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Legittima difesa negata se ci si sfida (Cass. 15460/18)

6 aprile 2018, Cassazione Penale

Se ci sono possibilità alternativa allo scontro (come ad esempio la fuga), o di difendersi "a mani nude" senza utilizzare alcuno strumento offensivo, non c'è legittima difesa.

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 gennaio – 6 aprile 2018, n. 15460
Presidente Vessichelli – Relatore Caputo

Ritenuto in fatto

1. Nei confronti di M.C. veniva esercitata l’azione penale per il reato di omicidio per avere cagionato la morte di L.A., attingendolo con una coltellata al cuore.
Con sentenza deliberata, all’esito del giudizio abbreviato, in data 01/12/2014, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma riqualificava il fatto quale omicidio preterintenzionale e, con le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante della provocazione, lo condannava, con la riduzione per il rito, alla pena principale di anni 6 di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
Investita dell’appello dell’imputato, la Corte di assise di appello di Roma, con sentenza deliberata il 05/11/2015, ha rideterminato in melius la pena principale, riducendola ad anni 5 di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di assise di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione M.C., attraverso il difensore avv. C. Farina, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 52 cod. pen. e travisamento della prova.
Erroneamente la Corte di appello ha escluso, ai fini della legittima difesa, una situazione di equivalenza tra gli interessi in gioco, in quanto l’evento morte, non essendo voluto dall’agente, non può essere posto in confronto con l’incolumità individuale, laddove la violenza subita dall’imputato all’interno del locale, la sua decisione di chiamare "rinforzi" e le gravissime minacce pronunciate avrebbero indotto chiunque a sentirsi esposto al rischio di aggressione, con conseguente possibile lesione del medesimo bene giuridico dell’incolumità individuale.
La Corte di assise di appello ha omesso di valutare le dichiarazioni di Ma.Si. , che ha riferito di aver sentito L. chiamare altri amici e di averlo visto fuori dalla discoteca con un altro ragazzo e che entrambi avevano un atteggiamento violento; del pari non sono state valutate le dichiarazioni di R.V. , che ha riferito dell’arrivo di diverse persone tra le quali un ragazzo con atteggiamento minaccioso e un tatuaggio sul collo e che si era frapposta tra questi e l’imputato per evitare il peggio. Il giudice di secondo grado ha basato il proprio convincimento sulle dichiarazioni di L.L. , per sua stessa ammissione sotto l’influenza di alcolici, e di S.C. , fidanzata della vittima, che la sentenza di primo grado neppure aveva preso in considerazione, laddove il teste C. ha riferito che quando l’imputato aveva raggiunto l’inizio del parcheggio, la vittima lo raggiungeva e iniziavano una lite nel corso della quale si picchiavano in maniera anche un pò goffa e il teste G. ha dichiarato che la vittima era riuscita a divincolarsi dai buttafuori che lo trattenevano. Diversamente da questo sostenuto dalla sentenza impugnata, M. non poteva fuggire, perché era stato ormai raggiunto e doveva preoccuparsi delle sorti proprie e della fidanzata e non aveva altra possibilità di scelta.
2.2. Il secondo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 55 cod. pen. e mancanza di motivazione. Erroneamente la sentenza impugnata ha affermato che l’eccesso colposo nella legittima difesa postula i medesimi presupposti della scriminante, in quanto, al contrario, si caratterizza proprio per la mancanza di adeguatezza della reazione; l’art. 55 cod. pen. disciplina un’ipotesi nettamente distinta dall’art. 59, u.c., cod. pen., in quanto l’errore considerato da quest’ultima disposizione presuppone l’assenza degli estremi oggettivi della scriminante, mentre l’art. 55 cod. pen. presuppone l’esistenza di una causa di giustificazione sia pure in una dimensione differente da quella oggetto di rappresentazione da parte dell’agente.
3. Con memoria in data 07/03/2017, il difensore dell’imputato ha richiamato i contenuti del ricorso, chiedendone l’accoglimento.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. Il primo motivo, nella parte in cui denuncia l’inosservanza dell’art. 52 cod. pen. (e rinviando più oltre l’esame delle censure afferenti a dedotti travisamenti probatori), e il secondo motivo non sono fondati.
2.1. In premessa (e in estrema sintesi), mette conto richiamare gli elementi valorizzati dalla Corte di merito nel confermare l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di omicidio preterintenzionale, disattendendo le prospettazioni difensive tese al riconoscimento della legittima difesa, anche putativa (pagg. 8 ss. dell’atto di appello) o dell’eccesso colposo in detta scriminante (pagg. 11 ss. dell’atto di appello). La sentenza impugnata ha richiamato, in primo luogo, il racconto di Ge.Ri. , che era stato colpito da un pugno sferratogli dal giovane con il tatuaggio sul collo (L.L. , amico di L.A. ) che poi era fuggito inseguito dallo stesso Ge. , il quale, tornato poi indietro, aveva visto L. accasciarsi a terra: dalle dichiarazioni di Ge. , osserva la Corte di merito, emerge che lo scontro nel corso del quale si è verificato l’accoltellamento è intervenuto quando l’imputato e la vittima erano da soli, sicché M. non è stato aggredito da più persone, posto che L.L. non è intervenuto direttamente contro di lui (ma contro Ge. ) e si era allontanato prima che la vittima venisse colpita. Rileva ancora il giudice di appello che una sostanziale conferma a questa ricostruzione dei fatti si è avuta con la deposizione di L. , che ha riferito di essersi allontanato inseguito dalle persone che stavano picchiando il suo amico L. e, dopo esser tornato sul posto, lo aveva trovato in terra ferito. Analoghe indicazioni erano giunte da S.C. (fidanzata della vittima) e lo stesso imputato, nel corso dei suoi interrogatori, dopo aver affermato di essersi visto venire incontro L. seguito da varie altre persone, ha precisato di essere stato raggiunto e aggredito solo da quest’ultimo (e non anche da altri) e ha escluso di essere stato inseguito da qualcuno mentre si allontanava dal luogo della contesa. Ha rilevato inoltre la Corte di assise di appello che, in ogni caso, è pacifico che la vittima (così come le altre persone presenti) non aveva a disposizione alcuna arma, mentre l’imputato, per sua stessa ammissione, aveva un coltello a serramanico con una lama lunga circa 10 centimetri, ossia un’arma con caratteristiche di indubbia micidialità: M. , più alto e robusto di L. , aveva, quindi, la possibilità di fronteggiarlo e di difendersi "a mani nude", senza utilizzare alcuno strumento offensivo e poteva comunque cercare di allontanarsi, insieme con la sua ragazza, usando l’auto parcheggiata a breve distanza, ma, "di fronte alle affermazioni di L. che lo sfidava e lo invitava allo scontro diretto (tra loro due soli)", l’imputato ha "scelto di fermarsi, di tirar fuori da una tasca il coltello, di estrarne manualmente la lama e di utilizzarlo per colpire al torace il suo avversario", la prima volta con un colpo sferrato senza forza, la seconda volta con un colpo inferto con particolare violenza, in quanto la lama è penetrata nella cavità toracica e, passando tra due costole, ha raggiunto il cuore.
2.2. Nei termini indicati, la sentenza impugnata ha rilevato che "la situazione concreta" consentiva all’imputato altre soluzioni idonee ad evitare il verificarsi dell’evento e, come si è visto, prima di tutto l’allontanamento dal luogo con l’auto parcheggiata a breve distanza: a fronte delle deduzioni del ricorrente circa vizi motivazionali, come si vedrà, insussistenti, il rilievo è correlato ai plurimi dati probatori che descrivono il segmento della vicenda che ha visto l’imputato, arrivato a breve distanza dall’auto parcheggiata, contrapporsi - egli solo armato del coltello indicato - alla vittima (sola e "a mani nude"). Il rilievo giova a dar conto dell’insussistenza dei presupposti della scriminante (anche putativa), posto che, secondo l’orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di questa Corte, l’accertamento della legittima difesa putativa, così come di quella reale, deve essere effettuato con giudizio ex ante delle circostanze di fatto, rapportato al momento della reazione e dimensionato nel contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete al fine di apprezzare solo in quel momento l’esistenza dei canoni della proporzione e della necessità di difesa (Sez. 5, n. 3507 del 04/11/2009 - dep. 2010, Siviglia, Rv. 245843; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 33591 del 03/05/2016, Bravo, Rv. 267473); circostanze concrete, peraltro, alla luce delle quali, nel caso di specie, la Corte di merito ha altresì rimarcato la mancanza di proporzione tra l’offesa minacciata e la reazione difensiva (cfr. ex plurimis, Sez. 1, n. 47117 del 26/11/2009, Carta, Rv. 245884; Sez. 1, n. 45407 del 10/11/2004, Podda, Rv. 230392; Sez. 1, n. 9695 del 15/04/1999, De Rosa, Rv. 214936). D’altra parte, la Corte distrettuale ha ricostruito il segmento decisivo della vicenda rilevando, in buona sostanza, che il ricorrente aveva accettato la sfida di L. , il che, secondo l’orientamento anch’esso del tutto consolidato della giurisprudenza di questa Corte, esclude la configurabilità della scriminante (ex plurimis, Sez. 1, n. 4874 del 27/11/2012 - dep. 2013, Spano, Rv. 254697; Sez. 1, n. 9606 del 09/01/2004, De Rosa, Rv. 227222), come, del resto, puntualmente rilevato dalla sentenza di primo grado.
Dalla ritenuta insussistenza dei presupposti della scriminante (con conseguente infondatezza, in parte qua, del primo motivo) discende, nel percorso argomentativo dei giudici di merito, l’esclusione della configurabilità dell’eccesso colposo della legittima difesa, conclusione, questa, del tutto coerente con il consolidato principio di diritto in forza del quale non può essere configurato l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 cod. pen. in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti (Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, Paoletti, Rv. 256017; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, P., Rv. 247898; Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008 - dep. 2009, P.G. in proc. Olari, Rv. 242349).

Del resto, come questa Corte ha avuto modo di affermare, vanno esclusi l’eccesso di legittima difesa e la legittima difesa putativa allorquando l’aggressore attenti con arma da taglio all’incolumità di un uomo disarmato mirando a zone vitali del corpo, senza presentare a sua volta alcuna lesione dimostrativa di un’aggressione patita. (così, sia pure in tema di tentato omicidio, Sez. 1, n. 26878 del 25/05/2012, Inturri, Rv. 253068). Anche il secondo motivo, pertanto, non merita accoglimento, restando prive di incidenza sul decisum le ulteriori deduzioni circa i rapporti tra eccesso colposo e legittima difesa putativa.
3. Restano da esaminare le doglianze relative a vizi motivazionali articolate con il primo motivo: anch’esse non meritano accoglimento.
3.1. In limine, deve osservarsi che già la Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di rito rilevava che la mancanza di motivazione non deve essere intesa solo in senso materiale o grafico, ossia come "totale mancanza della parte espositiva delle ragioni della decisione", ma anche quale "mancanza di singoli momenti esplicativi, sempre però che questi siano ineliminabili nel rapporto tra i temi sui quali si doveva esercitare il giudizio e il contenuto di questo". In questa prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha delimitato il campo in cui assume rilievo il vizio di mancanza di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. chiamando in causa, principalmente, il rapporto tra la motivazione del giudice di appello e le censure ritualmente proposte con l’impugnazione, atteggiandosi, così, a presidio del devolutum: del tutto consolidato, nella prospettiva indicata, è il principio di diritto in forza del quale sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 - dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967; conf. Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129), requisito, questo della decisività, inteso dalla giurisprudenza di legittimità come "potenziale capacità dimostrativa della insussistenza delle contestazioni" rivestita dalla deduzione difensiva rispetto alla quale viene denunciata la mancanza di motivazione (Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009, Greco, Rv. 244763, in motivazione).
3.2. Negli stessi termini in cui sono stati dedotti, i denunciati vizi motivazionali per mancata valutazione delle dichiarazioni rese da Ma.Si. e da R.V. sono del tutto privi di capacità dimostrativa idonea ad inficiare la tenuta logico-argomentativa della decisione delle conformi sentenze di merito. Le dichiarazioni di Ma. attengono, all’evidenza, alle fasi anteriori allo scontro "frontale" che vide contrapposti imputato e vittima (e solo loro, come rimarca il giudice di appello) ed è esclusivamente con riguardo a tale scontro che i giudici di merito hanno sviluppato le proprie argomentazioni a sostegno della decisione. Quanto alle dichiarazioni di R. , le relative deduzioni omettono di prendere in considerazione la ricostruzione complessiva offerta dalla Corte distrettuale in ordine alla condotta del ragazzo tatuato, ossia L.L. , svolta sulla base di plurimi elementi probatori (in primis, la deposizione di Ge. ), sicché la doglianza risulta del tutto carente della necessaria correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005, Orrù, Rv. 230751). Rilievo, questo, riferibile peraltro altresì alla stessa censura incentrata sulle dichiarazioni di Ma. , che, come quelle relative a R. , risultano dedotte in assenza di puntuale correlazione con il complessivo compendio probatorio, costituito, come si è visto, anche dalle stesse dichiarazioni dell’imputato, rispetto alle quali il ricorso si sottrae a qualsiasi disamina critica.
Le ulteriori censure relative alle dichiarazioni rese dai testi L. , S. , C. e G. sono inammissibili posto che, come questa Corte ha avuto modo di affermare, è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita (Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774).
4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che, vista la nota spese prodotta, devono essere liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate in complessivi Euro 3000 (tremila) oltre accessori di legge.