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Maltrattmenti riqualificati in stalking, violata la correlazione fra accusa e sentenza se .. (Cass. 20012/24)

21 maggio 2024, Cassazione penale

Se è stato affermato che per esserci violazione del principio di correlazione la riqualificazione debba comportare immutazione del fatto storico imprevedibile per l'imputato, occorre però distinguere il profilo probatorio da quello relativo alla contestazione.

Quanto alla modifica del capo di imputazione da maltrattamenti in stalking, va rilevato che noin c'è correlazione quando manchi la descrizione dell'"evento" del secondo reato, che costituisce elemento descrittivo indeflettibile della fattispecie.

In ciò si realizza un difetto di contestazione, non sanato dalla modifica dell'Imputazione ai sensi dell'articolo 516 ss. cod. proc. pen., che si è tradotto nella violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

 

Corte di Cassazione

sez. III penale, ud. 8 marzo 2024 (dep. 21 maggio 2024), n. 20012

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 16/03/2023 la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Verona in data 15/04/2022, con cui V.C. veniva condannato alla pena anni 9 e mesi 6 di reclusione per i delitti di cui agli articoli 609-bis e 609-ter cod. pen. (capo a), 582-585-576 cod. pen. (capo b), 572, in parte riqualificato in 612-bis cod. pen. (capo c), in danno di B.A. sua ex compagna.

2. Avverso la sentenza propone ricorso l'imputato, tramite il proprio difensore.

2.1. Con il primo motivo lamenta motivazione illogica e apparente in riferimento alla censurata inidoneità degli elementi di prova assunti a fondare un giudizio di colpevolezza per il delitto di violenza sessuale.

La sentenza ritiene sufficiente la deposizione della persona offesa, in assenza di riscontri estrinseci, pur avendo la difesa prodotto prove che confutavano il suo narrato.

Contesta la valenza probatoria del certificato medico, che attesta solo lesione al labbro e non in zona vaginale.

L'attendibilità della persona offesa è poi minata dalla sua dimostrata "lascività".

Si lamenta poi il rinvio a messaggi e chat intercorsi la sera stessa del fatto, indicati nella prima sentenza, senza che essi siano indicati nella sentenza di appello o ne sia specificata la valenza.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in riferimento all'articolo 612-bis cod. pen..

Lamenta il ricorrente che, quand'anche le condotte poste in essere dall'imputato si fossero verificate effettivamente, esse andavano semmai qualificate come maltrattamento in famiglia e non come stalking. In relazione a tale delitto mancano, comunque, sia la abitualità della condotta che il mutamento delle abitudini di vita o il perdurante stato d'ansia.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: nell'editto accusatorio vengono indicati i soli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti, ai quali inopinatamente sono stati aggiunti dal Tribunale altri elementi, relativi al periodo successivo alla cessazione della convivenza, del diverso reato di stalking.

La conseguente nullità, anche se non dedotta in appello, può essere rilevata anche in cassazione, trattandosi di nullità assoluta.

Il ricorrente deduce anche che nell'atto di appello avesse sottolineato come, anche dopo la cessazione della convivenza, la B. continuava a frequentare a casa dell'imputato, del quale non era assolutamente impaurita.

2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 572 cod. pen..

Ritiene che la presenza di soli due episodi in venti anni non sia sufficiente a integrare l'abitualità della condotta.

2.5. con il quinto motivo, lamenta vizio di motivazione (motivazione apparente) in riferimento agli atti persecutori, sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato e della sussistenza degli eventi tipici del reato. Non specifica, poi, quali sarebbero stati gli episodi ripetuti di percosse.

2.6. Con il sesto motivo, lamenta mancanza o vizio di motivazione circa gli elementi di prova della violenza sessuale, effettuata solo per relationem.

2.7. Con il settimo motivo lamenta una «carenza di approccio critico e motivazionale» della sentenza impugnata, appiattita sulla sentenza di primo grado.

3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni, evidenzia come le doglianze di cui ai nn. 1, 2, 4, 5, 6 e 7, si risolvono - pur nella veste di denuncia di vizio motivazionale - nella sostanziale riproposizione dei motivi di appello relativi alla affermazione della responsabilità dell'imputato per la condotta di violenza sessuale, di lesioni e di maltrattamenti nei confronti della compagna convivente.

Al riguardo - ricordato come nel caso di "doppia conforme" la motivazione del giudice di appello si salda con quella del primo giudice, di modo che deve essere riguardata in maniera unitaria e come tale deve essere sottoposto al reclamato scrutinio di tenuta del discorso giustificativo - si osserva che entrambi i giudici territoriali hanno dato conto, con analiticità, delle ragioni per le quali le dichiarazioni della persona offesa sono del tutto affidabili, verificando la corrispondenza dei dettagli del narrato con i riscontri esterni.

Manifestamente infondata sarebbe infine la censura di cui al motivo n.3, una volta verificato che i fatti contestati in imputazione corrispondono al nucleo delle condotte che costituiscono il paradigma dell'art. 612-bis cod. pen. ed essendosi più volte affermato in giurisprudenza che, in tema di rapporti fra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, sia configurabile l'ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., e non il - peraltro più grave - reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dall'imputato dopo la cessazione della convivenza more uxorio con la persona offesa (da ultimo, Sez. 6, Sentenza n. 31390 del 30/03/2023, Rv. 285087 - 01).

4. La parte civile, nella memoria depositata, evidenzia come le doglianze difensive di fatto si sostanzino nella richiesta di un terzo grado di giudizio sui fatti di cui alla vicenda processuale.

Più nello specifico, come noto, il Giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive.

Evidenzia inoltre che, secondo la giurisprudenza della Corte, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione.

Evidenzia inoltre, quanto al delitto di violenza sessuale, che non corrisponde al vero che i primi giudici abbiano ritratto la prova di un rapporto sessuale dall'esistenza di un ematoma al labbro.

Il certificato medico è stato, al contrario, esaminato in uno con i riscontri, acquisiti durante l'istruttoria dibattimentale, al narrato della persona offesa, risultando quindi, sotto il profilo logico e giuridico, rafforzativo e confermativo dei fatti ascritti all'imputato. Il Giudice di prime cure trae infatti il proprio convincimento della violenza subita dalla B., dalle numerose circostanze emerse durante l'istruttoria dibattimentale (l'accesso al pronto soccorso poco dopo i fatti, la richiesta d'aiuto formulata nell'immediatezza a V.Cr. e lo stato di forte agitazione, narrato dalla V. stessa, nel quale si trovava la signora B., nonché il racconto della violenza subita a G.R. e V.G. che hanno confermato in dibattimento di aver raccolto la confidenza della signora B. e la denuncia sporta il giorno successivo) oltre che dalle risultanze del certificato medico, richiamato dal ricorrente.

In ogni caso, ad abundantiam, il richiamato certificato medico evidenzia anche lesioni agli organi genitali, quali escoriazioni e sanguinamento, conseguenti alla violenza subita.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.

Va premesso che la sentenza di appello, pur non effettuando un esplicito riferimento alla motivazione per relationem, espressamente rinvia - in numerose occasioni - all'iter motivazionale della prima sentenza, che conferma.

Come noto (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664 - 01, e unanime giurisprudenza successiva), la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'Interessato o almeno ostensibile.

Elementi tutti ricorrenti nel caso in esame.

Il Collegio, pertanto, ribadisce il principio della «reciproca integrazione» motivazionale delle sentenze di primo e secondo grado nelle parti in cui la decisione è conforme, senza affrontare in modo critico le motivazioni addotte dai giudici di prima cura, risultando di tal guisa inammissibile.

È infatti pacifico che, in presenza di una c.d. «doppia conforme», ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 - 01). Affinché tale effetto di crasi delle due sentenze si verifichi, occorre che i giudici del gravame concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, con il conseguente obbligo per il ricorrente - che coltivi il vizio di motivazione del provvedimento impugnato - di confrontarsi in maniera puntuale, a pena di inammissibilità, con i contenuti di entrambe sentenze, onere che, come si vedrà caso per caso, nel caso di specie è stato largamente disatteso.

Inoltre, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229-01), il giudice di appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841-01).

2. Ciò premesso, i motivi di ricorso afferenti il giudizio di responsabilità in ordine ai reati contestati nelle imputazioni, che possono essere trattati congiuntamente, sono tutti inammissibili per difetto di specificità.

Correttamente, la sentenza di appello richiama quella giurisprudenza - che il Collegio condivide e ribadisce - secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. 3, Sentenza n. 1559 del 19/11/2021, dep. 2022, Pavin, n.m.; Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214, che ha, altresì, precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).

Il Giudice, quindi, può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016, Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014).

Tale principio è stato ribadito anche di recente, avendo questa Corte affermato, in tema di testimonianza, che le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e che, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (Sez.5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv.275312- 01).

La Corte di appello (pag. 10) evidenzia poi come nel corso del primo grado di giudizio le dichiarazioni della persona offesa, relative alla violenza sessuale subita, siano state suffragate da una serie di riscontri oggettivi (tra cui evidenzia i messaggi e le chat vocali, incluso quello tra l'imputato e la figlia V.A.) e soggettivi che ne avallavano la attendibilità.

Quanto ai delitti di maltrattamenti e stalking, evidenzia la sentenza impugnata a pagina 12 che - tralasciando la visione atomistica proposta dalla difesa, una valutazione unitaria delle condotte, reiterate per anni, consente di affermare senza ombra di dubbio la sussistenza dei reati contestati.

La motivazione della seconda sentenza deve essere valutata congiuntamente con quella di primo grado, che la integra e completa.

E così:

- il contenuto del messaggio mandato la sera dello schiaffo alla figlia è riportato a pagina 4 della sentenza del Tribunale di Verona;

- l'utilizzo sistematico, durato anni, di pedinamenti, messaggi minatori anonimi e altre forme di controllo ossessivo, è riportato alle pagine 5 e 6, così come la riconducibilità del periodo di malattia di cui ha usufruito la p.o. al fatto che l'imputato depositava messaggi minatori presso la (OMISSIS) dove lei era impiegata;

- la sussistenza di riscontri estrinseci al narrato della persona offesa, costituiti dalle dichiarazioni del M.llo Gi.El., di V.G. (figlia dell'imputato e di G.R.) G.R. (ex compagna dell'imputato), V.Cr. (sorella dell'imputato), V.A. (figlia dell'imputato), C.I.V. (collega della p.o.), O.M. (collega), P.A. (autista di camion che la aiutò in una occasione), dai tabulati telefonici, dalla chat anzidetta, dal messaggio audio mandato dall'imputato al C. la sera del 23 gennaio 2020, circostanze tutte da cui il Tribunale scaligero induce la attendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa B. sono riportate a pag. 6-10, mentre il vaglio finale di attendibilità è a pag 14-15.

Del pari, in modo certosino vengono interpolate le varie fonti di prova che dimostrerebbero la sussistenza del reato di violenza sessuale contestato all'Imputato, motivazione la cui valenza persuasiva non viene scalfita dai motivi di ricorso, che si limitano ad una generica contestazione dell'attendibilità della persona offesa.

Quanto al reato di maltrattamenti, premessa la indiscussa qualificazione giuridica del reato in oggetto come reato abituale, in relazione al quale, pertanto, è necessaria, affinché le singole condotte che ne compendiano la materialità assurgano al grado di rilevanza penale, che le stesse siano caratterizzate da una loro sistematica iterazione, tanto da avere fatto dire che deve trattarsi di un «sistema di vita di relazione abitualmente doloroso ed avvilente» per il soggetto passivo del reato (v., ex plurimis, Sez. 3, 36170 del 23/03/2023, Torre, n.m.; Sez. 6, 17/04/1996, n. 4015), deve, peraltro, rilevarsi, quanto al caso ora in esame che le plurime dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai testimoni escussi, puntualmente riportate nella prima sentenza e richiamate per relationem dalla sentenza impugnata, evidenziano una desolante situazione di ripetute ed umilianti vessazioni, elementi tutti che rendono manifestamente infondato il quarto motivo di ricorso.

La prima sentenza, in particolare, riferisce di maltrattamenti e atti persecutori attuati in un lungo arco temporale e posti in essere non solo nei due episodi esemplificativamente indicati nell'Imputazione, ma altresì in un incessante susseguirsi di pedinamenti, lettere minatorie, anche anonime, percosse, ingiurie, minacce, consegna di pacchetti accompagnati da messaggi scurrili e offensivi (come quello contenente un vibratore), minacce rivolte ad amici e colleghi della persona offesa, anche quando l'imputato era sottoposto al divieto di avvicinamento alla persona offesa, forme ossessive di controllo, e così via.

Tale ricostruzione è perfettamente in linea con la giurisprudenza della Corte (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273 - 01), secondo cui «in tema di maltrattamenti in famiglia, il reato è integrato da comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, che, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione».

Del tutto inconsistente si appalesa, quindi, la doglianza che vorrebbe negare la sussistenza di quella abitualità di comportamento che connota i due reati in cui è stato frammentato il capo c).

2.5. Inammissibile è del pari il quinto motivo, contenente censure relative alla mancanza dell'elemento psicologico, la cui esistenza viene confermata dalla sentenza impugnata (pag. 12) in considerazione delle modalità di commissione dei singoli reati.

La prima sentenza, a pag. 17, evidenzia in proposito che non possono esserci dubbi sulla volontarietà della commissione dei reati contestati, già in ragione delle modalità della loro commissione, e che l'eventuale finalità di intimidire o umiliare la vittima non esclude certo il dolo (conforme: Sez. 3, n. 39718 del 17/06/2009, Rv. 244622).

2.3. Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente.

Essi sono parzialmente fondati, nei termini e nei limiti che seguono.

2.4. Quanto al reato di stalking, in cui è stata riqualificata l'originaria contestazione di maltrattamenti in famiglia, per il periodo successivo alla cessazione della relazione affettiva, il Collegio evidenzia quanto segue.

2.4.1. In ordine alla lamentata teorica insussistenza del delitto di cui all'articolo 612-bis cod. pen., per il periodo successivo alla cessazione della convivenza, l'interpretazione fornita dai giudici di merito non appare censurabile, per cui il terzo motivo di censura è manifestamente infondato.

Ed infatti, come evidenziato da Sez. 3, n. 31390 del 30/03/2023, Piccoli, n.m., il Giudice delle leggi (Corte cost., sentenza n. 98 del 2021) «ha affidato all'interprete il compito di stabilire se relazioni affettive - per così dire - non tradizionali (in quel caso si trattava di un rapporto sentimentale protrattosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro) possano farsi rientrare nelle nozioni di "famiglia" o di "convivenza", alla stregua dell'ordinario significato di queste espressioni».

Ma immediatamente dopo ha ammonito che, «in difetto di una tale dimostrazione, l'applicazione dell'art. 572, cod. pen., in casi siffatti - in luogo dell'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen., che pure contempla espressamente l'ipotesi di condotte commesse a danno di persona "legata da relazione affettiva" all'agente - apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico (...), ma comunque preclusa dall'art. 25, secondo comma, Cost.».

Invero, secondo la Corte costituzionale citata, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25 Cost.), nonché la presenza di un apparato normativa che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'àmbito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell'art. 572 cod. pen., di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" nell'accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua.

Così, la successiva giurisprudenza ha affermato che, nel caso di convivenza more uxorio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile soltanto per le condotte tenute fino a quando la convivenza non sia cessata, mentre le azioni violente o persecutorie compiute in epoca successiva possono integrare il delitto di atti persecutori (così Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, Havirneanu Sez. 2, n. 10222 del 23/01/2019, C., Rv. 275617; Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398; Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, dep. 21/03/2022, P., n. m.; Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, Di Trocchio, n.m.).

Quanto ai profili strutturali, si è del resto evidenziato (Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016, D'Aversa, n.m.) che «l'oggettività giuridica delle due fattispecie di cui agli artt. 572 e 612 bis cod. pen. è diversa, poiché il primo è un reato contro l'assistenza familiare ed il secondo è un reato contro la libertà morale e che diversi sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, ancorché le condotte materiali dei reati appaiano omologabili per modalità esecutive e per tipologia lesiva».

2.4.2. Venendo ai rapporti fra le due fattispecie incriminatrici si è ritenuto che, salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612-1c/s, comma primo, cod. pen. - che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie - è invece configurabile l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale (Sez. 6, n. 24575 del 24/11/2011 (dep. 2012) Frasca, Rv. 252906).

2.4.3. Quanto alla censura che lamenta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, esso è invece fondato.

Questa Corte, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, ritiene (Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846 - 04) che «per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'Imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione».

Si è anche rilevato che sussiste la violazione dell'obbligo di correlazione laddove «il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contenga l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione» (Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Saracino, Rv. 284713 - 02).

Analogamente, è stato ritenuto (Sez. 2, n. 3483 del 25/10/2018, dep. 2019, Giacomi, Rv. 274896 - 02), non sussiste violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., quando la riqualificazione abbia per oggetto reati (nel caso di specie: l'art. 640 cod. pen. in luogo dell'art. 642 cod. pen., contestato in rubrica) che non si pongono in termini di «incompatibilità» ma piuttosto un rapporto di «specialità», in forza del quale la riqualificazione operata dal giudice non comporta alcuna immutazione del fatto storico ed è assolutamente prevedibile per l'imputato.

Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, B., Rv. 269655 - 01^ ha poi affermato che «l'attribuzione in sentenza al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla stessa».

2.4.4. Scendendo in concreto, occorre distinguere il profilo probatorio da quello relativo alla contestazione.

In ordine al primo profilo, le due sentenze, unitariamente considerate, danno conto di un duraturo e progressivamente sempre più intenso reiterarsi di condotte moleste e vessatorie, cagionanti un perdurante stato di ansia della persona offesa, nonché della sua decisione di utilizzare un periodo di malattia sul lavoro per sottrarre sé stessa e i propri colleghi alle morbose attenzioni dell'ex compagno, così modificando le proprie abitudini di vita (v. pag. 19 ss. della prima sentenza, in cui si dà atto che la persona offesa - durante la sua escussione - ha ampiamente narrato del perdurante stato d'ansia cagionatole dalla condotta dell'Imputato, sfociante anche in attacchi di panico notturni, attestato anche da certificazione medica).

In tal modo le due pronunce evidenziano la sussistenza, in fatto, di uno degli eventi di cui all'articolo 612-bis cod. pen., e sicuramente la riqualificazione del reato poteva apparire come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio.

Sotto il profilo della contestazione, viceversa, se le "condotte" descritte in rubrica sono in grado di concretizzare tanto il reato di maltrattamenti in famiglia che quello di stalking, manca tuttavia la descrizione dell'"evento" del secondo reato, che costituisce elemento descrittivo indeflettibile della fattispecie.

In ciò si realizza, secondo il Collegio, un difetto di contestazione, non sanato dalla modifica dell'Imputazione ai sensi dell'articolo 516 ss. cod. proc. pen., che si è tradotto nella violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

3. La sentenza va pertanto annullata senza rinvio, limitatamente alle condotte riqualificate come commesse in violazione dell'articolo 612-bis cod. pen..

Ai sensi dell'articolo 620, lettera I) cod. proc. pen., la Corte può procedere a rideterminare la pena, non essendo necessari accertamenti di fatto, semplicemente elidendo l'aumento di mesi tre di reclusione, operato per la continuazione dal primo giudice, in riferimento a tale ipotesi di reato.

L'assenza di contestazione originaria non consente di formarsi, a seguito dell'annullamento senza rinvio, il passaggio in giudicato della sentenza in riferimento alla porzione di condotta contestata, con le conseguenze che ne derivano in tema di bis in idem.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla affermazione della penale responsabilità del ricorrente quanto al reato di cui all'articolo 612-bis cod. pen., per difetto di contestazione ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione.

Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Venezia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.