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Madre di prole inferiore a 3 anni, MAE eseguibile se .. (Cass. 51798/23)

29 dicembre 2023, Cassazione penale

MAE eseguibile, di regola, anche nei confronti di madre con prole inferiore a tre anni, salvo prova contraria: costituisce infatti preciso onere della difesa allegare fonti attendibili, specifiche ed aggiornate su cui poter fondare la ragionevole affermazione dell'esistenza di un concreto pericolo che la persona richiesta, durante la eventuale detenzione all'estero, possa essere sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione madre di prole di età inferiore ad anni tre, considerato che in linea generale non vi sono elementi per ritenere che l'ordinamento svedese non contempli forme di tutela delle madri detenute analoghe a quelle nazionali o comunque non conformi ai principi riconosciuti a livello europeo.

Se è indiscusso che il mandato di arresto europeo deve essere tradotto in lingua italiana, senza possibilità di forme di conoscenza surrogata per il consegnando (come quella dell'illustrazione per le vie brevi da parte del giudicante), deve considerarsi che ai fini della decisione sulla consegna è comunque sufficiente che pervenga la segnalazione della persona nel Sistema Informativo Schengen (S.I.S.) contenente le indicazioni previste dall'art. 6, comma primo, della predetta legge, tradotte nella lingua italiana per le necessarie valutazioni sulla legittimità del mandato di arresto.

Corte di Cassazione

sez. VI penale, ud. 28 dicembre 2023 (dep. 29 dicembre 2023), n. 51798

Presidente Fidelbo – Relatore Amoroso

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Messina ha disposto la consegna di H.R.I. alle competenti Autorità della Svezia, in relazione al m.a.e. emesso il giorno 10 novembre 2023 dalla Corte distrettuale di Stoccolma nell'ambito di un procedimento pendente nei suoi confronti per reati tributari commessi nel 2020, in qualità di legale rappresentante di due società con sede in Svezia.

In particolare, dopo la convalida dell'arresto eseguito in data 21 novembre 2023, la ricorrente è stata sottoposta alle misure congiunte dell'obbligo di dimora e dell'obbligo di presentazione alla P.G., quindi, la Corte di appello con la sentenza impugnata ne ha disposto la consegna alla competente A.G. dello Stato emittente.

Sono state ritenute infondate le ragioni addotte dalla difesa in relazione alla condizione di madre di figlia minorenne di età inferiore a tre anni (nata (OMISSIS)), e per la mancata acquisizione del titolo cautelare posto a base del mandato di arresto.

2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d'appello, il difensore di H.R.I. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito indicati.

2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 2, 6, commi 1, lett. e) e 7 della legge n.69/2005, come modificato dal d.lgs. 2 febbraio 2021, n.10, per la mancata traduzione del mandato di arresto europeo in lingua italiana, essendo stato trasmesso in lingua svedese ed inglese.

2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 6,7 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), in correlazione agli artt. 5,6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo(CEDU), per la mancata indicazione del titolo cautelare svedese, stante l'incompatibilità del Tribunale di Stoccolma e l'incompletezza del compendio probatorio.

2.3. Violazione di legge in relazione all'art. 1 comma 3 della Decisione quadro 2002/584/GAI, correlato all'art. 48 Carta di Nizza, ed all'art. 2 Cost. in relazione all'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) ed all'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo (CEDU), per effetto della mancata considerazione della condizione di madre di una bambina di due anni.

Al riguardo si osserva che è onere dell'autorità giudiziaria dello Stato richiesto verificare se l'esecuzione del mandato di arresto europeo possa essere lesivo delle garanzie costituzionali e dei diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni sovranazionali.

In particolare, la Corte ha pretermesso qualsiasi vaglio in ordine al danno che sarebbe arrecato alla figlia minore della ricorrente, per effetto del suo radicamento in Italia, per le relazioni create con le insegnanti ed i compagni dell'asilo.

3. Si deve dare atto che l'avv. F. S., difensore di H.R.I., ha prodotto una memoria scritta con cui ha formulato le proprie conclusioni insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato

Quanto al primo motivo di ricorso, nella parte in cui lamenta l'assenza in atti di un mandato d'arresto o di altro atto equipollente redatti in lingua italiana deve rilevarsi che dall'esame degli atti emerge che il giorno prima dell'udienza è pervenuta la traduzione in lingua italiana della segnalazione nel Sistema Informativo Schengen (SIS), che per giurisprudenza costante si considera equipollente al mandato di arresto europeo allorché contenga tutte le informazioni necessarie per decidere sulla consegna, come previsto testualmente dall'art. 13, comma 3, della legge n. 69/2005 in tema di convalida dell'arresto.

Sicché appare del tutto irrilevante che la traduzione del mandato di arresto europeo in lingua italiana sia pervenuta soltanto il giorno successivo all'udienza in cui è stata emessa la sentenza impugnata, essendovi in atti il mandato di arresto trasmesso in lingua inglese oltre che nella lingua dello Stato emittente.

E' indiscusso che il mandato di arresto europeo deve essere tradotto in lingua italiana, come stabilisce l'ultimo comma dell'art. 6 della legge n. 69 del 2005, senza possibilità di forme di conoscenza surrogata per il consegnando (come quella dell'illustrazione per le vie brevi da parte del giudicante), poiché si tratta di disposizione funzionale a consentire all'autorità giudiziaria italiana di effettuare il controllo di legalità ad essa assegnato (così, tra altre, Sez. 6, n. 49888 del 20/12/2012, Girardi, Rv. 253913).

Tuttavia, deve considerarsi che ai fini della decisione sulla consegna è comunque sufficiente che pervenga la segnalazione della persona nel Sistema Informativo Schengen (S.I.S.) contenente le indicazioni previste dall'art. 6, comma primo, della predetta legge, tradotte nella lingua italiana per le necessarie valutazioni sulla legittimità del mandato di arresto (Sez. 6, n. 4961 del 04/02/2020, F., Rv. 278450).

Ne discende l'infondatezza della doglianza avendo la Corte di appello disposto tempestivamente la traduzione della segnalazione SIS in lingua italiana presente nel fascicolo ed acquisita prima dell'udienza.

2. Risulta correlativamente infondato anche il secondo motivo, emergendo che il mandato di arresto è stato emesso per dare esecuzione ad una ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Stoccolma del 10 novembre 2023.

La Corte di appello si è, infatti, attenuta alla consolidata giurisprudenza secondo cui non può farsi luogo alla consegna solo laddove dallo stesso mandato d'arresto europeo o dalla documentazione trasmessa non sia in alcun modo desumibile l'indicazione precisa del provvedimento su cui si basa l'istanza, essendosi interpretata in questo senso la disposizione dettata dall'art. 6, comma 3, legge n. 69 del 2005 - norma peraltro ora abrogata dall'art. 3 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 - che richiedeva l'allegazione al mandato di quel provvedimento (Sez. 6, n. 46298 del 11/12/2008, Cavallo, Rv, 242008).

In tal senso, questa Corte ha da sempre ritenuto non ostativa alla consegna la omessa acquisizione da parte della Corte di appello del provvedimento cautelare (così, tra le tante, Sez. 6, n. 45668 del 29/12/2010, Chaoui, Rv. 248972; Sez. 6, n. 16942 del 21/04/2008, Ruocco, Rv. 239428; Sez. 6, n. 4054 del 23/1/2008, Vasiliu, Rv. 238394), essendo peraltro pacifico che l'autorità giudiziaria italiana, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, doveva limitarsi a verificare che il mandato, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fosse fondato su un compendio indiziario che l'autorità giudiziaria emittente avesse considerato seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348).

Anche sotto tale profilo deve comunque rammentarsi che il comma quarto dell'art. 17, L. 22 aprile 2005, n. 69, che prevedeva il presupposto dei gravi indizi, è stato modificato dall'art. 13 del cit. d.lgs. n. 10/2021 nel senso di escludere la necessità di detto presupposto, che a maggiore ragione non può più reputarsi ostativo ai fini dell'accoglimento della richiesta di consegna nei termini già sopra precisati.

3. Infondata è anche la questione incentrata sulla violazione del motivo di rifiuto per le madri di prole di età inferiore ad anni tre, ora non più previsto a seguito dell'abrogazione dell'articolo 18, lett. p), della legge n. 69/2005.

Sul punto è intervenuta recentemente la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 21 dicembre 2023 nella causa C-261/22, che, decidendo sulle questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte di cassazione italiana sulla richiesta di consegna della donna in stato di gravidanza o della madre di figli minori conviventi, ha fornito una interpretazione della normativa europea sul MAE che assume una rilevanza di portata generale ai fini della applicazione delle ragioni di rifiuto desunte dal rispetto dei diritti fondamentali e dalle garanzie costituzionali di cui all'art. 2 della l. 69/2005.

È stato già osservato che l'art. 2 ("Rispetto dei diritti fondamentali e garanzie costituzionali") della legge n.69/2005 non legittima l'introduzione di motivi di rifiuto diversi da quelli fissati dalla legge quadro e recepiti dalla legge nazionale come anche di recente affermato dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 216 del 2021, secondo cui le esigenze di uniformità ed effettività comportano che sia, di regola, precluso alle autorità giudiziarie dello Stato di esecuzione rifiutare la consegna al di fuori dei casi imposti o consentiti dalla decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 relativa al mandato d'arresto europeo, sulla base di standard di tutela puramente nazionali, non condivisi a livello europeo, dei diritti fondamentali della persona interessata.

In particolare devono essere ricordate anche le precedenti sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, 5 aprile 2016, in cause riunite C-404/15, e C-659/15 PPU, Aranyosi e Caldararu, che hanno introdotto nel diritto dell'Unione meccanismi che consentono di assicurare la tutela dei diritti fondamentali delle persone interessate da un mandato di arresto europeo, nel quadro di un sistema di regole comuni vincolanti per tutti gli Stati membri, sicché spetta solo alla Corte di Giustizia stabilire se introdurre nuovi casi di rifiuto rispetto a quelli indicati nella decisione quadro in cui lo Stato di esecuzione possa richiedere informazioni allo Stato di emissione e nel caso di risposte non adeguate di rifiutare la consegna.

Si deve ricordare che il d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne difformi dalla disciplina europea al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo.

Il nuovo testo dell'art. 18 non prevede più alcun motivo di rifiuto nel caso che la persona oggetto del mandato d'arresto europeo risulti essere madre di prole di età inferiore ad anni tre con lei convivente.

La soppressione del motivo di rifiuto si giustifica sulla base della presunzione che negli Stati UE la tutela delle madri di figli in tenera età è assicurata nei sistemi processuali-penali in modo coerente ai principi di diritto affermati anche dalle convenzioni europee (art. 24 par. 2 della Carta e del considerando n. 8 della direttiva europea 2016/800 del Parlamento europeo per il rispetto delle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali - Corte di Giustizia 23 gennaio 2018, Piotrowski, par. 37).

La direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali (GU 2016, L 132, pag. 1), al suo considerando 8 prevede quanto segue: «Quando i minori sono indagati o imputati nei procedimenti penali o soggetti a una procedura di esecuzione di un mandato d'arresto europeo a norma della decisione quadro 2002/584/GAI (...), gli Stati membri dovrebbero garantire che l'interesse superiore del minore sia sempre considerato preminente, a norma dell'articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta)».

Quindi, posto che il rispetto dei diritti dei minori indagati o imputati è assicurato da tutti gli Stati membri che aderiscono alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ciò vale a maggior ragione anche per la tutela dei minorenni figli della persona di cui è stata chiesta la consegna, e detta presunzione costituisce il fondamento dell'emissione del mandato di arresto europeo, ed è onere della parte allegare elementi concreti di valutazione che possano suffragarne la violazione da parte dell'ordinamento dello Stato emittente, che non può essere perciò dedotta in modo soltanto ipotetico ed astratto.

Nella sopra richiamata sentenza Piotroski con riferimento alla tutela dei diritti dei minori imputati è stato affermato precisamente che: "...nel caso di un procedimento riguardante un mandato d'arresto europeo, la garanzia di tali diritti spetta in primo luogo allo Stato membro emittente, che si deve presumere rispetti il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo [v., in tal senso, parere 2/13 (Adesione dell'Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 191 e giurisprudenza citata]".

Con la sentenza 21 dicembre 2023 la Corte di Giustizia Unione Europea decidendo nella causa C-261/22 sul rinvio pregiudiziale della Corte di cassazione italiana, ha affermato il principio secondo cui la consegna non può essere rifiutata solo perché si tratta di madre di prole di età inferiore a tre anni, proprio perché si presume che negli Stati dell'UE i diritti dell'infanzia - e quindi il diritto del figlio di stare insieme al proprio genitore - sono adeguatamente tutelati (principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri).

Secondo quanto affermato nella surrichiamata sentenza, «l'articolo 1, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, letto alla luce dell'articolo 7 e dell'articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dev'essere interpretato nel senso che: esso osta a che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione rifiuti la consegna della persona oggetto di un mandato d'arresto europeo per il motivo che tale persona è la madre di minori in tenera età con lei conviventi, a meno che, in primo luogo, tale autorità disponga di elementi atti a dimostrare la sussistenza di un rischio concreto di violazione del diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare di tale persona, garantito dall'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, e dell'interesse superiore di detti minori, quale tutelato dall'articolo 24, paragrafi 2 e 3, di tale Carta, a causa di carenze sistemiche o generalizzate in ordine alle condizioni di detenzione delle madri di minori in tenera età e di cura di tali minori nello Stato membro emittente e che, in secondo luogo, sussistano motivi seri e comprovati di ritenere che, tenuto conto della loro situazione personale, gli interessati corrano detto rischio a causa di tali condizioni».

4. È, pertanto, onere della parte allegare circostanze concrete che dimostrino che nello Stato richiedente vi siano sistemiche carenze strutturali che non consentono di tutelare i diritti del minore, e solo se tali carenze risultino dimostrate si giustifica il rifiuto della consegna.

Vale sempre il principio di reciproca fiducia analogamente a quanto previsto per il divieto di trattamenti inumani, per il divieto di tortura e per le condizioni carcerarie.

Il rifiuto discende solo dalla concreta ed accertata violazione da parte dello Stato richiedente dei principi fondamentali riconosciuti dal diritto dell'UE perché "Il rifiuto di eseguire la consegna è concepito come una eccezione che deve essere interpretata restrittivamente".

La verifica di tali violazioni, quindi, deve passare attraverso due fasi tipiche di accertamento: la prima fase esige che da fonti internazionali riconosciute ed attendibili emergano carenze nello Stato emittente strutturali e di sistema sotto il profilo della tutela dei diritti dell'infanzia; solo in caso di esito positivo di tale primo vaglio, si può passare alla seconda fase che legittima lo Stato di esecuzione a richiedere informazioni suppletive allo Stato emittente sulle condizioni detentive della persona e di come sarà organizzata in concreto la cura dei suoi figli minori.

È stato in particolare stabilito che «l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve, nell'ambito di una prima fase, determinare se esistano elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati diretti a dimostrare l'esistenza di un rischio reale di violazione, nello Stato membro emittente, di tali diritti fondamentali a causa di carenze come quelle di cui al punto 45 della presente sentenza. Tali elementi possono evincersi, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite, nonché da informazioni recensite nella banca dati dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) riguardo alle condizioni di detenzione penale nell'Unione (Criminal Detention Database) (v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Càldàraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89, nonché del 31 gennaio 2023, Puig Gordi e a., C-158/21, EU:C:2023:57, punto 102). Nell'ambito di una seconda fase l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve verificare, in modo concreto e preciso, in quale misura le carenze identificate durante la prima fase dell'esame, illustrata al punto precedente della presente sentenza, possano incidere sulle condizioni di detenzione della persona oggetto di un mandato d'arresto europeo o di cura dei suoi figli minori e se, tenuto conto della loro situazione personale, sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che tale persona o tali figli minori corrano un rischio concreto di violazione di detti diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Càldàraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 94, nonché del 31 gennaio 2023, Puig Gordi e a., C-158/21, EU:C:2023:57, punto 106)».

5. Si deve, pertanto, ribadire che costituisce preciso onere della difesa allegare fonti attendibili, specifiche ed aggiornate su cui poter fondare la ragionevole affermazione dell'esistenza di un concreto pericolo che la persona richiesta, durante la eventuale detenzione all'estero, possa essere sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione madre di prole di età inferiore ad anni tre, considerato che in linea generale non vi sono elementi per ritenere che l'ordinamento svedese non contempli forme di tutela delle madri detenute analoghe a quelle nazionali o comunque non conformi ai principi riconosciuti a livello europeo.

È stato anche ribadito nella citata sentenza 21 dicembre 2023 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che «quando attuano il diritto dell'Unione gli Stati membri sono tenuti a presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, sicché essi non possono né esigere da un altro Stato membro un livello di tutela nazionale dei diritti fondamentali più elevato di quello garantito dal diritto dell'Unione né, salvo casi eccezionali, verificare se l'altro Stato membro abbia effettivamente rispettato, in un caso concreto, i diritti fondamentali garantiti dall'Unione europea [parere 2/13 (Adesione dell'Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 192, e sentenza del 31 gennaio 2023, Puig Gordi e a., C-158/21, EU:C:2023:57, punto 94] ».

Pertanto, la genericità della doglianza difensiva rende manifesta l'insussistenza di un valido motivo di rifiuto legato alla violazione dei diritti dell'infanzia, dovendosi presumere che detti diritti siano tutelati nell'ordinamento svedese in modo conforme ai principi riconosciuti dalle convenzioni internazionali riconosciute nell'ambito dell'Unione Europea.

Né si giustifica una differenziazione tra mandato di arresto esecutivo e mandato di arresto processuale valendo le medesime ragioni che rendono evidentemente non giustificato il rifiuto della consegna della persona oggetto di un mandato d'arresto europeo per il solo motivo che tale persona è madre di minori in tenera età con lei conviventi.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria curerà l'espletamento degli incombenti di cui all'art. 22, comma 5, della L. n. 69/2005.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, della L. n. 69 del 2005.