In tema di circolazione stradale, il reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente implica una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella del reato di fuga, non essendo sufficiente la consapevolezza che dall’incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo invece che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell’integrità fisica.
La regola di giudizio che richiede l’accertamento della sussistenza del reato "al là di ogni ragionevole dubbio" implica che, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria e sia motivatamente esclusa la plausibilità della tesi difensiva.
Corte di Cassazione
sez. IV Penale, sentenza 5 giugno – 5 settembre 2019, n. 37145
Presidente Di Salvo – Relatore Ranald
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 28.11.2018 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato C.D. responsabile dei reati di cui all’art. 189 C.d.S., commi 1, 6 e 7, per essersi allontanato senza prestare assistenza alla persona ferita, dopo avere investito con la propria autovettura A.B. che si trovava disteso per terra (fatto del 20.9.2014).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando quanto segue.
I) Inammissibilità dell’appello incidentale promosso dal Procuratore generale per intervenuta modifica dell’art. 595 c.p.p. a seguito del D.Lgs. n. 11 del 2018.
II) Omessa motivazione sulla richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p..
III) Vizio di motivazione in punto di responsabilità, atteso che i giudici di appello hanno rigettato la ricostruzione difensiva, basata sulla mancata percezione da parte dell’imputato di essere passato, alla guida del proprio veicolo, sopra la persona distesa a terra. Le c.d. "spolverature" riscontrate sotto il veicolo, dimostrano che non vi fu nessun arrotamento ma tutt’al più un passaggio del corpo tra le ruote del veicolo, altrimenti l’arrotamento avrebbe provocato la morte dell’uomo. La sentenza è contraddittoria perché individua quale elemento oggettivo del passaggio sul corpo le "spolverature" sul fondo del veicolo ed è illogica laddove afferma che ciò dimostrerebbe l’elemento soggettivo del reato.
Considerato in diritto
1. È fondato ed assorbente il terzo motivo in punto di responsabilità, con particolare riguarda alla carenza ed illogicità della motivazione sull’elemento soggettivo (dolo) dei reati ascritti all’imputato.
2. È noto che in tema di circolazione stradale, il reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente, di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7, implica una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella del reato di fuga, previsto dal comma 6 del predetto art. 189, non essendo sufficiente la consapevolezza che dall’incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo invece che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell’integrità fisica (Sez. 4, n. 23177 del 15/03/2016, Trinche, Rv. 26696901).
Con particolare riferimento al reato di fuga previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6, l’accertamento del dolo, necessario anche se esso sia di tipo eventuale, va compiuto in relazione alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall’agente al momento della condotta, laddove esse siano univocamente indicative del verificarsi di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (Sez. 4, n. 16982 del 12/03/2013, Borselli, Rv. 25542901).
3. La motivazione della sentenza impugnata non soddisfa tali requisiti in punto di accertamento del dolo, in quanto non ha esplicitato sulla base di quale massima di esperienza si fonda l’asserzione secondo cui sarebbe inverosimile che l’autista non abbia percepito l’urto con la persona investita, avuto riguardo alle peculiari circostanze che hanno caratterizzato l’incidente in questione.
4. Risulta, infatti, accertato nelle sentenze di merito che, intorno alla mezzanotte del 20.9.2014, la vittima (un ragazzo in quel momento ubriaco), dopo aver buttato delle bottiglie a terra, si era sdraiata volontariamente in mezzo alla strada. I testi O. e V. avevano, quindi, notato un SUV di colore scuro che, senza rallentare, era passato "sopra" il ragazzo, per poi proseguire, svoltando a sinistra all’incrocio, imboccando Corso Venezia. Identificato l’odierno imputato quale conducente del SUV che aveva investito il ragazzo (il quale aveva riportato fratture costali, delle ossa nasali ed altre ferite nella zona posteriore-sinistra del tronco), costui ha dichiarato nel processo di non essersi assolutamente accorto di avere investito qualcuno quella notte.
5. Appurata l’oggettività dell’investimento, della "fuga" e della omessa assistenza, la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza dei reati a carico del prevenuto, liquidando la tesi difensiva in ordine alla mancata percezione dell’urto da parte del conducente - decisiva ai fini della sussistenza del dolo -, ragionando in termini di "inverosimiglianza" di una simile ricostruzione, senza nulla aggiungere di specifico per corroborare tale valutazione, al di là dell’avvenuto passaggio del veicolo sul corpo della vittima; e senza neanche accennare - quanto alla consapevolezza del fatto da parte del conducente - alle peculiari modalità che hanno caratterizzato l’incidente, trattandosi del repentino investimento, di notte, di una persona sdraiata in mezzo alla strada, da parte di un SUV di grosse dimensioni.
6. Ebbene, in tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile (Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 26122001).
Nel caso in disamina, la Corte territoriale non ha contrastato l’ipotesi alternativa prospettata dalla difesa con una ricostruzione fondata su dati indiziari o massime d’esperienza idonee a corroborare la tesi che l’imputato avesse avuto sicura contezza dell’urto; e ciò nonostante che la tesi difensiva fosse supportata dalle anomale circostanze caratterizzanti l’investimento in questione (fra cui il tempo di notte e l’inusualità costituita da una persona distesa per terra sulla strada).
In proposito, va qui ribadito che la regola di giudizio che richiede l’accertamento della sussistenza del reato "al là di ogni ragionevole dubbio" implica che, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria e sia motivatamente esclusa la plausibilità della tesi difensiva (Sez. 6, n. 10093 del 05/12/2018 - dep. 2019, Esposito, Rv. 27529001).
7. Tale puntuale individuazione degli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria, in punto di dolo, non risulta adempiuta adeguatamente nel percorso logico-motivazionale della sentenza impugnata; si impone, pertanto, l’annullamento della decisione oggetto di ricorso, con rinvio, per nuovo giudizio, al giudice di merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.