Marijuana nella valigia nell'armadio del coinquilino: in assenza di prova della diretta disponibilità della sostanza stupefacente, l’aver dato la disponibilità dell’alloggio e l’uso comune dell’armadio non possono concretizzare il concorso di persone nel reato.
Affincè ci sia concorso nel reato, il contributo deve estrinsecarsi, in maniera concreta, consapevole e volontria nell’occultamento, custodia e controllo della sostanza stupefacente; una condotta quindi finalizzata ad evitare che la stessa sia rinvenuta e sia prodromica a protrarre la illegittima detenzione, non essendo per altro neanche sufficiente la consapevolezza della perpetrazione del reato a parte di altri.
In caso di mera presenza sul luogo del reato, l’agente è punibile a titolo di concorso di persone solo qualora abbia partecipato o comunque facilitato la realizzazione del reato, anche mediante un consapevole rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore; quando la presenza, purché non meramente casuale, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto ed allorché l’agente abbia la coscienza e la volontà dell’evento cagionato da altro o altri coimputati, sia servita a fornire stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza, rafforzando l’altrui proposito criminoso.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 16 – 24 gennaio 2019, n. 3588
Presidente Andreazza – Relatore Semeraro
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza del 10 maggio 2018, ha confermato la condanna inflitta il 22 giugno 2017 a A.S.S. , all’esito del giudizio abbreviato, dal Tribunale di Prato per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, commi 3, 4 e 6 alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione ed Euro 4.000 di multa per la detenzione di kg. 2,593 di hashish e 4 gr. di marijuana, commessa in concorso con B.A.H. e Ay.Be.Ja. . I fatti sono stati accertati il (omissis) .
2. Il difensore di A.S.S. ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 10 maggio 2018.
2.1. Dopo aver ricostruito il fatto e l’iter del procedimento, con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) per il mancato rispetto del principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio.
Gli indizi a carico dell’imputato non sarebbero gravi, precisi e concordanti, sicché non sarebbe superata la soglia del ragionevole dubbio.
La condanna sarebbe intervenuta perché l’imputato era il sub conduttore della stanza, occupata insieme ai coimputati, nel cui unico armadio è stato ritrovato il trolley contenente la sostanza stupefacente.
Il concorso di persone nel reato sarebbe stato ritenuto esistente solo perché il quantitativo rilevante, detenuto in uno spazio ristretto, comportava logicamente ed organizzativamente il concorso di persone.
La Corte di appello avrebbe dovuto indicare perché la condivisione dello spazio comune significava anche condivisione della detenzione, non essendo indicato di chi fosse il trolley.
La Corte di appello sarebbe poi incorsa nel travisamento della prova per omissione; avrebbe omesso di valutare che:
- il trolley poteva appartenere anche a Ay.Be.Ja. il quale, prima dell’imputato, aveva occupato la stanza due settimane prima del controllo della polizia giudiziaria, ed aveva confessato di aver svolto l’attività di cessione dello stupefacente, di cui la detenzione è condotta prodromica;
- nessuno dei coimputati aveva rivendicato la paternità della sostanza stupefacente;
- B.A.H. aveva dichiarato che la sostanza stupefacente rinvenuta fosse di Ay.Be.Ai. .
Inoltre, la Corte di appello avrebbe dato valore probatorio alla dichiarazione di D.P.D. sulla frequentazione dell’appartamento anche da parte di alcuni ospiti, già prima dell’arrivo dell’Ay. , poi intensificatesi, che invece non avrebbe i caratteri ex art. 192 c.p.p..
Il ragionamento sarebbe fondato su una mera supposizione, posto che nessun cliente è stato identificato e non sono stati svolti servizi di osservazione, tali da provare che il ricorrente sia un concorrente nel reato o un semplice connivente, posto che gli elementi di prova ove non univoci devono essere valutati in senso favorevole all’imputato.
La motivazione sarebbe poi logicamente viziata laddove ha ritenuto priva di valore probatorio l’assenza di strumenti per il peso ed il confezionamento della sostanza stupefacente, in quanto dal quantitativo rinvenuto non si può dedurre la conoscenza del contenuto e la volontà di partecipare alla condotta di detenzione.
L’unica prova sarebbe costituita dalla disponibilità della stanza insieme agli altri coimputati.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; il rigetto si sarebbe fondato sull’assenza di un apporto collaborativo del ricorrente e non hanno avuto rilievo l’età o la situazione familiare del ricorrente, a fronte della recidiva infraquinquennale.
La Corte di appello non avrebbe valutato il contributo di A.S.S. che avrebbe dichiarato che B.A.H. e Ay.Be.am. avrebbero ospitato delle persone nella stanza per fumare e fornito così un contributo al quadro indiziario; anche il contegno processuale e la giovane età avrebbero potuto essere valutate per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Dopo i richiami giurisprudenziali sull’obbligo di motivazione, si afferma che la motivazione della sentenza non avrebbe indicato le ragioni del rigetto della richiesta di mitigazione della pena.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio della motivazione sulla dichiarazione di responsabilità del ricorrente, è fondato, con conseguente assorbimento del secondo motivo.
Al ricorrente è contestata una condotta di codetenzione della sostanza stupefacente rinvenuta in un trolley posto nell’armadio della stanza; armadio in uso alle tre persone che occupavano la stanza.
1.1. La motivazione della sentenza impugnata presenta infatti aspetti di contraddittorietà interna laddove da un lato valorizza la presenza di italiani nella stanza, il via vai descritto nella sentenza, la circostanza che avrebbero fumato evidentemente sostanza stupefacente si dice - nella stanza, e dall’altro afferma apoditticamente che nella stessa stanza sarebbero avvenute cessioni, verosimilmente, di quantitativi importanti di sostanza stupefacente: tale affermazione, che può giustificare l’assenza di strumenti per il confezionamento delle dosi, è però in aperta contraddizione con le "fumate", che semmai implicano un uso immediato della sostanza stupefacente ceduta, in quantitativi però minimi.
1.2. Inoltre, la conclusione che i contatti con gli italiani, descritti dal teste D.P. , abbiano avuto ad oggetto la cessione della sostanza stupefacente, in concorso tra i tre occupanti la stanza, anche prima dell’arrivo dell’Ay. , è frutto di una motivazione apodittica, posto che l’unico ad aver ammesso di cedere le sostanze stupefacenti è Ay.Be.Ja. ed in assenza di altri elementi di prova che non siano i contatti. La Corte di appello non ha indicato neppure, al di là della presenza nella stanza e nella sua disponibilità, quale reale contributo avrebbe posto in essere il ricorrente alla ritenuta attività di cessione: attività di cessione su cui poi si fonda l’attribuzione della detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta nel trolley.
1.3. Soprattutto, la motivazione della sentenza impugnata, come rilevato dalla difesa, non ha dato alcun valore probatorio, neanche per negarlo, alle dichiarazioni del ricorrente e di B.A.H. quanto al fatto che il trolley fosse nella disponibilità di Ay.Be.Ja. il quale per altro è l’unico ad aver ammesso di spacciare, secondo quanto si riporta anche nella sentenza impugnata.
Tale travisamento della prova per omissione scardina la logica della motivazione della sentenza, che invece si fonda su una sorta di codetenzione correlata allo spazio in cui il fatto è avvenuto ed alla disponibilità dell’armadio.
2. Il corretto percorso logico da seguire è quello di individuare l’autore della condotta tipica in base agli elementi di prova esistenti (di chi è il trolley portato nella stanza) per poi individuare, trattandosi di una condotta in concorso di persone nel reato, in maniera concreta l’attività del concorrente - il ricorrente: tale attività può estrinsecarsi o nella commissione della condotta tipica, o di parte di essa, o di ogni altra azione o omissione che concretizzi un qualsiasi contributo, materiale o psicologico, alla fase dell’ideazione, organizzazione ed esecuzione dell’azione criminosa collegata dal nesso causale.
In assenza di prova della diretta disponibilità della sostanza stupefacente al ricorrente, l’aver dato la disponibilità dell’alloggio e l’uso comune dell’armadio non possono concretizzare il concorso di persone nel reato; il contributo deve estrinsecarsi, in maniera concreta, consapevole e volontaria, nell’occultamento, custodia e controllo della sostanza stupefacente; una condotta quindi finalizzata ad evitare che la stessa sia rinvenuta e sia prodromica a protrarre la illegittima detenzione, non essendo per altro neanche sufficiente la consapevolezza della perpetrazione del reato a parte di altri.
In caso di mera presenza sul luogo del reato, l’agente è punibile a titolo di concorso di persone solo qualora abbia partecipato o comunque facilitato la realizzazione del reato, anche mediante un consapevole rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore; quando la presenza, purché non meramente casuale, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto ed allorché l’agente abbia la coscienza e la volontà dell’evento cagionato da altro o altri coimputati, sia servita a fornire stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza, rafforzando l’altrui proposito criminoso.
La sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.