Ai fini dell'applicabilità dell'attenuante comune dell'integrale risarcimento del danno non è necessario prendere in esame l'oggettività giuridica del reato, essendo compito del giudice accertare esclusivamente se l'imputato (prima del giudizio) abbia integralmente riparato il danno mediante adempimento delle obbligazioni risarcitone e/o restitutorie che, ai sensi dell'art. 185 cod. pen., trovano la loro fonte nel reato e se, qualora il risarcimento sia avvenuto ad opera di un terzo, l'imputato abbia manifestato una concreta volontà riparatoria.
Corte di Cassazione
sez. IV penale
udienza 7 febbraio 2024 (dep. 4 marzo 2024), n. 9180
1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza con la quale il 14/10/2015 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva dichiarato D.G. responsabile del reato previsto dagli artt. 589, commi 2 e ult., cod. pen. e 140, 141, 143, 146 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 in quanto, procedendo alla guida della sua auto Ferrari (OMISSIS) California a velocità pari a 90 km/h in un tratto di strada con limite di velocità di 50 km/h, con il veicolo in assetto «sport» che ne aumenta le prestazioni, aveva invaso la corsia di marcia dell'auto che proveniva in senso contrario, determinando nella corsia di marcia di pertinenza dell'auto Skoda Felicia condotta da G.F.S. uno scontro dal quale era derivata la morte della conducente e della trasportata L.A.. In Pastorano, il (OMISSIS).
2. Il fatto è stato così ricostruito: l'imputato, alla guida di un veicolo «impegnativo» quale una Ferrari California, aveva completamente invaso la corsia di marcia opposta, impattando contro il veicolo guidato dalla G., che procedeva regolarmente nella propria corsia di marcia tenendo la destra e rispettando il limite di velocità; il veicolo condotto dalla donna viaggiava alla velocità di circa 40 km/h mentre il veicolo condotto dal D.G. viaggiava alla velocità di circa 90 km/h.
3. Tale ultimo dato è stato assunto dal giudice di primo grado come valore di riferimento per il giudizio sebbene il consulente tecnico incaricato di verificare se vi fossero anomalie nel sistema elettrico dell'autovettura avesse riferito che l'unica centralina non danneggiata dal sinistro era quella relativa all'air-bag, che segnalava una velocità di impatto di 121 km/h, ritenendo il giudice non sufficientemente approfondito il rapporto tra tale dato e la ricostruzione della dinamica operata dall'altro consulente tecnico del pubblico ministero; ma anche facendo riferimento al dato più favorevole all'imputato, il giudice di primo grado ha ritenuto la velocità di 90 km/h di gran lunga superiore a quella prescritta per quel tipo di strada, inadeguata e tale da non consentire all'imputato di mantenere il controllo del veicolo; pur non essendo emersa alcuna anomalia nel funzionamento del veicolo, il giudice ha ritenuto che la velocità tenuta avrebbe reso pericolose e inadeguate anche le manovre fatte dal D.G. per ovviare al riferito guasto del veicolo; dalla mancanza di tracce di frenata il giudice ha desunto che l'imputato neppure avesse visto l'auto di fronte, nonostante la conformazione rettilinea del tratto stradale, così da arrestare il veicolo mediante un sistema frenante dell'auto particolarmente potenziato e maggiormente efficiente rispetto a quelli dei veicoli ordinari. La velocità non consona è stata considerata, unitamente a una condotta di guida non attenta e diligente, la causa della perdita del controllo del veicolo, oltretutto impostato in modalità «sport». Tale modalità, si legge a pag. 16 della sentenza di primo grado, è consigliata dalla casa madre in condizioni ottimali di viabilità, ossia con fondo con elevato coefficiente di aderenza, laddove la strada sulla quale viaggiava l'imputato era stata in precedenza bagnata dalla pioggia e l'asfalto era in pessime condizioni di usura. Anche l'inadeguatezza dell'assetto dell'auto rispetto alle condizioni della strada aveva, quindi, reso instabile il veicolo e pericolosa la condotta di guida. Il giudice ha concluso ritenendo che le modalità del fatto confermassero «la totale incontrollabilità del veicolo dimostrata dall'imputato, a fronte di un'auto impegnativa che richiedeva particolare abilità e attenzione nella guida, che non è stata osservata nel caso specifico». Il superamento da parte dell'imputato del limite di velocità prescritto per quel tipo di strada e, in ogni caso, la necessità di adeguare cautelativamente la velocità di marcia alle condizioni della strada e a eventuali circostanze contingenti, come guasti e avarie del veicolo, sono stati individuati quali presupposti causali della collisione, tanto più che il veicolo antagonista marciava regolarmente nella propria corsia in prossimità del margine destro.
4. D.G. ricorre per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di perizia. Secondo la difesa, dai quesiti posti dalla Procura al consulente tecnico si evince l'esigenza di accertare la presenza di anomalie di funzionamento della autovettura Ferrari che potrebbero aver determinato «situazioni di marcia non controllabili»; il consulente tecnico si era limitato a riferire la velocità dei veicoli senza chiedersi se la velocità tenuta dal D.G. avesse avuto incidenza sulla perdita di stabilità del veicolo; la relazione tecnica espletata dall'ausiliario di polizia giudiziaria, ing. U., non aveva, poi, risolto il quesito demandato a tale tecnico in relazione alla verifica di anomalie di funzionamento dell'autovettura nei suoi componenti meccanici, elettrici ed elettronici tali da determinare situazioni di marcia non controllabili dal guidatore, lasciando il dubbio se i dati evidenziati come «errore» dalle centraline fossero preesistenti o successivi all'urto. La difesa lamenta che l'ausiliario di polizia giudiziaria abbia omesso di testare singolarmente i componenti del veicolo svolgendo ogni ulteriore accertamento utile al fine di verificare se la Ferrari fosse stata interessata da anomalie di funzionamento; l'esito dell'accertamento tecnico irripetibile, si assume, è risultato completamente svilito laddove il tecnico ha riferito che l'autovettura fosse stata sottoposta a due campagne di aggiornamento e non di richiamo, omettendo di riferire che sull'autovettura, poche centinaia di chilometri prima dell'evento, erano stati eseguiti interventi sull'elettronica che gestisce la stabilità del veicolo. D.G. aveva contattato il responsabile dell'assistenza ufficiale Ferrari rappresentando che sul cruscotto della propria autovettura, acquistata nuova nemmeno un anno prima, si accendeva in maniera irregolare la spia dell'air-bag cosicché era stato ripristinato il cablaggio dell'airbag ed era stato aggiornato il software della centralina delle sospensioni. Era stata la stessa assistenza ufficiale eseguita da D.R. Engineering a descrivere tali interventi come campagne di richiamo, ma il tecnico incaricato dal pubblico ministero non ha approfondito se i componenti sostituiti ovvero altri componenti principali potessero avere avuto incidenza sul comportamento anomalo e irregolare del veicolo, quindi nella causazione del sinistro. La difesa aveva reiteratamente chiesto al giudice di primo grado di procedere a perizia al fine di approfondire la natura delle due campagne di richiamo effettuate dalla casa costruttrice Ferrari ma il tribunale non ha preso in considerazione i nodi problematici evidenziati dalla difesa, omettendo di esprimersi sulla perizia richiesta e svolgendo autonomamente una valutazione che presupponeva conoscenze tecniche e scientifiche. Il giudice ha attribuito la causa dell'invasione della corsia di pertinenza della Skoda alla velocità tenuta dal veicolo, pur ritenendo la Ferrari particolarmente sicura, trattandosi peraltro di un'autovettura omologata per la percorrenza di strade ordinarie. La difesa aveva nuovamente chiesto al giudice di appello di procedere alla nomina del perito, ma i giudici di appello hanno travisato le risultanze della sentenza di primo grado, che non aveva ritenuto superfluo l'approfondimento istruttorio sollecitato dalla difesa quanto piuttosto il dato della velocità pari a 121 km/h accertato dai tecnici della Ferrari sulla base della centralina che comanda gli air-bag. Il ragionamento secondo il quale l'elevata velocità avrebbe impedito a D.G. di mettere in atto manovre adeguate a fronteggiare il guasto tecnico, si assume, è un giudizio tecnico espresso dal giudice di primo grado e fatto proprio dalla Corte d'appello, privo di conforto nelle consulenze tecniche; non è stato, infatti, accertato che l'imputato non sia riuscito a mantenere il controllo del veicolo per effetto della velocità, nè è stato accertato che l'imputato non abbia fronteggiato il guasto tecnico per effetto della velocità. Nel ricorso si sostiene che la Corte di appello non si sia minimamente confrontata con gli esiti dell'istruttoria dibattimentale, da cui era emerso che gli interventi sull'autovettura del D.G. fossero consistiti in campagne di richiamo e non di aggiornamento e che il cablaggio dell'abitacolo fosse in realtà il cablaggio air-bag di tutta l'autovettura. Gli aggiornamenti software alla centralina che comanda le sospensioni non indicano automaticamente che l'autovettura non possa presentare guasti o malfunzionamenti a breve termine, potendovi essere altri fattori atti a influenzare il futuro funzionamento delle sospensioni, come l'usura precoce dei componenti o eventuali errori nell'istallazione degli aggiornamenti. I giudici di merito hanno espresso un giudizio tecnico sostituendosi al perito, la cui figura sarebbe stata necessaria per valutare le condizioni dell'auto, gli aggiornamenti software effettuati e i guasti tecnici presenti; il tecnico nominato dal pubblico ministero ha, peraltro, demandato l'accertamento a soggetti che avrebbero potuto essere coinvolti nelle responsabilità del sinistro. Anche con riguardo all'accertata modalità di guida «sport», la Corte di appello ha espresso valutazioni tecniche sostituendosi alla figura del perito andando contro le risultanze del dibattimento di primo grado, da cui era emerso che tale modalità non avesse avuto alcuna incidenza nella determinazione del sinistro. Peraltro la sentenza ha errato nel dare per accertato che il D.G. viaggiasse in modalità di guida «sport», dovendosi limitare a rilevare che l'auto fosse stata rinvenuta con il commutatore di guida su «sport», essendo necessario un accertamento tecnico specifico per stabilire se il commutatore di guida fosse in tale modalità al momento del sinistro o vi si fosse posto accidentalmente al momento dell'urto o nel corso degli accertamenti urgenti sulla Ferrari disposti dai Carabinieri.
Con il secondo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 62, comma 1, n. 6, prima parte, cod. pen. in relazione al diniego della circostanza attenuante del risarcimento del danno. La difesa ha depositato l'atto di transazione perfezionato dalla società (OMISSIS) s.p.a., che copriva per la responsabilità civile la Ferrari California, con i prossimi congiunti delle persone decedute nonché l'atto a firma di D.G. con il quale l'imputato ha dichiarato la volontà di far proprio il risarcimento del danno. I giudici di merito hanno ritenuto che i prossimi congiunti delle vittime fossero stati integralmente risarciti, rigettando la domanda risarcitoria avanzata dalla costituita parte civile; tuttavia, citando giurisprudenza inerente alla seconda parte dell'art. 62 n. 6 cod. pen., hanno rigettato la domanda di applicazione della circostanza attenuante, richiesta però con riguardo all'art. 62 n. 6 prima parte cod. pen. La motivazione è, dunque, errata laddove i giudici di appello non hanno accordato la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale tendente a dimostrare la data del risarcimento, ritenendo che l'istanza difensiva fosse esclusivamente funzionale a dimostrare l'avvenuto risarcimento anziché la tempestività di esso rispetto all'apertura del dibattimento. I giudici di merito hanno ritenuto non concedibile l'attenuante in quanto asseritamente incompatibile con l'omicidio colposo, ma tale orientamento giurisprudenziale riguarda la seconda ipotesi prevista dall'art. 62 n. 6 cod. pen. La Corte di cassazione ha precisato che le due circostanze attenuanti previste all'art. 62 n. 6 cod. pen. hanno sfera di applicazione autonoma, essendo la prima correlata al danno inteso in senso civilistico, cioè alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale economicamente risarcibile, tanto è vero che si è ritenuta compatibile tale ipotesi con il risarcimento effettuato dalla compagnia assicurativa che copre i rischi relativi alla circolazione dell'auto a condizione che l'imputato ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio. La sentenza è anche contraddittoria laddove, dopo aver ritenuto incompatibile l'attenuante con il reato di omicidio, ha poi valorizzato la gravità dei fatti senza procedere alla valutazione circa l'integralità del risarcimento.
5. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento limitatamente alla circostanza attenuante del risarcimento del danno; per l'inammissibilità nel resto.
6. Il difensore di D.G. ha depositato memoria, concludendo per l'annullamento con rinvio.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Risulta utile evidenziare che la rubrica del primo motivo di censura indica il vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di perizia, mentre il corpo del motivo s'incentra sull'omesso accertamento mediante perizia dell'esistenza di un'avaria del sistema elettronico che presiede alla stabilità del veicolo quale causa determinante la perdita di controllo del mezzo e sull'avere entrambi i giudici di merito svolto ragionamenti di natura tecnica senza il supporto della prova scientifica.
1.1. Premesso che non è previsto dalla legge un obbligo per il giudice di acquisire la prova scientifica mediante l'espletamento della perizia e che, conseguentemente, il giudice non è obbligato a spiegare le ragioni per le quali non ritenga di disporla, va considerato che, nel caso concreto, il giudice di primo grado ha fondato la decisione su dati ritenuti certi in quanto provenienti dalle concordi conclusioni dei consulenti tecnici dell'accusa e della difesa e che, dunque, non può fondatamente affermarsi che il giudice abbia basato la propria decisione sulla scienza privata. Ha, al contrario, ritenuto idonea e sufficiente a sostenere la decisione la prova scientifica fornita dalle parti per il tramite dei rispettivi consulenti tecnici (Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, dep. 2015, L., Rv. 262469 - 01). In simili casi, la sentenza deve ritenersi adeguatamente motivata se e in quanto il decisore abbia illustrato le ragioni per le quali la prova scientifica così introdotta nel processo ha fornito dati certi e utili ai fini del giudizio.
1.2. E' sufficiente, a tal fine, sottolineare quanto riportato a pag. 12 della sentenza di primo grado, ove si legge che il consulente della difesa ha concordato sulla ricostruzione della cinematica del sinistro operata dal consulente del pubblico ministero, ha ritenuto attendibile il valore della velocità indicato intorno agli 85-90 km/h e ha considerato quale possibile causa determinante l'instabilità del veicolo il coefficiente di aderenza molto scarso (pari a 0,6) dovuto all'usura dell'asfalto nel tratto di strada interessato dal sinistro. Da tale rilievo è pacificamente desumibile la motivata valutazione circa l'idoneità e la sufficienza ai fini del giudizio inerente alle cause del mancato controllo del veicolo dei dati tecnici forniti dai consulenti di parte, ossia la velocità dei veicoli, il punto d'urto, la conformazione e le condizioni della strada, l'assenza di segni di frenata sul manto stradale. Il giudice di primo grado ha, comunque, espressamente indicato, a pag. 15, di aver ritenuto superflui ai fini della decisione non solo l'accertamento di una velocità di marcia dell'autovettura condotta dall'imputato superiore a 90 km/h ma anche la verifica circa l'esistenza di cause concomitanti che potrebbero aver influito sulla perdita di controllo del veicolo, ivi incluse eventuali anomalie del mezzo, valutando a tal fine sufficienti i dati concordemente introdotti dai consulenti tecnici come sopra elencati. In particolare, il Tribunale ha, con logica ineccepibile, ritenuto evidente che la velocità accertata, posta in correlazione alle condizioni del manto stradale, con coefficiente di aderenza molto scarso, e all'assenza di tracce di frenata, considerate indizio del fatto che l'imputato neppure avesse percepito la presenza del veicolo antistante, dimostrasse la pericolosità e l'inadeguatezza della condotta di guida del D.G. rispetto a qualsivoglia manovra di emergenza, anche per fronteggiare eventuali anomalie di funzionamento dell'autovettura.
1.3. A maggior ragione con riferimento al giudizio di appello, non può ritenersi previsto un obbligo di motivazione a sostegno del diniego di rinnovazione istruttoria mediante perizia, tanto che è ripetuto nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fondi su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589 - 01; Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893 - 01; Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 257741 - 01).
1.4. I giudici di appello hanno, a conferma di tale giudizio, ribadito come le consulenze tecniche tanto del pubblico ministero quanto della difesa concordassero sui seguenti dati tecnici: che la Skoda percorreva la strada provinciale nel rispetto del limite di velocità, mentre l'autovettura condotta dall'imputato percorreva la strada a una velocità di circa 90 km/h; che il tratto di strada asfaltato fosse usurato, che l'illuminazione fosse naturale, il tempo buono e il tratto di strada asciutto; che la massa a vuoto della Ferrari fosse kg. 1780 mentre quella della Skoda era kg. 920. Hanno dunque sottolineato, da un lato, che il giudizio di responsabilità si è basato sulla ricostruzione compiuta proprio dal consulente della difesa e, dall'altro, che l'eventualità secondo la quale il veicolo avesse deviato verso sinistra per un guasto tecnico, affermata dall'imputato, fosse del tutto sfornita di prova. I giudici di appello hanno, dunque, ritenuto logico e corretto il ragionamento del primo giudice secondo il quale la velocità di marcia tenuta dall'imputato non fosse adeguata alle caratteristiche della strada.
1.5. Entrambe le pronunce sono, peraltro, conformi all'indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di reati colposi derivanti da inosservanza delle norme sulla circolazione stradale, nel formulare il proprio apprezzamento sull'eccesso di velocità relativa, ossia su una velocità non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocità, il giudice non è tenuto a determinare con precisione e in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocità accertata deve essere ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale (Sez. 4, n. 42097 del 14/10/2021, La Cascia, Rv. 282068 - 01; Sez. 4, n. 8526 del 13/02/2015, De Luca, Rv. 262449 - 01).
1.6. Né può condividersi l'assunto difensivo secondo il quale sia indice di motivazione viziata l'affermazione di responsabilità dell'imputato non preceduta da un'approfondita indagine tecnica circa la sussistenza di anomalie di funzionamento del veicolo. I giudici di appello hanno, sul punto, fornito ampia e motivata replica, evidenziando che unico elemento di prova a sostegno di tale ipotesi fosse quanto dichiarato dal D.G. in fase di indagini preliminari, giudicando non credibile tale acquisizione sia perché contrastante con il dato obiettivo dell'assenza di tracce di frenata sia perché non corroborato dalla consulenza tecnica espletata su incarico dell'organo inquirente.
1.7. Le scarne acquisizioni a sostegno della tesi difensiva hanno, dunque, determinato i giudici a rigettare la richiesta di nomina di un perito, valutando generica l'istanza, che si limitava a confutare le conclusioni del tecnico del pubblico ministero con un ragionamento fondato sulle dichiarazioni dell'imputato, completamente smentite da quanto accertato dalla polizia giudiziaria con riferimento alla manovra di frenata posta in essere, non avendo gli agenti rinvenuto tracce di frenata sull'asfalto. Giova, in proposito, ricordare che l'apporto degli esperti nel processo non può avere scopo meramente esplorativo ma deve fondarsi almeno su un principio di prova idoneo a rendere verosimile la tesi che la prova scientifica dovrebbe corroborare. Non risultano, dunque, ignorate le falsificazioni dell'ipotesi accusatoria proposte dalla difesa, adeguatamente esaminate e con logica ineccepibile ritenute prive di riscontro fattuale ancor prima che tecnico.
1.8. Anche il dato secondo il quale, prima del sinistro, la casa costruttrice avesse operato due campagne di richiamo del veicolo è stato valutato dal giudice di appello in conformità a quanto emerso all'esito dell'istruttoria, non ravvisandosi sul punto alcun travisamento della prova; la Corte ha, anzi, logicamente desunto dall'esecuzione delle campagne di aggiornamento del veicolo uno stato di ottima manutenzione dell'auto al momento del sinistro, desumendone un argomento aggiuntivo a confutazione dell'assunto difensivo.
1.9. Ulteriore argomento congruamente introdotto nel giudizio di appello ha riguardato la c.d. modalità «sport». La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto non condivisibile il ragionamento difensivo in quanto fondato su una allegazione priva di fondamento, ossia sul cattivo funzionamento del sistema di gestione, e comunque inidonea a elidere i dati pacifici della condotta di guida oltre il limite di velocità e dell'incapacità del conducente di porre in essere le manovre necessarie a evitare il violento impatto. Con riguardo all'ipotetica modificazione della modalità di guida a causa dell'urto o degli accertamenti eseguiti nell'immediatezza del fatto, a pag. 11 della sentenza la Corte d'appello ha evidenziato come tale modalità di guida risultasse desumibile anche dal rilevamento del display TFT della vettura, come accertato dal consulente del pubblico ministero, desumendone logicamente che fosse inverosimile l'accidentale spostamento del commutatore. Le condizioni di non ottimale viabilità e il limite di velocità pari a 50 km/h erano, secondo il chiaro ragionamento della Corte di appello, condizioni concrete che sconsigliavano l'utilizzo dell'assetto sportivo sia alla luce delle raccomandazioni impartite dalla casa madre sia secondo un criterio di ordinaria diligenza.
2. A diversa conclusione si deve giungere con riguardo al secondo motivo di ricorso, che risulta fondato.
2.1. Occorre prendere le mosse dalla sentenza impugnata, che ha negato la compatibilità tra la circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 6 cod. pen. e il delitto di omicidio colposo in quanto si tratta di fattispecie produttiva della irreversibile distruzione del bene giuridico protetto dalla norma e di fatti di tale gravità da non consentire l'applicazione dell'attenuante invocata. I giudici di appello hanno anche dato atto della superfluità dell'istanza di rinnovazione istruttoria, ritenendo pacifico che il danno subito dalle costituite parti civili fosse stato integralmente risarcito.
2.2. Risulta, dunque, necessario ai fini del presente giudizio rimarcare la differenza tra la circostanza attenuante invocata dalla difesa, altrimenti definita in termini di riparazione totale del danno, e la seconda ipotesi prevista dall'art. 62 n. 6 cod. pen., altrimenti definita ravvedimento operoso (alla quale fa riferimento il precedente Sez. 4 n. 18802/2019 impropriamente richiamato nella sentenza impugnata), non senza precisare che questa Corte ha più volte esaminato i caratteri distintivi delle due figure circostanziali al fine di delimitarne l'ambito operativo, affermando che il parziale risarcimento del danno, inidoneo ad attenuare il reato secondo la prima ipotesi, non può essere valutato con riferimento alla seconda ipotesi, che inerisce alle conseguenze diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile e riguarda la lesione o il pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata (Sez. 3, n. 31841 del 02/04/2014, C., Rv. 260290 - 01; Sez. 1, n. 27542 del 27/05/2010, Galluccio, Rv. 247710).
2.3. Limitando, dunque, il tema di analisi all'ipotesi dell'attenuante della riparazione totale del danno, risulta utile evidenziare la significativa differenza - quanto all'ambito di applicabilità - tra l'attenuante in argomento e quella prevista dall'art. 62 n. 4 cod. pen., sia perché la prima, a differenza della seconda, non è limitata ai reati con una determinata oggettività giuridica (contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio) o connotati da un particolare elemento soggettivo (motivi di lucro), sia perché il testo normativo non istituisce alcun vincolo di identità nella prima, a differenza di quanto avviene nella seconda (danno cagionato alla persona offesa dal reato), tra persona offesa e danneggiato.
2.4. È rilevante richiamare, ai fini che qui interessano, la pronuncia con cui nel 1983 questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 145 del 29/10/1983), giudicando in merito all'applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., ai reati contro la fede pubblica, aveva affermato come solo l'art. 62 n. 4 cod. pen., richiamandosi al concetto di patrimonio nella sua duplice funzione di oggetto giuridico della tutela penale e di oggetto del danno risarcibile, avesse riguardo a quei reati dalla lesione del cui oggetto giuridico discende un danno patrimoniale, rendendo doveroso, al fine di verificare l'applicabilità di questa circostanza, effettuare un'indagine circa l'oggettività giuridica dei reati contemplati. Diversamente, osservava la Corte, la circostanza di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. attiene non già al patrimonio e all'offesa che può derivare ai reati che ad esso si ricollegano ma, genericamente, al danno che può derivare (indipendentemente dall'offesa al bene giuridico protetto) da qualsiasi reato, sicché questa circostanza è del tutto svincolata dall'oggettività giuridica del reato rispetto al quale se ne prospetta l'applicazione e non implica, perciò, la necessità di alcuna indagine in proposito (cfr., in tal senso, anche Sez. U, n. 46982 del 25/10/2007, Pasquini, Rv. 237855).
2.5. Nel solco di tale indirizzo va collocata la pronuncia delle Sezioni Unite del 1991 (Sez. U, n. 1048 del 6/12/1991, dep. 1992, Scala, Rv.189183) che, ponendo in diretta correlazione l'attenuante in esame con le obbligazioni civili restitutorie e risarcitorie previste dall'art. 185 cod. pen., aveva richiamato la distinzione tra evento del reato e danno, chiarendo che ciò che effettivamente rileva ai fini dell'applicazione dell'attenuante è il danno cagionato dal reato, che nel suo significato più proprio è quello giuridicamente considerabile, cioè quello per cui è data l'azione di risarcimento, e non piuttosto l'evento costitutivo del reato, consistente nella lesione o messa in pericolo di interessi non valutabile economicamente: così escludendo, conseguentemente, l'incompatibilità dell'attenuante in oggetto con i reati cosiddetti plurioffensivi, in ragione del fatto che il requisito dell'avere interamente riparato il danno non può concernere valori disomogenei ma esclusivamente il danno che, ai sensi dell'art. 185 cod. pen., è suscettibile di essere eliminato nelle forme e con i mezzi previsti dalle leggi civili mediante le restituzioni e il risarcimento. Tale interpretazione risultava, peraltro, coerente con gli stessi Lavori preparatori al codice penale, in cui il legislatore aveva manifestato l'intento di specificare gli elementi delle circostanze comuni per la necessità di non concedere al giudice un potere così ampio da confinare con l'arbitrio, da ciò potendosi desumere che l'espressa indicazione di limiti, correlati all'oggettività giuridica del reato, presente nella circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. dovesse avere per l'interprete significato tanto pregnante quanto l'omessa indicazione di analoghi limiti ai fini dell'applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62 n.6 cod. pen. Nè si poneva in contrasto con la questione, a lungo dibattuta, circa il fondamento normativo dell'attenuante in esame, essendo comunque coerente, il requisito dell'integralità della riparazione del danno, con l'interpretazione giurisprudenziale secondo la quale - nell'ottica del favor reparandi - la scelta del legislatore di attenuare la pena in concreto applicabile sarebbe stata legata all'accertamento di una condotta sintomatica del ravvedimento del reo (Sez. 1, n. 3340 del 13/01/1995, Menolascima, Rv.200578).
2.6. Il percorso giurisprudenziale indicato dalle Sezioni Unite con le decisioni sopra ricordate, confermato da plurime pronunce (Sez. 6, n. 596 del 8/10/1993, dep. 1994, Prini, Rv.196123; Sez. 4, n. 4872 del 04/02/1991, Penili, Rv. 187066), ha trovato un importante sviluppo nella pronuncia con cui la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 138 del 20 aprile 1998) ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell'art. 62 n.6 cod. pen., prima parte, sollecitando un'interpretazione adeguatrice della norma nel senso che l'attenuante in parola fosse operante anche quando l'intervento risarcitorio, comunque riferibile all'imputato, fosse compiuto prima del giudizio dall'ente assicuratore e ritenendo, in altre parole, possibile una lettura alternativa a quella secondo la quale l'attenuante di cui trattasi avesse natura soggettiva e si dovesse, perciò, risolvere in un comportamento idoneo a denotare la volontà dell'imputato di riparare il danno prodotto con la sua condotta criminosa.
2.7. Conseguentemente, la successiva pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 5941 del 22/01/2009, Pagani, Rv.242215), giudicando in merito alla possibilità di comunicare detta circostanza ai concorrenti nel reato, ha avuto modo di specificare - così valorizzando ancora una volta il favor reparandi cui si è innanzi fatto cenno - che, nei reati colposi, il criterio di ragionevolezza impone di rilevare la condotta riparatoria, per una visione socialmente adeguata del fenomeno, anche nell'aver stipulato un'assicurazione o nell'aver rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivati dall'attività pericolosa. La giurisprudenza successiva, recuperando la componente soggettiva dell'attenuante, ha, peraltro, elaborato l'ulteriore principio secondo il quale ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen., in caso di risarcimento effettuato da parte di un soggetto diverso dall'imputato, non è sufficiente che tale soggetto abbia con l'imputato, ovvero con i suoi coobbligati solidali, rapporti contrattuali o personali che ne giustifichino l'intervento, ma è necessario che l'imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, che abbia contribuito all'adempimento (Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017, dep.2018, M.V., Rv. 271969 - 01: Fattispecie di lesioni colpose da incidente stradale in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso l'attenuante in questione, pur essendo intervenuto l'integrale risarcimento del danno ad opera della compagnia assicuratrice del veicolo alla cui guida si era posto l'imputato, ritenendo che le sollecitazioni operate dal suo difensore non fossero sufficienti a dimostrare che l'imputato avesse avuto conoscenza dell'intervento dell'assicuratore e manifestato la volontà di farlo proprio).
3. Il Collegio ritiene, dunque, che la censura mossa dal difensore di D.G. sia fondata per entrambi i profili dell'affermata incompatibilità dell'attenuante in parola con il delitto di omicidio colposo e dell'asserita superfluità di ogni accertamento inerente all'an e al quando il danno sia stato integralmente risarcito. Deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto:
Ai fini dell'applicabilità dell'attenuante comune di cui all'art. 62 n. 6 prima ipotesi cod. pen., non è necessario prendere in esame l'oggettività giuridica del reato, essendo compito del giudice accertare esclusivamente se l'imputato (prima del giudizio) abbia integralmente riparato il danno mediante adempimento delle obbligazioni risarcitone e/o restitutorie che, ai sensi dell'art. 185 cod. pen., trovano la loro fonte nel reato e se, qualora il risarcimento sia avvenuto ad opera di un terzo, l'imputato abbia manifestato una concreta volontà riparatoria.
4. A tali considerazioni segue l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al punto che concerne la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 prima parte cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, alla quale è demandata la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità. Il ricorso deve essere rigettato nel resto, con affermazione di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità ai sensi dell'art. 624 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione concernente la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dichiara l'irrevocabilità della declaratoria di responsabilità.