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Mentire su madre malata è reato (Cass. 42719/19)

1 dicembre 2010, Cassazione penale

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La "menzogna" è un fatto attraverso il quale si crea una suggestione che tende ad insinuare nella mente della parte offesa un erroneo convincimento su una situazione che non ha riscontro nella realtà: tenuto conto della menzogna espressa con carattere "aggressivo", cioè teso ad indurre in errore la parte offesa (sostenendo falsamente che la madre dell'imputata fosse madre malata) al fine di procurarsi un profitto, si può affermare che l'atto compiuto integra proprio quell'avvolgimento psichico che è dell'elemento costitutivo del delitto in esame.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Sentenza 

(data ud. 02/09/2010) 01/12/2010, n. 42719

 

sul ricorso proposto da:

1) D.C.M.Y., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1221/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del 30/10/2009;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/09/2010 la relazione fetta dal Dr. UGO DE CRESCIENZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

D.C.M.Y., tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza 30.10.2009 con la quale la Corte di Appello di Genova, confermando la decisione 10.12.2008 del Tribunale della medesima città, l'ha ritenuta responsabile del "delitto di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 640 c.p., art. 61 c.p., n. 11, perchè con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con artifici e raggiri consistiti nell'avere falsamente rappresentato alla parte offesa di avere impellente necessità di denaro per curare la propria madre gravemente ammalata, induceva in errore C. V., facendosi anticipare due mensilità dello stipendio di badante, facendosi consegnare altro denaro, asseritamente occorrente per il viaggio in (OMISSIS), per un ammontare di Euro 3.650,00 in contanti, procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la persona offesa, abusando del rapporto di prestazione d'opera (fatto commesso in (OMISSIS)".

Conseguentemente la Corte territoriale ha condannato l'imputata alla pena di mesi quattro di reclusione, Euro 100,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, accordando una provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di Euro 3.950,00.

La difesa dell'imputata richiede l'annullamento della sentenza impugnata deducendo: (1) vizio di motivazione ed erronea applicazione dell'art. 640 c.p. (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), perchè la condotta, così come descritta nel capo di imputazione non presenterebbe i requisiti necessari per la configurazione del reato, trattandosi di dichiarazione menzognera grossolana e tale da non essere idonea ad indurre in errore la persona offesa; (2) vizio di motivazione ed erronea applicazione degli artt. 43 e 640 c.p., perchè la Corte territoriale non avrebbe fornito alcuna motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato; (3) vizio di motivazione per carenza e manifesta illogicità nella valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni rese dal C. V. (parte civile) e della di lui madre; (4) Vizio di motivazione (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), perchè la decisione impugnata sarebbe connotata da motivazione carente o contraddittoria sul punto relativo all'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11. In particolare la difesa rileva come sia stato accertato che l'imputata non fosse dipendente della parte offesa, avendo lavorato esclusivamente per la zia di questa; rileva inoltre la difesa, che la prestazione lavorativa, nel concreto si sarebbe svolta solo per cinque giorni, con la conseguenza che nessun apprezzabile affidamento poteva essere sorto fra le parti; (5) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 539 c.p.p., in relazione all'illegittima assegnazione alla parte civile di una provvisionale immediatamente esecutiva perchè la somma indicata nella decisione sarebbe superiore nell'importo a quella indicata nel capo di imputazione ed inoltre vi sarebbe carenza probatoria sia nella determinazione del danno, sia nell'effettiva consegna della somma indicata nello stesso capo di imputazione.

Le doglianze dedotte nella presente sede ripropongono sostanzialmente le questioni già formulate con l'atto di appello.

Il primo motivo di gravame appare manifestamente infondato alla luce della giurisprudenza di legittimità. L'esposizione della vicenda, riportata tanto nella sentenza di primo grado quanto in quella di appello, rende evidente la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di truffa, che sono rappresentati essenzialmente da un comportamento menzognero dell'imputata, la quale si è fatta consegnare somme di denaro dal C., affermando di averne bisogno per curare la madre gravemente malata (circostanza quest'ultima non veritiera). Sostiene la difesa che la semplice menzogna, di per sè, non può essere considerata elemento fattuale sufficiente a rivestire i caratteri degli artifici e dei raggiri propri del delitto di truffa.

La tesi è manifestamente infondata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (v. in tal senso: Cass Sez. 3, n. 3046 del 10/11/1965 Rv. 100665; Cass. Sez. 2 n. 2061 del 19/10/1971 Rv.

120649; Cass. sez. 5 n. 8558 del 21/05/1979 Rv. 143164; Cass. Sez. 6, n. 8787 del 19/06/1981 Rv. 150458; Cass. Sez. 2, n. 9426 del 05/02/1982 Rv. 155641; Cass. Sez. 2, n. 10206 del 14/5/1982 Rv 155882) per la quale la sola menzogna è di per sè sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa costituendo una tipica forma di raggiro. Infatti, la "menzogna" è un fatto attraverso il quale si crea una suggestione che tende ad insinuare nella mente della parte offesa un erroneo convincimento su una situazione che non ha riscontro nella realtà. Tenuto conto che nel caso di specie l'imputata ha espresso una menzogna con carattere "aggressivo", cioè teso ad indurre in errore la parte offesa al fine di procurarsi un profitto, si può affermare che l'atto compiuto integra proprio quell'avvolgimento psichico che è dell'elemento costitutivo del delitto in esame.

A ciò deve aggiungersi che è manifestamente infondata la tesi per la quale, stante la grossolanità della menzogna, questa non avrebbe avuto le caratteristiche per rivestire il carattere di "raggiro".

Infatti non è necessario stabilire se il mezzo adoperato dall'imputata fosse astrattamente idoneo a trarre in "errore", posto che tale idoneità si è realizzata nel concreto, avendo il C. consegnato le somme di denaro all'imputata proprio a cagione della penosa storia (in veritiera) sulle condizioni di salute precarie della madre dell'imputata stessa.

L'esposizione della vicenda nei suoi elementi essenziali, contenuta nel corpo della motivazione della sentenza impugnata, integra una componente della motivazione che appare adeguata, perchè consente di verificare su quali elementi di fatto il giudice abbia fondato il proprio convincimento circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di reato contestata.

Il Secondo punto del gravame è manifestamente infondato. Trattasi di doglianza a contenuto del tutto generico. L'esposizione della vicenda fatta dal giudice di primo grado e da quello dell'appello appare di per sè idonea e sufficiente a dare conto del dolo generico del delitto di truffa che ha connotato l'azione compiuta dall'imputata la quale, mentendo al C. con il fine di impietosirlo per farsi dare del denaro, ha manifestato la volontà della condotta (propalare la menzogna) e la previsione dell'evento (indurre in errore il C. per farsi consegnare la somma di denaro). Entrambi gli aspetti sono stati posti in evidenza nel corpo della decisione con la conseguenza che alcun vizio della motivazione è ravvisabile.

Il terzo motivo di gravame è manifestamente infondato. Con motivazione adeguata la Corte territoriale ha reso conto delle ragioni per le quali ha ritenuto credibile il C.. In particolare la Corte territoriale ha valutato la deposizione testimoniale sotto il profilo intrinseco ravvisandone i caratteri della precisione, della circostanzialità e della coerenza. La Corte territoriale inoltre ha rilevato come la deposizione del C. trovi riscontro con quanto oggetto di deposizione da parte della signora V..

La motivazione appare adeguata, non emergono aspetti di contraddittorietà o di carenza, nè di manifesta illogicità. La valutazione del merito del contenuto della deposizione, sfugge ovviamente al sindacato in sede di legittimità.

Il quarto motivo ripropone la questione della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11, in ordine alla quale il giudice dell'Appello ha dato una risposta adeguata rilevando come, nell'atteggiarsi della vicenda l'imputata svolgesse le funzioni di badante della zia del C., essendo quest'ultimo il datore di lavoro della stessa. Nella specie si tratta di circostanze di fatto (come tali non sindacabili nella presente sede) integranti la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11, in ordine alla quale vi è da osservare ancora quanto segue. Per la sussistenza dell'aggravante dell'abuso di relazione di prestazione d'opera, non è necessario che il rapporto intercorra direttamente tra l'autore del fatto e la persona offesa; infatti, è sufficiente che l'agente si avvalga comunque di tale relazione, nel senso che l'esistenza del rapporto di prestazione d'opera abbia costituito l'occasione per commettere il reato in danno di altri soggetti, agevolandone l'esecuzione (in tal senso v. Cass. pen., sez. 2, 20.4.2006, Padoan;

Cass. pen., sez. 2, 23.9.2005 Biagini). Nel caso in esame, appare quindi del tutto superfluo lo sforzo della difesa volto a far apparire quale datore di lavoro, la prossima congiunta del C. e non quest'ultimo, perchè è pacifico in atti, che la stessa imputata ha comunque sfruttato lo stato di relazione creatosi fra le persone partecipi a vario titolo del rapporto di lavoro, per carpire la fiducia del C. e farsi consegnare il denaro da quest'ultimo.

Il quinto motivo di ricorso (carenza di motivazione in ordine alla determinazione della provvisionale) è manifestamente infondato per plurimi aspetti. In primo luogo va qui ribadito che "In tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l'obbligo di espressa motivazione quando l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile". (Cass. pen., sez. 6, 11.11.2009, n. 49877 in Ced Cass. Rv. 245701). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha confermato la condanna dell'imputata al pagamento della provvisionale determinata nello importo di Euro 3.950,00.

Tale somma, per importo pari a Euro 3.650,00 coincide con la somma consegnata dalla parte offesa alla imputata ed indicata nel capo di imputazione. La ulteriore somma pari ad Euro 300,00 appare essere parte di quel "danno prevedibile" ritenuto dal giudice del merito secondo una valutazione che appare adeguata tenuto conto che nella suddetta somma possono essere ritenuti prudentemente ricompresi sia gli interessi maturati (il fatto ascritto risale all'anno (OMISSIS), la sentenza di primo grado è del 10.12.2008 e quella di appello è del 30.10.2009) sia la componente del danno morale. Il motivo in esame, inoltre appare manifestamente infondato là ove sostiene che mancano le prove documentali relative alle consegne delle somme di denaro.

Nel caso in esame, tenuto conto dell'importo delle somme corrisposte e delle modalità di svolgimento del rapporto, appare evidente che non era necessaria la precostituzione di alcuna prova documentale, essendo sufficiente, attraverso le deposizioni testimoniali raccolte la prova dell'avvenuta consegna delle somme di denaro.

Per tutte le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende ex art. 616 c.p.p., attesa la pretestuosità delle ragioni del gravame.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 2 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2010