I messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un dispositivo elettronico conservano la natura di corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento "storico".
La acquisizione di screeenshot di sms, whatsapp e altra forma di corrispondenza agli atti del procedimento penale deve necessariamente avvenire sulla base di un provvedimento dell'autorità giudiziaria, ovvero, quanto al sequestro in questione, con decreto motivato del pubblico ministero.
Corte di Cassazione
Sez. VI, Sent., (data ud. 11/09/2024, deposito 28/10/2024) n. 39548
SENTENZA
sul ricorso proposto da: A.A. nato a R il (Omissis) avverso la sentenza emessa il 18 gennaio 2024 dalla Corte di appello di Roma visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Debora Tripiccione;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Elisabetta Ceniccola, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per la rivalutazione della utilizzabilità della messaggistica e, in ogni caso, ai fini dell'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., della determinazione della pena e della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Svolgimento del processo
1. A.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che, in parziale riforma della sentenza di condanna, emessa all'esito di giudizio abbreviato condizionato, per il reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 , ha concesso le circostanze attenuanti generiche e ridotto la pena inflitta ad anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 1.400 di multa.
Deduce quattro motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
1.1. Con il primo motivo deduce vizi di violazione di legge ( artt. 191, 234, 266 e 354 cpp) e della motivazione in relazione alla mancata declaratoria di inutilizzabilità degli "screenshot" del telefono cellulare dell' imputato relativi a conversazioni effettuate tramite WhatsApp, trattandosi di una provaacquisita contra legem e in violazione della segretezza della corrispondenza. Assume il ricorrente che, non essendo stato disposto il sequestro del dispositivo-contenitore e in assenza di una rituale estrazione del suo contenuto tramite copia forense, la riproduzione fotografica dei messaggi non consente di avere la certezza dell' identità del mittente, del destinatario e del contenuto stesso del messaggio.
1.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di violazione di legge e della motivazione in ordine al giudizio di colpevolezza, in quanto fondato su indizi privi di precisione e su una motivazione illogica e contraddittoria. Si sostiene che non vi è prova della riferibilità al ricorrente della sostanza stupefacente rinvenuta sul cornicione, trattandosi di un luogo posto sulla pubblica via e non di pertinenza esclusiva dell'imputato. La motivazione della sentenza impugnata è, inoltre, contraddittoria, nella parte in cui riferisce la disponibilità della sostanza al ricorrente, ma dà atto che la zona ove si sono svolti i fatti era una piazza di spaccio, ed è manifestamente illogica, là dove reputa irrilevante l'esito negativo della perquisizione personale del ricorrente. La Corte ha, inoltre, errato nel ritenere provato il passaggio del denaro nonostante la distanza a cui si trovavano gli operanti e le dichiarazioni del teste B.B., alla cui audizione è stata subordinata la richiesta di giudizio abbreviato, che ha ammesso di essere lui la persona che si trovava con il ricorrente, negando di avergli consegnato del denaro. Tale testimonianza è stata inopinatamente reputata non rilevante dalla Corte territoriale sulla base della sola circostanza risultante dal verbale di arresto, in cui si descrive la persona che avrebbe acquistato la sostanza stupefacente dal ricorrente come un "ragazzo", mentre il teste è un ultracinquantenne. La sentenza impugnata ha, infine, omesso di considerare che nel corso della perquisizione domiciliare non sono stati rinvenuti né sostanza stupefacente né quaderni o appunti riconducibili ad un'attività di spaccio.
1.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di violazione di legge e della motivazione in relazione alla mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., stante la tenuità del fatto, in ragione dell'esiguo quantitativo della sostanza stupefacente ritenuta nella disponibilità dell' imputato, e la occasionalità della condotta, essendo l'imputato incensurato.
1.4. Con il quarto motivo si deducono vizi di violazione di legge e della motivazione in relazione al mancato contenimento della pena nel minimo edittale, alla erronea riduzione della pena per le circostanze attenuanti generiche e alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Sostiene il ricorrente che la motivazione sulla pena è illogica nella parte in cui, pur concedendo le circostanze attenuanti generiche in ragione della giovane età, dell' incensuratezza e del comportamento dell' imputato che ha condotto gli operanti presso l'abitazione ove furono rinvenuti bilancino e materiale per il confezionamento, non considera tali elementi anche per la quantificazione della misura della riduzione della pena nella massima estensione. Nel corpo del motivo si afferma, inoltre, che la Corte territoriale ha apoditticamente negato il beneficio della sospensione condizionale della pena nonostante l' incensuratezza dell' imputato, valorizzando esclusivamente la sua mancanza di resipiscenza.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
1.1. Come rilevato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, la Corte territoriale ha illegittimamente rigettato l'eccezione di inutilizzabilità, muovendo dall'erroneo presupposto che i messaggi inviati o ricevuti tramite WhatsApp hanno natura di documenti e possono, pertanto, essere acquisiti attraverso una mera riproduzione fotografica. Tale impostazione ermeneutica, seppure coerente con un indirizzo della giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo, Sez. 6, n. 22417 del 16/03/2022, Sgromo, Rv. 283319), è stata definitivamente superata da questa Corte a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 in cui il Giudice delle Leggi, pur pronunciandosi nell'ambito di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ha chiarito che "lo scambio di messaggi elettronici - e-mail, SMS, WhatsApp e simili - rappresenta, di per sé, una forma di corrispondenza", e ciò anche nel caso in cui si tratti di messaggi già ricevuti e letti dal destinatario, con l'unica eccezione che, in ragione del tempo trascorso, il messaggio non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all' interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento "storico".
Tale attualizzazione della nozione di corrispondenza rispetto ai nuovi mezzi di comunicazione ha comportato l'estensione anche ai messaggi elettronici della sfera di tutela prevista dall'art. 15 Cost., che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza "della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge".
Facendo tesoro delle chiare indicazioni della Corte costituzionale, questa Corte ha abbandonato l'orientamento sopra citato, condiviso dalla sentenza impugnata, ed ha affermato che i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un dispositivo elettronico costituiscono corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all' interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento "storico", sicché, fino a quel momento, la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall'art. 254 cod. proc. pen. per il sequestro della corrispondenza (Sez. 2, n. 25549 del 15/05/2024, Tundo, Rv. 286467).
Ne consegue, pertanto, che la sua acquisizione agli atti del procedimento penale deve necessariamente avvenire sulla base di un provvedimento dell'autorità giudiziaria, ovvero, quanto al sequestro in questione, con decreto motivato del pubblico ministero. Tale conclusione è stata condivisa anche dalle Sezioni Unite, che, risolvendo un contrasto in tema di ordine Europeo di indagine non rilevante nel caso in esame, oltre ad abbracciare le indicazioni della Corte costituzionale sulla nozione di corrispondenza, hanno chiarito che la tutela prevista dall'art. 15 Cost. non richiede che per la limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza e, dunque, per la sua acquisizione ad un procedimento penale, sia necessario un provvedimento del giudice (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi, in motivazione, par. 14.2; Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, in motivazione, par. 11.2). Ciò in quanto, come emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. Corte di Giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, C-584/19), il sintagma "autorità giudiziaria" indica una categoria in cui sono compresi sia il giudice che il pubblico ministero.
Tale conclusione, proseguono ancora le Sezioni Unite, trova conferma nel codice di rito e, in particolare, nell'art. 254 cod. proc. pen. in cui si prevede che il sequestro di corrispondenza è disposto dalla "autorità giudiziaria" senza alcun riferimento alla necessità dell' intervento del giudice, richiesto, invece, ai fini del sequestro negli uffici dei difensori dall'art. 103, comma 4, cod. proc. pen.
Ad ulteriore conferma delle conclusioni qui sostenute, va, inoltre, aggiunto che la Corte di giustizia, pronunciandosi in un caso analogo a quello in esame, con sentenza depositata nelle more della stesura della presente motivazione (si tratta della sentenza emessa nella causa C-548/21, Bezirkshauptmannschaft Landeck), ha affermato che l'accesso ai dati personali conservati in un telefono cellulare può costituire un' ingerenza grave, o addirittura particolarmente grave, nei diritti fondamentali dell' interessato, e, pertanto, deve essere subordinato - salvo in casi di urgenza debitamente comprovati - a una previa autorizzazione da parte di un giudice o di un'autorità indipendente, volto a garantire un giusto equilibrio tra i legittimi interessi connessi alle esigenze dell' indagine nell'ambito della lotta alla criminalità e i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali.
1.2. Applicando tali coordinate ermeneutiche nel caso in esame, merita, dunque, accoglimento l'eccezione di inutilizzabilità dedotta dal ricorrente con il motivo in esame e ciò in considerazione dell'assorbente rilievo che, stante la natura di corrispondenza dei messaggi rinvenuti nell'applicazione WhatsApp, la loro acquisizione al presente procedimento è avvenuta in violazione degli artt. 15 Cost. e 254 cod. proc. pen., essendosi la polizia giudiziaria limitata ad effettuare, di propria iniziativa e in assenza di ragioni di urgenza, delle "fotografie" dei messaggi senza, tuttavia, alcun provvedimento del Pubblico ministero che ne disponesse il sequestro, autorizzando l'esecuzione di una copia forense del contenuto memorizzato nel telefono cellulare del ricorrente con tutte le dovute garanzie anche in termini di integrità delle comunicazioni acquisite.
Va, peraltro, chiarito che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza di primo grado, si tratta di una inutilizzabilità patologica della prova, conseguente alla lesione del diritto alla segretezza delle comunicazioni costituzionalmente tutelato; ne consegue che, in tal caso, non opera la sanatoria prevista dall'art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. in conseguenza della scelta del rito abbreviato (cfr., con riferimento alla acquisizione dei tabulati acquisiti in assenza del decreto di autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, in violazione dell'art. 132, comma 3, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Sez. 6, n. 15836 del 11/01/2023, Berera, Rv. 284590).
1.3. Quanto alle conseguenze di quanto sopra esposto, anticipando quello che si dirà di seguito nell'esame degli altri motivi di ricorso, l'accoglimento dell'eccezione di inutilizzabilità ha una limitata ricaduta esclusivamente sul punto della decisione relativa al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, mentre non ha alcuna incidenza sulla tenuta della motivazione relativa agli altri punti oggetto di ricorso, rispetto ai quali la Corte territoriale è pervenuta alla conferma delle conclusioni cui era pervenuto il primo Giudice sulla base di elementi differenti da quelli emergenti dai messaggi illegittimamente acquisiti.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha confermato il giudizio di responsabilità dell' imputato sulla base delle risultanze dei verbali di arresto, di perquisizione e sequestro, dai quali emerge che: l' imputato è stato visto cedere per 20 Euro ad un "ragazzo" una dose di sostanza, prelevata dal cornicione di un immobile attraverso l' impiego di una scopa; proprio su tale cornicione gli operanti hanno rinvenuto 34,8 gr. di hashish (pari a 433 dosi) e 11 gr. di cocaina, suddivisa in 45 involucri; presso l'abitazione del ricorrente sono stati, inoltre, rivenuti strumenti di pesatura e di confezionamento della sostanza. In particolare, la Corte territoriale, sulla base di una motivazione non manifestamente illogica, ha escluso che la sostanza rinvenuta sul cornicione potesse ritenersi nella disponibilità di terzi, valorizzando le modalità di occultamento, la circostanza, risultante dal verbale di arresto, della presenza sul posto esclusivamente del ricorrente e il riscontro emerso dalla perquisizione domiciliare. L'ulteriore censura relativa all' identità della persona cui il ricorrente ha ceduto la sostanza non evidenzia alcun vizio di legittimità della motivazione, ma si limita ad esprimere un dissenso rispetto alle argomentazioni della Corte territoriale che, senza incorrere in alcun vizio logico, ha escluso che tale persona potesse essere il teste escusso nel corso del giudizio abbreviato e ciò in ragione della discordanza tra l'età anagrafica di tale persona e la descrizione dell'acquirente contenuta nel verbale di arresto in cui si faceva riferimento ad un "ragazzo".
3. Anche il terzo motivo è infondato. La sentenza impugnata, infatti, con motivazione non manifestamente illogica, ha escluso la tenuità del fatto, ponendo l'accento sulle modalità professionali della condotta criminosa, sulle circostanze direttamente constatate dagli operanti nonché sulla qualità e quantità di sostanza stupefacente sequestrata. Come anticipato, anche tale valutazione risulta fondata sugli elementi fattuali emergenti dai verbali di arresto e di sequestro e non sul contenuto dei messaggi illegittimamente acquisiti dagli operanti, cosicché anche tale punto della decisione rimane indenne dalle conseguenze dell'accoglimento del primo motivo di ricorso
4. Il quarto motivo è parzialmente fondato. Innanzitutto, è infondata la censura relativa alla omessa riduzione della pena nella massima estensione in conseguenza della concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale, infatti, anche in tal caso senza alcuna considerazione dei messaggi acquisiti, con motivazione non manifestamente illogica, ha posto a fondamento della minore misura della riduzione di pena il bilanciamento tra gli elementi favorevoli all' imputato già valutati ai fini della concessione delle attenuanti generiche (giovane età e l'aver indicato agli operanti il luogo ove sono stati rinvenuti il bilancino e il materiale per il confezionamento), l'assenza di qualunque forma di resipiscenza e la gravità del fatto (valutata ai fini della quantificazione della pena base).
4.1. Come già anticipato, va, invece, accolta la doglianza relativa al diniego della sospensione condizionale della pena in quanto la Corte territoriale ha posto a fondamento della prognosi negativa anche il contenuto dei messaggi illegittimamente acquisiti dalla polizia giudiziaria. Si rende, pertanto, necessario un annullamento della sentenza limitatamente a tale punto, per un nuovo giudizio che tenga conto della inutilizzabilità patologica di tali messaggi.
5. Alla luce di quanto sopra esposto, va, dunque, disposto l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al punto relativo al diniego della sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio su detto punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Il ricorso va, invece, rigettato nel resto.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Rigetta nel resto il ricorso.
Conclusione Così deciso l'11 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2024