La verifica circa il bis in idem, pur dovendo attingere il fatto materiale e non già la fattispecie astratta, impone di riguardarlo comunque individuando, nel comportamento sub iudice, gli elementi di sovrapponibilità fattuale rispetto alla struttura della fattispecie come prevista dal legislatore: il fatto va apprezzato "secondo l'accezione che gli conferisce l'ordinamento", ma, a smentire la possibile riemersione dell'idem legale, "ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare la medesimezza del fatto".
Per verificare se vi sia bis in idem, il raffronto deve essere tra la prima contestazione, per come si è sviluppata nel processo, e il fatto posto a base della nuova iniziativa del pubblico ministero, secondo una prospettiva concreta e non legata alla struttura delle fattispecie ma pur sempre inquadrando gli accadimenti storici secondo la "griglia" normativa “condotta-nesso causale-evento”; nell'effettuare detta operazione, si deve tuttavia prescindere dalla risoluzione dell'ulteriore interrogativo - estraneo al tema del bis in idem processuale in chiave convenzionale - se tra i due reati possa esservi concorso formale e, quindi, prescindere dai vari criteri interpretativi su questo distinto tema.
Cassazione penale
sez. V, ud. 30 novembre 2022 (dep. 21 febbraio 2023), n. 7389
Presidente De Gregorio – Relatore Borrelli
Ritenuto in fatto
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 3 maggio 2022 dalla Corte di appello di Reggio Calabria, che - riformando la condanna inflitta dal Giudice di primo grado - ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti di I.F. , imputato (in concorso con l'istigatrice S.T. ), del reato di cui all'art. 615-ter c.p., commi 1, 2 e 3. Nel rispondere ai motivi di appello, la Corte distrettuale ha escluso la sussistenza dell'interesse dell'imputato ad invocare il bis in idem rispetto alla sentenza di assoluzione per il reato di cui all'art. 326 c.p. emessa nel diverso processo concernente la rivelazione delle notizie apprese a seguito dell'accesso abusivo oggi sub iudice.
I. era stato condannato in primo grado perché ritenuto responsabile, quale ufficiale di p.g. in servizio presso la Tenenza della Guardia di Finanza di Roccella Jonica, di accesso abusivo all'anagrafe tributaria, accesso effettuato onde appurare notizie su una serie di soggetti cui era interessata S.T. , sua istigatrice.
Il fatto era stato ritenuto aggravato dalla qualità del soggetto-agente e dall'interesse pubblico che caratterizza il sistema informatico protetto.
2. La sentenza predetta è stata impugnata con ricorso per cassazione dall'imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione dell'art. 521 c.p.p. quanto al diniego del proscioglimento ex art. 129 c.p.p. per bis in idem rispetto alla sentenza del Tribunale di Locri che aveva assolto perché il fatto non sussiste I. in ordine al reato di cui all'art. 326 c.p. concernente la stessa vicenda. Spiega il ricorrente che il presente procedimento nasce proprio da quel processo, in particolare dalla trasmissione degli atti al pubblico ministero avvenuta ad opera del Tribunale ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 3, decisione contro la quale il pubblico ministero aveva proposto ricorso per cassazione denunziandone l'abnormità (ricorso che non risulta mai fissato da questa Corte). In conseguenza della trasmissione degli atti da parte del Tribunale, la Procura della Repubblica aveva esercitato l'azione penale nei confronti del ricorrente per il reato di cui all'art. 615-ter c.p., dando così luogo al presente processo.
Orbene, il ricorrente precisa essere un suo interesse quello di ottenere l'annullamento della sentenza impugnata perché la pronunzia di bis in idem sarebbe più favorevole, accedendo ad una pronunzia assolutoria per insussistenza del fatto, con tutto ciò che ne consegue, anche tenuto conto che il ricorrente è un militare. Viziata sarebbe, pertanto, la decisione avversata nella parte in cui non aveva esaminato la questione della medesimezza del fatto, fermandosi al tema dell'interesse, reputato insussistente sulla scorta del richiamo ad una serie di precedenti e neutralizzandone uno della sesta sezione penale che, tuttavia, riguardava un caso analogo al presente.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell'art. 649 c.p.p. e art. 521 c.p.p., comma 3.
L'addebito ex art. 326 c.p. per cui vi era stata assoluzione si porrebbe in rapporto di continenza con la fattispecie oggi sub iudice, comprendendo tutti gli elementi fattuali e coincidendo temporalmente.
Ciò è tanto più significativo in quanto la Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno sancito la natura di reato di mera condotta dell'accesso abusivo, che si perfeziona con la violazione virtuale del domicilio informatico. Ne consegue che non vanno neanche analizzati il nesso di causalità e l'evento. Occorre, quindi, valutare se sussista l'idem factum. Nel concreto, il ricorrente afferma che l'introduzione nel sistema informatico in dotazione alla Guardia di Finanza era ricompreso nel reato di rivelazione di segreto di ufficio e che conforta la conclusione del bis in idem la circostanza che tra i due reati vi sia concorso formale, in ciò evocando la sentenza n. 200 del 2016 della Corte Costituzionale.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato, sicché la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
1. È fondata, in particolare, la doglianza che attiene alla ritenuta insussistenza di interesse del ricorrente rispetto alla pronunzia di proscioglimento per bis in idem.
In questo senso il Collegio intende dare seguito al principio già sancito da Sez. 6, n. 33654 del 13/10/2020, De Serio, Rv. 279951, secondo cui sussiste l'interesse a proporre ricorso per cassazione avverso una sentenza di improcedibilità per estinzione del reato per prescrizione, al fine di ottenere il proscioglimento con la diversa formula del ne bis in idem, ove quest'ultima consegua ad una sentenza assolutoria nel merito, poiché in tal caso l'impugnazione è diretta a rimuovere una pronuncia pregiudizievole per il ricorrente. In particolare, ciò che ha condotto la sesta sezione a ritenere sussistente l'interesse in quel processo (che concerneva reati commessi da un Carabiniere e giudicati in diversi momenti) è che la declaratoria di estinzione del reato per violazione del divieto di ne bis in idem rimandava all'esistenza di una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto nel diverso processo a carico del medesimo imputato ed era su tale statuizione finale che doveva essere calibrato l'interesse del ricorrente all'impugnazione.
Orbene, la situazione non è dissimile da quella sub iudice, laddove il ricorrente è un appartenente alla Guardia di Finanza, il che rimanda alla valenza che, ai sensi dell'art. 653 c.p.p., hanno le sentenze penali nei giudizi disciplinari, in particolare quelle di assoluzione perché il fatto non sussiste. E se è vero che la pronunzia cui si riferisce la doglianza era quella, invocata con l'atto di appello, concernente il bis in idem e non l'assoluzione del prevenuto, è altrettanto sostenibile che, ove mai fosse riconosciuta la medesimezza del fatto alla base della contestazione ex art. 615-ter c.p. rispetto a quello di rivelazione di segreto di ufficio di cui alla sentenza irrevocabile, ciò non potrebbe non avere rilievo nel giudizio disciplinare in quanto vi sarebbe stato positivo giudizio circa la sovrapponibilità dell'odierno addebito con un fatto di cui è stata esclusa la rilevanza penale.
2. Ciò posto, la sentenza impugnata va annullata in quanto era errata la statuizione circa la carenza di interesse del prevenuto alla pronunzia di bis in idem. Ciò lascia impregiudicata la valutazione della fondatezza della petizione difensiva, che spetterà, in piena autonomia, alla Corte di appello.
Fermo restando, dunque, che non vi è alcun vincolo di rinvio per la Corte territoriale quanto alla decisione sul "se" vi sia bis in idem, al solo fine di fornire un orientamento esegetico sul tema va ricordato che un'importante chiave di lettura della disposizione di cui all'art. 649 c.p.p. si deve alla sentenza della Corte Costituzionale n. 200 del 2016, che lo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU (secondo cui "Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato"). In particolare, la disposizione del nostro codice di rito è stata reputata incostituzionale nella parte in cui, secondo il diritto vivente, escludeva che il fatto fosse il medesimo per la sola circostanza che sussistesse un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui era iniziato il nuovo procedimento penale.
Nel circoscrivere il giudizio di incostituzionalità rispetto a quanto opinato dal Giudice rimettente, la pronunzia della Consulta ha indicato all'interprete quale debba essere il percorso di verifica dell'identità del "fatto" che può condurre alla sentenza di improcedibilità ex art. 649 c.p.p.. A questo riguardo, la Corte Costituzionale ha sostenuto che il fatto storico-naturalistico che rileva, ai fini del divieto di bis in idem da leggersi in chiave convenzionale, è "l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi"; criteri normativi - ha opinato il Giudice delle leggi - che ricomprendono non solo l'azione o l'omissione, ma anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto ovvero l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente, secondo una dimensione empirica, così come accertata nel primo giudizio. Tale concetto - ha ricordato la Consulta - non è estraneo all'esegesi della Corte di cassazione sull'art. 649 c.p.p. (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799), laddove si sono valorizzati, quali indicatori delle medesimezza del fatto richiesta dal legislatore, tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale). In altri termini, la verifica circa il bis in idem, pur dovendo attingere il fatto materiale e non già la fattispecie astratta, impone di riguardarlo comunque individuando, nel comportamento sub iudice, gli elementi di sovrapponibilità fattuale rispetto alla struttura della fattispecie come prevista dal legislatore. Come ha scritto la Corte Costituzionale, il fatto va apprezzato "secondo l'accezione che gli conferisce l'ordinamento", ma, a smentire la possibile riemersione dell'idem legale, "ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare la medesimezza del fatto" (in termini e per un'ampia ricostruzione del tema, cfr. Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, dep. 2018, Ghelli, Rv. 272839, in motivazione, nonché Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna e altri, Rv. 270387).
È bene altresì chiarire - per sgomberare il campo da talune ambiguità interpretative sul tema in discorso che ancora oggi si rilevano - che la soluzione del quesito circa la possibilità di concorso formale tra i reati posti a confronto non ha implicazioni, in un senso o in un altro, sulla soluzione della quaestio iuris posta dal ricorrente.
La Consulta, infatti, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., ha escluso che la possibilità astratta che due fattispecie, commesse con un'unica azione od omissione, concorrano tra loro nel caso in cui vengano giudicate insieme consenta di prescindere, quando si tratti di raffrontare situazioni oggetto di diversi processi - l'uno già conclusosi, l'altro in corso di svolgimento - dalla verifica circa la medesimezza del fatto nella chiave sopra evidenziata e di processare comunque nuovamente l'imputato già condannato per il primo reato (ripudiando così il diritto vivente fino ad allora emerso dalla giurisprudenza di questa Corte).
A questo proposito, la Corte Costituzionale ha però anche escluso che vi siano implicazioni a contrario, nel senso che, ogni qualvolta possa ipotizzarsi in astratto un concorso formale tra due reati, automaticamente vi sia medesimezza del fatto e debba operare, pertanto, il divieto di bis in idem.
Ciò, d'altra parte, è la logica conseguenza della diversità di piani su cui si collocano le valutazioni a farsi in punto di concorso formale e di idem factum, dal momento che lo Stato può ben scegliere di far confluire sulla medesima condotta due fattispecie penali senza che si violi la garanzia individuale del divieto di bis in idem, "che si sviluppa invece con assolutezza in una dimensione esclusivamente processuale, e preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (così la Consulta).
Sostiene, ancora, la Corte Costituzionale che "In definitiva l'esistenza o no di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda è un fattore ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 649 c.p.p., una volta che questa disposizione sia stata ricondotta a conformità costituzionale, e l'ininfluenza gioca in entrambe le direzioni, perché è permesso, ma non è prescritto al giudice di escludere la medesimezza del fatto, ove i reati siano stati eseguiti in concorso formale. Ai fini della decisione sull'applicabilità del divieto di bis in idem rileva infatti solo il giudizio sul fatto storico".
In definitiva, quindi, per verificare se vi sia bis in idem, il raffronto deve essere tra la prima contestazione, per come si è sviluppata nel processo, e il fatto posto a base della nuova iniziativa del pubblico ministero, secondo una prospettiva concreta e non legata alla struttura delle fattispecie ma pur sempre inquadrando gli accadimenti storici secondo la "griglia" normativa “condotta-nesso causale-evento”; nell'effettuare detta operazione, si deve tuttavia prescindere dalla risoluzione dell'ulteriore interrogativo - estraneo al tema del bis in idem processuale in chiave convenzionale - se tra i due reati possa esservi concorso formale e, quindi, prescindere dai vari criteri interpretativi su questo distinto tema.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.