L'intervento di soccorso in mare non è un fatto imprevedibile, che possa interrompere la serialità causale, ma una circostanza non solo prevista ma voluta e addirittura provocata. L'azione di abbandono in acque extraterritoriali dei migranti è destinata proprio a produrre la situazione di necessità, atta a stimolare l'intervento di supporto che conduca all'approdo i clandestini e al perseguimento dell'obiettivo dell'organizzazione criminale, che mira ad assicurare lo sbarco.
Occorre, inoltre, rilevare che in tali evenienze l'intervento di soccorso è doveroso, tanto sulla scorta della Convenzione di Amburgo del 1979 quanto sulla scorta della Convenzione di Montego Bay del 1989, anche avuto contezza dell'illiceità del trasporto. L'azione di salvataggio, dunque, non può essere considerata isolatamente rispetto alla condotta pregressa, che volutamente determina lo stato di necessità, proprio perchè si tratta di una condizione di pericolo causata volontariamente dai trafficanti, che si collega, in diretta derivazione causale all'azione criminale di abbandonare in mare uomini in attesa dei soccorsi, alla ragionevole speranza che siano condotti sulle coste sotto la protezione dell'azione di salvataggio.
La giurisdizione dello Stato italiano deve essere riconosciuta, laddove in ipotesi di traffico di migranti dalle coste africane a quelle nostrane, questi siano abbandonati in mare in acque extraterritoriali su natanti del tutto inadeguati, allo scopo di provocare l'intervento del soccorso in mare e consentire che i trasportati siano accompagnati nel tratto di acque territoriali dalle navi dei soccorritori, operanti sotto la copertura della scriminate dello stato di necessità, poichè l'azione di messa in grave pericolo per le persone, integrante lo stato di necessità, è direttamente riconducibile ai trafficanti per averlo provocato e si lega, senza soluzione di continuità, al primo segmento della condotta commessa in acqueextraterritoriali, venendo così a ricadere nella previsione dell'art. 6 c.p..
L'azione dei soccorritori, che consente ai migranti di giungere nel nostro territorio, è riconducibile alla figura dell'autore mediato di cui all'art. 48 c.p., conseguente allo stato di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti, che è sanzionabile nel nostro Stato, ancorchè materialmente questi abbiano operato solo in ambito extraterritoriale.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Sent., (ud. 08/04/2015) 18-05-2015, n. 20503
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro - Consigliere -
Dott. NOVIK Adet Toni - Consigliere -
Dott. SANDRINI Enrico G. - Consigliere -
Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
Sul ricorso proposto da:
1) I.M.S., nato il (OMISSIS);
2) D.I., nato l'(OMISSIS);
3) A.M., nato il (OMISSIS);
4) I.H., nato il (OMISSIS);
Avverso l'ordinanza n. 1125/2014 emessa il 16/10/2014 dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alessandro Centonze;
Sentite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Dott. Riello Luigi, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa il 16/10/2014 il Tribunale di Reggio Calabria confermava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di I.M. S., D.I., A.M. e Ib.Ha., ritenendo sussistenti nei loro confronti gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione a delinquere finalizzata a procurare l'ingresso illegale nel territorio italiano di cittadini stranieri contestata al capo A) e dei connessi reati di cui ai capi B) e C) della rubrica.
Tale complessa attività delittuosa era collegata ai salvataggi marittimi dei cittadini extracomunitari che si trovavano a bordo di due natanti provenienti dalle coste nordafricane, con il conseguente sbarco presso il porto di (OMISSIS), che aveva luogo nell'arco temporale compresso tra le ore 17.05 del (OMISSIS) e le ore 23.25 della stessa giornata. Tali salvataggi venivano effettuati in sette distinti interventi, eseguiti sia da imbarcazioni militari che da imbarcazioni mercantili.
Sulla scorta delle verifiche investigative condotte nell'immediatezza dei fatti, si ritenevano individuati quattro componenti degli equipaggi che avevano condotto i due natanti.
In tale ambito, gli indagati A.M. e Ib.Ha.
venivano riconosciuti dal cittadino siriano A.M.A. e dal cittadino sudanese H.A., entrambi trasportati a bordo dello stesso natanti, che effettuavano riconoscimento fotografico, identificando i due indagati nelle fotografie di cui ai nn. 1 e 4 del relativo fascicolo. In particolare, secondo i due testimoni, che venivano assunti a sommarie informazioni nell'immediatezza dei fatti, l' A. e l' I. conducevano a turno il mezzo navale sul quale viaggiavano fino all'arrivo dei soccorsi nautici.
Gli indagati D.I. e I.M.S., invece, venivano riconosciuti dal cittadino libanese J.A.Z. e dal cittadino palestinese K.M., entrambi trasportati sullo stesso natante, che effettuavano riconoscimento fotografico, identificando i due indagati nelle fotografie di cui ai nn. 6 e 9 del relativo fascicolo. Secondo tali testimoni, assunti a sommarie informazioni dopo lo sbarco, il M. era al timone dell'imbarcazione sulla quale viaggiavano; mentre, il D. collaborava alla guida della navigazione mediante l'impiego un sistema satellitare GPS. Sulla scorta di tali elementi probatori si confermava il provvedimento impugnato.
2. Avverso tale ordinanza venivano proposti due separati ricorsi per cassazione.
2.1. La difesa degli indagati M.S.I., M. A. e H.I., a mezzo dell'avv. Candelora Sciapai, ricorreva per cassazione deducendo due motivi di ricorso.
Si deduceva, innanzitutto, l'incongruità della verifica degli elementi indiziari sui quali si fondava l'ordinanza confermativa emesso dal giudice del gravame, che si limitava a rinviare per relationem al provvedimento cautelare genetico, senza valutarne la pertinenza probatoria rispetto alle contestazioni elevate agli indagati.
Si deduceva, inoltre, l'illegittimità del provvedimento impugnato, atteso che riteneva le dichiarazioni dei testimoni esaminati nell'immediatezza dei fatti dimostrative del fatto che gli indagati avevano agito in maniera sinergica durante le attività di trasporto dei migranti, senza specificare le ragioni che consentivano di formulare tali conclusioni.
2.2. La difesa dell'indagato D.I., a mezzo dell'avv. Orlando Cassisi, ricorreva per cassazione deducendo due motivi di ricorso.
Si deduceva, innanzitutto, l'inadeguatezza del vaglio degli elementi indiziari sui quali si fondava il provvedimento impugnato, che si limitava a rinviare all'ordinanza cautelare genetica, in termini generici, senza rendere intellegibili le fonti di prova esaminate.
Si deduceva, inoltre, l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 6, 7 e 20 c.p., conseguente alla carenza di giurisdizione italiana, facendosi riferimento a fatti di reato verificatisi al limite delle acque territoriali nazionali, in relazione ai quali si imponeva l'applicazione dell'art. 97 della Convenzione di Montego Bay, che stabiliva tale limite nella misura di dodici miglia dalla coste nazionali.
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti nell'interesse di I.M.S., D.I., A.M. e Ib.Ha. sono parzialmente fondati.
In via preliminare, deve rilevarsi che, per inquadrare giuridicamente la concatenazione degli atti integranti le condotte delittuose conteste ai capi A), B) e C) della rubrica, è necessario considerare che, nella gestione di questo traffico di esseri umani, risultano generalmente coinvolte navi madri provenienti dai Paesi dell'area nord africana, le quali, mentre attraversano le acqueinternazionali, vengono affiancate da imbarcazioni più piccole, senza bandiera, cui viene rimessa, nella pianificazione complessiva, la realizzazione del risultato non prima che venga operato il trasbordo dei migranti e che venga lanciata la richiesta di aiuto, più che giustificata in ragione delle condizioni del natante e delle condizioni del mare.
Tale procedura non può che apparire come il frutto di un'accurata programmazione criminosa, volta a preservare il natante principale e il suo equipaggio da possibili attività di captazione investigativa da parte delle forze dell'ordine dei Paesi europei, tenendolo al riparo dall'esercizio della giurisdizione negli Stati di approdo, con ciò aumentando in modo esponenziale il rischio fatto correre ai migranti trasportati.
In questo ambito, l'ultimo tratto della condotta di trasporto altro non rappresenta che un tassello essenziale e pianificato di una concatenazione articolata di atti che non può essere interrotta o spezzata nella sua continuità, per la semplice ragione che l'intervento di soccorso in mare non è un fatto imprevedibile, che possa interrompere la serialità causale, ma una circostanza non solo prevista ma voluta e addirittura provocata. In buona sostanza, come anche gli ultimi accadimenti hanno consentito di accertare, l'azione di abbandono in acque extraterritoriali dei migranti è destinata proprio a produrre la situazione di necessità, atta a stimolare l'intervento di supporto che conduca all'approdo i clandestini e al perseguimento dell'obiettivo dell'organizzazione criminale, che mira ad assicurare lo sbarco.
Occorre, inoltre, rilevare che in tali evenienze l'intervento di soccorso è doveroso, tanto sulla scorta della Convenzione di Amburgo del 1979 quanto sulla scorta della Convenzione di Montego Bay del 1989, anche avuto contezza dell'illiceità del trasporto. L'azione di salvataggio, dunque, non può essere considerata isolatamente rispetto alla condotta pregressa, che volutamente determina lo stato di necessità, proprio perchè si tratta di una condizione di pericolo causata volontariamente dai trafficanti, che si collega, in diretta derivazione causale all'azione criminale di abbandonare in mare uomini in attesa dei soccorsi, alla ragionevole speranza che siano condotti sulle coste sotto la protezione dell'azione di salvataggio (cfr. Sez. 1, n. 14510 del 28/02/2014, dep. 27/03/2014, Haji, non mass.).
Ne discende che la giurisdizione dello Stato italiano deve essere riconosciuta, laddove in ipotesi di traffico di migranti dalle coste africane a quelle nostrane, questi siano abbandonati in mare in acque extraterritoriali su natanti del tutto inadeguati, allo scopo di provocare l'intervento del soccorso in mare e consentire che i trasportati siano accompagnati nel tratto di acque territoriali dalle navi dei soccorritori, operanti sotto la copertura della scriminate dello stato di necessità, poichè l'azione di messa in grave pericolo per le persone, integrante lo stato di necessità, è direttamente riconducibile ai trafficanti per averlo provocato e si lega, senza soluzione di continuità, al primo segmento della condotta commessa in acqueextraterritoriali, venendo così a ricadere nella previsione dell'art. 6 c.p..
Ne discende che l'azione dei soccorritori, che consente ai migranti di giungere nel nostro territorio, è riconducibile alla figura dell'autore mediato di cui all'art. 48 c.p., conseguente allo stato di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti, che è sanzionabile nel nostro Stato, ancorchè materialmente questi abbiano operato solo in ambito extraterritoriale.
E va ritenuta la giurisdizione italiana anche per il reato di cui all'art. 416 c.p., trattandosi di associazione transnazionale, la cui attività ricade sotto la previsione dell'art. 7 c.p., n. 5, in forza dell'art. 15, comma 2, lett. c), che rinvia all'art. 5, paragrafo 1, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, sottoscritta a Palermo il 12-15/12/2000, ratificata dall'Italia con la L. 16 marzo 2006, n. 146. Si ha infatti riguardo ad associazione criminale organizzata in nord Africa, ma diretta a produrre effetti in Italia, per la commissione di reati in materia di immigrazione e quindi ricadente nella previsione - come detto - dell'art. 15, comma 2, lett. c), della suddetta Convenzione.
La L. n. 146 del 2006, art. 3, del resto, nel definire il "reato transnazionale", fa riferimento proprio al reato commesso da gruppo criminale organizzato che sia commesso in uno stato, ma che ne dispieghi gli effetti in un altro.
2. Fatta questa indispensabile premessa, occorre passare a considerare il ricorso proposto nell'interesse di M. S.I., M.A. e H.I., con cui si deducevano due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, si deduceva la nullità dell'ordinanza impugnata, in quanto si sarebbe limitata a richiamare per relationem l'ordinanza cautelare genetica, senza compiere un'autonoma valutazione degli elementi indiziari che vi erano sottesi.
Nel caso di specie, nessuna violazione si è concretizzata, dovendosi evidenziare che nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dai ricorrenti al provvedimento impugnato, tale decisione deve essere esaminata in correlazione con l'ordinanza applicativa della misura cautelare, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche concordanti, con la conseguenza che la motivazione dell'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 309 c.p.p., deve necessariamente collegarsi all'ordinanza applicativa della misura cautelare, dando origine a un complesso argomentativo omogeneo e unitario. Tale impostazione è stata, in più occasioni, ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha osservato come il contenuto dei due provvedimenti cautelari si saldi "fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile" (cfr. Sez. 2, n. 21599 del 16/02/2009, dep. 25/05/2009, Emmanuello e altri, Rv. 244541).
Nemmeno, nel caso in esame, è ravvisabile, in senso stretto, una motivazione per relationem, così come dedotta dalla difesa dei ricorrenti, non essendosi verificata alcuna violazione dell'obbligo di motivazione del giudice del riesame, astrattamente ravvisabile quando l'ordinanza contenga una motivazione che si risolva nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, omettendo la valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame (cfr. Sez. 6, n. 9752 del 29/01/2014, dep. 27/02/2014, Ferrante, Rv. 259111).
In ogni caso, la motivazione per relationem è legittima, comportando il richiamo ad altri atti che, in quanto positivamente valutati, integrano il nuovo provvedimento, pur dovendosi valutare - ai fini dell'assolvimento dell'obbligo motivazionale - la congruenza e la completezza della motivazione. In questo caso, l'autonomia tra i due provvedimenti è certamente sussistente, non risolvendosi l'ordinanza impugnata in un mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento sottoposto a gravame, perchè i decidenti non soltanto hanno verificato la congruità dell'ordinanza genetica, ricostruendone i passaggi indiziari salienti, ma hanno avuto cura di compendiare tale ricostruzione, dando conto, nelle pagine 11-13, del percorso seguito ed escludendo la ricorrenza della doglianza sollevata.
Queste considerazioni impongono di ritenere infondata tale doglianza difensiva.
2.2. Quanto al secondo motivo di ricorso deve rilevarsi che occorre preliminarmente inquadrare la posizione dichiarativa dei cittadini extracomunitari, trasportati a bordo dei due natanti, che rendevano dichiarazioni nell'immediatezza dei fatti sugli indagati.
In particolare, M.A.A. e H.A. rendevano dichiarazioni nei confronti degli indagati M. A. e H.I.; mentre, J.A.Z. e K. M. rendevano dichiarazioni nei confronti di D.I. e S.M..
Tali dichiarazioni devono essere assimilate a quelle dei testimoni oculari, essendo i dichiaranti trasportati a bordo dei natanti su cui venivano tratti in salvo. Ne consegue che tali dichiarazioni, pur dovendo essere valutate con le opportune cautele, costituiscono un elemento indiziario idoneo e sufficiente a consentire l'applicazione di un provvedimento cautelare.
Sul punto, non sussistono oscillazioni giurisprudenziali tali da indurre a ritenere modificato il quadro ermeneutico di riferimento in tema di valutazione della prova nella materia cautelare, secondo cui la deposizione dei testimoni, anche se rappresentano l'unica prova del fatto da accertare e manchino riscontri esterni, può legittimare l'adozione di un provvedimento restrittivo, conformemente a quanto statuito da questa Corte, secondo cui tali deposizioni possono integrare i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l'applicazione della misura cautelare, senza necessità di acquisire riscontri oggettivi esterni ai fini della valutazione della loro attendibilità (cfr. Sez. 1, n. 5991 del 21/01/2009, dep. 11/02/2009, Fai, Rv.
243361; Sez. 1, n. 15563 del 22/01/2009, dep. 10/04/2009, Perrotta e altri, Rv. 243734).
In questa cornice indiziaria, occorre ulteriormente rilevare che le dichiarazioni rese dai suddetti testi venivano supportate da un'individuazione fotografica, effettuata nei confronti degli indagati contestualmente al loro esame, compiuta con modalità rituali che suggellavano l'attendibilità del loro resoconto dichiarativo in relazione alla vicenda delittuosa descritta.
Anche su tale profilo, rafforzativo del compendio indiziario acquisito, la motivazione del provvedimento impugnato è adeguata, tenuto conto dell'orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui: "In tema di misure cautelari personali, poichè i gravi indizi di colpevolezza sono quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, idonei a fondare il convincimento di qualificata probabilità di colpevolezza, l'individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria, indipendentemente dall'accertamento delle modalità e quindi della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell'art. 213 c.p.p., ben può essere posta a fondamento di una misura cautelare, perchè lascia fondatamente ritenere che sbocchi in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale riconoscimento confermi" (cfr. Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).
Queste considerazioni impongono di ritenere infondata tale ulteriore doglianza difensiva.
2.3. Deve, infine, rilevarsi che, premessa la giurisdizione del nostro Stato per il reato d cui al capo A) nei termini che sono evidenziati nel paragrafo 1, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria cui si rinvia dovrà in ordine a tale reato rivalutare la posizione degli indagati S.I.M., A. M. e H.I. sotto il profilo della valenza del compendio indiziario acquisito.
Deve, in proposito, rilevarsi, quanto al reato di associazione a delinquere, che la valutazione sottesa al provvedimento impugnato è assolutamente inadeguata, non potendosi escludere che i ricorrenti siano stati cooptati solo per questa iniziativa criminale, senza che da tale incarico si possa desumere, a livello di gravità indiziaria, il loro collegamento con l'organizzazione criminale, mancando qualsivoglia informazione sull'appartenenza degli indagati alla struttura organizzatrice dei viaggi di trasporto dei migranti.
Invero, se certamente si può ipotizzare la sussistenza di un'organizzazione criminale strutturata, diretta a organizzare i viaggi di un numero sempre crescente di migranti che vogliono lasciare il loro continente di origine per approdare nelle coste del nostro Paese, nulla accredita l'ipotesi di una stabile appartenenza dei ricorrenti allo stesso sodalizio. Ne consegue che, a seguito del rinvio disposto da questa Corte, il giudice del gravame dovrà soffermarsi ulteriormente su tali profili indiziari, verificando se e in quale misura gli indagati M.S.I., M. A. e H.I. possano ritenersi coinvolti nella gestione dei traffici di migranti, di cui l'episodio delittuoso in esame costituisce un mero epifenomeno criminale.
Queste considerazioni impongono di ritenere fondata tale doglianza difensiva, limitatamente al reato di cui al capo A).
3. Passando a considerare i motivi di ricorso proposti nell'interesse di D.I., deve preliminarmente evidenziarsi che la difesa dell'indagato proponeva due motivi di ricorso.
3.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si censurava l'inadeguata verifica degli elementi indiziari sui quali si fondava il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria, deve ritenersi parzialmente fondato, nei termini di cui appresso.
Quanto ai profili di criticità indiziaria relativi alle sommare informazioni testimoniali acquisite nell'immediatezza dei fatti - riguardanti le dichiarazioni di M.A.A., H. A., J.A.Z. e K.M. - non occorre soffermarsi, essendo sufficiente rinviare alle considerazioni processuali esplicitate nel paragrafo 2.2. di questa sentenza, che possono ritenersi esaustive.
Quanto, invece, al reato associativo contestato al capo A) della rubrica, nel rinviare a quanto già affermato nel paragrafo 2.3., deve ribadirsi che non si può escludere che il D., analogamente agli altri indagati, sia stato cooptato solo per questa iniziativa criminale, senza che da questo coinvolgimento si possa desumere, sotto il profilo indiziario, il suo collegamento con l'associazione criminale, mancando ogni informazione sulla sua appartenenza alla struttura criminale organizzatrice dei viaggi.
Queste considerazioni impongono di ritenere fondata tale doglianza difensiva, limitatamente al reato di cui al capo A).
3.2. Deve, infine, ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, per il quale occorre rinviare alle considerazioni svolte nel paragrafo 1.
Tali considerazioni processuali impongono di ritenere infondata tale doglianza difensiva.
4. Per le ragioni che si sono esposte i ricorsi proposti nell'interesse di M.S.I., I.D., M. A. e H.I. devono essere accolti, limitatamente al reato associativo contestato al capo A) della rubrica.
I ricorsi, infine, devono essere rigettati nel resto.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A (art. 416 c.p.) e rinvia per nuovo giudizio al riguardo al Tribunale di Reggio Calabria;
rigetta nel resto i ricorsi.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2015