La parte privata, nel processo penale, non può usare la pEC come forma di comunicazione e/o notificazione all'autorità giudiziaria, stante la preclusione alla adozione di forme di comunicazione non espressamente previste dalle disposizioni processuali, cosicché la richiesta di rinvio d’udienza eventuale trasmessa per via informatica non viene regolarmente trasmessa e, quindi, non può considerarsi depositata, con la conseguenza che non può esserne lamentata la mancata considerazione da parte del giudice (tanto più se manca la prova della diligenza del mittente nell'accertarsi che sia stata effettivamente sottoposta al giudice).
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 22 maggio – 5 settembre 2019, n. 37126
Presidente Izzo – Relatore Liberati
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 18 giugno 2018 la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’impugnazione proposta da C.F. nei confronti della sentenza del 26 maggio 2015 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Siena, con cui, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso era stato condannato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p., commesso nei confronti del coniuge convivente.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato la mancata considerazione da parte della Corte d’appello di Firenze della propria richiesta di rinvio dell’udienza del 18 giugno 2018, richiesta con cui era stata rappresentata l’esistenza di un concomitante impegno professionale del difensore di fiducia dell’imputato, innanzi al Tribunale di sorveglianza di Napoli, in un procedimento concernente un detenuto, nonché l’impossibilità di nominare sostituti processuali; tale richiesta era stata inviata mediante posta elettronica certificata il 29 maggio 2005 (rectius 2018) e regolarmente ricevuta dalla cancelleria della Corte d’appello di Firenze, come risultava dal relativo rapporto di accettazione e consegna, ed era anche stata spedita mediante il servizio postale, con allegate una memoria difensiva, una sentenza del Tribunale di Siena e una perizia psichiatrica attestante l’incapacità di stare in giudizio dell’imputato, ma nonostante ciò non era stata considerata dalla Corte territoriale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Va ribadito che nel processo penale non è consentito alle parti private inviare mediante posta elettronica certificata atti di alcun genere (cfr. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443; Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Livisianu, Rv. 263189; Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P., Rv. 270702; Sez. 5, n. 12347 del 13/12/2017, dep. 16/03/2018, Gallo, Rv. 272781), compresi l’atto di opposizione a decreto penale (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272740; Sez. 3, n. 50932 del 11/07/2017, Giacinti, Rv. 272095) e la richiesta di rinvio per legittimo impedimento (Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, cit).
Ai sensi dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, artt. 149, 150 e 151 c.p.p., comma 2, e della L. n. 221 del 2012 (di conversione del D.L. n. 179 del 2012), l’utilizzo della posta elettronica certificata è consentito, a decorrere dal 15/12/2014, solamente per eseguire le comunicazioni di cancelleria alle persone diverse dall’imputato.
Questa stessa Sezione terza ha al riguardo chiarito (cfr. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443, cit.), che, a differenza di quanto previsto per il processo civile, nel processo penale tale forma di trasmissione, per le parti private, non è consentita (fatta eccezione per alcune situazioni particolarissime, quale la presentazione delle richieste e delle memorie delle parti al giudice competente nel procedimento di convalida del divieto di accedere a manifestazioni sportive con obbligo di presentazione all’ufficio di p.s., essendo stato rilevato che la L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 6, comma 2 bis, non prescrive che tali atti debbano essere necessariamente depositati in cancelleria ed essendo ciò connaturale alla particolare natura, cartolare ed informale, del procedimento ed alla ristrettezza dei termini, stabiliti ad horas, entro cui deve concludersi il controllo di legalità di provvedimenti che limitano la libertà personale, pena l’inefficacia delle relative prescrizioni, cfr. Sez. 3, n. 14832 del 13/12/2017, dep. 04/04/2018, Barzanti, Rv. 272692; o la notificazione da parte degli imputati alle parti civili di una richiesta di rimessione del processo ex art. 45 c.p.p., ritenuta ammissibile sul rilievo che tale modalità di notifica era stata previamente autorizzata dal giudice di merito, avuto riguardo al brevissimo termine di sette giorni entro cui i richiedenti avrebbero dovuto adempiere all’incombente nei confronti di numerosissimi aventi diritto, cfr. Sez. 5, n. 55886 del 02/10/2018, Giustini, Rv. 274603).
Nel processo civile l’art. 366 c.p.c., comma 2, (così come previsto dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, che ha modificato la L. n. 53 del 1994), ha introdotto espressamente la posta elettronica certificata quale strumento utile per le notifiche da parte degli avvocati a ciò autorizzati. Già il D.M. n. 44 del 2011 aveva disciplinato con maggiore attenzione l’invio delle comunicazioni e delle notifiche in via telematica dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari del giudice nel processo civile, in attuazione della L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 51. In tale contesto assume rilevanza la disposizione di cui all’art. 4 che prevede l’adozione di un servizio di posta elettronica certificata da parte del Ministero della Giustizia, in quanto, ai sensi di quanto disposto dalla L. n. 24 del 2010 nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica devono effettuarsi, mediante posta elettronica certificata. Quest’ultima disposizione è stata rinnovata anche dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, che, all’art. 16, comma 4, ha stabilito che "Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2-bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria".
Ne consegue, pertanto, che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è - allo stato - consentito quale forma di comunicazione e/o notificazione, stante la preclusione alla adozione di forme di comunicazione non espressamente previste dalle disposizioni processuali, cosicché la richiesta di rinvio d’udienza, di cui si lamenta da parte del ricorrente la mancata considerazione da parte della Corte d’appello, non è stata regolarmente trasmessa e, quindi, non può considerarsi depositata (non essendovi, poi, prova della ricezione della medesima richiesta spedita mediante il servizio postale), con la conseguenza che non può esserne lamentata la mancata considerazione da parte della Corte d’appello.
D’altra parte, anche secondo il diverso orientamento, che ritiene non irricevibili gli atti trasmessi dalle parti mediante posta elettronica certificata (di cui alla sentenza di questa stessa Sez. 3, n. 43134 del 17/5/2018, Lo Monaco, non massimata, richiamata, peraltro genericamente, anche dal ricorrente), occorre comunque una tempestiva e diligente attivazione del mittente allo scopo di verficare che l’atto così inviato, specie se avente il carattere dell’urgenza, sia stato sottoposto al giudice che procede (cfr., per l’analoga questione della trasmissione degli atti mediante telefax, Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963; Sez. 5, n. 7706 del 16/10/2014, dep. 19/02/2015, Chessa, Rv. 262835; Sez. 1, n. 1904 del 16/11/2017, dep. 17/01/2018, Deriu Rv. 272049), che nel caso in esame non è stata neppure prospettata, cosicché anche secondo detto orientamento interpretativo, richiamato dal ricorrente, non vi sono elementi per poter affermare che si sia verificata la mancata considerazione della richiesta difensiva, non essendovi elementi per ritenere che essa, pur se irritualmente pervenuta nell’ufficio giudiziario, sia stata sottoposta al Collegio, che abbia colpevolmente omesso di prenderla in esame.
Ciò comporta la manifesta infondatezza del ricorso, che deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.