Non è applicabile l'esimente per fatti commessi in danno di congiunti al delitto di indebito utilizzo di una carta di credito nell'ipotesi in cui la condotta delittuosa sia stata posta in essere da un familiare (nel caso di specie il figlio) del titolare della carta, attesa la natura plurioffensiva del reato "de quo", la cui dimensione lesiva trascende il mero patrimonio individuale per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori riconducibili all'ambito dell'ordine pubblico, economico e della fede pubblica, mentre la previsione di cui all'art. 649 c.p., concerne esclusivamente i delitti contro il patrimonio ed ha una natura eccezionale che ne preclude l'applicazione in via analogica.
Corte di Cassazione
sez. II penale
sentenza (data ud. 27/11/2024) 25/02/2025, n. 7651
Sul ricorso proposto da:
A.A., nato ad A il (omissis);
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna in data 13/3/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Lucia Aielli;
letta la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore generale, Simonetta Ciccarelli, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 13/3/2024, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Modena del 2/3/2023 che aveva condannato A.A. alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di cui all'art. 493-ter c.p.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando tre motivi di ricorso.
Con il primo e secondo motivo, tra loro connessi, deduce violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla mancata applicazione della condizione di non punibilità di cui all'art. 649 c.p. posto che, secondo la difesa, il delitto di cui all'art. 493-ter c.p., comprenderebbe più ipotesi delittuose tra le quali quella realizzatasi in concreto e cioè l'indebito utilizzo della carta di pagamento del genitore, sarebbe una fattispecie autonoma, lesiva del solo patrimonio della persona offesa non venendo in rilievo altro bene giuridico quale quello dell'ordine pubblico economico e della fede pubblica indicato dai giudici di merito, ne discende che la causa di non punibilità invocata dalla difesa avrebbe dovuto trovare applicazione in ragione del prevalente interesse di tutelare il giuridico dell'onore e dell'unità familiare.
Allo stesso modo la Corte di appello sarebbe incorsa nei vizi di violazione di legge e carenza della motivazione in riferimento alla mancata applicazione della scriminante di cui all'art. 50 c.p. posto che l'utilizzo della carta di credito da parte dell'imputato, rientrando nella consuetudine familiare, (l'imputato, infatti, era in possesso della carta e della password) presupponeva la sussistenza di consenso espresso o implicito del padre, all'utilizzo della carta stessa.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., posto che la condotta valorizzata dalla Corte di appello e cioè la mancata riduzione del danno, non sarebbe rilevante ai fini della esclusione della particolare tenuità del fatto dovendosi valutare l'importo oggettivo del danno pari a soli 30 Euro.
Motivi della decisione
Il ricorso è basato su motivi infondati e va rigettato.
Con riguardo al primo motivo che poggia sulla asserita natura monoffensiva della condotta contestata alla quale potrebbe applicarsi, in via analogica, la causa di non punibilità di cui all'art. 649 c.p., ribadisce il collegio il principio affermato da questa stessa Sezione (sent. n. 47135 del 25/09/2019, Rv. 277683) secondo cui "non è applicabile l'esimente di cui all'art. 649 c.p., (fatti commessi in danno di congiunti) al delitto di indebito utilizzo di una carta di credito previsto dall' art. 55, comma 9, D.Lgs. n. 231 del 2007 (oggi confluito nell' art. 493-ter c.p.), nell'ipotesi in cui la condotta delittuosa sia stata posta in essere da un familiare (nel caso di specie il figlio) del titolare della carta, attesa la natura plurioffensiva del reato "de quo", la cui dimensione lesiva trascende il mero patrimonio individuale per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori riconducibili all'ambito dell'ordine pubblico, economico e della fede pubblica, mentre la previsione di cui all'art. 649 c.p., concerne esclusivamente i delitti contro il patrimonio ed ha una natura eccezionale che ne preclude l'applicazione in via analogica".
Questa Corte, facendo leva sulle affermazioni enunciate al riguardo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 302 del 2000, oltre che sull'osservazione secondo cui la cui disciplina è dedicata a dare attuazione alla direttiva 2005/60CE - concernente, appunto, non la tutela del patrimoni in sé o semplicemente la certezza e speditezza del traffico giuridico ed economico, ma, soprattutto, la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo - nonché della direttiva 2006/70/CE, che ne reca misure di esecuzione (Sez. 2, n. 15834 del 08/04/2011, Rv. 250516), ha rilevato che il quadro normativo non permette di ricondurre la figura criminosa che viene qui in questione nell'alveo delle previsioni dei reati contro il patrimonio disciplinati dal codice penale ed ai quali soli è riferibile la speciale causa di non punibilità tracciata dall'art. 649 c.p., posto che la ragion d'essere di tale eccezionale norma di favore, pur volta a cautelare i rapporti familiari, che assumono risalto anche sul piano dei valori costituzionali, non può essere arbitrariamente "esportata" a copertura di condotte che offendono anche, ma non solo, i diritti patrimoniali del titolare della carta.
Tale argomento e cioè la natura plurioffensiva del reato contestato, ha consentito alla Corte di superare anche il secondo rilievo censorio che si appalesa anch'esso infondato, oltre che in fatto, poiché tende alla rivalutazione degli elementi probatori, conformemente interpretati nei due gradi di giudizio. I giudici del merito hanno infatti evidenziato come l'esistenza di una prassi familiare, non giustificasse il consenso nemmeno implicito del padre del A.A. all'utilizzo della carta da parte del figlio in quel preciso momento ed a quello scopo e cioè per l'acquisto della sostanza stupefacente (cfr. pag. 7 della sentenza del Tribunale).
La Corte di merito, in applicazione ai principi affermati da questa stessa Sezione (sent. n. 18609 del 16/02/2021, Rv. 281286) ha poi aggiunto che "in tema di indebita utilizzazione di carta di credito, deve essere esclusa l'operatività della scriminante del consenso dell'avente diritto, ai sensi dell'art. 50 cod. pen., atteso che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie disciplinata dall'art. 493-bis cod. pen. non è solo il patrimonio del titolare della carta, ma anche la sicurezza delle transazioni commerciali, che costituisce interesse collettivo indisponibile dal privato". La Corte di appello ha anche rilevato che l'autorizzazione nemmeno poteva assumere rilievo ai fini dell'esclusione dell'elemento soggettivo del reato posto che l'imputato aveva agito nell'esclusivo interesse proprio e non del titolare della carta.
Il terzo motivo è parimenti infondato.
La Corte territoriale ha negato la sussistenza di un'ipotesi di particolare tenuità ottemperando all'onere motivazionale, nella pienezza della giurisdizione di merito, mediante il riferimento a dati di segno negativo ritenuti decisivi, non essendo necessaria una espressa disamina di tutti gli elementi di valutazione astrattamente previsti (Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Rv. 283044; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018,Rv. 273678).
La sussistenza dell'esimente è, infatti, con ogni evidenza preclusa quando emerga anche un solo elemento rimarchevole in senso negativo, indipendentemente dall'eventuale allegazione di ulteriori circostanze, preesistenti o sopravvenute, astrattamente rilevanti, ma non idonee in concreto ad elidere o a ridurre in maniera significativa i profili di segno contrario. Nel ricorso A.A. si limita ad allegare la circostanza, a suo dire decisiva, della modesta entità del danno (Euro 30), senza avvedersi che la motivazione della Corte di appello è imperniata sulle modalità concrete di estrinsecazione della condotta essendo stato rimarcato che l'utilizzo indebito della carta di credito era avvenuto per procurarsi il denaro con cui acquistare lo stupefacente e che l'imputato aveva utilizzato la carta di credito allontanandosi dall'abitazione in cui si trovava ristretto agli arresti domiciliari.
Va precisato che l'art. 131-bis c.p., tanto nella formulazione antecedente quanto in quella successiva alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, intende per l'appunto riferirsi alla connotazione storica della condotta, essendo in questione non la conformità al tipo bensì l'entità della complessiva situazione reale, irripetibile, e quella del suo disvalore, ricavabile da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall'agente dovendosi considerare, in relazione alle modalità della condotta e all'esiguità del danno o del pericolo, se l'offesa sia di particolare tenuità (ferma restando la non abitualità del comportamento) (Sez. 4, n. 31843 del 17/05/2023, Rv. 285065).
Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone a norma dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2025.