Applicabile anche al procedimento di sorveglianza della disposizione sul legittimo impedimento per concorrente impegno professionale del difensore, dato l'evoluzione giurisprudenziale nel senso di un rafforzamento del ruolo difensivo nel processo, del rinnovato apprezzamento del ruolo fiduciario della difesa tecnica, del perseguimento di un contraddittorio sempre più sostanziale.
Non spetta al giudice sindacare il merito delle scelte difensive (anche sulla possibilità di nomina di un sostituto processuale), valutando quel che il difensore avrebbe dovuto e potuto fare entro l’ambito di determinazioni ampiamente discrezionali, che a questi spettano in via esclusiva.
Corte di Cassazione
sez. I Penale
sentenza 26 giugno – 15 luglio 2020, n. 20998
Presidente Boni – Relatore Santalucia
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di sorveglianza di Trieste ha rigettato l’appello di P.P. contro l’ordinanza con cui il Magistrato di sorveglianza di Udine ha prorogato la misura di sicurezza della casa lavoro per un anno.
P.P. , in atto internato in casa lavoro presso la Casa circondariale di Tolmezzo in regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., è stato dichiarato delinquente abituale con l’ordinanza del 12 giugno 2014 che ha disposto la misura di sicurezza per due anni. Tale ordinanza è stata posta in esecuzione il 5 gennaio 2017, una volta venuti meno i vari titoli di custodia cautelare in carcere.
2. I motivi di appello proposti sono stati ben undici, sui quali il Tribunale ha così risposto.
2.1. Il Magistrato di sorveglianza ha bene operato nel non valutare il merito dell’ordinanza emessa il 12 giugno 2014, occupandosi soltanto dei fatti sopravvenuti, specificamente della sopravvenuta irrevocabilità di una condanna e della conferma della misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
2.2. Correttamente la procedura di riesame della pericolosità è stata attivata dopo la messa in esecuzione della misura di sicurezza, non dovendo intervenire in momento antecedente.
2.3. Nello stabilire il termine di durata della misura di sicurezza occorre aver riguardo ai massimi della pena edittale del reato commesso e non alla pena in concreto applicata.
2.4. La Corte di cassazione ha già rigettato i ricorsi dell’interessato: in punto di violazione del divieto del bis in idem, che asseritamente rileverebbe dato che P.P. ha già scontato pena detentiva in regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. ed è ora sottoposto a tale regime anche in espiazione della misura di sicurezza detentiva in conseguenza delle medesime condotte per le quali ha espiato la pena detentiva; in tema di contrasto della normativa sulle misure di sicurezza con gli artt. 5 e 7 Cedu; in riguardo alla ritenuta inutilizzabilità di alcuni colloqui con i familiari, oggetto di valutazione nel provvedimento di applicazione del regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., a cui il Magistrato di sorveglianza ha fatto riferimento per fondare il giudizio di attualità della pericolosità.
2.5. Benché, su produzione difensiva, debba prendersi atto del diminuito significato indiziario di alcune ordinanze cautelari emesse nei confronti di P.P. , resiste la valenza probatoria di alcune pendenze giudiziarie per fatti criminosi recenti relativi a episodi di intestazione fittizia di beni.
2.6. Nonostante nel 2017 il giudice della cautela personale abbia ritenuto adeguata la misura degli arresti domiciliari, occorre tener conto, ai fini del giudizio di pericolosità, di una recente condanna alla pena dell’ergastolo per un omicidio, un tentativo di omicidio e per reati connessi, commessi nel dicembre 2007 in qualità di mandante ed esponente di vertice dell’omonimo clan camorristico;
2.7. Il Magistrato di sorveglianza ha bene operato prendendo in considerazione gli accertamenti di pericolosità contenuti nel decreto ministeriale di applicazione del regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., che certo non sono vincolanti ma che, di contro, non devono essere oggetto in questa sede del vaglio di controllo proprio del Tribunale di sorveglianza investito del reclamo avverso il decreto, che peraltro è stato esperito e che si è concluso con la conferma del decreto stesso.
2.8. Il giudizio di pericolosità attuale non può essere affidato a presunzioni e però è anche legittimo non arrestarsi di fronte al dato della correttezza formale del comportamento tenuto dall’internato in carcere, dovendo piuttosto valutarsi l’assenza di una revisione critica sulle condotte criminose di associazione camorristica, il che è d’ostacolo all’esclusione di un rischio di ripresa di vincoli criminali, mai venuti meno.
2.9. È infondata l’eccezione difensiva di nullità dell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza per omesso rinvio dell’udienza, sì come richiesto dal difensore per concomitante impegno professionale. La normativa sul legittimo impedimento per contestuale impegno difensivo, infatti, non trova applicazione nel procedimento di sorveglianza.
2.10. Dal provvedimento adottato nei confronti di altro soggetto, compagno di internamento di P.P. , non si traggono elementi per desumere la censurabilità dell’ordinanza qui impugnata sotto il profilo della mancata sostituzione della misura di sicurezza detentiva con altra di tipo non detentivo. Nell’ordinanza impugnata, piuttosto, vi sono anche molti altri riferimenti a sostegno del giudizio di attuale pericolosità sociale, in particolare sulla persistente esistenza del clan P. .
3. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di P.P. , che ha articolato più motivi.
3.1. Con il primo motivo si duole della mancata rilevazione dell’abnormità dell’ordinanza impositiva della misura di sicurezza, che non tenne conto della precedente ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Modena - che dichiarò cessata la pericolosità sociale dell’internato - e che dichiarò l’abitualità nel reato ignorando che, per giurisprudenza di legittimità, non ricorrono i presupposti di legge di cui all’art. 103 c.p. quando la pluralità di delitti non colposi, accertati con distinte sentenze, sia unificata per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione in sede di cognizione.
3.2. Con il secondo motivo denuncia la nullità dell’ordinanza dichiarativa di abitualità nel reato per violazione del divieto del bis in idem, atteso che essa ha preso in esame le stesse vicende poste a fondamento del precedente provvedimento applicativo della misura di sicurezza della casa di lavoro, poi cessata per effetto della sopravvenuta insussistenza della pericolosità sociale; e per violazione del giudicato formatosi con la pronuncia del Magistrato di sorveglianza di Modena che, in data 5 settembre 2000, dichiarò la cessazione della pericolosità sociale.
Una diversa lettura delle disposizioni normative di riferimento dovrebbe condurre a sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 103 c.p. per violazione dell’art. 117 Cost. e in specie per violazione del principio convenzionale del divieto di bis in idem.
3.3. Con il terzo motivo si duole del mancato riesame di pericolosità al momento in cui la misura di sicurezza è stata applicata. L’ordinanza dichiarativa della delinquenza abituale e che applicò la misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di lavoro, fu emessa il 12 giugno 2014, e l’effettiva sottoposizione alla misura avvenne circa due anni e mezzo più tardi, il 5 gennaio 2017, a seguito della sostituzione della misura cautelare carceraria - sino ad allora in applicazione nell’ambito di un procedimento pendente dinnanzi all’autorità giudiziaria di Napoli - con quella degli arresti domiciliari.
3.4. Con il quarto motivo ha lamentato la mancata dichiarazione di estinzione della misura di sicurezza in ragione dell’avvenuto decorso del termine di durata prescritto dal Magistrato di sorveglianza che, nel non indicare la durata della misura, implicitamente l’ha quantificata in ragione del minimo di legge.
3.5. Con il quinto motivo ha denunciato l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per aver fatto decisivo richiamo ai contenuti di colloqui carcerari intrattenuti da P.P. con i familiari, benché le registrazioni di tali colloqui non fossero state autorizzate dal Magistrato di sorveglianza. L’inutilizzabilità di tali colloqui è stata, peraltro, implicitamente attestata dalla sentenza n. 48297 del 2018 della Corte di cassazione.
3.6. Con il sesto motivo ha dedotto difetto di motivazione nella parte in cui non sono adeguatamente illustrate le ragioni per le quali da un fatto storico risalente nel tempo, omicidio commesso nel 2007, e controverso in punto di accertamento di responsabilità, dovrebbero inferirsi riverberi attuali di pericolosità sociale dell’internato, nonostante siano venute meno alcune ordinanze cautelari per altri fatti, di cui era stato tenuto conto nel pregresso giudizio di pericolosità.
A dispetto di quanto affermato, il Tribunale ha invero fatto ricorso a presunzioni nel formulare il giudizio di pericolosità: seppure non vi siano condanne recenti per delitto associativo e P.P. sia lontano da tempo dai luoghi di provenienza e non abbia mai manifestato l’intenzione di fare rientro a San’Antimo, egli dovrebbe, secondo il Tribunale, fornire la prova del recesso rispetto a un vincolo solidale mai accertato con sentenza, addirittura dovendo giustificare condotte assolutamente legittime, quali quelle afferenti al contrasto nei processi alle tesi accusatorie in suo danno.
Era compito del giudice motivare sulla ricorrenza di specifici e concreti elementi sintomatici dell’attuale pericolosità sociale del ricorrente, senza rifugiarsi in presunzioni destituite di fondamento.
3.7. Con il settimo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge in ordine alla illegittimità del mancato accoglimento della richiesta di rinvio dell’udienza, tenutasi il 14 novembre 2018 dinnanzi al Magistrato di sorveglianza, motivato da concomitante impegno professionale, serio, comprovato e tempestivamente comunicato.
3.8. Con l’ottavo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e carenza assoluta di motivazione in punto di rilievi difensivi circa l’assoluta disparità valutativa consumata con l’emissione, lo stesso giorno in cui è stata adottata l’ordinanza impugnata, del provvedimento dichiarativo della diminuita pericolosità sociale dell’internato C.S. , e per l’effetto è stata in suo favore sostituita la misura di sicurezza detentiva con quella della libertà vigilata per anni uno.
4. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso merita accoglimento per la fondatezza del settimo motivo che, attenendo a profili di regolarità processuale, specificamente allo svolgimento dell’udienza tenutasi dinnanzi al Tribunale di sorveglianza, ha forza assorbente rispetto agli altri, che pertanto non vanno presi in esame.
2. Il Tribunale ha confermato la legittimità del diniego opposto dal Magistrato di sorveglianza alla richiesta di rinvio dell’udienza per concorrente impegno professionale del difensore, fondato soprattutto sull’assunto che la disciplina di cui all’art. 420-ter c.p.p., comma 5, che appunto accorda rilevanza come legittimo impedimento e quindi motivo di rinvio dell’udienza preliminare - e, per il richiamo ad esso operato dall’art. 484 c.p.p., comma 2-bis, al dibattimento - al concorrente impegno professionale del difensore, non sia estensibile al procedimento di sorveglianza.
La conclusione a cui è giunto il Magistrato di sorveglianza, e che il Tribunale ha reputato legittima, è in linea con un datato e non più attuale precedente delle Sezioni unite, per il quale "il disposto di cui all’art. 420-ter c.p.p., secondo cui il legittimo impedimento del difensore può costituire causa di rinvio dell’udienza preliminare, non trova applicazione con riguardo agli altri procedimenti camerali, ivi compresi quelli per i quali la presenza del difensore è prevista come necessaria, soccorrendo, in tali ipotesi, la regola dettata dall’art. 97 c.p.p., comma 4" - Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006, Passamani, Rv. 234146 -.
3. A tale ultimo principio di diritto hanno fatto adesione alcune pronunce, che però costituiscono un orientamento minoritario e che progressivamente sta perdendo consistenza. Il riferimento è a Sez. 1, n. 39808 del 29/11/2017, dep. 2018, Di Matteo, Rv. 273847 e a Sez. 1, n. 50160 del 16/05/2017, Gualtieri, Rv. 271542, le quali, nel ricordare la citata sentenza delle Sezioni unite, hanno valorizzato l’assenza di una specifica disciplina per il procedimento di sorveglianza - e per il procedimento di esecuzione -, in uno con le peculiarità che li connotano in ragione dell’esigenza di una rapida attuazione del giudicato già formatosi.
Le menzionate decisioni hanno concordemente escluso che la validità del principio sia messa in discussione dalle evoluzioni della giurisprudenza delle Sezioni unite e specificamente dalla pronuncia con cui si è statuito che la mancata concessione del rinvio della trattazione dell’udienza camerale in presenza di una dichiarazione di adesione del difensore all’iniziativa dell’astensione dalla partecipazione alle udienze legittimamente proclamata dagli organismi di categoria "determina una nullità per la mancata assistenza dell’imputato, ai sensi dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), che ha natura assoluta ove si tratti di udienza camerale a partecipazione necessaria del difensore, ovvero natura intermedia negli altri casi" - Sez. U, n. 15232 del 30/10/2014, dep., Tibo e altro, Rv. 263021 -. Ciò perché, come osservato dalle stesse Sezioni unite, vi è una significativa differenza tra il caso dell’adesione all’astensione collettiva di categoria e quello del concomitante impegno professionale, siccome "il legittimo impedimento è funzionale al diritto di difesa dell’assistito, il cui esercizio può essere diversamente modulato in considerazione del rito a cui accede, purché sia in funzione dello scopo del giudizio; l’astensione per adesione all’agitazione di categoria è, invece, funzionale all’esercizio di un diritto costituzionale del difensore, che ha valenza pari agli altri diritti costituzionali e fondamentali che vengono in gioco nel procedimento, ma in relazione ai quali il legislatore ha introdotto un autonomo sistema per operare, a monte, il loro bilanciamento".
Da ultimo, Sez. 1, n. 18304 del 14 febbraio 2020, Viserta, ha ritenuto, in linea con le pronunce appena richiamate, che l’art. 420-ter c.p.p., comma 5, resti estraneo al procedimento di esecuzione, facendo leva sostanzialmente sulle stesse ragioni dei precedenti a cui si è conformata.
4. Di contro, l’opposto orientamento, inaugurato da Sez. 1, n. 27074 del 03/05/2017, Recupero, Rv. 270343, conclude per l’applicabilità anche al procedimento di sorveglianza della disposizione sul legittimo impedimento per concorrente impegno professionale del difensore, valorizzando le varie pronunce delle Sezioni unite, successive alla sentenza Passamani, che si sono mosse nel senso del rafforzamento del ruolo difensivo nel processo, del rinnovato apprezzamento del ruolo fiduciario della difesa tecnica, del perseguimento di un contraddittorio sempre più sostanziale.
La sentenza Passamani è ritenuta di "attualità affievolita" alla luce anzitutto di Sez. U, n. 40187 del 27/03/2014, Lattanzio, Rv. 259926, che ha valutato come illegittimo il rigetto dell’istanza di rinvio per astensione, motivato dal giudice di merito con l’esigenza di evitare ad un teste residente in altra regione il disagio di dover affrontare un ulteriore lungo viaggio per sottoporsi all’esame; ed ha così affermato il principio di diritto per il quale il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, dichiarato idoneo dalla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, così come la previgente Regolamentazione provvisoria adottata dalla Commissione di garanzia con deliberazione del 4 luglio 2002 costituiscono fonte di diritto oggettivo contenente norme aventi forza e valore di normativa secondaria o regolamentare, vincolanti erga omnes, ed alle quali anche il giudice è soggetto in forza dell’art. 101 Cost., comma 2.
Quindi, per l’intervento di Sez. U, n. 41432 del 21/07/2016, Nifo Sarrapochiello e altri, Rv. 267747, per la quale la regola di cui all’art. 420-ter c.p.p., comma 5, trova applicazione nel giudizio camerale di appello a seguito di giudizio abbreviato in primo grado, per la necessità di assicurare il contraddittorio tra le parti in maniera sostanziale e non solo formale, e per la considerazione che la scelta difensiva di comparire all’udienza, secondo una specifica linea difensiva, non può essere vanificata da un evento imprevisto e imprevedibile o da forza maggiore, perché altrimenti sarebbe compresso il diritto di difesa e sarebbero violate le garanzie fondamentali dell’imputato senza che sia possibile giustificare il sacrificio difensivo come conseguenza necessitata del miglior soddisfacimento delle esigenze di celerità e snellezza proprie del rito camerale.
L’evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni unite - si è poi aggiunto deve essere considerata in uno con la necessità di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina generale di cui all’art. 127 c.p.p., traendosi dalla previsione del rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che abbia introdotto nel procedimento una condotta specifica (la richiesta di essere sentito) - comma 4 - la conseguenza che il difensore ha, invece, diritto al rinvio dell’udienza in forza della facoltà generale di opporre il legittimo impedimento, sempre che serio, comprovato e tempestivamente comunicato.
Dopo aver premesso che il procedimento di sorveglianza è qualificato dalla partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero, si è allora affermato che, nonostante la carenza di una specifica disciplina del diritto di difesa nei riti camerali, anche a partecipazione necessaria, è comunque ad essi applicabile la norma di cui all’art. 420-ter c.p.p., comma 5, posto che la soluzione opposta, di ritenere irrilevante l’impedimento del difensore, priverebbe di effettività il diritto di difesa, attesa la non equiparabilità della posizione del difensore nominato per l’udienza rispetto a quella del difensore sostituto ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4 - Sez. 1, n. 34100 del 04/07/2019, Longo, Rv. 277310 -.
Il principio ha trovato applicazione anche ad opera di Sez. 1, n. 21103 del 15/01/2019, Selmi, n. m., in un caso relativo all’impedimento del difensore determinato dall’impossibilità di raggiungere la sede giudiziaria per l’interruzione delle vie di comunicazione determinata dal sopraggiunto innevamento del territorio.
Sulla stessa linea si è più di recente collocata Sez. 1, n. 10565 del 16/01/2020, Bassetta, Rv. 278488, che ha opportunamente evidenziato come sarebbe irragionevole e non seriamente sostenibile una differenziazione di disciplina, per gli impedimenti difensivi nel rito camerale, a seconda della causa dell’impedimento, specificamente se rinvenibile in ragioni di salute o di concorrente impegno professionale, facendo così applicazione solo parziale dei principi da ultimo espressi dalla sentenza Nifo Sarrapochiello delle Sezioni unite che, appunto, si è occupata di un caso relativo ad impedimento difensivo per ragioni di salute.
Ha sul punto rilevato che in entrambe le ipotesi è comune "il dato della obiettiva impossibilità a che il diritto di difesa possa essere esercitato con la modalità, scelta dal legislatore, della personale presenza del difensore all’udienza ove si attua il contraddittorio processuale".
6. Le ragioni poste a fondamento dell’orientamento appena ora illustrato meritano condivisione e fanno concludere per l’illegittimità dell’impugnata ordinanza che ha confermato la validità della decisione del Magistrato di sorveglianza di non rinviare la trattazione del procedimento, nominando d’ufficio un sostituto al difensore di fiducia che pure aveva documentato per tempo l’esistenza di un concorrente impegno professionale.
In senso contrario non può assumere rilievo la deduzione fatta dal Magistrato di sorveglianza al fine di rafforzare la decisione di non accogliere la richiesta di rinvio, e specificamente che il difensore richiedente avrebbe potuto designare quale sostituto per l’udienza uno dei due difensori la cui nomina era stata revocata contestualmente alla nomina fatta in suo favore. Non spetta infatti al giudice sindacare il merito delle scelte difensive, valutando quel che il difensore avrebbe dovuto e potuto fare entro l’ambito di determinazioni ampiamente discrezionali, che a questi spettano in via esclusiva.
7. Per quanto sino a qui argomentato, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Trieste.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Trieste.