Il MAE emesso nei confronti di madre di prole di età compresa tra tre e sei anni, impone una approfondita verifica in ordine alle condizioni di detenzione, dovendosi accertare se il paese emittente preveda meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l'integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell'intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana in materia, in modo tale da escludere che l'applicazione della misura cautelare si risolva in un trattamento inumano o degradante per la madre, nella misura in cui viene privata del rapporto con i figli e del loro accudimento, nonché in una lesione del diritto dei figli a ricevere la necessaria assistenza materna e familiare costituzionalmente garantita.
Non è richiesto, ai fini della decisione sulla consegna, che l'ordinamento dello Stato emittente presenti le stesse garanzie dell'ordinamento italiano in tema di "giusto processo", ma è necessario che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare dall'art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, cui si richiama l'art. 111 Cost.
Quando l'A.G. dello stato emittente un MAE non risponde puntualmente alla ichiesta di infforamzioni, la Corte è tenuta a chiedere nuove informazioni, tenuto conto che il reciproco riconoscimento dei provvedimenti giudiziari nell'area di operatività del m.a.e. va nella direzione di dare esecuzione al mandato, e che i livelli di tutela fra gli Stati membri non devono essere necessariamente i medesimi, pur nel rispetto dei principi di cui all'art. 2 della legge n. 69/2005: il M.A.E. si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri e di conseguenza, nel rispetto dei diritti fondamentali di cui alla Convenzione EDU, e in particolare dell'art. 6 di essa, la mutua cooperazione andrebbe il più possibile perseguita non già enfatizzando, bensì componendo, nei limiti in cui è possibile, le differenze ancora esistenti fra gli ordinamenti degli Stati appartenenti all'UE.
Corte di Cassazione
Sezione II Penale Num. 47125 Anno 2021
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA
Data Udienza: 22/12/2021
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna C/ T. A., nata a Tirana 11 18 settembre 1992, avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna del 9 aprile 2021 Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nell'udienza camerale del 22 dicembre 2021 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli; Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Ferdinando Lignola, che ha concluso chiedendo di accogliere il ricorso; Udito l'avv. TC, difensore di T. A., che ha chiesto di dichiarare l'inammissibilità del ricorso, perché tardivo, e, in subordine, il rigetto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30 novembre 2021 la Corte d'appello di Bologna ha dichiarato la non sussistenza delle "condizioni per disporre la consegna all'Autorità giudiziaria del Belgio della cittadina albanese T. A.", con contestuale revoca della misura cautelare in atto, a seguito del mandato di arresto europeo emesso nei suoi confronti in data 8 gennaio 2021 (n. 107/2020) dalla Corte di prima istanza di Bruxelles, perché indagata per concorso in traffico internazionale di stupefacenti dl tipo cocaina, commesso in Belgio, Italia e Regno Unito nel 2020.
2. La pronuncia della Corte territoriale ha fatto seguito alla sentenza n. 22124/2021, con la quale il 3 giugno 2021 la Sesta Sezione di questa S.C. aveva disposto l'annullamento con rinvio della decisione in data 9/03/2021 della medesima Corte felsinea, che invece aveva deciso per la consegna. Con riferimento alla verifica delle condizioni di detenzione in relazione alla tutela dei diritti derivanti dal fatto che T. A. è madre di tre minori, in età compresa tra i tre ed i dieci anni, la Sesta Sezione aveva valutato la fondatezza del ricorso nella parte in cui aveva "contestato l'insufficienza delle informazioni rese dall'autorità belga alla Corte di appello, in quanto queste sarebbero del tutto generiche e non "individualizzanti", soprattutto in considerazione del fatto che non viene in alcun modo preso in considerazione il ruolo di madre della ricorrente"; e ciò perché "la sentenza impugnata si limita a dar conto del fatto che la normativa belga consente una revisione periodica della misura cautelare adottata e che, astrattamente, è contemplata la possibilità di accedere a misure cautelari attenuate". Il Giudice di legittimità, premessa l'insussistenza nella specie del "motivo di rifiuto obbligatorio della consegna nel caso in cui la persona richiesta sia madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente", poiché "il figlio minore della T. risulta - per quanto indicato dalla stessa ricorrente - aver già compiuto tre anni", aveva ravvisato "l'esigenza di verificare se la normativa in tema di MAE consenta ugualmente di dar rilievo alle specifiche esigenze di tutela derivante dal ruolo di madre della persona richiesta".
A tal fine aveva richiamato un precedente in tema di estradizione (Sez. 6, n.1677 dell'11/12/2019, dep. 2020, Kurti, Rv. 278216), nel senso della "verifica che lo specifico trattamento penitenziario cui sarebbe sottoposta l'estradanda consenta la salvaguardia dell'integrità psicofisica del minore", e "precedenti pronunce" che avevano "sottolineato come l'accoglimento della domanda di estradizione nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni presuppone che il regime carcerario dello Stato richiedente presenti meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l'integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell'intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana nella materia (Sez. 6, 46444 del 26/11/2009, P.G. in proc. Benevides, Rv. 245487)".
L'ulteriore sviluppo di tale principio da parte della S.C. era andato nel senso che "qualora la legislazione dello Stato richiedente non contempli alcuna tutela del diritto dei figli a non essere privati del ruolo della madre, secondo modalità comparabili a quelle previste dall'ordinamento interno, si porrebbe il fondato dubbio dell'incompatibilità di tali previsioni con i principi - anche di rilievo costituzionale (artt. 29, 30 e 31 Cost.) - che nel nostro ordinamento salvaguardano l'integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell'intera famiglia. Ove l'ordinamento estero non garantisca adeguatamente la posizione dei figli di madri detenute, infatti, andrebbe a ledere diritti che tutelano l'individuo e la famiglia, previsti sia dalla Costituzione che dalla CEDU, il che imporrebbe il rifiuto della consegna quanto meno ai sensi dell'art. 2, I. n. 69 del 2005.
Al contempo, il disconoscimento di istituti a tutela delle detenute madri ben potrebbe dar luogo a vere e proprie forme di trattamenti inumani e degradanti, rendendo operante il motivo di rifiuto della consegna disciplinato dall'art. 18, comma 1, lett. h), I. n. 69 del 2005. In tale contesto, assume valore di parametro di riferimento il dettato dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., lì dove prevede il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere nei confronti di madre di prole di età non superiore a sei anni. (...)
Quanto detto consente di affermare che il MAE emesso nei confronti di madre di prole di età compresa tra tre e sei anni, impone una approfondita verifica in ordine alle condizioni di detenzione, dovendosi accertare se il paese richiedente preveda meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l'integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell'intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana in materia, in modo tale da escludere che l'applicazione della misura cautelare si risolva in un trattamento inumano o degradante per la madre, nella misura in cui viene privata del rapporto con i figli e del loro accudimento, nonché in una lesione del diritto dei figli a ricevere la necessaria assistenza materna e familiare costituzionalmente garantita".
La conclusione era stata che, poiché "nell'ordinamento interno, l'art. 275,comma 4, cod. proc. pen. prevede il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere, se non a fronte di esigenze cautelari eccezionali, nei confronti madre di prole di età non superiore a sei anni", e "l'ordinamento carcerario (...) disciplina plurimi istituti a tutela della maternità, quali la detenzione domiciliare speciale e l'assistenza all'esterno dei figli minori", (...) pur non essendo richiesto che l'ordinamento dello Stato richiedente preveda le medesime tutele, è comunque necessario verificare se vi sia una normativa quanto meno equivalente a quella interna ed in concreto idonea a perseguire quella medesima finalità di salvaguardia dell'interesse del minore. Sulla base delle considerazioni svolte, si ritiene che le informazioni valorizzate dalla Corte di appello siano del tutto generiche, in quanto non espressamente calibrate rispetto alla posizione della T., non essendo noto il trattamento cautelare riservato alla predetta, con specifico riguardo alle necessarie esigenze di salvaguardia del diritto dei minori a mantenere il rapporto con la madre. In particolare, non è dato sapere se l'ordinamento belga preveda delle limitazioni alla sottoposizione a custodia cautelare nei confronti di madre di prole in tenera età, né se il regime detentivo consente ed in che misura l'accudimento della prole e l'esercizio del diritto di visita". L'annullamento con rinvio era stato pertanto disposto "al fine di consentire l'acquisizione di informazioni complete e di procedere alla rinnovata valutazione in ordine alla compatibilità tra la tutela dei diritti della madre e dei minori e la disciplina belga".
3. Con ordinanza del 15 luglio 2021 la Corte territoriale ha chiesto, per il tramite del Ministero della Giustizia, all'Autorità giudiziaria che aveva emesso il m.a.e. informazioni "sulle disposizioni dell'ordinamento dello Stato richiedente in ordine alle modalità di esecuzione della custodia cautelare di madri di figli minori di anni 6 e, in particolare, se sia previsto il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere, se non a fronte di esigenze cautelari eccezionali"; e ancora, "se, in ipotesi di sottoposizione a custodia cautelare in carcere, siano previste modalità di esecuzione della misura cautelare idonee a tutelare il diritto della madre a non essere privata del rapporto con i figli e del loro accudimento, nonché quello dei figli a ricevere la necessaria assistenza materna e familiare costituzionalmente garantita".
Ricevute dall'A.G. belga le notizie in data 15 novembre 2021; la Corte d'appello di Bologna, premesso di non ricavare da esse l'esistenza in Belgio di una disposizione analoga a quella di cui all'art. 274 co. 4 cod. proc. pen., e quindi che non vi fossero il divieto di custodia cautelare per le madri di prole fino a sei anni previsto dalla legge italiana, né la possibilità di ammissione alla detenzione domiciliare motivata dalla condizione di madre di prole minorenne, né che forme di trattamento carcerario individualizzato per la consegnanda, rifiutava la consegna.
4. Avverso quest'ultimo provvedimento, il Procuratore Generale della Corte felsinea ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi: come primo, l'erronea applicazione degli art. 16 e 18 della legge n. 69/2005 per violazione di legge. Dopo aver riassunto la vicenda, sostiene che le informazioni date alla Corte d'appello dall'Ufficio del P.M. di Hall-Vilvoorde in realtà non hanno risposto a quanto richiesto perché hanno fatto riferimento esclusivo al trattamento delle madri di prole in età inferiore a tre anni, e nulla hanno riferito (se non in termini del tutto generici) per il caso del figlio in età compresa fra tre e sei anni.
Ne segue che, essendo presumibile che l'A.G. belga non abbia compreso l'oggetto delle notizie domandate, la Corte territoriale avrebbe dovuto chiedere nuove informazioni, tenuto conto che il reciproco riconoscimento dei provvedimenti giudiziari nell'area di operatività del m.a.e. va nella direzione di dare esecuzione al mandato, e che i livelli di tutela fra gli Stati membri non devono essere necessariamente i medesimi, pur nel rispetto dei principi di cui all'art. 2 della legge n. 69/2005; come secondo, la carenza e la illogicità della motivazione in relazione all'art. 275 co. 4 cod. proc. pen. poiché, qualora fosse ragionevole l'integrale equiparazione fra ordinamenti, comunque la Corte di Bologna non ha spiegato le ragioni di carenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
4. Il difensore di T. A. ha fatto pervenire memoria scritta con la quale, dopo aver riassunto l'iter del provvedimento, ha rilevato anzitutto l'inammissibilità del ricorso del P.G., poiché esso sarebbe stato inoltrato oltre i termini consentiti dalla legge: risulta depositato nella Cancelleria della Corte di Appello di Bologna alla data del 7/12/2021, in violazione del termine previsto dall'art. 22 della legge n.69/2005, che è di cinque giorni, mentre l'udienza è stata celebrata il 30 novembre 2021.
Nel merito, ha contestato la tesi del P.G. secondo cui la Corte di Appello di Bologna avrebbe dovuto richiedere ulteriori informazioni, visto che le risposte fornite dallo Stato richiedente non erano state adeguate. Sostiene infatti che l'A.G. italiana ha mostrato molta collaborazione con Belga, tanto da aver atteso le informazioni a essa richieste più volte, e da aver accettato la scadenza dei termini previsti per decidere; aggiunge che se l'A.G. belga avesse avuto un effettivo e concreto interesse alla consegna, sicuramente si sarebbe attivata tempestivamente o quantomeno avrebbe fornito in modo specifico le informazioni più volte sollecitate.
A proposito poi dell'assenza nell'ordinamento belga di una disciplina analoga a quella di cui all'art. 275 co. 4 cod. proc. pen., osserva come la Corte bolognese abbia rifiutato la consegna di T. A. sulla base non già esclusivamente di tale carenza, bensì di una motivazione più complessa e articolata e alla luce degli art. 2 e 18 della L. n.69/2005.
Ne consegue che la mancanza di motivazione lamentata sul punto dal P.G. non ha ragion d'essere, e peraltro "la carenza e l'illogicità della motivazione" non rientra tra i motivi di ricorso per Cassazione, relativamente alla materia M.A.E. Alla stregua di ciò, insiste perché il ricorso del P.G. sia dichiarato inammissibile o comunque che sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto, alla stregua di quanto segue.
2. Va detto preliminarmente, in relazione a quanto osservato dalla difesa di T. nella memoria cui si è fatto cenno, che il ricorso del P.G. non è tardivo. Il d. Igs. 2 febbraio 2021, n. 10, all'art. 28 prevede la prosecuzione con la previgente disciplina dei procedimenti già pendenti alla data della sua entrata in vigore (20 febbraio 2021), dovendo intendersi per tali, quelli nei quali, a quella data, la Corte di appello abbia già ricevuto il mandato di arresto europeo o la persona richiesta in consegna sia stata già arrestata.
Nel caso in esame la ricorrente è stata arrestata il 22 gennaio 2021, in quanto destinataria di M.A.E. emesso 1'8 gennaio 2021; ne consegue che non trovano applicazione le disposizioni del d. Igs. citato, che ha modificato l'art. 22, comma 1, legge n. 69 del 2005, prevedendo che il ricorso per cassazione contro la sentenza che dispone la consegna debba essere proposto entro cinque giorni dalla conoscenza legale del provvedimento e non più, come in precedenza, entro dieci giorni da tale provvedimento.
La Corte di appello di Venezia ha emesso la sentenza impugnata il 30 novembre 2021 e il ricorso è stato depositato presso la Procura Generale di Bologna il 7 dicembre 2021 ed è pervenuto alla Corte di appello di Bologna lo stesso giorno e, dunque, nel termine di dieci giorni previsti dalla legge dalla data della lettura della sentenza avvenuta appunto il 30 novembre 2022.
Occorre, infatti, osservare, che in tema di mandato di arresto europeo, il ricorso per cassazione contro il provvedimento che decide sulla consegna deve necessariamente pervenire - anche a mezzo posta - nella cancelleria del giudice che lo ha emesso, posto che, diversamente, verrebbero vanificate le esigenze di speditezza costituenti la ratio ispiratrice del sottosistèma normativo relativi) all'istituto in oggetto (Sez. F, n. 23953 del 20/08/2020, Fiore, Rv. 279546, Conf. Sez. F., n. 23954 del 20/08/2020).
3. Ciò posto deve altresì precisarsi che la legge n. 69/2005 consente di proporre l'impugnazione "anche per il merito", dunque in deroga al limite ordinario di disamina di questa S.C.: il che vuol dire che sono deducibili pure i vizi attinenti alla contraddittorietà, all'illogicità e alla carenza di motivazione.
Va poi considerato che, fra i principi alla base della Decisione quadro del Consiglio dei Ministri della Giustizia e dell'Interno dell'Ue 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, enunciati nei "considerando", vi è - al § 6 - che il M.A.E. "costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria", e che (§ 10) il suo meccanismo "si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri".
La conseguenza di tale "elevato livello di fiducia" è che, nel rispetto dei diritti fondamentali di cui alla Convenzione EDU, e in particolare dell'art. 6 di essa, la mutua cooperazione andrebbe il più possibile perseguita non già enfatizzando, bensì componendo, nei limiti in cui è possibile, le differenze ancora esistenti fra gli ordinamenti degli Stati appartenenti all'UE.
A questi criteri non appare essersi uniformata la Corte d'appello di Bologna, chiamata da questa S.C. con la pronuncia prima menzionata a svolgere gli accertamenti necessari per dare esecuzione al M.A.E. Alla risposta evidentemente generica fornita dall'A.G. istante - che nel caso in esame non ha dato conto del regime penitenziario riguardante la madre di un bambino in età compresa fra tre e sei anni -, non è seguita una replica che sottolineasse con maggiore precisione le notizie che si intendeva acquisire.
Di contro, la Corte territoriale si è limitata a constatare l'inesistenza in Belgio di una disposizione analoga a quella dell'art. 275 co. 4 cod. proc. pen., come se la logica della mutua cooperazione implicasse l'assoluta sovrapponibilità degli istituti, in questo caso processuali, e non invece la necessità di verificare la compatibilità fra istituti differenti.
È in tale direzione che si orienta, in modo consolidato e condiviso, questa S.C., allorché a proposito della comparazione fra i diversi riti dei vari ordinamenti afferma (cf. Sez. 6 sentenza n. 2739 del 22/01/2020 dep. 23/01/2020 Rv. 278129 imputato Boyko Taras), che "in tema di mandato di arresto europeo, la mancata previsione, nello Stato di emissione, di limiti massimi della carcerazione preventiva non legittima il rifiuto della consegna di cui all'art. 18 lett. e), della legge 22 aprile 2005 quando l'autorità giudiziaria italiana verifichi che l'ordinamento dello Stato richiedente prevede un termine di durata della custodia fino alla sentenza di condanna di primo grado o, in mancanza, meccanismi processuali che assicurino, con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia o alla sua estinzione".
Ovvero quando, sempre sul M.A.E., aggiunge che (cf. Sez. 6, Sentenza n. 4528 del 27/01/2012 dep. 02/02/2012 Rv. 251959 imputato Baldi) "non è richiesto, ai fini della decisione sulla consegna, che l'ordinamento dello Stato emittente presenti le stesse garanzie dell'ordinamento italiano in tema di "giusto processo", ma è necessario che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare dall'art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, cui si richiama l'art. 111 Cost."
Venendo più specificamente alla questione riguardante "la condizione di madre di prole di età che, anche se superiore ai tre anni, necessiti di continua assistenza materiale ed affettiva", questa S.C. (cf. Sez. 6 sentenza n. 41642 del 03/10/2013 dep. 08/10/2013 Rv. 256277 imputato Witoszek), pronunciando in materia di estradizione, ha ritenuto "che la consegna sia subordinata all'esistenza nel Paese richiedente di garanzie idonee ad assicurare i contatti dell'estradanda con i figli con modalità sia pure non corrispondenti a quelle previste dall'ordinamento penitenziario italiano, ma comunque tali da 7Corte di Cassazione - copia non ufficiale salvaguardare l'integrità psicofisica del minore, del genitore e della stessa famiglia". Costituisce invero principio generale dell'ordinamento italiano assicurare la tutela dell'interesse del bambino (v. per tutte Sez. 6, n. 20147 del 10/03/2010, Say, n.m.; Sez. 6, n. 12498 del 04/12/2007, dep. 2008, Kochanska, Rv. 239145), tanto che la legge n. 69/2005 all'art. 18 lett. p) prevede per il M.A.E. un caso di divieto di consegna della madre con prole convivente di età inferiore ai tre anni.
L'esigenza primaria di protezione dell'interesse del minore è stata affermata in vari testi sovrannazionali, tra cui la Convenzione sui diritti dell'infanzia del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 (v. in particolare art. 9), e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, adottata il 7 dicembre 2000 (v. l'art. 24), e trova varie applicazioni nella normativa interna: alla richiamata disciplina sul mandato di arresto europeo, si affiancano l'art. 28 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in materia di disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, gli art. 146 co. 1 n. 2 e 147 co. 1 n. 3, cod. pen., sul rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena, il già menzionato art. 275 co. 4 cod. proc. pen., a proposito della misura cautelare in carcere, e gli art. 11 e 47-quinquies ord. pen., relativamente alle detenute madri.
Se la condizione di madre di prole convivente di età inferiore a tre anni è stato considerata causa di rifiuto della consegna dall'art. 18 lett. p) della legge n. 69/2005, quella di madre di prole di età che, pur se superiore ai tre anni, necessiti di una continua assistenza materiale e affettiva, come nel caso in esame, impone che la consegna sia subordinata alla esistenza nell'ordinamento del Paese richiedente di garanzie idonee ad assicurare che durante il periodo di detenzione la madre possa mantenere idonei contatti con i figli in tenera età, sia pure con modalità non necessariamente corrispondenti a quelle previste dall'ordinamento penitenziario italiano. Rileva che sia salvaguardata l'integrità psicofisica non solo del minore, che altrimenti resterebbe privato del rapporto affettivo con la madre in una fase delicata della sua esistenza, bensì pure dello stesso genitore (cf. Sez. 6, n. 40289 del 05/10/2012, Say, Rv. 253775; Sez. 6, n. 46444 del 26/12/2009, Benevides, Rv. 245487; Sez. 6, n. 25845 del 11/06/2007, Voina, Rv. 236864; Sez. 6, n. 24762 del 08/05/2007, Sava, Rv. 237183; Sez. 6, n. 40612 del 31/10/2006, Sochiu, Rv. 235444).
Il precedente annullamento era finalizzato esattamente a ricevere assicurazione dell'esistenza nell'ordinamento belga di una normativa ordinata a una tutela effettiva dei minori, anche oltre i tre anni di età, attraverso una interlocuzione efficace e puntuale fra le A.G.: essa è nella specie mancata, poiché lo scambio cartolare di domanda di notizie e di risposta, con la mediazione dei Ministeri della Giustizia, si è risolta in una esposizione generica da parte dell'A.G. belga, rispetto alla quale la Corte d'appello non è andata oltre, di fatto sottraendosi a una collaborazione. Tale normativa, come correttamente osserva il ricorrente, non deve necessariamente corrispondere a quella prevista dall'art. 275 co. 4 cod. proc. pen., poiché, per quanto prima illustrato, la mutua collaborazione fra gli Stati dell'UE non impone identità di ordinamenti, bensì comune rispetto dei principi fondamentali della Convenzione EDU. È in tal senso fondato anche il secondo motivo del ricorso del P.G. bolognese, allorché sottolinea che la Corte territoriale, dopo avere erroneamente cercato di rintracciare nel sistema giudiziario belga una norma simile a quella da ultimo menzionata, non ha operato poi una ricerca in ordine alla intensità delle esigenze cautelari.
L'annullamento della sentenza impugnata è accompagnato dal rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna per l'acquisizione degli elementi mancanti e per una valutazione coerente con la motivazione fin qui articolata.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Così deciso a Roma il 22 dicembre 2021