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L'utilizzo di un arma non esclude difesa legittima (Cass. 36987/16)

6 settembre 2016, Cassazione penale

In un contrasto tra due soggetti con obiettiva differenza di stazza e forza, contrasto ancora in atto e di fronte alla aggressione che non consenta una fuga, per l?uomo più debole ha diritto di difendersi anche con un arma: non è infatti precluso un legittimo utilizzo di una eventuale arma quale strumento di possibile difesa dinanzi alla concreta prospettiva di subire lesioni ulteriori e più gravi.

La entità delle lesioni o l'utilizzo di un arma non escludono affatto la possbilità di una difesa legittima.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 aprile ? 6 settembre 2016, n. 36987
Presidente Sabeone ? Relatore Micheli.

Ritenuto in fatto

Il difensore di A.C. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei confronti del suo assistito, in data 01/06/2010, dal Tribunale di Catanzaro. Il ricorrente risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per il reato di lesioni personali (così riqualificato un originario addebito di tentato omicidio), in ipotesi commesso in danno di M.R. . Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, il C. ed il M. erano stati protagonisti di una colluttazione, verosimilmente occasionata da un diverbio conseguente ad un loro incontro e dovuto alla circostanza che il ricorrente, poco tempo prima, aveva presentato una denuncia a carico del M. per violazioni edilizie: durante quella lite, i due si erano affrontati a mani nude, ma ad un certo punto il C. aveva estratto dalla tasca un coltello, attingendo la controparte all?addome.
Con l?odierno ricorso, la difesa lamenta:
- violazione degli artt. 132, 133 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., nonché mancanza di motivazione della sentenza impugnata.
Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello si sarebbe limitata ad una operazione di "copia-incolla" di alcuni passaggi della decisione di primo grado, senza sviluppare proprie ed autonome argomentazioni in ordine ai profili di doglianza avanzati in sede di gravame; nel ricorso vengono richiamati alcuni principi generali in tema di obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, anche alla luce del dettato di cui all?art. 111 Cost..
- inosservanza ed erronea applicazione dell?art. 52 cod. pen..
Il difensore del C. sottolinea che sono gli stessi giudici di merito a precisare come la contesa tra l?imputato e la parte civile derivò da una iniziativa del M. , che peraltro era - per differenza di costituzione fisica e di età - sicuramente in grado di sopraffare lo stesso ricorrente: questi, pertanto, si limitò a difendersi con l?unico mezzo disponibile, percependo una situazione di imminente pericolo per la propria incolumità (tant?è che, sferrato un unico colpo con il coltello che egli portava al seguito, il ricorrente arrestò immediatamente la propria azione, in seguito consentendo alla polizia giudiziaria di rinvenire quello strumento di offesa con un coerente atteggiamento di collaborazione). In definitiva, il C. non ebbe modo di discernere alternative rispetto alla necessità di reagire all?aggressione, stante l?attualità del pericolo anzidetto e l?impossibilità di calibrare la reazione: a tal fine, la difesa fa osservare che, contrariamente a quanto ritiene la Corte territoriale, "la tipologia delle lesioni riportate dall?imputato non può essere assolutamente utilizzata come metodo di paragone per escludere la proporzionalità dell?azione posta in essere dallo stesso nei confronti del sig. M. ". Né potrebbe ravvisarsi sproporzione ex se nella determinazione del C. di ricorrere ad un coltello, visto che egli - a causa dell?evidente stato di inferiorità fisica rispetto al suo aggressore - non ebbe la concreta possibilità di difendersi con lo stesso mezzo utilizzato dalla controparte.
In ogni caso, in via subordinata, nella fattispecie concreta sarebbe stato ravvisabile un eccesso colposo in legittima difesa, avendo avuto il ricorrente una falsata percezione della gravità del pericolo che incombeva su di lui, a causa della concitazione del momento.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.
2. Deve comunque disattendersi il primo motivo, atteso che la pronuncia impugnata non si limita affatto ad evocare in via apodittica la motivazione assunta dal Tribunale sui punti oggetto del gravame, mostrando invece di condividerne le argomentazioni anche attraverso profili di valutazione autonoma: il rilievo si attaglia allo stessa struttura della pronuncia oggetto dell?odierno ricorso, che - dopo avere passato in rassegna gli aspetti caratterizzanti la decisione di primo grado Tribunale, e precisato che le censure difensive costituivano iterazioni di doglianze già congruamente disattese - ben distingue alle pagg. 3 e seguenti le proprie osservazioni rispetto a quelle richiamate per relationem. Appare quindi fornita "la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento, e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione" (Cass., Sez. VI, n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv 261839).
3. Quanto alla esclusione della configurabilità della scriminante ex art. 52 cod. pen., invece, le pur conformi conclusioni assunte dai giudici di merito non sembrano adeguatamente motivate.
3.1 Il Tribunale, a riguardo, scrive che "pur a fronte di una colluttazione tra le parti in cui il M. risultava avere la meglio, la tipologia delle lesioni riportate dall?imputato ("piccola tumefazione ed escoriazione in zona zigomatica e livido sulla coscia") (...) non consentono di ravvedere una proporzione tra offesa e difesa posta in essere per mezzo di un?arma. Giova ricordare, peraltro, come secondo la Suprema Corte di Cassazione la causa di giustificazione in parola sia (...) da escludere in tutti quei casi in cui l?aggredito possa comunque allontanarsi dal luogo dell?aggressione, ponendo in essere un commodus discessus (...). Né può configurarsi alcuna legittima difesa sul piano putativo, in difetto di qualsiasi elemento oggettivo idoneo, nel caso di specie, ad inficiare sia pure nella rappresentazione della realtà da parte dell?imputato il corretto giudizio circa la proporzionalità tra offesa e difesa".
È dunque pacifico che, secondo il Tribunale, la - non contestata da alcuno maggiore fisicità del M. avesse consentito alla presunta persona offesa di "avere la meglio" sul C. , sia pure con il risultato di cagionare a quest?ultimo lesioni sostanzialmente modeste; a questo punto, però, rimaneva necessario esporre le ragioni del perché, in un contrasto tra due soggetti con obiettiva differenza di stazza e forza, contrasto ancora in atto e dove era stato lo stesso M. a palesare per primo intenzioni aggressive, per l?uomo più debole dovesse intendersi comunque precluso un legittimo utilizzo dell?unica arma che aveva, quale strumento di possibile difesa dinanzi alla concreta prospettiva di subire lesioni ulteriori e più gravi. Parimenti non affrontato, se non con affermazione apodittica, il tema di una prospettiva di fuga del C. , atteso che - come evidenziato nella stessa sentenza di primo grado, a pag. 7 - egli era stato aggredito da tergo con calci e pugni, sino a potersi definire "sopraffatto fisicamente dal suo avversario": tale soverchiante condizione, sul piano pratico, ben avrebbe potuto impedire all?imputato un pur disonorevole discessus.
Peraltro, deve notarsi che il precedente giurisprudenziale invocato, sul punto, dalla sentenza del Tribunale appare esprimere principi non del tutto in linea con le tesi sostenute dal giudice di primo grado: la massima della pronuncia recita che "ai fini del riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa, il requisito della necessità della difesa, anche a seguito delle modifiche apportate all?art. 52 cod. pen. dalla legge n. 59 del 2006, va inteso nel senso che la reazione deve essere, nelle circostanze della vicenda apprezzate ex ante, l?unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto", con annullamento della decisione di appello, sfavorevole all?imputato, proprio per non avere adeguatamente spiegato come le circostanze del caso concreto avessero potuto consentirgli di sottrarsi alla presunta aggressione (Cass., Sez. V, n. 25653 del 14/05/2008, Diop, Rv 240447).
3.2 Anche la sentenza della Corte di appello richiama una decisione di legittimità non del tutto pertinente, secondo cui "in tema di legittima difesa, affinché sussista la proporzione fra offesa e difesa occorre effettuare un confronto valutativo, effettuato con giudizio ex ante, sia fra i mezzi usati e quelli a disposizione dell?aggredito che fra i beni giuridici in conflitto. Ne consegue che il requisito della proporzione viene comunque meno nel caso di conflitto fra beni eterogenei, allorché la consistenza dell?interesse leso (la vita o l?incolumità della persona) sia enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (il patrimonio), ed il danno inflitto (morte o lesione personale) abbia un?intensità di gran lunga superiore a quella del danno minacciato (sottrazione della cosa)" (Cass., Sez. I, n. 45407 del 10/11/2004, Podda, Rv 230392). In quella fattispecie concreta, il proprietario di un ovile aveva esploso due colpi di fucile all?indirizzo di un uomo, rimasto gravemente ferito, sorpreso nell?atto di commettere un furto; l?esclusione della scriminante in argomento era perciò da intendere in re ipsa, attesa la palese non omogeneità tra il bene patrimoniale che l?agente aveva ritenuto di difendere e l?integrità fisica dell?autore del fatto presupposto, per quanto ingiusto.
La giurisprudenza di questa Corte, semmai, ha inteso precisare che tra beni omogenei oggetto al contempo dell?offesa e della difesa può comunque non sussistere proporzione avuto riguardo alla consistenza obiettiva dell?interesse leso, quando questo coincida con la vita della persona e sia perciò "molto più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (l?integrità fisica), ed il danno inflitto con l?azione difensiva (la morte dell?offensore) abbia un?intensità e un?incidenza di gran lunga superiore a quella del danno minacciato (lesioni personali, neppure gravi al momento dell?inizio dell?azione omicida)" (Cass., Sez. I, n. 47117 del 26/11/2009, Carta, Rv 245884). La fattispecie concreta di cui alla massima appena ricordata era però relativa ad un caso di colluttazione a mani nude di breve durata, seguita poi dall?uso di un coltello da parte dell?aggredito, il quale aveva colpito più volte l?aggressore mentre costui indietreggiava: situazione, dunque, niente affatto sovrapponibile a quella oggi sub judice, dove - si ribadisce - la prima condotta violenta del M. aveva sopraffatto il C. , e questi (con l?altro che ancora lo fronteggiava) aveva afferrato il coltello, colpendo la persona offesa una sola volta.
La Corte territoriale afferma che "i mezzi usati sono risultati sproporzionati, posto che l?aggressione fisica posta in essere dalla vittima a mani nude, pur nella soccombenza dell?imputato, non avrebbe potuto avere effetti letali, mentre il coltello usato, con lama da punta e da taglio di circa 7 cm., costituisce certamente strumento idoneo a cagionare la morte": osservazione che tuttavia non appare condivisibile in linea generale, non potendosi escludere in radice la legittimità di una difesa portata per mezzo di un coltello (ove questo rappresenti l?unico strumento accessibile, per un soggetto fisicamente più debole) dinanzi all?aggressione di un energumeno, seppure disarmato. In vero, "in tema di legittima difesa (art. 52 cod. pen.), è regola di esperienza che colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può, secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l?intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva, salva l?ipotesi di eventuale manifesta sproporzione della reazione" (Cass., Sez. V, n. 25608 del 24/02/2011, Faraci, Rv 250396).
Puramente assertivo, inoltre, risulta il rilievo dei giudici di appello secondo cui "non è affatto provato che l?imputato non avesse vie di fuga", ancora una volta esposto senza tenere conto della difforme fisicità dei due protagonisti della vicenda. La Corte calabrese, anzi, prende spunto dalla "riconosciuta maggiore prestanza dell?aggressore" al fine di evidenziare che - malgrado tale pacifico presupposto - le lesioni che i due contendenti si erano procurati sino al momento dell?uso del coltello erano state sostanzialmente paritarie, sì da dover escludere la ravvisabilità della difesa legittima anche sul piano putativo: ma, come sopra rilevato, nulla viene addotto circa la concreta percezione da parte del C. delle modalità della perdurante aggressione in atto ad opera del M. , né sulla possibilità che l?imputato si prefigurasse come immediato il ricorso del più forte avversario ad una maggiore violenza.
4. Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo.
La Corte di rinvio, una volta affrontato nuovamente il problema della possibile configurabilità degli estremi di una difesa legittima (e laddove ritenga di risolvere il medesimo in termini positivi) dovrà altresì verificare l?eventuale sussistenza di una ipotesi di eccesso colposo ex art. 55 cod. pen., questione allo stato assorbita.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo esame.