamento delle attività di ricerca dei centri di osservazione
1. L'attività di ricerca scientifica, svolta dai centri di osservazione, è diretta all'analisi e alla valutazione dei metodi di osservazione e di trattamento ed è coordinata dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Art. 115.
Distribuzione dei detenuti ed internati negli istituti
1. In ciascuna regione è realizzato un sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive la cui ricettività complessiva soddisfi il principio di territorialità dell'esecuzione penale, tenuto conto anche di eventuali esigenze di carattere generale.
2. Nell'ambito delle categorie di istituti di cui ai numeri 2) e 3 del primo comma dell'articolo 59 della legge, è realizzata una distribuzione dei detenuti ed internati negli istituti o nelle sezioni, che valga a rendere operativi i criteri indicati nel secondo comma dell'articolo 14 della legge.
3. Per detenuti e internati di non rilevante pericolosità, per i quali risultano necessari interventi trattamentali particolarmente significativi, possono essere attuati, in istituti autonomi o in sezioni di istituto, regimi a custodia attenuta, che assicurino un più ampio svolgimento delle attività trattamentali predette.
4. I detenuti e gli internati che presentino problematiche di tossicodipendenza o alcooldipendenza e quelli con rilevanti patologie psichiche e fisiche e, in particolare, con patologie connesse alla sieropositità HIV, possono essere assegnati ad istituti autonomi o sezioni di istituto che assicurino un regime di trattamento intensificato.
5. L'idoneità dei programmi di trattamento a perseguire le finalità della rieducazione è verificata con appropriati metodi di ricerca valutativa.
6. Possono essere realizzati, per sezioni sufficientemente autonome di uno stesso istituto, tipi differenti di trattamento.
Art. 116.
Accesso di ministri di culto agli istituti
1. I ministri del culto cattolico, diversi dai cappellani, e quelli indicati nell'ultimo comma dell'articolo 58 sono autorizzati dal direttore, su richiesta di singoli detenuti o internati, ad accedere all'istituto, per attività del loro ministero, previo accertamento della loro qualità. Tale attività si svolge in modo da assicurare la necessaria riservatezza.
Art. 117.
Visite agli istituti
1. Le visite devono svolgersi nel rispetto della personalità dei detenuti e degli internati. Sono rivolte particolarmente alla verifica delle condizioni di vita degli stessi, compresi quelli in isolamento giudiziario. Non è consentito fare osservazioni sulla vita dell'istituto in presenza di detenuti o internati, o trattare con imputati argomenti relativi al processo penale in corso.
2. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria può autorizzare persone diverse da quelle indicate nell'articolo 67 della legge ad accedere agli istituti, fissando le modalità della visita.
Possono anche essere autorizzate in via generale le visite di persone appartenenti a categorie analoghe a quelle previste dall'articolo 67 della legge.
Capo II
Servizio sociale e assistenza
Art. 118.
Centro di servizio sociale
1. Ai centri di servizio sociale per adulti, e relative sedi distaccate, è assegnato il personale determinato con apposite tabelle organiche, relative a tutte le aree di attività.
2. Presso detti centri sono organizzate le aree di servizio sociale, di segreteria ed amministrativo-contabile.
3. Nell'area di servizio sociale possono essere inseriti esperti secondo quanto previsto dell'articolo 80 della legge, che forniscono, ove occorra, consulenza e collaborazione, sotto il coordinamento del direttore del centro o del responsabile dell'area.
4. Il centro di servizio sociale è ubicato in locali distinti dagli istituti e dagli uffici giudiziari.
5. Il direttore del centro assegna al personale il compimento delle attività, mediante una ripartizione del lavoro relativamente alle aree di appartenenza; impartisce istruzioni e disposizioni per l'espletamento dei compiti affidati e ne cura il coordinamento. Il direttore organizza periodiche riunioni con il personale di servizio sociale su problematiche o tematiche emergenti, ed espleta il controllo tecnico; assicura lo svolgimento delle attività dirette alla supervisione professionale del personale.
6. Nell'attuare gli interventi di osservazione e di trattamento in ambiente esterno per l'applicazione e l'esecuzione delle misure alternative, delle sanzioni sostitutive e delle misure di sicurezza, nonché degli interventi per l'osservazione e il trattamento dei soggetti ristretti negli istituti, il centro di servizio sociale coordina le attività di competenza nell'ambito dell'esecuzione penale con quella delle istituzioni e dei servizi sociali che operano sul territorio.
7. Le intese operative con i servizi degli enti locali sono definite in una visione globale delle dinamiche sociali che investono la vicenda personale e familiare dei soggetti e in una prospettiva integrata d'intervento. Tale coordinamento viene promosso e attuato osservando gli indirizzi generali dettati in materia dall'amministrazione penitenziaria.
8. In particolare, gli interventi del servizio sociale per adulti, nel corso del trattamento in ambiente esterno, sono diretti ad aiutare i soggetti che ne beneficiano ad adempiere responsabilmente gli impegni che derivano dalla misura cui sono sottoposti. Tali interventi, articolati in un processo unitario e personalizzato, sono prioritariamente caratterizzati:
a) dall'offerta al soggetto di sperimentare un rapporto con l'autorità basato sulla fiducia nella capacità della persona di recuperare il controllo del proprio comportamento senza interventi di carattere repressivo;
b) da un aiuto che porti il soggetto ad utilizzare meglio le risorse nella realtà familiare e sociale;
c) da un controllo, ove previsto dalla misura in esecuzione, sul comportamento del soggetto che costituisca al tempo stesso un aiuto rivolto ad assicurare il rispetto degli obblighi e delle prescrizioni dettate dalla magistratura di sorveglianza;
d) da una sollecitazione a una valutazione critica adeguata, da parte della persona, degli atteggiamenti che sono stati alla base della condotta penalmente sanzionata, nella prospettiva di un reinserimento sociale compiuto e duraturo.
Art. 119.
Consiglio di aiuto sociale
1. Gli uffici del consiglio di aiuto sociale sono ubicati presso il tribunale del capoluogo del circondario.
2. Nell'ambito del consiglio sono organizzati servizi di segreteria, di cassa e di archivio.
3. I compiti relativi ai detti servizi sono affidati a impiegati delle carriere delle cancellerie, in servizio presso il tribunale, incaricati dal presidente.
4. Essi prestano la loro opera gratuitamente.
Art. 120.
Assistenti volontari
1. L'autorizzazione prevista dal primo comma dell'articolo 78 della legge è data a coloro che dimostrano interesse e sensibilità per la condizione umana dei sottoposti a misure privative e limitative della libertà ed hanno dato prova di concrete capacità nell'assistenza a persone in stato di bisogno. L'autorizzazione può riguardare anche più persone appartenenti ad organizzazioni di volontariato, le quali assicurano, con apposite convenzioni con le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale, continuità di presenza in determinati settori di attività. La revoca della convenzione comporta la decadenza delle singole autorizzazioni.
2. Nel provvedimento di autorizzazione è specificato il tipo di attività che l'assistente volontario può svolgere e, in particolare, se egli è ammesso a frequentare uno o più istituti penitenziari o a collaborare con i centri di servizio sociale.
3. L'autorizzazione ha durata annuale, ma, alla scadenza, se la valutazione della direzione dell'istituto o del centro di servizio sociale è positiva, si considera rinnovata.
4. La direzione dell'istituto o del centro di servizio sociale cura che le attività del volontariato siano svolte in piena integrazione con quelle degli operatori istituzionali. Le persone autorizzate hanno accesso agli istituti e ai centri di servizio sociali secondo le modalità e i tempi previsti per le attività trattamentali e per l'esecuzione delle misure alternative.
5. Se l'assistente volontario si rivela inidoneo al corretto svolgimento dei suoi compiti, il direttore dell'istituto o del centro di servizio sociale sospende l'autorizzazione e ne chiede la revoca al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dandone comunicazione al magistrato di sorveglianza.
PARTE II
Cassa delle ammende
Titolo I
AMMINISTRAZIONE E CONTABILITÀ DELLA CASSA DELLE AMMENDE
Art. 121.
Organi della Cassa delle ammende
1. Sono organi della Cassa delle ammende:
a) il presidente;
b) il consiglio di amministrazione;
c) il segretario.
2. I componenti degli organi di cui al comma 1 prestano la loro opera gratuitamente.
Art. 122.
Presidente
1. Ha la rappresentanza legale.
2. Il presidente della Cassa delle ammende:
a) presiede il consiglio di amministrazione di cui all'articolo 123;
b) emana le disposizioni necessarie per l'esecuzione delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e vigila sul loro esatto adempimento;
c) adotta i provvedimenti di urgenza, anche di competenza del consiglio di amministrazione, salvo ratifica alla prima riunione del consiglio stesso;
d) stipula i contratti necessari per l'attuazione delle deliberazioni del consiglio di amministrazione nei limiti degli stanziamenti di bilancio e nel rispetto delle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle comunitarie in quanto direttamente applicabili;
e) ordina il pagamento delle spese nei limiti degli stanziamenti di bilancio ed in conformità alle delibere consiliari;
f) esercita i poteri di vigilanza sull'andamento amministrativo e contabile della Cassa;
g) presenta al consiglio di amministrazione il bilancio preventivo, il conto consuntivo e la situazione patrimoniale della Cassa.
Art. 123.
Consiglio di amministrazione
1. La Cassa delle ammende è amministrata dal consiglio di amministrazione composto:
a) dal capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, o un suo delegato, con funzioni di presidente;
b) dai direttori, o un loro delegato, dell'ufficio centrale del personale, dell'ufficio centrale detenuti e trattamento, dell'ufficio centrale beni e servizi e da un funzionario esperto in amministrazione e contabilità del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
c) da un dirigente designato dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
2. Il consiglio di amministrazione opera osservando le seguenti disposizioni:
a) il consiglio di amministrazione è convocato dal presidente, in via ordinaria, ogni sei mesi e, in via straordinaria, ogni qualvolta se ne presenti la necessità o quando ne è fatta richiesta da almeno due consiglieri con l'indicazione degli argomenti da trattare;
b) il segretario della Cassa assume anche le funzioni di segretario del consiglio di amministrazione e partecipa alle sedute del consiglio con facoltà di esprimere il proprio parere sulle questioni poste all'ordine del giorno;
c) per la validità delle adunanze devono essere presenti almeno due terzi dei componenti; la delibera è valida se adottata con il voto favorevole della maggioranza dei presenti. In caso di parità prevale il voto del presidente;
d) i processi verbali delle adunanze sono sottoscritti dal presidente e dal segretario e vengono approvati nella seduta successiva a quella cui si riferisce.
3. Il consiglio di amministrazione svolge le seguenti funzioni:
a) entro il mese di novembre di ogni anno delibera il bilancio di previsione della Cassa. Delibera altresì, in corso di esercizio, le variazioni di bilancio che si rendono necessarie per l'attuazione delle finalità della Cassa;
b) delibera la erogazione dei fondi di cui all'articolo 129;
c) delibera in merito all'accettazione di oblazioni volontarie, donazioni, sovvenzioni, contributi ed altri proventi eventuali;
d) delibera l'acquisto, la vendita, l'affitto e la permuta di immobili nonché l'acquisto di beni mobili, beni mobili registrati e attrezzature necessari per il funzionamento della Cassa;
e) delibera le modalità di impiego, anche diverse dal deposito in conto corrente, delle disponibilità finanziarie depositate presso la Cassa depositi e prestiti;
f) delibera i prelevamenti da effettuarsi dal fondo di riserva, anche in corso di esercizio, per sopperire alle deficienze dei capitoli di bilancio, ovvero per fronteggiare spese nuove o impreviste;
g) delibera l'istituzione di organi, anche collegiali, per il controllo delle attività svolte dai soggetti nei cui confronti la Cassa ha erogato propri fondi, limitatamente alle modalità ed alla legittimità del loro effettivo impiego;
h) ratifica i provvedimenti di urgenza adottati dal presidente.
Art. 124.
Segretario
1. Il segretario della Cassa delle ammende è nominato dal consiglio di amministrazione, su proposta del presidente, ed è scelto tra il personale dell'Amministrazione penitenziaria in possesso della specifica professionalità in considerazione delle sue attribuzioni.
2. Il segretario:
a) dirige l'ufficio segreteria e coordina i servizi in cui esso si articola;
b) cura l'istruttoria degli affari che il presidente dovrà sottoporre al consiglio di amministrazione e predispone gli elementi necessari per le deliberazioni;
c) partecipa alle sedute del consiglio di amministrazione con facoltà di esprimere parere sulle questioni poste all'ordine del giorno;
d) redige i verbali delle sedute del consiglio di amministrazione e ne cura la conservazione;
e) esegue le direttive impartite dal presidente;
f) cura la tenuta della contabilità della Cassa, dei libri e delle scritture contabili, nonché della corrispondenza, conservando gli atti ed i documenti;
g) redige annualmente il bilancio di previsione, le relative variazioni, il conto consuntivo e tutti gli altri documenti contabili da sottoporre all'approvazione del consiglio di amministrazione;
h) è consegnatario dei beni mobili ed immobili della Cassa;
i) cura l'organizzazione e la gestione delle attività operative della Cassa e di esse risponde al presidente;
j) coordina e controlla le gestioni contabili della Cassa nonché quelle inerenti l'impiego dei fondi erogati ai sensi dell'articolo 129. Per l'espletamento di tale ultima attività potrà avvalersi degli organi istituiti ai sensi dell'articolo 123, comma 3, lettera g);
k) adempie a tutte le attività amministrative e contabili, necessarie per la stipula dei contratti;
l) provvede direttamente alla riscossione delle entrate della Cassa e al pagamento delle spese delegategli dal presidente;
m) sottoscrive gli atti inerenti l'esercizio delle funzioni di cui al presente articolo.
Titolo II
AMMINISTRAZIONE E CONTABILITÀ
Art. 125.
Conto depositi e conto patrimoniale
1. La dotazione finanziaria della Cassa delle ammende è costituita dal conto depositi e dal conto patrimoniale.
2. Al conto depositi affluiscono tutti i versamenti effettuati a titolo provvisorio o cauzionale.
3. Sul conto patrimoniale sono versate tutte le altre somme, ed in particolare quelle devolute alla Cassa per disposizione di legge o per disposizione dell'autorità giudiziaria.
4. I fondi patrimoniali e i depositi cauzionali della Cassa sono, di regola, depositati in conto fruttifero presso la Cassa depositi e prestiti. Il consiglio di amministrazione può deliberare l'investimento dei fondi disponibili, o di parte di essi, ad esclusione di quelli derivanti dal bilancio dello Stato, in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, ovvero in titoli di aziende di provata solidità, idonei ad assicurare un tasso di interesse netto maggiore di quello riconosciuto dalla Cassa depositi e prestiti.
5. Il servizio di cassa e quello di acquisto e vendita dei titoli di cui al comma 4, sono disimpegnati dalla Cassa depositi e prestiti.
Art. 126.
Versamenti delle somme
1. Salvo quanto previsto al comma 2, le somme dovute alla Cassa delle ammende devono essere versate integralmente ai concessionari del servizio delle riscossioni ed imputate al codice tributo "IAET".
I concessionari del servizio delle riscossioni provvedono a riversare le somme riscosse alle tesorerie provinciali dello Stato che sono tenute ad accreditarle alla tesoreria centrale dello Stato sul conto corrente speciale intestato a "Cassa depositi e prestiti - gestione principale" a favore della Cassa delle ammende. Le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato rilasciano quietanza di entrata.
2. Le somme dovute alla Cassa delle ammende dagli istituti di prevenzione e di pena devono essere versate, a meno di distinta di versamento, direttamente alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato che sono tenute ad accreditarle alla tesoreria centrale dello Stato sul conto corrente speciale di cui al comma 1. Le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato rilasciano quietanza di entrata.
3. Gli uffici giudiziari e le direzioni degli istituti di prevenzione e di pena inoltrano tempestivamente alla Cassa delle ammende comunicazione di avvenuto versamento corredata di lettera esplicativa della causale di ciascun versamento.
4. I proventi delle manifatture carcerarie, introitati in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, vengono riassegnati, con le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469, all'apposita unità previsionale di base del Ministero della giustizia e successivamente versate al bilancio della Cassa delle ammende nella misura prevista dalle disposizioni legislative.
5. Le somme così pervenute diventano fruttifere e gli interessi vengono liquidati dalla Cassa depositi e prestiti che provvede al loro accredito sul conto corrente il 30 giugno ed il 31 dicembre di ogni anno.
6. La Cassa depositi e prestiti ha l'obbligo di trasmettere semestralmente alla Cassa delle ammende, l'estratto del conto corrente unitamente alle comunicazioni relative alle operazioni effettuate direttamente.
Art. 127.
Patrimonio
1. Il patrimonio della Cassa delle ammende è costituito da:
a) beni mobili ed immobili in proprietà;
b) titolarità di concessioni pervenute a qualsiasi titolo;
c) beni di qualsiasi natura che ad essa pervengano per donazione o altro titolo;
d) titoli pubblici e privati acquisiti per eventuale investimento di disponibilità finanziarie;
e) fondi in deposito presso la Cassa depositi e prestiti, presso istituti di credito e in cassa.
Art. 128.
Entrate
1. Le entrate della Cassa delle ammende si distinguono in entrate correnti
ed entrate in conto capitale.
2. Le entrate correnti sono costituite:
dalle rendite patrimoniali;
dagli interessi sui depositi e su titoli;
c) dai proventi o altre entrate espressamente devolute o assegnate dalla legge, o da altre fonti normative, direttamente alla Cassa;
d) dai depositi costituiti presso la Cassa e ad essa devoluti per disposizione dell'autorità giudiziaria;
e) dai proventi delle manifatture carcerarie riassegnate annualmente sul bilancio della Cassa;
f) da eventuali oblazioni volontarie, donazioni, sovvenzioni, contributi di enti o privati;
g) dalla vendita di beni mobili fuori uso;
h) da entrate eventuali e diverse.
3. Le entrate in conto capitale sono costituite da:
a) ricavi per vendite di beni immobili ed altri beni fruttiferi;
b) rimborsi di titoli di proprietà:
c) lasciti ed oblazioni in denaro con l'onere di investimento;
d) finanziamenti per acquisizioni patrimoniali.
Art. 129.
Finalità ed interventi
1. La Cassa delle ammende, ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico ai sensi dell'articolo 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547, provvede ad attuare le finalità di cui ai commi 2 e 3 con gli interventi diretti e indiretti previsti nel presente articolo.
2. I fondi patrimoniali della Cassa sono erogati, previa deliberi del consiglio di amministrazione, per finanziare prioritariamente progetti dell'amministrazione penitenziaria che utilizzano le disponibilità finanziarie dei fondi strutturali europei, nonché progetti che utilizzano finanziamenti previsti dalla normativa comunitaria, da quella nazionale e da quella regionale.
3. I fondi patrimoniali della Cassa sono altresì erogati, previa delibera del consiglio di amministrazione, per il finanziamento di programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di detenuti ed internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale di detenuti ed internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione.
4. I programmi di cui al comma 3, previa indicazione della persona responsabile della loro attuazione, possono essere presentati da enti pubblici, da enti privati, fondazioni o altri organismi impegnati in attività di volontariato e di solidarietà sociale, dagli istituti penitenziari e dai centri di servizio sociale dell'amministrazione penitenziaria.
5. I programmi di cui al comma 3, esclusi quelli presentati dagli istituti penitenziari e dai centri di servizio sociale, sono accompagnati da una relazione illustrativa del soggetto richiedente, nonché da un parere dell'assessorato alla sicurezza sociale della provincia territorialmente competente per il luogo in cui il programma deve essere attuato.
6. I programmi di cui al comma 3 sono finanziati con riferimento a stati di avanzamento semestrali, previa valutazione favorevole, per ogni stato di avanzamento, dei soggetti competenti a rilasciare i pareri di cui al comma 4 e del consiglio di amministrazione della Cassa.
7. Le spese inerenti il finanziamento dei programmi di cui ai commi 2 e 3 ed ogni altra spesa di competenza della Cassa delle ammende, ivi comprese le somme detratte dai depositi cauzionali per spese di giustizia e di mantenimento in carcere dovute dal depositante all'erario, sono effettuate con mandati di pagamento emessi dal presidente della Cassa stessa e trasmessi alla Cassa depositi e prestiti che ne cura l'accreditamento ai responsabili dei programmi di cui al comma 4, ovvero agli aventi diritto.
8. Dell'avvenuto accreditamento delle somme di cui al comma 7 la Cassa depositi e prestiti dà comunicazione alla Cassa delle ammende.
Art. 130.
Bilancio
1. Il bilancio di previsione ed il conto consuntivo della Cassa delle ammende sono approvati con decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
PARTE III
Disposizioni finali e transitorie
Art. 131.
Incarichi giornalieri
1. Il provveditore regionale conferisce direttamente gli incarichi previsti dal secondo comma dell'articolo 80 della legge.
2. Al conferimento degli incarichi si provvede a seguito di accertamento dell'idoneità del richiedente ad assolvere i compiti relativi.
3. A tal fine, in ogni provveditorato regionale, una commissione composta dal provveditore, che la presiede, e da due dirigenti dell'amministrazione penitenziaria, integrata da un esperto nella materia relativa all'incarico da conferire, sottopone il richiedente ad un colloquio inteso a valutare l'idoneità indicata nel comma 2.
4. Esercita le funzioni di segretario un funzionario del provveditorato regionale.
Art. 132.
Nomina degli esperti per le attività di osservazione e di trattamento
1. Il provveditorato regionale compila, per ogni distretto di Corte d'appello, un elenco degli esperti dei quali le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale possano avvalersi per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento ai sensi del quarto comma dell'articolo 80 della legge.
2. Nell'elenco sono iscritti professionisti che siano di condotta incensurata e di età non inferiore agli anni venticinque. Per ottenere l'iscrizione nell'elenco i professionisti, oltre ad essere in possesso del titolo professionale richiesto, devono risultare idonei a svolgere la loro attività nello specifico settore penitenziario. L'idoneità è accertata dal provveditorato regionale attraverso un colloquio e la valutazione dei titoli preferenziali presentati dall'aspirante. A tal fine, il provveditorato regionale può avvalersi del parere di consulenti docenti universitari nelle discipline previste dal quarto comma dell'articolo 80 della legge.
3. Le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale conferiscono agli esperti indicati nel comma 2 i singoli incarichi, su autorizzazione del provveditorato regionale.
Art. 133.
Attribuzioni dei direttori dei centri di rieducazione
e degli uffici di servizio sociale per i minorenni
1. Le attribuzioni corrispondenti a quelle che il presente regolamento demanda al provveditore regionale e al centro di servizio sociale per adulti sono esercitate rispettivamente dal direttore dell'ufficio per la giustizia minorile e dall'ufficio di servizio sociale per i minorenni territorialmente competenti.
Art. 134.
Disposizioni relative ai servizi
1. Entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, negli istituti in cui i servizi igienici non sono collocati in un vano annesso alla camera, si provvederà, attraverso ristrutturazioni, ad adeguarli alla prescrizione di cui all'articolo 7, secondo gli interventi di edilizia penitenziaria resi possibili dalle disponibilità di bilancio. Analogamente si provvederà per dotare i servizi igienici di doccia e, particolarmente negli istituti e sezioni femminili, di bidet, là dove non ne siano dotati.
2. I servizi sistemati all'interno della camera, fino alla loro soppressione, dovranno, comunque, consentire la utilizzazione con le opportune condizioni di riservatezza.
3. Fino alla realizzazione dei servizi indicati nell'articolo 7, è consentita la effettuazione della doccia con acqua calda ogni giorno.
Art. 135.
Disposizioni relative ai locali per confezione e consumazione del vino
1. Entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, i locali indicati nei commi 1 e 3 dell'articolo 13, devono essere realizzati negli istituti già esistenti attraverso adeguate ristrutturazioni, secondo gli interventi consentiti di edilizia penitenziaria, resi possibili dalle disponibilità di bilancio.
2. Finché non sia realizzato quanto previsto al comma 1 e manchino, comunque, locali accessibili a gruppi di detenuti, la consumazione dei pasti dovrà avvenire nelle camere, utilizzando idonei piani di appoggio.
3. Inoltre, sempre fino a che non sia realizzato quanto previsto al comma 1, potrà essere autorizzata, nelle camere o, se possibile, in luogo diverso ed adeguato, la cottura di generi di facile e rapida preparazione, stabilendo i generi ammessi, nonché le modalità da osservare e la entità, anche forfettaria, della eventuale spesa per energia a carico dell'utente se sia reso possibile l'uso di fornelli elettrici.
Art. 136.
Norma finale
1. Il regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431, e successive modificazioni ed integrazioni, è abrogato.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 30 giugno 2000
CIAMPI
Amato, Presidente del Consiglio dei Ministri
Fassino, Ministro della giustizia
Bianco, Ministro dell'interno
Mattarella, Ministro della difesa
Visco, Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica
De Mauro, Ministro della pubblica istruzione
Zecchino, Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica
Veronesi, Ministro della sanità
Salvi, Ministro del lavoro e della previdenza sociale
Visto, il Guardasigilli: Fassino