Divieto di un secondo giudizio per il delitto di omesso versamento dell'IVA? L'atto di promovimento della questione di legittimità costituzionale sulla applicabilita' del divieto nel caso in cui all'imputato sia stata comminata per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale, ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) e dei relativi Protocolli, che da atto che facendo applicazione dei criteri cd. Engel non puo' che pervenirsi alla conclusione che la sanzione amministrativa prevista dall'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 abbia natura penale, in quanto volta alla punizione del colpevole, trattandosi di una sanzione avente natura non compensativa, bensi' deterrente e punitiva, caratteri questi tipici della sanzione penale.
Ordinanza del Tribunale di Bologna del 21/04/2015
Reg. ord. n. 136 del 2015 pubbl. su G.U. del 15/07/2015 n. 28
Oggetto:Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Procedimento per il delitto di omesso versamento dell'IVA - Mancata previsione dell'applicabilità del divieto nel caso in cui all'imputato sia stata comminata per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale, ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) e dei relativi Protocolli - Violazione del principio del "ne bis in idem" affermato dall'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU - Inosservanza degli obblighi internazionali.
Norme impugnate Num. Art. Co. Nesso codice di procedura penale 1988 649 in relazione all' (collegamento a Normattiva) decreto legislativo 10/03/2000 74 10 ter (collegamento a Normattiva) Parametri costituzionali Num. Art. Co. Nesso Costituzione 117 1 in relazione all' (collegamento a Normattiva) Protocollo n. 7 a Convenzione europea diritti dell'uomo 4
Udienza Pubblica del 8 marzo 2016 rel. Testo dell'ordinanza N. 136
ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 2015 Ordinanza del 21 aprile 2015 emessa dal Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di B.F.M..
Sezione Prima Penale
Il giudice, sulle questioni sollevate dalla difesa, ha pronunciato la seguente ordinanza:
1. L'imputato B.F.M. e' stato rinviato a giudizio, davanti al Tribunale Monocratico di Bologna, per rispondere del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 perche' quale legale rappresentante della Societa' «OE S.r.l.» non versava l'Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale 2008 per un importo superiore alla soglia prevista dal presente articolo per ciascun periodo di imposta, ossia per complessivi ? 378.180,71 entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo.
Nel corso del procedimento e' stato sentito il funzionario dell'Agenzia delle entrate, il quale ha riferito degli accertamenti fatti e della iscrizione a ruolo del debito tributario contestato in via amministrativa e ha confermato che, al momento del processo, l'imputato aveva gia' provveduto al pagamento rateale dell'imposta, delle sanzioni pari al 30% e degli interessi, non residuando piu' alcun debito residuo nei confronti di Equitalia.
Dalla documentazione in atti e' emerso, inoltre, che l'Agenzia delle entrate, considerata l'entita' delle somme in questione, ha provveduto alla segnalazione alla competente Procura della Repubblica per il reato di cui all'art.10-ter d.lgs. n. 74/2000 da cui e' scaturito il procedimento penale in epigrafe.
La difesa dell'imputato ha prodotto la documentazione attestante il debito con l'Agenzia delle entrate (comprensivo di capitale, interessi e sanzione), la rateizzazione della somma di 450.797,20 (comprensiva dell'importo di 378.180,71 e di un ulteriore importo) con la concessionaria Equitalia a seguito dell'iscrizione a ruolo della cartella e le quietanze di pagamento da parte della societa' della somma sopra indicata.
Il difensore ha altresi' depositato una memoria difensiva contenente istanza per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ex art. 267 T.F.U.E. avente ad oggetto l'art.10-ter d.lgs. n. 74/2000 e, in alternativa, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 in via principale e dell'art. 649 c.p.p. in via subordinata, per violazione dell'art. 117, comma 1 Cost., in relazione all'art. 4 del prot. n. 7 della CEDU.
In particolare:
a) in via principale: la questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, dell'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 nella parte in cui non prevede che l'irrogazione di una sanzione definitiva ex art. 13 d.lgs. n. 471/1997 ad un soggetto per l'omesso versamento dell'I.V.A. determini l'improcedibilita', per violazione del ne bis in idem, del successivo procedimento penale per i medesimi fatti (art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000) e nei confronti dello stesso soggetto;
b) in via subordinata: la questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, dell'art. 649 c.p.p., nella parte in cui non prevede l'applicabilita' di un divieto di un secondo giudizio al caso in cui all'imputato sia gia' stata comminata, per medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione EDU.
In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni prospettate,
Osserva
2. Quanto alla questione sollevata in via principale, occorre premettere che viene qui in rilievo il particolare rapporto intercorrente, in materia di reati tributari, tra procedimento penale e procedimento tributario.
L'art. 20 del d.lgs. n. 74/2000 stabilisce che il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente a oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione. Tale norma, disponendo il superamento della pregiudiziale tributaria, sancisce principio del doppio binario e l'autonomia tra il procedimento amministrativo e quello penale, in quanto il primo non puo' essere sospeso per la pendenza del secondo e viceversa.
Viene poi in rilievo il rapporto intercorrente tra il procedimento penale ed il pagamento del debito tributario relativo ai fatti costituivi dei medesimi delitti.
In particolare, ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 74/2000, l'estinzione mediante pagamento, avvenuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti tributari, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, determina la diminuzione della pena fino ad un terzo.
La norma precisa al comma 2, che, a tale fine, il pagamento deve riguardare anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all'imputato a norma dell'art. 19, comma 1.
Quest'ultima norma sancisce il principio di specialita', stabilendo che quando uno stesso fatto e' punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.
Alla luce di una lettura convenzionalmente orientata, come si osservera' nel prosieguo, deve evidenziarsi, nonostante il tenore letterale della legge, la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa di cui all'art. 13 d.lgs. n. 471/1997, sicche' il doppio binario penale-amministrativo previsto dal legislatore in materia tributaria comporta una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
Orbene, una volta acclarato che la sanzione amministrativa irrogata in caso di omesso versamento dell'IVA assuma natura afflittivo-penale, risulta evidente che l'intero impianto normativo del d.lgs. n. 74/2000 si pone in contrasto con il principio convenzionale del ne bis in idem e, in particolare, si appalesano incostituzionali le disposizioni di cui agli artt. 20 e 21 dello stesso decreto, posto che tali norme presuppongono la prosecuzione del procedimento amministrativo di accertamento o del processo tributario - culminanti nell'applicazione di una sanzione avente carattere afflittivo-penale - nonostante la pendenza o la definizione del processo penale per lo stesso fatto.
Tuttavia, tali questioni non assumerebbero rilevanza nel presente giudizio, perche' entrambe le norme citate hanno ad oggetto specificamente la sanzione definita come amministrativa dall'ordinamento interno - la quale nel caso di specie e' gia' stata eseguita dall'imputato, avendo egli pagato il debito tributario comprensivo anche dell'importo della sanzione amministrativa - mentre il presente giudizio ha ad oggetto la sanzione penale di cui all'art.10-ter d.lgs. n. 74/2000.
La questione di l.c. sollevata in via principale in relazione all'art. 13 del d.lgs. n. 74/2000 non appare rilevante nei termini prospettati dalla difesa.
Infatti, non puo' condividersi il tentativo di invocare un intervento manipolativo di detta norma per attribuirle una funzione che essa non si proponeva di avere.
Detta disposizione, per comprensibili ragioni, si propone unicamente di stabilire un trattamento sanzionatorio di favore all'imputato che abbia fatto fronte all'integrale pagamento del debito tributario. In questi termini la disposizione del primo comma della norma si sottrae ad ogni possibile censura, prevedendo in linea generale il pagamento dell'imposta evasa e degli interessi di mora.
Cio' che, invece, per quanto si verra' a dire, implica una violazione insanabile del principio del ne bis in idem, e' la disposizione del secondo comma dell'art. 13, in base al quale ai fini dell'applicazione dell'attenuante occorre il pagamento anche della sanzione amministrativa.
Tuttavia, la questione di l.c. dell'art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74/2000 non assume rilevanza in questo giudizio, posto che la declaratoria di illegittimita' della norma non modificherebbe il trattamento sanzionatorio da irrogare all'imputato in caso di condanna, il quale potrebbe fruire ugualmente dell'attenuante, avendo pagato il debito tributario consistente nell'imposta evasa e nelle voci accessorie.
2.2. Per contro, la questione sollevata in via subordinata dalla difesa, alla quale deve attribuirsi invece rilievo centrale, e' rilevante nel presente giudizio, posto che, in caso di accoglimento, questo Tribunale potrebbe definire il giudizio mediante una pronuncia ai sensi dell'art. 649 c.p.p. cosi' come manipolato dal giudice delle leggi, essendo l'imputato gia' stato condannato al pagamento di una sanzione, pur se formalmente amministrativa, sostanzialmente penale, per il medesimo fatto.
Si osservi che non sono prospettabili interpretazioni costituzionalmente orientate in relazione alla norma censurata. L'art. 649 c.p.p. non si presta ad una lettura conforme a Costituzione posto che il legislatore, codificando il principio del ne bis in idem, ha inteso garantire che lo stesso soggetto non sia sottoponibile a successivi procedimenti penali che abbiano ad oggetto il medesimo fatto storico per il quale e' stato gia' condannato o prosciolto.
Risulta, infatti, di palmare evidenza il riferimento contenuto nella norma in questione all'autorita' giudiziaria penale con la conseguenza che l'interpretazione letterale della norma consentirebbe di estenderne l'ambito di operativita' e di ricondurre nel suo alveo le sanzioni irrogate dall'autorita' amministrativa.
3. La questione proposta non e' manifestamente infondata.
3.1 Giova premettere che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1995, n. 848, assume il carattere di parametro costituzionale, per via del disposto dell'art. 117 Cost., cosi' come modificato dal legislatore del 2001, in virtu' del quale la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Le norme della CEDU si collocano nella gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento immediatamente dopo la Costituzione, ma sono di rango intermedio tra questa e la legge ordinaria e possono, dunque, definirsi come fonti interposte o norme subcostituzionali. Esse, di conseguenza, sono dotate di una forza maggiore rispetto a quella dell'atto con cui sono state ratificate, ovvero la legge ordinaria. Dunque, la CEDU pur essendo dotata di una particolare natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale ne' puo' essere parificata, a tali fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno. La Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007 ha affermato che le disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, nell'interpretazione che ad esse attribuisce la Corte europea dei diritti dell'uomo, integrando uno degli obblighi internazionali, cui si riferisce il precetto costituzionale, possono assumere il rango di fonte integrativa del parametro di costituzionalita' di cui all'art. 117 Cost., primo comma, determinando l'incostituzionalita' della legge ordinaria con essa contrastante.
A cio' consegue l'incostituzionalita', per violazione indiretta della Costituzione, di tutte le norme di diritto nazionale contrastanti con tali norme pattizie. Anche quest'ultime, tuttavia, devono superare il vaglio di conformita' ai principi costituzionali, per fungere da parametro indiretto di incostituzionalita'. Pertanto, ove si profili un eventuale contrasto tra norma interna e una norma della CEDU, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilita' di un'interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione; e, ove tale verifica di esito negativo - non potendo cio' rimediare tramite la semplice non applicazione della norma interna contrastante - egli deve denunciare la rilevata incompatibilita', proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'indicato parametro.
A sua volta, la Corte costituzionale, investita dello scrutinio, pur non potendo sindacare l'interpretazione della CEDU data dalla Corte europea, resta legittimata a verificare se la norma della Convenzione - la quale si colloca pur sempre a livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: ipotesi nella quale dovra' essere esclusa la idoneita' nella norma convenzionale a integrare il parametro considerato (cfr. C. cost. n. 113/2011). La struttura dell'art. 117 Cost., dunque, viene integrata e resa operativa dalle norme della CEDU, la cui funzione e' quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza degli obblighi internazionali dello Stato. Nel caso in esame, il parametro convenzionale interposto e' costituito dall'art. 4 del protocollo n. 7 alla CEDU intitolato «Diritto di non essere giudicato o punito due volte» il quale dispone
«1. nessuno puo' essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale e' gia' stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e dalla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e dalla procedura penale dello stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un servizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non e' autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell'articolo 15 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950».
3.2. Il principio del doppio binario sanzionatorio previsto dalla legislazione italiana per gli illeciti tributari e l'applicabilita' cumulativa in relazione allo stesso fatto delle sanzioni previste dall'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997 violano, a parere di questo Tribunale, il parametro costituzionale e, conseguentemente, l'art. 117, primo comma, Cost. per via della natura penale dell'illecito amministrativo in questione, secondo l'interpretazione fatta propria dalla Corte Edu.
Non possono, infatti, disattendersi i criteri interpretativi delineati dalla Corte di Strasburgo sin dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976 al fine di individuare la natura «penale» o meno di una sanzione tributaria.
In particolare, con tale sentenza la Corte ha stabilito che il primo criterio da adottare consiste nella qualificazione della misura da parte del legislatore nazionale; tuttavia, se per la legge nazionale la sanzione non ha natura penale, occorre fare riferimento agli altri due Engel criteria che sono tra loro alternativi, ovvero alla natura sostanziale della violazione e la gravita' della sanzione comminata. L'approccio sostanziale adottato dalla Corte Edu, il quale e' svincolato dal nomen iuris attribuito dallo stato dell'Unione, e' stato recentemente ribadito dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009, Zolotukhin c. Russia, nonche' dalla sentenza del 4 marzo 2014 Grande Stevens e altri c. Italia.
Con la prima la Corte ha elaborato una interpretazione uniforme del concetto di «same offence».
Per stabilire se ci trova al cospetto dell'idem factum, infatti, non occorre fare riferimento alla «legal characterisation» ovvero alla fattispecie astratta, ma al fatto concreto.
Con la seconda decisione, la Corte Edu ha rilevato l'incompatibilita' con il divieto convenzionale del bis in idem del regime del «doppio binario» sanzionatorio previsto dalla legislazione italiana per gli abusi di mercato. La pronuncia in esame si fonda su due consolidati orientamenti della giurisprudenza di Strasburgo: quanto al riconoscimento della natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa comminata dal T.U.F. per gli abusi di mercato, la sentenza valorizza i criteri interpretativi ormai consolidati nella giurisprudenza convenzionale ovvero i cc.dd. criteri di Engel; quanto allo scrutinio dell'identita' del fatto, la sentenza fa riferimento alla rilevanza di un accertamento in concreto della disamina degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte.
Tale interpretazione e' stata fatta propria anche dal nostro giudice delle leggi, il quale con la sentenza n. 196 del 2010 ha affermato che tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo, al di la' della loro qualificazione formale, devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto.
3.3. Per una completa ricostruzione del quadro normativo appare opportuno richiamare le norme sanzionatorie in questione e l'interpretazione datane dalla Corte di Cassazione.
Con riferimento alla disciplina dell'illecito amministrativo, l'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 stabilisce che «Chi non esegue, in tutto in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l'ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorche' non effettuati, e' soggetto a sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione degli errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e' ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo(..)».
Quanto all'illecito penale, l'art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000 stabilisce che «la disposizione di cui all'articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo».
Appare evidente che il reato di omesso versamento annuale di cui all'articolo 10-ter d.lgs. n. 74/2000 implica necessariamente il passaggio attraverso l'illecito amministrativo, ovvero attraverso l'omesso versamento periodico mensile o trimestrale dell'imposta.
Come osservato, l'intero impianto del d.lgs. n. 74/2000 appare orientato al principio del doppio binario sanzionatorio.
L'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 prevede espressamente la possibilita' di cumulo della sanzione penale (pur se diminuita) e di quella amministrativa, subordinando l'applicazione della circostanza attenuante al pagamento del debito tributario comprensivo della sanzione. L'art. 13, comma 2-bis, subordina altresi' l'accesso al giudizio di applicazione della pena su richiesta (artt. 444 e segg. c.p.p.) alla ricorrenza della circostanza attenuante di cui al primo comma.
Il doppio binario emerge, poi, dalla previsione dell'autonomia del procedimento amministrativo di accertamento e del processo tributario in pendenza di quello penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione (art. 20 d.lgs. n. 74/2000).
Il problema del cumulo delle sanzioni dovrebbe essere risolto nel nostro ordinamento dal principio di specialita' cosi' come sancito, con specifico riferimento alla materia tributaria, dall'art. 19 del decreto legislativo, norma in base alla quale «quando uno stesso fatto e' punito da una delle disposizioni del titolo II del decreto in esame e da una che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale».
Tuttavia le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a dirimere il contrasto sorto in relazione al rapporto tra l'illecito amministrativo di cui all'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 e quello penale di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74/2000, hanno escluso che tra le due norme sussista un rapporto di specialita' e hanno ritenuto, invero, sussistente un rapporto di progressione criminosa.
In particolare, la Cassazione ha affermato che «Il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000), che si consuma con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore ad euro cinquantamila, entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo, non si pone in rapporto di specialita' ma di progressione illecita con l'art. 13, comma primo, d.lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso versamento periodico dell'imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del debito mensile IVA, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni (cfr. Cass. S.U., 28 marzo 2013, n. 37424). Non puo' negarsi che rientri nella discrezionalita' del legislatore prevedere per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una combinazione di sovrattasse e sanzioni penali, al fine di assicurare la riscossione delle entrate provenienti dall'IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell'Unione.
Tale principio e' stato ribadito anche dalla Grande Sezione della Corte di giustizia nella decisione Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson del 26 febbraio 2013, la quale ha, tuttavia, precisato che «qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell'articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona».
Tale natura deve attribuirsi, a parere di questo Tribunale, alla sanzione amministrativa di cui all'art. 13 d.lgs. n. 471/1997, come di seguito si precisera'.
3.4. E' pur vero che il legislatore italiano ha previsto un meccanismo idoneo in astratto a scongiurare il cumulo della sanzione amministrativa con quella penale.
In particolare, l'art. 21 d.lgs. n. 74/2000 rubricato «Sanzioni amministrative per le violazioni ritenute penalmente rilevanti» stabilisce che
«1. L'ufficio competente irroga comunque le sanzioni relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato. 2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall'articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In quest'ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all'ufficio competente;(..)».
Dunque, per evitare il cumulo delle sanzioni penali e amministrative in capo al responsabile, l'ordinamento prevede un meccanismo di sospensione della riscossione della sanzione amministrativa fino alla definizione del giudizio penale.
In sostanza, l'amministrazione puo' premunirsi di un titolo nei confronti del contribuente, dovendo tuttavia attendere l'esito del giudizio penale per eseguirlo. L'eseguibilita' della sanzione amministrativa e' consentita nel solo caso in cui sia pronunciata l'assoluzione dell'imputato con formula «che esclude la rilevanza penale del fatto» (il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso), non per altre ipotesi di proscioglimento per motivi di merito o per estinzione del reato.
Orbene, se, nell'interpretazione datane dalla CEDU, le sanzioni amministrative tributarie assumono natura sostanzialmente penale, e' proprio quest'ultimo meccanismo che si pone in evidente contrasto con la logica garantistica del divieto del bis in idem di cui all'art. 4, Prot. VII CEDU, dal momento che, proprio a seguito di una sentenza definitiva di assoluzione in sede penale, riprende vigore l'esecuzione di una sanzione che ha carattere sostanzialmente penale e che viene irrogata in relazione alle medesime condotte.
Anche a prescindere da tale osservazione, in ogni caso, e' riscontrabile una violazione del medesimo principio del ne bis in idem in chiave processuale, laddove si consente che si determini aprioristicamente - al culmine di un procedimento amministrativo di accertamento o eventualmente di un contenzioso tributario - una sanzione di natura afflittiva avente natura analoga a quella penale. In altri termini, per quanto l'eseguibilita' della sanzione sia sospesa sino all'esito del giudizio penale, essa viene formalmente «irrogata», con la sua iscrizione a ruolo, come pare essere avvenuto nel caso di specie.
Dunque, in concreto si possono verificare ipotesi, come quella in esame, in cui la sanzione penale si aggiunge a quella di cui all'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 gia' inflitta.
D'altra parte, e' lo stesso legislatore, nell'art. 13, comma 2 d.lgs. n. 74/2000, a subordinare la concessione di una circostanza attenuante al pagamento del debito tributario comprensivo di sanzione amministrativa, sollecitando cosi' il contribuente al pagamento anche di quest'ultima prima della definizione del processo penale e generando altresi' una contraddizione interna del sistema.
3.5. Facendo applicazione dei criteri cd. Engel sopra richiamati non puo' che pervenirsi alla conclusione che la sanzione amministrativa prevista dall'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 abbia natura penale, in quanto volta alla punizione del colpevole, trattandosi di una sanzione avente natura non compensativa, bensi' deterrente e punitiva, caratteri questi tipici della sanzione penale. Ne' tale natura puo' escludersi per via del fatto che la sanzione in questione possa essere irrogata all'esito di un procedimento amministrativo, dal momento che cio' che rileva, secondo la Corte Edu, e' la natura della sanzione. D'altra parte, se la predetta osservazione fosse realistica, si porrebbe un ulteriore dubbio di legittimita' costituzionale, tenuto conto che il suddetto procedimento sarebbe privo delle garanzie difensive previste invece nel processo penale.
Non puo', infatti, disattendersi la portata delle recenti pronunce della Corte Edu in relazione al cumulo delle sanzioni amministrative e penali in materia tributaria.
In particolare, nella sentenza Nikanen c. Finlandia del 20 maggio 2014 la Corte si e' pronunciata sul cumulo sanzionatorio delle sanzioni tributarie affermando che l'avvenuta irrogazione al contribuente, con provvedimento definitivo, di una sanzione amministrativa tributaria - nella specie una soprattassa di importo pure assai contenuto (1.700,00 euro) ma avente, in ogni caso, una connotazione punitiva - impedisce di avviare o di proseguire un procedimento penale per la medesima violazione, qualificata, nel caso specifico, come frode fiscale.
Tali principi sono stati ribaditi nella sentenza Lucky Dev c. Svezia del 27 novembre 2014 e riguardano un caso sostanzialmente analogo a quello che si presenta innanzi a questo Tribunale, posto che anche nell'ordinamento svedese alle violazioni di natura tributaria consegue sia l'applicazione di una sanzione amministrativa, definita dalla Corte tax surcharge, sia una sanzione di carattere penale, denominata tax offence. Inoltre, anche nell'ordinamento svedese, cosi' come in quello italiano, il procedimento amministrativo-tributario e quello penale sono indipendenti, non essendo previsto alcun meccanismo di raccordo tra essi.
La Corte Edu ha ribadito il proprio approccio analitico e concreto in relazione alla qualificazione dello stesso fatto che porta i Giudici di Strasburgo a considerare sostanzialmente unitaria l'idem factum quando le due condotte previste dalle norme sanzionatorie «costituiscono un insieme di circostanze fattuali che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilmente avvinte nel tempo e nello stesso spazio».
La Corte ha poi precisato che si ha violazione del principio stabilito dall'art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione solo quando uno dei due procedimenti previsti per la medesima condotta punita con l'irrogazione di due sanzioni sostanzialmente penali si sia concluso con una decisione definitiva. In particolare, con la sentenza indicata la Corte ha affermato che a rendere non conforme la disciplina svedese alla convenzione sia l'assenza di una connessione tra i due procedimenti ovvero una «close connection in subitanee and in time» con la conseguenza che i due procedimenti, in quanto autonomi, costituiscono duplicazioni sanzionatorie per il medesimo fatto illecito e non una forma di tutela predisposta dall'ordinamento in un'ottica complessiva ed unitaria (cfr. par. 61 e 62).
Le stesse osservazioni valgono, a parere di questo Tribunale, nell'ordinamento interno.
Difatti, nel caso sottoposto all'attenzione del Tribunale ci si trova di fronte a due procedimenti scaturenti dagli stessi fatti, in quanto medesima e' la violazione posta in essere dall'imputato che ha dato luogo, da un lato, al procedimento amministrativo di accertamento e, dall'altro, al procedimento penale. Viene in rilievo, inoltre, la consecutivita' dei due procedimenti, posto che la sanzione penale verrebbe applicata, nel caso in questione, dopo che procedimento amministrativo si e' concluso con una decisione definitiva. Invero, il ne bis in idem non puo' che ritenersi ulteriormente violato dalla previsione dell'autonomia attribuita dal legislatore ai due procedimenti alla luce della previsione dell'art. 20 sopra citato. Difatti, secondo la Corte Edu, l'art. 4 prot. n. 7 CEDU non preclude la contemporanea apertura e celebrazione di procedimenti paralleli per lo stesso fatto, bensi' l'eventualita' che uno dei procedimenti non venga interrotto nel momento in cui l'altro e' divenuto definitivo. Alla luce della natura effettiva della violazione prevista dall'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 e della finalita' repressiva della sanzione ivi comminata la condanna in sede penale porterebbe alla violazione del ne bis in idem sostanziale e quindi dell'art. 4 del protocollo sopra citato.
Le due sanzioni infatti verrebbero comminate in relazione allo stesso periodo ed allo stesso comportamento per fatti identici.
L'omesso versamento dell'imposta, in concreto, gia' sanzionato in via amministrativa, viene nuovamente sanzionato in via penale, solo perche' protratto nel tempo.
La previsione di un termine diverso di scadenza, al fine di individuare il diverso momento di consumazione della sanzione amministrativa e del reato, non vale a differenziare il fatto nella sua concretezza; ne' la mera previsione di una soglia di punibilita' penale appare capace di distinguere il fatto oggetto delle due previsioni sanzionatorie, che resta il medesimo.
Ci si trova con palmare evidenza di fronte alla medesimezza del fatto secondo i principi sopra richiamati e fatti propri dalla Corte Edu.
Il meccanismo sopra delineato prescritto dal nostro legislatore all'art. 21 del d.lgs. n. 74/2000, pur se concepito in astratto al fine di scongiurare il cumulo sanzionatorio, non e' in grado di evitare che in concreto si creino, come nel caso in esame, delle vicende in cui il contribuente abbia gia' pagato, prima dell'instaurazione del processo penale, la sanzione amministrativa comminatagli. 3.6. In conclusione, alla luce di quanto precede, appare non manifestamente infondata la q.l.c. proposta in via subordinata, in relazione all'art. 649 c.p.p. nella parte in cui detta disposizione non prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione, alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della CEDU e dei relativi protocolli.
La pronuncia manipolativa invocata, appare l'unico rimedio idoneo a scongiurare l'incompatibilita' del regime del doppio binario previsto dal legislatore italiano in materia tributaria con il divieto convenzionale di bis in idem.
Difatti, come osservato, puo' verificarsi che un soggetto si trovi sottoposto a procedimento penale pur dopo che, per il medesimo illecito fiscale, gli sia gia' stata comminata in via definitiva una sanzione amministrativa.
In ogni caso, quand'anche l'imputato non avesse provveduto al pagamento della sanzione amministrativa per via del disposto dell'art. 21, permarrebbe una violazione del ne bis in idem processuale e, conseguentemente, dell'art. 4 del protocollo n. 7 cosi' come stabilito dalla Corte Edu nelle sentenze sopra riportate.
Tale violazione determina un vulnus costituzionale attinente ad un diritto fondamentale dell'individuo sanabile solo attraverso la pronuncia additiva richiesta, che consentirebbe di rimuovere gli effetti pregiudizievoli conseguenti alta violazione del divieto di bis in idem qualora l'imputato sia stato giudicato, in via definitiva, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della normativa convenzionale.
P.Q.M.
Dichiara irrilevante la questione di legittimita' costituzionale proposta dalla difesa in via principale.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata: la questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, dell'art. 649 c.p.p., in relazione all'art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000, nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui all'imputato sia gia' stata comminata, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione EDU e dei relativi protocolli.
Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle camere del Parlamento.
Visto l'art. 159, comma 1, n. 2) c.p., sospende il corso della prescrizione.
Dell'ordinanza e' data lettura alle parti in udienza. Cosi' deciso in Bologna il 21 aprile 2015.
Il giudice: dott. Massimiliano Cenni L'ordinanza in data 21 aprile 2015 e' stata redatta con la collaborazione della M.O.T. dott.ssa Gabriella Logozzo. Bologna, 21 aprile 2015 Il giudice: dott. Massimiliano Cenni
Aggiornamento: in data 8 marzo la Corte Costituzionale ha emesso il seguente
COMUNICATO STAMPA
La Corte Costituzionale si e? pronunciata su tre questioni, due proposte dalla Corte di cassazione e una dal Tribunale di Bologna, a proposito della possibilita? di applicare, in due distinti procedimenti, per i medesimi fatti, diverse sanzioni, penali e amministrative.
Le disposizioni impugnate riguardavano illeciti in materia di abuso di mercato e di mancato versamento dell'IVA ed erano state sospettate di illegittimita? costituzionale per violazione del principio del ne bis in idem, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
La Corte costituzionale ha concluso per l'inammissibilita? di due delle questioni proposte e ha restituito gli atti al giudice rimettente per la terza, per sopravvenute modifiche legislative.