Appare gravemente lesivo della dignità della donna che la donna sia dichiarata al pari di una bestia e, pertanto, con congiunzioni con essa more bestiarum; si tratta del sintomo indicativo di una concezione dei rapporti umani basata sull'idea di ferino dominio dell'uno sull'altra, fattore questo di per sé fortemente ostativo ad una valutazione in termini di benevola minore gravità del fatto.
Corte di Cassazione
sez. III penale
ud. 16 giugno 2022 (dep. 27 ottobre 2022), n. 40607
Presidente De Nicola – Relatore Gentili
Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Roma ha, con sentenza emessa in data 30 aprile 2021, confermato la decisione con la quale, in data 5 aprile 2018, il Tribunale di Velletri aveva dichiarato la penale responsabilità di P.S.M. in ordine ai reati a lui contestati, aventi ad oggetto la commissione di una pluralità di fatti di violenza sessuale in danno dli persona con la quale era in atto un rapporto di convivenza, e lo aveva, pertanto, condannato, ritenuta la continuazione fra i reati contestati ed esclusa la ricorrenza della recidiva e della aggravante dell'uso di un'arma, riconosciute, invece, le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla residua aggravante contestata, alla pena di 5 anni e mesi 1 di reclusione, oltre accessori.
Ha interposto ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza la difesa del ricorrente, articolando a tal fine tre motivi di ricorso.
Il primo motivo riguarda la pretesa non corrispondenza fra la accusa contestata e la materialità del fatto per il quale vi è stata condanna; in particolare, ha osservato il ricorrente, nella imputazione elevata nei suoi confronti sono descritte tre modalità di compressione della liberi:a decisionale della persona offesa, volte a limitare la sua volontà contraria alle congiunzioni carnali, mentre in sentenza la specifica utilizzazione di tali metodi sarebbe stata esclusa o, quanto meno, non dimostrata, essendo stata ascritta la costrizione della persona offesa ad altri mezzi di coercizione.
Il secondo motivo di ricorso attiene al vizio assoluto di motivazione, essendo stata questa omessa in ordine al rigetto del secondo motivo di gravame presentato dal ricorrente in grado di appello.
Sempre con il secondo motivo di ricorso l'imputato si duole del vizio di motivazione in relazione alla conferma della sua responsabilità penale.
Infine, il ricorrente si è lagnato, con riferimento al vizio di violazione di legge, per non essere stata la sua condotta sussunta dal punto di vista della qualificazione penale nell'ambito della ipotesi di minore gravità.
Considerato in diritto
Il ricorso, non essendone risultati fondati i motivi svolti in sede di impugnazione dall'imputato, non è meritevole di accoglimento e va, pertanto, rigettato.
In ordine al primo motivo di ricorso, afferente alla pretesa mancanza di correlazione fra l'accusa ed il fatto accertato, si rileva che la doglianza già aveva formato oggetto di appello da parte del ricorrente ed al relativo motivo di gravame la Corte territoriale già aveva esaurientemente risposto; aveva, infatti, osservato la Corte territoriale che l'obbligo di correlazione fra contestazione e sentenza deve intendersi finalizzato a consentire il pieno esercizio del diritto di difesa, di tal che lo stesso deve intendersi violato non in quanto, in esito alla istruttoria dibattimentale o comunque al giudizio, i fatti siano risultati essersi verificati secondo modalità marginalmente difformi rispetto a come gli stessi erano stati descritti nel capo di imputazione, ma solamente in quanto, a seguito del diverso accertamento fattuale operato in sede di giudizio, sia stato impedito all'imputato, cui era stata rappresentata una determinata ipotesi di accusa, di potere adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa, in quanto la decisione assunta ha ad oggetto un evento della vita sostanzialmente diverso da quello rappresentatagli.
Nel formulare tali rilievi la Corte territoriale ha pienamente aderito a quella che è la giurisprudenze dominante sul punto; infatti, per quanto è dato rilevare dalla esposizione dei più recenti arresti in materia, deve ribadirsi che il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato solo quando nei fatti, rispettivamente descritti nel capo di imputazione e ritenuti in sentenza, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l'imputato difendersi rispetto a quanto gli sia stato, in definitiva, ascritto (per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 febbraio 2021, n. 7146).
E a tale medesimi principi ritiene il Collegio debba tuttora uniformarsi rilevando che nella specie indubbiamente il nucleo centrale degli episodi di violenza sessuale sia rimasto, fra quanto descritto in capo di imputazione e quanto riportato poi in sentenza, del tutto invariato, posto che, quale che sia stato il mezzo utilizzato dal prevenuto per coartare la volontà della persona offesa, questi, rispetto alla imputazione di violenza sessuale a lui contestata, è stato pienamente in grado di esercitare appieno il proprio diritto di difesa.
Passando al secondo motivo di impugnazione - afferente alla ritenuta omessa motivazione in relazione a taluni dei motivi di ricorso proposti dalla difesa del P. in sede di gravame, in particolare riguardanti il giudizio di attendibilità espresso in ordine alle accuse mosse dalla persona offesa all'imputato, base dichiarativa, non esclusiva, della affermazione della penale responsabilità di costui - rileva questa Corte che la censura è priva di pregio.
Invero, il giudizio sulla attendibilità della persona offesa è stato espresso in sede di merito avendo tenuto conto del fatto che le sue dichiarazioni sono state drammaticamente suffragate da quanto riferito dalla figlia di costei la quale - oltre a confermare a circostanza che l'imputato era nella disponibilità di armi bianche, cosa che rafforza, sotto il profilo della loro valenza minatoria, la efficacia coercitiva della propalazione di frasi minacciose da parte dell'imputato nei confronti della persona offesa - ha anche espressamente riferito il fatto, riportato anche dalla persona offesa, che l'imputato fosse uso vilipendere verbalmente quest'ultima, alludendo alle particolari modalità con le quale egli riteneva di doversi congiungere carnalmente con costei.
Quanto al fatto che la teste da ultimo evocata non avesse avuto diretta percezione delle condotte di violenza sessuale commesse dall'imputato nei confronti della madre, vi è al riguardo nella sentenza impugnata un'idonea motivazione con 10'quale i giudici del merito hanno giustificato tale circostanza rilevando, in termini indubbiamente non caratterizzati dalla manifesta illogicità, che il P. dava sfogo alla sua libido violenta all'interno dello spazio chiuso e riservato della camera da letto da lui condivisa con la parte offesa e che questa, atterrita dalle minacce subite, faceva sì che per i comportamenti del convivente non vi fosse strepito al di fuori delle mura della stanza in questione.
Quanto al fatto che non siano emersi i riscontri documentali relativi alla dichiarata prassi seguita dall'imputato di procedere alla riproduzione filmata delle sue violenze, è di tutta evidenza che tale mancato riscontro non è di per sé idoneo ad escludere il fatto storico per come riferito dalla persona offesa, potendo essere lo stesso giustificato sulla base del mero mancato reperimento degli strumenti adoperati dall'imputato per eseguire le riprese in questione.
Si tratta, pertanto, di una omissione quella riscontrabili al riguardo nella sentenza impugnata, su di un punto non decisivo della controversia, non pertanto, idoneo ad inficiare il restante solido impalcato motivazionale della sentenza impugnata.
In ordine alla esclusione della sussistenza della circostanza attenuante del fatto di minore gravità di cui all'ultimo comma dell'art. 609-bis c.p., questione oggetto dell'ultimo motivo di ricorso, si rileva che gli elementi posti dal ricorrente a sostegno di tale possibile qualificazione appaiono inconferenti;
poco rileva il fatto che non siano stati puntualmente accertati i mezzi di costrizione effettivamente utilizzati dall'imputato per coartare la volontà della persona offesa; ciò che al riguardo emerge è la gravità delle minacce da quello indirizzate alla allora compagna; così come nessun significato ha la dedotta circostanza che i due intrattenessero anche rapporti sessuali di tipo consensuale, essendo, semmai tale fattore da intendersi come indicativo della esistenza da parte della persona offesa della volontà di intrattenere per il resto una ordinaria relazione interpersonale con l'imputato, cui questi, invece, corrispondeva con un, tanto più deplorevole se confrontato con il comportamento della donna, atteggiamento prevaricatore e violento.
Appare, invece, gravemente lesivo della dignità della donna, ed in tale senso sicuramente deponente per un elevato grado di gravità del fatto, anche a voler prescindere dagli altri elementi correttamente valorizzati dalla Corte di merito relativi alla esistenza di precedenti a carico del prevenuto e dalla non trascurabile durata del tempo in cui le condotte del P. si sono ripetute, la circostanza, espressamente confermata per scienza diretta dalla figliola della donna ed anche per questo segnalata dalla Corte di merito come ulteriore indice di complessiva gravità del fatto, che il P. considerasse dichiaratamente la persona offesa, con disprezzo, al pari di una bestia e, pertanto, ritenesse che corretto fosse il congiungersi con essa more bestiarum; si tratta del sintomo indicativo di una concezione dei rapporti umani basata sull'idea di ferino dominio dell'uno sull'altra, fattore questo di per sé fortemente ostativo ad una valutazione in termini di benevola minore gravità del fatto.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente, visto art. 616 cod. proc. pene, va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.