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Vaccini provocano crisi epilettiche? No (Cass. 12445/20)

24 giugno 2020, Corte di Cassazione

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Lo stato dell'arte non consente di ritenere ipotizzabile, secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, un nesso di causalità tra vaccinazioni e malattia, in considerazione della letteratura scientifica valorizzata dai consulenti, della riscontrata mutazione genetica e delle caratteristiche concrete del suo manifestarsi. 

Corte di Cassazione

sez. Lavoro, ordinanza 6 febbraio – 24 giugno 2020, n. 12445

Presidente Manna – Relatore Ghinoy

Fatti di causa

1. La Corte d'Appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda proposta da Fr. Bo. diretta al riconoscimento dell'indennità di cui alla legge n. 210 del 1992 in conseguenza del nesso causale sussistente tra la malattia neurologica da cui egli era stato colpito, la sindrome di Dravet - sindrome epilettica mioclonica severa comportante una disarmonia evolutiva e un'alterazione della sfera cognitiva e comportamentale - e le vaccinazioni cui era stato sottoposto nella prima infanzia.
2. La Corte veneziana rilevava che l'esito delle c.t.u. espletate in primo e secondo grado era stato concorde nel negare l'efficienza causale delle vaccinazioni nel determinismo della malattia. Riferiva che la consulenza tecnica di primo grado aveva confermato che la sindrome di Dravet ha eziologia genetica e che la gravità con cui essa si manifesta dipende dalla diversa mutazione all'interno del gene SCN1A che codifica per un canale del sodio. Nel caso in esame, l'indagine sulla documentazione sanitaria concernente l'appellante aveva portato ad evidenziare che egli aveva una mutazione genetica a livello del SCN1A.
3. La Corte territoriale aggiungeva che la copiosa letteratura scientifica richiamata dal consulente aveva confermato l'esclusione del nesso di causalità, mentre lo scatenarsi delle crisi epilettiche dopo le somministrazioni delle dosi di vaccino era dipeso dal fatto che l'iperpiressia (o ipertermia) aveva slatentizzato la manifestazione della patologia, il che avrebbe potuto essere cagionato da altri fattori come infezioni, poppate, variazione della temperatura ambientale, che provocano reazioni febbrili rilevanti. Aggiungeva che significativo era anche il rilievo che, successivamente alle vaccinazioni, altri fattori del tutto diversi avessero determinato lo scatenarsi di episodi critici, così da rendere evidente che la sindrome di Dravet avrebbe potuto manifestarsi con elevata probabilità anche per episodi febbrili del tutto indipendenti dal vaccino.
4. Per la cassazione della sentenza Fr. Bo. ha proposto ricorso, cui il Ministero della Salute ha resistito con controricorso.
5. Fr. Bo. ha depositato anche memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c.


Ragioni della decisione

6. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 40 e 41 c.p., della legge 25 febbraio 1992 n. 10, degli articoli 2727 e 2729 c.c., degli artt. 2,24,32,38, 111 Cost e 6 CEDU in relazione ai criteri di accertamento del rapporto di causalità. Lamenta che la Corte territoriale abbia escluso il ruolo di concausa efficiente alla produzione dell'evento delle plurime vaccinazioni e delle sue conseguenze quali l'iperpiressia e l'ipertermia che ne erano conseguite, che si erano inserite nella catena causale. Lamenta altresì la violazione della legge 210 del 1992, degli artt. 2727 e 2729 c.c. nonché degli artt. 2, 24, 32, 38 e 111 Cost e 6 CEDU e sostiene che i principi contenuti in tali norme sarebbero stati disattesi dalla Corte di merito, che non avrebbe perseguito l'obiettivo della ricerca della verità nell'accertamento del nesso causale alla stregua dei canoni di probabilità individuati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
7. Come secondo motivo lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio sotto due profili: la palese deviazione dalla letteratura scientifica richiamata dal c.t.p. e il ruolo eziopatogenetico del vaccino antitetano e antipertosse.
8. Come terzo motivo deduce la nullità della sentenza o del procedimento per omesso esame della richiesta motivata di rinvio dell'udienza di discussione del 13 giugno 2013 per legittimo impedimento del difensore impegnato in udienza di fronte al TAR del Veneto, istanza che era stata depositata in data 24 aprile 2013 presso la cancelleria della Corte d'Appello, cui le controparti avevano espressamente aderito.
9. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Nel processo preliminare al verificarsi di un evento morboso, occorre distinguere tra causa o concausa dello stesso e mera occasione. La causa costituisce l'antecedente necessario e sufficiente a produrre l'effetto e la concausa l'antecedente necessario, ma non sufficiente. Entrambe intervengono quindi nel processo eziologico come fattori necessari, senza i quali non si verificherebbe la malattia. Diversa è l'occasione, intesa come circostanza che determina e/o consente il manifestarsi della malattia già presente nell'organismo. L'occasione, caratterizzata dai requisiti dell'esiguità rispetto all'evento, dalla sostituibilità con altro fattore comune e dall'inefficacia lesiva su un individuo normale, costituisce una circostanza che crea le condizioni per il manifestarsi della malattia, che comunque si manifesterebbe in presenza di altre analoghe occasioni, o anche in assenza di esse.
10. Nel caso, all'esito dell'attento esame delle risultanze di causa compiuto avvalendosi degli specialisti nominati in primo e secondo grado, la Corte territoriale non ha ravvisato una ragionevole probabilità scientifica del nesso causale tra vaccinazioni e malattia. Ha aggiunto che l'iperpiressia o ipertermia che aveva determinato alcuni degli episodi di manifestazione della malattia ed era stata conseguenza delle vaccinazioni non era entrata nella sequenza causale, essendo la malattia già presente nell'organismo e costituendo un fenomeno frequente e non necessariamente legato alle vaccinazioni, sicché neppure la malattia ne era stata accelerata. In tal modo, la Corte si è anche avvalsa del ragionamento controfattuale (vale a dire ipotizzando cosa sarebbe accaduto se quella specifica occasione non si fosse verificata) ed è giunta alla conclusione che si sarebbe giunti al medesimo risultato, considerato peraltro che successivamente alle vaccinazioni altri fattori del tutto diversi avevano determinato lo scatenarsi di episodi critici (pg. 4 della motivazione).
11. Nell'accertamento del nesso causale, inoltre, la Corte territoriale si è attenuta ai principi elaborati da questa Corte, secondo i quali la prova a carico dell'interessato ha ad oggetto, a seconda dei casi, l'effettuazione della terapia trasfusionale o la somministrazione vaccinale, il verificarsi dei danni alla salute e il nesso causale tra la prima e i secondi, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica (v. Cass. 17/01/2005 n. 753, Cass. 29/12/2016 n. 27449).
12. Le Sezioni Unite di questa Corte - muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 cod. pen. e dalla regolarità causale, salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non" - hanno poi ulteriormente precisato che la regola della "certezza probabilistica" non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica: cfr. Sez. Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581).
13. Nella vicenda in esame, le relazioni dei consulenti tecnici recepite dai giudici di merito hanno tenuto conto sia dello stato della letteratura scientifica in materia sia delle caratteristiche del caso concreto, che non consentivano di ritenere ipotizzabile, secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, un nesso di causalità tra vaccinazioni e malattia, in considerazione della letteratura scientifica valorizzata dai consulenti, della riscontrata mutazione genetica e delle caratteristiche concrete del suo manifestarsi. Vi è stata quindi una valutazione di convergenza tra la determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa) e gli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica), sicché l'eziologia ipotizzata dal ricorrente è rimasta allo stadio di mera possibilità teorica.
14. Non rileva, poi, che non sia stata individuata una possibile eziologia alternativa, considerato che trattasi di complesse malattie la cui origine è ancora ignota e la ricerca di fattori ulteriori e diversi rispetto al patrimonio genetico è oggetto di studi della ricerca scientifica.
15. Il terzo motivo è inammissibile in quanto, richiamando la letteratura scientifica valorizzata dal c.t.p. e differente rispetto a quella accreditata dagli ausiliari d'ufficio, si condensa nell'espressione di un mero dissenso diagnostico volto a contestare nel merito la decisione impugnata, chiedendosi un nuovo esame delle stesse risultanze fattuali già implicitamente od esplicitamente valutate dalla Corte di merito. Si tratta pertanto di doglianze da ritenersi inammissibili siccome, per consolidato orientamento di questa Corte, la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio può essere contestata in Cassazione soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata in ricorso, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; al di fuori di tale ambito la censura costituisce, appunto, un mero dissenso diagnostico che si traduce in una critica del convincimento del giudice inammissibile in sede di legittimità (v. ex plurimis e da ultimo Cass. ord. 23/12/2014 n. 27378, Cass. 16/02/2017 n. 4124, Cass. 19/05/2017 n. 12722).
16. Inoltre, va rammentato che qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l'accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche «per relationem» dell'elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l'ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all'una o all'altra conclusione (Cass. n. 15147 del 11/06/2018, Cass., 22 febbraio 2006, n. 3881).
17. Ne discende che la parte del motivo con la quale il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non avrebbe valorizzato l'efficacia eziopatogenetica delle vaccinazioni ulteriori rispetto all'antipolio orale Sabin OPV, ovvero dei vaccini antidiftotetano e antipertosse somministrati, rispettivamente, il 13.10.1984 e il 13.11.1984, che non menziona espressamente, avrebbe dovuto essere accompagnata dalla documentata puntualizzazione che tale vizio affliggesse anche le consulenze tecniche e che la medesima critica di omesso esame delle due somministrazioni vaccinali fosse stata formulata in sede di merito e nei rilievi tecnici avverso le consulenze tecniche d'ufficio. Nel caso, tali oneri non sono stati adempiuti e la mera disamina di alcuni passaggi dell'elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolve pur sempre nella prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 11482 del 03/06/2016).
18. Il terzo motivo non è fondato.
Occorre premettere che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non anche, come nella specie, di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito (v. Cass., 25/1/2018 n. 1876; Cass. 26/9/2013, n. 22083; Cass. 23/1/2009, n. 1701).
19. Esclusa quindi la rilevabilità di tale vizio per il caso di omessa pronuncia sull'istanza di rinvio, occorre rilevare che il rigetto implicito che ne ha adottato la Corte territoriale è coerente con il principio secondo il quale l'istanza di rinvio dell'udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell'art. 115 disp. att. cod. proc. civ., deve fare riferimento all'impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà generalmente consentita dall'art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 e tale da rendere riconducibile all'esercizio professionale del sostituito l'attività processuale svolta dal sostituto), venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all'organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell'udienza (Cass. Sez. U. n. 4773 del 26/03/2012 e successive conformi, tra cui da ultimo n. 25783 del 15/10/2018).
20. Nel caso in esame, nell'istanza di rinvio del 19.4.2013 non si faceva riferimento all'impossibilità di sostituzione; al contrario, dal verbale di udienza prodotto in copia si ricava che il difensore è stato in concreto sostituito da un collega, che, oltre ad insistere nell'istanza di rinvio per impedimento del dominus, ha prodotto giurisprudenza sul tema trattato ed ha insistito per l'accoglimento dell'appello. Non sussistevano quindi le condizioni perché l'istanza di rinvio fosse accolta.
21. Segue coerente il rigetto del ricorso.
22. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
23. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del D.Lgs. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del D.Lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6.2.2020