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Notifica di atto imcompleto è nulla (Cass. 18121/16)

14 settembre 2016, Cassazione civile

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La notifica di una copia di un atto di impugnaizone incompleto perchè privo di alcune pagine, nel caso in cui l'incompletezza dell'atto pregiudichi il diritto di difesa del destinatario a cagione della incomprensibilità assoluta di esso o di sue parti significative, che conseguenze ha?

Determina un vizio dell'atto o un vizio della notifica dell'atto?

La mancanza, nella copia notificata del ricorso per cassazione (il cui originale risulti ritualmente depositato nei termini), di una o più pagine, ove impedisca al destinatario la completa comprensione delle ragioni addotte a sostegno dell'impugnazione, non comporta l'inammissibilità del ricorso, ma costituisce un vizio della notifica di tale atto, sanabile con efficacia ex tunc mediante la nuova notifica di una copia integrale del ricorso, su iniziativa dello stesso ricorrente o entro un termine fissato dalla Corte di Cassazione, ovvero per effetto della costituzione dell'intimato, salva la possibile concessione a quest'ultimo di un termine per integrare le sue difese.

Il principio costituzionale della ragionevole durata del processo dettato dall'art. 111/2 Cost., che va coordinato con il principio del giusto processo sancito dal medesimo articolo, nonchè con il diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost., che impongono di considerare ammissibili soluzioni che implichino un allungamento contenuto della durata del singolo processo, ma che evitino interpretazioni formalistiche delle regole.

In caso di notifica di un provvedimento giudiziario incompleto ricorre la sussistenza di una mero vizio della notificazione e non del provvedimento.

L'appello proposto dinanzi ad un giudice diverso da quello indicato dall'art. 341 cod. proc. civ. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della transiatio iudicii, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi a un giudice di grado diverso rispetto a quello dinanzi al quale avrebbe dovuto essere proposto il gravame.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 14 settembre 2016, n. 18121

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato - Primo Presidente f.f. -

Dott. AMOROSO Giovanni - Presidente di Sez. -

Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -

Dott. MATERA Lina - rel. Consigliere -

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -

Dott. IACOBELLIS Marcello - Consigliere -

Dott. VIRGILIO Biagio - Consigliere -

Dott. TRIA Lucia - Consigliere -

Dott. D’ASCOLA Pasquale - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4091/2014 proposto da:

IL B. S.A.S., in persona del socio accomandatario pro tempore, elettivamente domiciliata in .. rappresentata e difesa dagli avvocati .. per delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

CONDOMINIO VIALE (OMISSIS), in persona dell'Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 52, presso lo STUDIO LS LEXJUS SINACTA, rappresentato e difeso dall'avvocato AC per delega in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1335/2013 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2016 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l'Avvocato Veronica DINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per l'accoglimento, p.q.r., del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29-11-2012 il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda proposta dal Condominio di .. Milano nei confronti di C.R.M. e della s.a.s. Il B., dichiarava contrari al regolamento condominiale la trasformazione d'uso dei locali di proprietà della C. e lo svolgimento, in detti locali, da parte della s.a.s. Il B., dell'attività di bar-tavola calda; illegittimi gli interventi eseguiti o programmati che, senza previa autorizzazione, comportassero modifiche alla tubazione d'acqua e di quelle di scarico per la creazione di due servizi igienici nel piano interrato o comunque quelli che comportassero modifiche all'impianto di riscaldamento per la creazione di un impianto di riscaldamento sempre al piano interrato, nonchè quelli comportanti interventi sulle solette per la creazione e installazione di impianto porta persone. Il Tribunale, inoltre, condannava le convenute al risarcimento dei danni in favore del Condominio, nella misura di Euro 7.080,00, oltre interessi legali.

La s.a.s. Il B. proponeva appello avverso la predetta decisione dinanzi alla Corte di Appello di Brescia, motivando la scelta di tale Ufficio Giudiziario, in luogo della Corte di Appello di Milano, sul rilievo che, nel corso del giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Milano, si erano verificati fatti tali da chiarire che, sebbene l'azione giudiziaria fosse stata proposta formalmente dal solo Condominio, in realtà risultava essere stato parte attiva il condomino dott. A., giudice del Tribunale di Milano; sicchè, in applicazione dell'art. 30 bis cod. proc. civ., la causa doveva essere attribuita al giudice che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte di Appello determinato ai sensi dell'art. 11 cod. proc. pen..

Si costituiva il Condominio di via (OMISSIS), eccependo l'inammissibilità dell'appello, in quanto proposto davanti alla Corte non territorialmente competente, e contestando, comunque, la fondatezza dei motivi di gravame.

Con sentenza in data 3-12-2013, non notificata, la Corte di Appello di Brescia dichiarava inammissibile il gravame. La Corte territoriale rilevava che, a norma dell'art. 341 cod. proc. civ., il giudice competente a decidere sull'appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano non poteva che essere la Corte di Appello di Milano, nel cui distretto rientra detto Tribunale. Osservava che in atti non vi era alcun elemento da cui poter desumere che il magistrato indicato dall'appellante potesse considerarsi parte nel presente giudizio, nè in senso formale (in quanto unica parte era il Condominio, rappresentato dal suo amministratore), nè in senso sostanziale (in quanto il suddetto magistrato non pareva essere nemmeno effettivo condomino di quel complesso, tale qualità essendo rivestita esclusivamente dalla moglie). Aggiungeva che non poteva essere rimesso alla parte il potere di scegliere un giudice di impugnazione diverso da quello previsto dall'art. 341 cod. proc. civ., dopo che il giudizio di primo grado era stato introdotto ed era pervenuto alla sua conclusione senza alcun rilievo in ordine alla presenza di un magistrato come parte, circostanza che avrebbe potuto comportare una declinatoria di competenza.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la s.a.s. Il B., con atto notificato il 4-2-2014, sulla base di sei motivi.

11 Condominio di viale (OMISSIS) in Milano ha resistito con controricorso, eccependo l'inammissibilità del ricorso, in quanto la copia ad esso notificata a mezzo del servizio postale era priva di tutte le pagine pari.

La società ricorrente, in data 9/11-4-2014, ha provveduto a notificare nuovamente il ricorso per cassazione, questa volta completo di tutte le pagine.

Nel costituirsi con controricorso, il Condominio intimato ha eccepito l'inammissibilità anche di tale secondo ricorso, perchè notificato oltre il termine breve di sessanta giorni decorrenti dalla notifica del primo ricorso per cassazione.

Il ricorso, trattato in prima battuta in adunanza camerale dinanzi alla Sesta Sezione Civile, è stato poi discusso all'udienza pubblica del 17-11-2015 dinanzi alla Seconda Sezione Civile.

Con ordinanza interlocutoria n. 24856/2015 la Seconda Sezione ha ravvisato la sussistenza di due contrasti di giurisprudenza su questioni rilevanti ai fini della decisione.

Essa, pertanto, ha disposto la rimessione degli atti al Primo Presidente, il quale ha assegnato a queste Sezioni Unite la soluzione dei segnalati contrasti.

In prossimità dell'udienza il ricorrente ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all'affermazione secondo cui non vi sarebbe prova della qualità di condomino del dott. A.. Deduce che il fatto che il predetto magistrato, insieme alla moglie, sia un condomino dello stabile di via (OMISSIS), non solo è confermato da una copiosa mole di documenti, ma non è mai stato contestato da controparte.

Con il secondo motivo la società Il B. si duole dell'omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all'affermazione secondo cui il dott. A. non era stato parte del giudizio di prime cure, non sembrando essere effettivo condomino dello stabile di via (OMISSIS). Sostiene che la circostanza che il predetto magistrato sia divenuto parte sostanziale del giudizio di prime cure è dimostrata da una serie di elementi documentali, ignorati dal giudice di appello. Fa presente, in particolare, che l' A. e la moglie hanno presentato ben 18 esposti in relazione al progetto edilizio presentato dal socio accomandatario della s.a.s. Il Birillo, e che nel corso del giudizio il magistrato ha posto in essere una serie di interferenze nel procedimento giudiziario svoltosi dinanzi al Tribunale di Milano.

Con il terzo motivo viene dedotto l'omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all'affermazione secondo cui alla parte non è consentito scegliere un giudice d'impugnazione diverso da quello previsto ai sensi dell'art. 341 c.p.c., dopo che il giudizio di primo grado sia stato introdotto e sia pervenuto alla sua conclusione. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che i comportamenti assunti dal dott. A. si sono svolti dopo l'incardinamento del procedimento di primo grado, durante la fase istruttoria, e sono emersi in maniera definitiva solo nella sentenza emessa dal Tribunale di Milano.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli arti. 30 bis e 38 c.p.c., sostenendo che la possibilità di incardinare il giudizio di appello nel distretto indicato dall'art. 30 bis c.p.c. è prevista anche in caso di fatti sopravvenuti nel corso del giudizio.

Con il quinto motivo la società Il B. denuncia la violazione degli artt. 30 bis e 50 c.p.c.. Deduce che, ai sensi dell'art. 30 bis c.p.c., nella parte residualmente in vigore a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 147 del 25-5-2004, la causa in oggetto deve essere attribuita al giudice che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte di Appello determinato ex art. 11 c.p.p., in quanto l'azione promossa dal Condominio di viale (OMISSIS) attiene a danni che sarebbero stati arrecati (al solo condomino A.) da un'attività edilizia abusiva, corroborata da falsi in atti pubblici, tenuto conto delle numerose accuse di commissione di illeciti penalmente rilevanti mosse dal magistrato a carico del rappresentante della società Il B.

Con il sesto motivo, infine, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 bis e 50 c.p.c.. Sostiene che la Corte di Appello di Brescia ha errato nel dichiarare l'inammissibilità del gravame, omettendo di concedere all'appellante la possibilità di riassumere la causa davanti alla Corte di Appello di Milano, da essa ritenuta competente per territorio.

2) Queste Sezioni Unite sono state chiamate a comporre i contrasti registratisi nella giurisprudenza di legittimità in ordine alle seguenti questioni;

A) se la consegna al notificando di una copia del ricorso per cassazione privo di alcune pagine, nel caso in cui l'incompletezza dell'atto pregiudichi il diritto di difesa del destinatario a cagione della incomprensibilità assoluta di esso o di sue parti significative) determini l'inammissibilità dell'impugnazione ovvero costituisca un vizio della notifica dell'atto, sanabile con efficacia ex tunc mediante la nuova notifica di una copia integrale del ricorso, su iniziativa del ricorrente o entro un termine fissato dalla Corte di Cassazione;

B) se l'appello proposto dinanzi ad un giudice incompetente, nel caso in cui l'incompetenza sia meramente territoriale, configuri una ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione, ovvero valga ad instaurare un valido rapporto processuale suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della riassunzione a norma dell'art. 50 cod. proc. civ..

3) L'esame della prima questione riveste rilevanza prioritaria ai fini della decisione, alla luce dell'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente.

Come è stato precisato nell'ordinanza interlocutoria, il primo ricorso per cassazione è stato notificato al Condominio a mezzo posta il 4-2-2014 (e, quindi, nel rispetto del termine "lungo" ex art. 327 c.p.c., essendo stata la sentenza di appello, non notificata, pubblicata il 3-12-2013), limitatamente alle pagine dispari, con mancanza di tutte le pagine pari, dalla 2 alla 26; mentre il medesimo ricorso, completo di tutte le pagine, è stato tempestivamente depositato in Cancelleria il 21-2-2014.

La Seconda Sezione Civile, nel far presente che la lettura del ricorso a pagine alterne rende incomprensibile il tenore dell'impugnazione, ha rilevato che sulla questione inerente alle conseguenze derivanti dalla notifica di un ricorso privo di alcune pagine nella giurisprudenza di legittimità si rinvengono due diversi orientamenti.

Essa ha osservato che, secondo un primo indirizzo, maggioritario, la mancanza di una o più pagine nella copia notificata del ricorso per cassazione comporta l'inammissibilità di esso nel caso o nei limiti in cui tale mancanza impedisca la completa comprensione delle ragioni addotte dal ricorrente a sostegno dell'impugnazione (Cass. Sez. 1, 26-3-2004 n. 6074; Cass. Sez. 3, 11-1-2006 n. 264; Cass. Cass. Sez. Un., 22-2-2007 n. 4112; Cass. Sez. 2, 22-1-2010 n. 1213; Cass. Sez. 3, 24-10-2011 n. 21977; Cass. Sez. 6-3, 31-10-2013 n. 24656). 

Ha richiamato, poi, una recente decisione (Cass. Sez. 3, 411-2014 n. 23420), nella quale si afferma, in senso contrario, che "se nella copia dell'atto notificato manchino delle pagine necessarie per la comprensione del contenuto intrinseco di esso, l'incompletezza della copia notificata rispetto all'atto originale determina la nullità non dell'atto, ma della notifica, e se l'atto è una citazione in appello, tale incompletezza non può determinare l'inammissibilità dell'impugnazione per mancanza di specificità dei motivi e la conseguente decadenza dall'impugnazione, perchè questa è una sanzione alla mancanza di idonea manifestazione dell'oggetto e delle ragioni dell'atto impugnatorio, ma soltanto il rinnovo della notifica, a norma dell'art. 291 cod. proc. civ., che consente la conservazione degli effetti dell'impugnazione e della difesa al destinatario di esso. Qualora poi costui si costituisca, la nullità della notifica è sanata. Tuttavia, se l'incompletezza della copia dell'atto notificatogli, pur essendo stato nei termini depositato in cancelleria l'atto originale completo, non gli consente di difendersi adeguatamente avuto riguardo sia all'essenzialità delle pagine mancanti, sia alla brevità del termine tra il perfezionamento della notifica e quello per la sua costituzione, rispetto alla data di vocatio in ius, ha diritto alla concessione di un termine per difendersi e proporre eccezioni".

A quest'ultimo indirizzo, secondo il Collegio rimettente, va ricondotta l'ordinanza interlocutoria 6-5-2015 n. 9153, con la quale - in una fattispecie nella quale nella copia del ricorso per cassazione notificata ai controricorrenti mancavano "le pagine n. 3-29-30-3233 e 34, con conseguente omissione dell'ultima parte del secondo motivo di ricorso e relativo quesito di diritto e dei motivi terzo e quarto come trascritti nell'originale del ricorso stesso"-, la Seconda Sezione Civile, dopo aver rilevato che la completezza dell'originale del ricorso non supera il rilievo che l'omissione delle suddette pagine nella copia del ricorso stesso "ha impedito ai controricorrenti la piena comprensione dell'atto ed ha compromesso le garanzie del contraddittorio, ledendo quindi il loro diritto alla difesa", ha concesso ai controricorrenti termine per l'integrazione del controricorso con riferimento all'esame delle pagine mancanti del ricorso nella copia ad essi notificata.

Nell'ambito dello stesso orientamento, si pone altresì la sentenza Cass. Sez. Lav., 5-8-2013 n. 18618, nella quale è stato affermato che "nel rito del lavoro, non può dichiararsi l'improcedibilità dell'appello nel caso in cui il ricorso sia stato tempestivamente depositato, completo in ogni sua parte, nel termine previsto dalla legge, e tuttavia sia stata notificata alla controparte una copia mancante di alcune pagine, nonostante l'attestazione della cancelleria di corrispondenza all'originale, dovendosi in tal caso ordinare la rinnovazione della notifica dell'atto, nell'esercizio di un potere che non si pone contro il principio costituzionale della ragionevole durata del processo dettato dall'art. 111 Cost., comma 2, il quale va coordinato con il principio del giusto processo sancito dal medesimo articolo, nonchè con il diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost., che impongono di considerare ammissibili soluzioni, quali ad esempio la concessione di un nuovo termine, che implichino un allungamento contenuto della durata del singolo processo, ma che evitino interpretazioni formalistiche delle regole di procedura ostative all'esame nel merito dei ricorsi, determinando l'instaurazione di un nuovo processo".

3A) Dalla disamina delle pronunce richiamate nell'ordinanza di rimessione, che propendono per la tesi dell'inammissibilità dell'impugnazione mancante di qualche foglio, emerge che la preoccupazione principale dei decidenti è stata quella di verificare se, nei casi sottoposti al loro esame, la difformità tra copia ed originale avesse o meno leso i diritti di difesa della parte destinataria della notifica.

Sul punto, la giurisprudenza è consolidata nell'affermare che una simile lesione è ravvisabile solo nei casi in cui dalla mancanza di una o più pagine nella copia notificata sia derivata una lesione del diritto di difesa a causa dell'oggettiva incomprensibilità delle ragioni poste a base dell'impugnazione; conseguentemente, si è ritenuto che, quando l'atto di costituzione della controparte contenga una puntuale replica ad ogni deduzione del ricorrente, si deve escludere la sussistenza di un vizio di validità dell'atto, non risultando una concreta compromissione delle del contraddittorio.

Sulla base di tali principi, la maggior parte delle decisioni in materia, nel ritenere comunque comprensibili le ragioni addotte a sostegno dell'impugnazione, hanno escluso che, nei casi posti alla loro attenzione, l'incompletezza della copia notificata del ricorso per cassazione o dell'atto di appello potesse assumere un effettivo rilievo; sicchè si sono limitate a disattendere l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla parte interessata, senza svolgere significative argomentazioni circa le ragioni che avrebbero potuto giustificare tale ipotetica sanzione, in concreto non applicata.

Nemmeno le poche pronunce che sono pervenute ad una dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione, nei casi in cui la mancanza di alcune pagine nella copia notificata aveva determinato una effettiva lesione dei diritti di difesa della controparte, peraltro, si sono concretamente interrogate riguardo al fondamento giuridico di tale declaratoria, che risulta, pertanto, affermata dalla giurisprudenza in via di principio, sulla base del mero richiamo dei precedenti che si sono pronunciati in tal senso.

A fronte di tale prevalente orientamento, che sembra stabilire un acritico automatismo tra il vizio di cui si discute (incomprensibilità della copia notificata dell'atto mancante di qualche pagina) e le sue conseguenze (inammissibilità dell'impugnazione), la sentenza di segno opposto n. 23420 del 2014 ha assunto, come si è visto, una precisa posizione, ritenendo che non si sia in presenza di un vizio di validità dell'atto di impugnazione, bensì della relativa notificazione.

3B) La soluzione del rilevato contrasto in ordine alle conseguenze processuali derivanti dalla mancanza di una o più pagine nella copia notificata dell'atto di impugnazione, la quale abbia impedito al destinatario la piena comprensione dell'atto e, quindi, menomato il suo diritto di difesa, presuppone l'individuazione della natura del vizio che nell'ipotesi considerata viene a determinarsi.

Si tratta, in sostanza, di stabilire se tale vizio infici direttamente la validità dell'atto - come sembra implicitamente presuppone la giurisprudenza maggioritaria nel farne ridiscendere l'inammissibilità dell'impugnazione - ovvero la sua notificazione - come ritenuto, invece, dall'indirizzo minoritario, che di conseguenza sostiene l'applicabilità del disposto dell'art. 291 c.p.c. in tema di rinnovazione della notificazione nulla, ovvero la possibilità di concessione di un termine per integrare la difesa, nel caso di costituzione della parte che ha ricevuto la notifica incompleta-.

Ad avviso di queste Sezioni Unite, la seconda soluzione appare preferibile.

Deve, al riguardo, osservarsi che il codice di rito non fornisce una nozione generale della inammissibilità, ma disciplina singole ipotesi di inammissibilità, tutte inerenti alla materia delle impugnazioni. Oltre ai casi espressamente previsti dalla legge, per lo più relativi alla mancanza di specificità dei motivi di impugnazione (art. 342 c.p.c., art. 398 c.p.c., comma 2) o a vizi di forma o di contenuto dell'atto di impugnazione (artt. 365, 366 e 398 c.p.c.), le impugnazioni sono pacificamente considerate inammissibili quando siano proposte oltre i termini perentori stabiliti dalla legge (artt. 325 e 327 c.p.c.), ovvero vi sia stata acquiescenza della parte nei confronti del provvedimento impugnato, ovvero difetti l'interesse o la legittimazione ad impugnare, o il potere di impugnare non sia nemmeno astrattamente configurabile (come nei casi di inappellabilità delle sentenze ex art. 339 c.p.c.).

Sinteticamente, può dirsi che le ipotesi di inammissibilità espressamente previste dalla legge sono accomunate dall'esistenza di un vizio di difformità dell'atto di impugnazione rispetto al modello legale; mentre, nelle fattispecie di inammissibilità elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, la caratteristica comune è rappresentata dall'esistenza di un vizio esterno all'atto, che riguarda la sussistenza stessa del potere di impugnazione e, quindi, i presupposti dell'azione impugnatoria.

Orbene, è agevole rilevare che, in caso di notifica di un atto di impugnazione mancante di qualche pagina (e sempre che, ovviamente, l'originale, ritualmente depositato, sia completo), non ricorre alcuna difformità dell'atto rispetto al modello legale, nè è ipotizzabile una questione di carenza dei presupposti dell'impugnazione.

Ove, pertanto, nell'ipotesi considerata, si ritenesse l'inammissibilità dell'atto di impugnazione, si finirebbe con l'applicare in via analogica tale gravosa sanzione processuale al di fuori delle fattispecie espressamente considerate dalla legge, e pur essendo certamente configurabile il potere di impugnazione.

Già sotto tale profilo, si rende preferibile l'orientamento minoritario che, in caso di notifica di un atto di impugnazione mancante di qualche pagina, dalla quale sia derivato un vulnus dei diritti alla difesa e al contraddittorio, ritiene configurabile un vizio del procedimento notificatorio e non dell'atto, e ravvisa conseguentemente la possibilità di una sanatoria ex tunc mediante la rinnovazione della notifica.

Tale indirizzo si lascia preferire anche perchè, dal punto di vista sistematico, presuppone la prevalenza dell'originale dell'atto rispetto alla copia notificata; laddove l'indirizzo maggioritario, nel ricollegare alla notifica dell'atto incompleto l'inammissibilità dell'impugnazione, postula inevitabilmente la prevalenza dell'atto notificato rispetto all'originale.

Il che collide manifestamente sia con l'affermazione, più volte ricorrente nella giurisprudenza, secondo cui, ai fini del riscontro degli atti processuali, deve aversi riguardo agli originali e non alle copie (tra le tante v. Cass. Sez. Un. 22-2-2007 n. 4112; Cass. 7-5-2015 n. 9262), sia con la diversa conclusione pacificamente recepita da questa Corte in caso di notifica di un provvedimento giudiziario incompleto, allorchè si afferma senza esitazione la sussistenza di una mero vizio della notificazione e non del provvedimento (Cass. 7-12-2011 n. 26364; Cass. 16-4-1997 n. 3251; Cass. 25-1-1995 n. 888).

La soluzione seguita dall'orientamento minoritario, pertanto, ha il merito di ricondurre ad unità, sotto il profilo considerato, le ipotesi della notifica incompleta di un atto di parte e di un provvedimento giudiziario; fattispecie che, nonostante la diversa natura e funzione dei due tipi di atti, si basano entrambe sull'identico presupposto della discordanza tra l'originale e la copia notificata, e richiedono, quindi, la soluzione di un identico problema, ovvero quello di verificare se il vizio che ne deriva riguardi direttamente l'atto ovvero il relativo procedimento notificatorio.

Il contrasto segnalato, pertanto, deve essere risolto con l'affermazione del seguente principio di diritto:

La mancanza, nella copia notificata del ricorso per cassazione (il cui originale risulti ritualmente depositato nei termini), di una o più pagine, ove impedisca al destinatario la completa comprensione delle ragioni addotte a sostegno dell'impugnazione, non comporta l'inammissibilità del ricorso, ma costituisce un vizio della notifica di tale atto, sanabile con efficacia ex tunc mediante la nuova notifica di una copia integrale del ricorso, su iniziativa dello stesso ricorrente o entro un termine fissato dalla Corte di Cassazione, ovvero per effetto della costituzione dell'intimato, salva la possibile concessione a quest'ultimo di un termine per integrare le sue difese.

4) Nella specie, la nullità della notifica del ricorso, privo di alcune pagine, effettuata in data 4-2-2014, deve ritenersi sanata dalla costituzione del Condominio intimato, al quale, peraltro, la ricorrente in data 9/11-4-2014 ha provveduto di sua iniziativa a rinotificare copia del ricorso completo, sì da far veno meno la possibile configurabilità di una concreta menomazione del diritto alla difesa e al contraddittorio.

La ritenuta ammissibilità del primo ricorso per cassazione notificato al Condominio comporta l'assorbimento della questione - che avrebbe dovuto, invece, essere affrontata in caso di ritenuta inammissibilità di detta impugnazione- inerente alla ritualità del secondo ricorso, proposto con atto avviato per la notifica il 9-42014, nel rispetto del termine "lungo" ex art. 327 cod. proc. civ., ma oltre il termine breve di sessanta giorni dalla notifica del primo ricorso.

5) Può, dunque, procedersi all'esame dei primi cinque motivi di ricorso, assumendo il secondo contrasto di giurisprudenza segnalato nell'ordinanza di rimessione rilevanza in relazione al sesto motivo di impugnazione.

I detti motivi di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Giova rammentare che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 25 marzo 2004 n. 147, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 30 bis c.p.c., comma 1, la speciale competenza prevista da tale norma in favore del giudice ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto della Corte di Appello determinato ai sensi dell'art. 11 cod. proc. pen., è configurabile solo nelle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato di cui sia parte un magistrato (Cass. 7-5-2012 n. 6851; Cass. 26-7-2011 n. 16382; Cass. 26-9-2007 n. 19996; Cass. 5-9-2006 n. 19054).

Ciò posto, si osserva che le cause promosse da un Condominio di cui faccia parte un magistrato, per l'accertamento della illegittimità delle opere poste in essere da un condomino in contrasto con le norme del regolamento condominiale o senza l'autorizzazione condominiale, nonchè per conseguire il risarcimento dei danni conseguenti, non possono sussumersi tra quelle contemplate dal citato art. 30 bis cod. proc. civ., e seguono, pertanto, le ordinarie disposizioni regolative della competenza territoriale.

Nessuna rilevanza, in particolare, agli effetti voluti dalla società ricorrente, può attribuirsi agli esposti penali presentati dal dott. A. nei confronti del legale rappresentante della società Il Birillo. L'azione proposta nel presente giudizio dal Condominio, infatti, è volta esclusivamente all'accertamento del contrasto della trasformazione di uso dei locali con il regolamento di condominio e dell'esecuzione di interventi senza autorizzazione condominiale, con conseguente richiesta di risarcimento dei danni. Tale azione, pertanto, non è qualificabile come "concernente la restituzione e il risarcimento del danno da reato".

Alla luce di tali assorbenti considerazioni, rimane priva di rilievo ogni questione circa la sussistenza o meno, in capo al magistrato indicato dall'appellante, della qualità di condomino del Condominio di via (OMISSIS): anche ove il predetto, come sostenuto dalla ricorrente e negato, invece, dal giudice di appello, fosse effettivamente condomino, non ricorrerebbero i presupposti per l'operatività del citato art. 30 bis cod. proc. civ..

In ogni caso, si osserva che la questione dello spostamento della competenza ai sensi della citata norma di legge avrebbe dovuto essere eventualmente fatta valere dalla parte interessata in primo grado, nei termini previsti dall'art. 38 cod. proc. civ..

La competenza nelle cause di cui siano parti i magistrati, individuata a norma dell'art. 30 bis c.p.p., infatti, si configura come competenza territoriale inderogabile, senza, peraltro, che il rilievo o l'eccezione di incompetenza possano intervenire in ogni stato e grado del giudizio, in quanto anche nell'ipotesi di incompetenza ex art. 30 bis citato trova applicazione la disciplina generale di cui all'art. 38 cod. proc. Civ. (v. Cass. 112-2004 n. 2672; Cass. 14-2-2008 n. 3533; Cass. 26-6-2012 n. 10596). 

Una volta radicata ritualmente in primo grado la controversia dinanzi al Tribunale di Milano, pertanto, deve escludersi che le vicende addotte dalla ricorrente si palesino idonee a comportare uno spostamento della competenza attribuita, in appello, ai sensi dell'art. 341 cod. proc. civ., alla Corte di Appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza di primo grado.

6) Con riguardo al sesto motivo di ricorso -con il quale si lamenta che la Corte di Appello di Brescia abbia dichiarato l'inammissibilità dell'appello anzichè declinare la propria competenza e concedere all'appellante la possibilità di riassumere la causa dinanzi alla Corte di Appello di Milano -, assume rilievo il secondo contrasto di giurisprudenza segnalato dalla Seconda Sezione Civile.

L'ordinanza interlocutoria ha dato atto che, secondo un orientamento, l'appello proposto davanti ad un giudice territorialmente incompetente non configura un'ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione ai sensi dell'art. 358 cod. proc. civ., ma vale ad instaurare un valido rapporto processuale suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente, essendo possibile, attraverso il meccanismo della riassunzione, trasferire e proseguire il rapporto processuale originario davanti all'organo dichiarato competente (Cass. Sez. Lav., 2-7-2004 n. 12155; Cass. Sez. 2, 30-8-2004 n. 17395; Cass. Sez. 6-Lav., 9-6-2015 n. 11969).

Ha richiamato, tuttavia, un diverso indirizzo (Cass. Sez. 3, 10-3-2005 n. 2709), che, premesso che nel nostro ordinamento processuale civile non ha fondamento l'idea che la regola di individuazione dell'ufficio giudiziario legittimato ad essere investito dell'impugnazione sia riconducibile alla nozione di competenza adoperata dal codice di procedura civile nel Capo 1 del Titolo 1 del Libro 1, ha ritenuto che la norma sulla translatio di cui all'art. 50 cod. proc. civ. non può trovare applicazione nemmeno nel caso di impugnazione proposta dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge.

6A) Il primo orientamento si pone nel solco di un indirizzo formatosi sotto il vigore del codice di rito del 1865, nel quale, pur mancando una norma generale - come l'attuale art. 50 cod. proc. civ. - da cui potesse desumersi il principio della traslazione del processo nei casi di incompetenza del giudice adito, e pur essendo pacifico che il difetto di competenza del giudice di primo grado ponesse fine al rapporto processuale, imponendo una pronuncia di "absolutio da istantia", con riferimento al giudizio di appello la giurisprudenza assolutamente prevalente riteneva che il gravame proposto dinanzi al giudice incompetente fosse idoneo a costituire il rapporto processuale, il quale, pertanto, continuava dinanzi al giudice designato dalla sentenza di accoglimento dell'eccezione di incompetenza. In tal modo, veniva garantito l'effetto conservativo dell'appello proposto dinanzi a giudice incompetente, si da impedire la decadenza dal termine per appellare.

Tale orientamento si è ulteriormente consolidato a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile del 1942, il cui art. 50 ha espressamente previsto la trasmigrazione della causa proposta dinanzi a giudice incompetente, ove tempestivamente riassunta dinanzi al giudice ritenuto competente nella sentenza (ora ordinanza) dichiarativa dell'incompetenza.

Pur avendo la tesi esposta trovato, con il nuovo codice di rito, un concreto fondamento normativo, nel tempo la giurisprudenza ha cominciato progressivamente a porre dei limiti alla piena operatività del principio del c.d. effetto conservativo dell'appello.

Tale giurisprudenza, muovendo dal presupposto che l'appello, per essere considerato tale, deve necessariamente essere proposto dinanzi ad un giudice di grado superiore, ha inizialmente ritenuto inammissibile il gravame nelle sole ipotesi di sua proposizione dinanzi allo stesso giudice o ad un giudice di pari grado rispetto a quello che ha emesso la decisione impugnata (v. Cass. Sez. Lav., 912-1981 n. 6515; Cass. Sez. Lav., 24-9-1998 n. 9554; Cass. Sez. 1, 12-6-1999 n. 5814; Cass. Sez. Lav., 12-11-2002 n. 15866; Cass. Sez. Lav., 2-7-2004 n. 12155; Cass. Sez. 1, 6-9-2007 n. 18716). Di qui il graduale affermarsi di una giurisprudenza orientata ad escludere l'operatività dell'effetto conservativo del gravame ogni qualvolta l'impugnazione sia stata proposta dinanzi ad un giudice di grado diverso rispetto a quello dinanzi al quale avrebbe dovuto proporsi (v. Cass. Sez. 3, 29-1-2003 n. 1269; Cass. Sez. 1, 6-92007 n. 18716; Cass. Sez. 3, 2-2-2010 n. 23661, che hanno affermato l'inammissibilità dell'appello avverso una decisione del Pretore, proposto dinanzi al Tribunale anzichè alla Corte di Appello, divenuta competente in forza della disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 51 del 1998, art. 134), fino a giungere esplicitamente ad ammettere la transiatio iudicii nel solo caso di incompetenza meramente territoriale del giudice adito in appello (v. Cass. Sez. 2, 30-8-2004 n. 17395; Cass. Sez. 6-Lav., 9-6-2015 n. 11969).

Il vero punto di rottura con il tradizionale indirizzo, peraltro, si è registrato con la menzionata sentenza n. 2709 del 2005: prima di essa, infatti, non si era mai dubitato, in giurisprudenza, della applicabilità dell'art. 50 cod. proc. civ. (e dei conseguenti effetti conservativi) nella ipotesi di appello proposto dinanzi a un giudice incompetente solo per territorio.

Sulla scia del nuovo orientamento instaurato dalla pronuncia da ultimo citata si sono poste due successive decisioni della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 1, 7-12-2011 n. 26375 e Cass. Sez. 6-3, 2-11-2015 n. 22321); mentre con altra recente pronuncia (Cass. Sez. 6-Lav., 9-6-2015 n. 11969) è stata riaffermata l'applicabilità della translatio iudicii in caso di appello proposto dinanzi a giudice territorialmente incompetente.

6B) La sentenza n. 2709 del 2005, nell'affermare che l'art. 50 cod. proc. civ. non è mai applicabile in fase di impugnazione, quale che sia il tipo di errore commesso dall'appellante nell'individuare il giudice di appello competente e, quindi, anche in caso di mera incompetenza territoriale, è partita dal rilievo secondo cui nel nostro ordinamento processuale civile non ha fondamento l'idea che la regola di individuazione dell'ufficio giudiziario legittimato ad essere investito dell'impugnazione sia riconducibile alla nozione di competenza adoperata dal codice di procedura civile nel Capo 1 del Titolo 1 del Libro 1. Ciò in quanto, se anche la disciplina della individuazione del giudice dell'impugnazione assolve ad uno scopo di massima simile sul piano funzionale a quello che ha la disciplina della individuazione del giudice competente in primo grado, l'una e l'altra afferendo a regole che stabiliscono avanti a quale giudice debba svolgersi un determinato tipo di processo civile, in ragione del grado, tuttavia appare impossibile ravvisare fra i due fenomeni normativi una eadem ratio, sufficiente a giustificare l'estensione anche parziale di aspetti applicativi della seconda alla prima sul piano dell'analogia. Di qui la conclusione secondo cui l'appello proposto dinanzi ad un giudice non legittimato ad essere investito del gravame è da considerare inammissibile, sia per il caso in cui l'impugnazione venga proposta dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge, sia per il caso di impugnazione proposta a giudice che nella ripartizione verticale dell'organizzazione del processo civile non sia "superiore" a quello che abbia pronunciato la sentenza.

Come si è detto, tale orientamento è stato poi seguito dalle sentenze n. 26375 del 2011 e n. 22321 del 2015, con le quali è stata ritenuta l'inammissibilità dell'appello proposto dinanzi a giudice diverso rispetto dinanzi al quale avrebbe dovuto essere proposto, ribadendosi che l'erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sull'impugnazione non si pone come questione di competenza ovvero attinente ai poteri cognitivi del giudice adito, ma riguarda la mera valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame, che deve, pertanto, dichiararsi precluso se prospettato a un giudice diverso da quello individuato dall'art. 341 cod. proc. civ..

6C) Le Sezioni Unite ritengono che il contrasto debba essere composto privilegiando l'interpretazione favorevole all'applicabilità della regola della translatio iudicii anche in grado di appello.

E invero, su un piano concettuale, non sembra possibile negare che la norma (art. 341 cod. proc. civ.) che detta i criteri per l'individuazione del giudice legittimato a ricevere l'appello, preveda, in realtà, una ipotesi di "competenza", intesa come frazione dell'intero esercizio della funzione giurisdizionale. Si tratta, peraltro, di una competenza sui generis, in ragione della contemporanea previsione di criteri d'individuazione sia in senso verticale (giudice superiore) che orizzontale (giudice che ha sede nella circoscrizione di quello che ha pronunciato la sentenza); e alla quale, proprio in considerazione dei suoi tratti peculiari, appare confacente la qualifica di "competenza funzionale", attribuitale dalla dottrina prevalente e recepita da queste Sezioni Unite nella sentenza 22-11-2010 n. 23594, nella quale è stato affermato che "L'individuazione del giudice di appello, ex art. 341 c.p.c., attiene a una competenza territoriale del tutto sui generis, che prescinde dai comuni criteri di collegamento tra una causa e un luogo: dipende indefettibilmente dalla sede del giudice a quo, sicchè è dotata di un carattere prettamente funzionale che impedisce il definitivo suo radicamento presso un giudice diverso, per il fatto che la questione non sia stata posta in limine litis".

Non sembra sostenibile, pertanto, l'assunto, posto a base delle decisioni che hanno escluso l'applicabilità al giudizio di appello dell'art. 50 cod. proc. civ., secondo cui l'erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sull'impugnazione non darebbe luogo a una questione di competenza, ma comporterebbe l'inammissibilità del gravame.

E invero, premesso il richiamo a quanto rilevato al punto 3C) riguardo alle ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione conosciute nel nostro sistema processuale, si osserva che il vizio derivante dall'individuazione di un giudice di appello diverso rispetto a quello determinato ai sensi dell'art. 341 c.p.c. non rientra nè tra i casi per i quali è espressamente prevista dalla legge la sanzione della inammissibilità del gravame, nè tra i casi in cui non sia configurabile il potere di impugnare: il vizio in esame, infatti, non incide sull'esistenza del potere di impugnazione, ma solo sul suo legittimo esercizio, essendo stato tale potere esercitato dinanzi ad un giudice diverso da quello al quale andava proposto il gravame.

6D) Una volta ricondotta nella nozione di "competenza" la regola che individua il giudice legittimato a conoscere dell'appello, sembra difficile escludere l'applicabilità anche al relativo giudizio del principio della translatio iudicii previsto dall'art. 50 cod. proc. civ., ove solo si consideri che tale norma è collocata tra le disposizioni generali contenute nel titolo 1 del libro 1, e non opera alcuna distinzione tra competenza di primo e secondo grado. Orbene, la giurisprudenza che propende per la tesi della non estensibilità della disposizione in esame al giudizio di appello, si basa su un giudizio di incompatibilità che, a ben vedere, non è richiesto dall'art. 359 cod. proc. civ.. Tale norma, infatti, nello stabilire che per il giudizio di appello davanti al tribunale o alla corte di appello si osservano le norme che regolano il procedimento di primo grado davanti al tribunale, purchè non siano "incompatibili" con le disposizioni proprie del giudizio di impugnazione, si riferisce alle norme contemplate nel titolo 1 del libro 2 del codice di rito (artt. 163 ss.), e non anche a quelle contenute nel titolo 1 del libro 1, aventi di per sè una portata generale ed applicabili, quindi, in via di principio anche al giudizio di appello, salvo specifiche limitazioni.

Nè a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi ove si intendesse aderire all'indirizzo, ricorrente in dottrina, che tende ad accostare l'ipotesi della competenza funzionale al fenomeno della giurisdizione, piuttosto che a quello della competenza vera e propria.

E infatti, posto che il legislatore (v. L. n. 69 del 2009, art. 59 e art. 11 del nuovo codice del processo amministrativo) ha esteso l'applicabilità della translatio iudicii al caso di errore nell'individuazione del giudice munito di giurisdizione, e che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2013, analogo effetto conservativo viene riconosciuto anche nei rapporti tra giudici e arbitri, non si vede per quali ragioni non potrebbe ritenersi sanabile con lo stesso meccanismo l'atto di appello proposto in violazione delle norme sulla competenza funzionale. Diversamente opinando, si finirebbe con l'attribuire all'errore nella individuazione del giudice territorialmente competente per l'appello conseguenze ben più rilevanti rispetto all'ipotesi di errore nella individuazione del giudice munito di giurisdizione; il che, come evidenziato in dottrina, alla luce dell'evoluzione subita dal nostro ordinamento processuale, si tradurrebbe in una incoerenza del sistema difficilmente giustificabile.

6E) Sotto altro profilo, si osserva che l'orientamento favorevole all'applicabilità del meccanismo della translatio iudicii in caso di appello proposto dinanzi a giudice territorialmente incompetente appare rispondente al principio della effettività della tutela giurisdizionale, immanente nel nostro ordinamento. E infatti, come è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. Un., 5-1-2016 n. 29; Cass. Sez. 1, 15-11-2013 n. 25735; Cass. Sez. Un., 22-2-2007 n.. 4109), il diritto alla tutela giurisdizionale, di cui all'art. 24 Cost., comma 1, include anche il diritto ad ottenere una decisione di merito ("Il giusto processo civile viene celebrato non già per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipano - siano esse attori o convenuti- ma per rendere pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e chi ha torto: il processo civile deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell'azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, nè deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, e per evitare che ciò si verifichi si deve adoperare il giudice": Corte Costituzionale, sentenza n. 220 del 1986; v. anche sentenze n. 123 del 1987 e n. 579 del 1990); e a questo fine deve essere orientata l'interpretazione delle norme processuali in generale e di quelle volte all'individuazione del giudice munito di giurisdizione e di competenza ("Al principio per cui le disposizioni processuali non sono fini a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressochè costantemente - nel regolare questioni di rito - il vigente codice di procedura civile, ed in particolare vi si ispira la disciplina che all'individuazione del giudice competente - volta ad assicurare, da un lato, il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale e, dall'altro lato, l'idoneità (nella valutazione del legislatore) a rendere la migliore decisione di merito- non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al bene della vita oggetto della loro contesa": Corte Costituzionale, sentenza n. 77 del 2007).

6F) La nozione di "competenza funzionale" propria del giudice di appello, nella quale si intrecciano criteri di competenza "orizzontale" e "verticale", induce a ritenere applicabile il principio della translatio iudicii non solo nella ipotesi di erronea individuazione del giudice territorialmente competente, ma anche in quella di erronea individuazione del giudice competente per grado. In entrambi i casi, infatti, si è in presenza di un errore che cade esclusivamente sulla individuazione del giudice dinanzi al quale deve essere proposto l'appello avverso la decisione di primo grado, e che, quindi, non incide sulla esistenza del potere di impugnazione, ma solo sul modo di esercizio di tale potere.

Pertanto, una volta che si riconosca effetto conservativo all'atto di appello proposto dinanzi a un giudice territorialmente incompetente, non si vede per quale ragione debba escludersi il medesimo effetto nel caso di gravame (sempre che la scelta del mezzo di impugnazione sia corretta) proposto ad un giudice non corrispondente per grado a quello indicato dall'art. 341 cod. proc. civ..

Se è vero, infatti, che nell'uno o nell'altro caso, si è in presenza di un vizio che attiene alla "competenza funzionale" del giudice di appello, non possono che derivarne, per ragioni di coerenza del sistema, identiche conseguenze, rinvenibili, sul piano del diritto positivo, nel meccanismo delineato dall'art. 50 cod. proc. civ..

6G) In definitiva, deve affermarsi il seguente principio di diritto: L'appello proposto dinanzi ad un giudice diverso da quello indicato dall'art. 341 cod. proc. civ. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della transiatio iudicii, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi a un giudice di grado diverso rispetto a quello dinanzi al quale avrebbe dovuto essere proposto il gravame.

7) Nella specie, la Corte di Appello di Brescia non si è attenuta all'enunciato principio, in quanto, nel ravvisare la propria incompetenza territoriale in ordine all'impugnazione proposta avverso la sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale di Milano, ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello, senza concedere all'appellante un termine per la riassunzione del giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Milano, territorialmente competente.

Di conseguenza, in accoglimento del sesto motivo di ricorso, s'impone la cassazione nella parte de qua della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, la quale pronuncerà sul merito dell'appello e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta i primi cinque motivi di ricorso, accoglie il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016