Qualunque dichiarazione resa in sede di interrogatorio da persona detenuta, quale che sia il titolo detentivo ed anche se relativa a fatti privi di connessione o di collegamento con quelli per cui l'interrogatorio è stato disposto, deve essere documentata con le formalità previste dall'art. 141 bis c.p.p. a salvaguardia di chiunque possa essere coinvolto in ipotesi comportanti responsabilità penali.
Se manca la riproduzione fonografica o audiovisiva dell'interrogatorio o in assenza delle previste forme alternative ad essa, l'atto è colpito dalla sanzione di inutilizzabilità sia nei confronti della persona che lo rende, sia nei confronti di terzi, in quanto è la registrazione, e non il verbale, redatto contestualmente in forma riassuntiva, a far prova delle dichiarazioni rese dalla persona detenuta.
L'obbligo di registrazione dell'interrogatorio di persona detenuta non si estende ai casi di informazioni formalmente e sostanzialmente testimoniali, rese da un soggetto detenuto per fatto non collegato in alcun modo a quello sul quale egli viene chiamato a rendere dichiarazioni; né si applica alle spontanee dichiarazioni rilasciate alla polizia giudiziaria.
L'obbligo di registrare l'interrogatorio di persona detenuta nasce dalla necessità di evitare qualsiasi rischio di coartazione della volontà del detenuto che, per la sua particolare condizione, possa essere indotto, come sottolineato nel corso dei lavori parlamentari, a "suggestioni comportamentali che possono dar luogo a verità ma anche a menzogne", avuto riguardo non solo agli addebiti mossigli ma anche a quei fatti riferibili a soggetti diversi dal dichiarante da cui, attraverso interrogatori non garantiti, possa derivare, nei loro confronti, un'affermazione di responsabilità penale.
La trascrizione dell'interrogatorio fonoregistrato di persona detenuta non è formalità imprescindibile ai fini della regolarità dell'atto di interrogatorio, dato che viene effettuato solo se richiesta dalle parti; in ogni caso la mancanza della trascrizione non importa alcun vizio processuale, nè in termini di inutilizzabilità nè di nullità.
Per i fatti processuali, a differenza di quanto avviene per i fatti penali, ciascuna parte ha l'onere di provare quelli che adduce, quando essi non risultino documentati nel fascicolo degli atti di cui il giudice dispone.
In caso di atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perchè appartenenti ad altro procedimento o anche - qualora si proceda con le forme del dibattimento - al fascicolo del pubblico ministero) al generale onere di precisa indicazione deve accompagnarsi dunque quello di allegazione (nel senso di materiale produzione) della risultanza, positiva o negativa, che si adduce a fondamento del vizio processuale.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE PENALE
(ud. 16/07/2009) 08-10-2009, n. 39061
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente
Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere
Dott. CARMENINI Secondo Libero - Consigliere
Dott. ROTELLA Mario - Consigliere
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere
Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.I.A., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 11 novembre 2004 della Corte di appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. CONTI Giovanni;
Udito il Pubblico ministero, in persona dell'Avvocato generale Ciani Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito per la ricorrente il difensore avv. SA, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 12 dicembre 2003, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Velletri, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava D.I.A. responsabile di tre reati di rapina aggravata, commessi, in concorso con V.M., il primo (capo a), in danno di F.M. e C.C., il secondo (capo c), in danno di A.M. e B. V., il terzo (capo e), in danno di Co.Gi., nonchè dei connessi reati di porto di armi bianche o di oggetti atti ad offendere e, ritenuta la continuazione tra tutti i reati e riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, la condannava, con la diminuente del rito, alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa.
A seguito di impugnazione dell'imputata, la Corte di appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva la D.I. dal delitto di rapina commessa ai danni dell' A. e della B. e dal collegato reato di porto di oggetti atti ad offendere, confermando la decisione di condanna quanto agli altri due episodi di rapina e connessi reati- satellite, rilevando, in relazione a questi, che erano stati acquisiti puntuali riscontri (costituiti dai riconoscimenti effettuati nonchè dall'avere l'imputata messo all'incasso un assegno provento di una delle rapine) alla chiamata in correità effettuata da V.M., giudicato separatamente, il quale, nell'interrogatorio reso davanti al Giudice per le indagini preliminari in data 24 aprile 2003 presso la Casa Circondariale di (OMISSIS), aveva ammesso di avere commesso i riferiti fatti di rapina e reati connessi contestatigli, precisando di avere agito assieme alla D.I..
La Corte di appello, ritenuta inoltre la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti, riduceva la pena inflitta alla D.I. in anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 800,00 di multa, condizionalmente sospesa.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore della D.I., avv. SA.
Denuncia, con il primo motivo, la nullità della notificazione dell'avviso della udienza per il giudizio abbreviato sia in primo grado sia in appello, rilevando che l'imputata nell'udienza di convalida del fermo aveva eletto domicilio in (OMISSIS), "presso Br.Tu.", confermandolo all'atto della scarcerazione con la omissione della indicazione del domiciliatario;
il decreto di giudizio immediato era stato notificato a mani nel domicilio eletto presso il Br., ma le notifiche dei successivi atti, omessa la indicazione del domiciliatario, non avevano avuto esito positivo presso detto domicilio, ed erano state perfezionate mediante consegna dell'atto al difensore, ex art. 161 c.p.p., comma 4, determinando così una violazione degli art. 179 c.p.p., comma 1, art. 161 c.p.p., art. 162 c.p.p., comma 1, e dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Con il secondo motivo deduce che l'interrogatorio del V., che era detenuto, e su cui si basava in larga parte l'affermazione di responsabilità penale della D.I., si era svolto senza l'osservanza delle formalità di cui all'art. 141 bis c.p.p.;
mancavano, infatti, la trascrizione delle operazioni svolte e la stessa indicazione dell'ausiliario tecnico addetto alla registrazione e alla trascrizione. Ne derivava che tali dichiarazioni erano inutilizzabili nei confronti dell'imputata.
Al dato formale si accompagnava peraltro la concreta impossibilità di stabilire a quali domande il V. avesse risposto.
Eliminata tale fonte di prova, su cui si fondava principalmente l'affermazione di responsabilità, restavano a carico dell'imputata le sole ricognizioni delle persone offese, con conseguente necessità di rivalutazione del materiale probatorio da parte della Corte di appello.
3. La Seconda Sezione penale, assegnataria del ricorso, con ordinanza del 17 marzo 2009, depositata il 21 maggio 2009, precisato che il primo motivo appariva infondato, in quanto le notificazioni, per stessa ammissione di parte ricorrente, erano state ritualmente tentate presso il domicilio indicato dall'imputata all'atto della scarcerazione e che, non essendo stata ivi reperita la D.I., legittimamente gli atti erano stati notificati mediante consegna al difensore a norma dell'art. 161 c.p.p., comma 4, ravvisava un contrasto di giurisprudenza sulla questione oggetto del secondo motivo, relativa alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal chiamante in correità V. nel corso del suo interrogatorio.
Premesso che la doglianza appariva in punto di fatto fondata, in quanto non risultavano rispettate le formalità stabilite a pena di inutilizzabilità dall'art. 141 bis c.p.p., "non essendo stato l'interrogatorio del V. documentato nei modi previsti", nell'ordinanza si richiama la sentenza delle Sezioni Unite 25 marzo 1998, D'Abramo, con la quale è stato affermato che "qualunque dichiarazione resa in sede di interrogatorio (...) da persona detenuta, quale che sia il titolo detentivo ed anche se relativa a fatti privi di connessione o di collegamento con quelli per cui l'interrogatorio è stato disposto, deve essere documentata con le formalità previste dall'art. 141 bis c.p.p. a salvaguardia di chiunque possa essere coinvolto in ipotesi comportanti responsabilità penali"; con la conseguenza che "mancando la riproduzione fonografica o audiovisiva dell'interrogatorio o in assenza delle previste forme alternative ad essa, l'atto è colpito dalla sanzione di inutilizzabilità sia nei confronti della persona che lo rende, sia nei confronti di terzi, in quanto è la registrazione, e non il verbale, redatto contestualmente in forma riassuntiva, a far prova delle dichiarazioni rese dalla persona detenuta".
Tuttavia, si osserva, successivamente si è andato formando un altro indirizzo giurisprudenziale secondo cui "l'interrogatorio svolto fuori dall'udienza in stato di detenzione che non venga documentato nelle forme di cui all'art. 141 bis c.p.p. è inutilizzabile esclusivamente nei confronti di colui che lo ha reso e non anche nei confronti di coloro che sono stati raggiunti da dichiarazioni accusatorie nel corso dell'atto" (Sez. 6^, 24 maggio 2001, Trenta; Sez. 5^, 10 aprile 2002, Condello; Sez. 1^, 10 novembre 2005, Distante; Sez. 4^, 14 gennaio 2008, Di Domenico). Per tale diverso indirizzo la disposizione sarebbe posta "a tutela della persona interrogata e non di terzi"; aggiungendosi che "al di là dello sviluppo della prova consistente nella chiamata di correità e comunque sottoposta alla verifica di riscontri, se effettuata da un collaboratore di giustizia e quindi di per sè non autosufficiente, (...) l'interrogatorio non è prevalentemente un mezzo di prova, ma costituisce l'atto processuale tramite il quale la persona indagata o imputata è posta a conoscenza dell'imputazione a suo carico e degli elementi probatori o indiziari a base dell'addebito, in modo da garantirgli una difesa ampia a tutela del principio costituzionale di cui all'art. 24, comma 2" (Sez. 4^, ric. Di Domenico, cit.).
In base a tali considerazioni si esclude quindi che tra le due ipotesi sussista la stessa ratio, come invece affermato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite del 1998.
Atteso il contrasto di giurisprudenza riprodottosi sulla precisata questione, la Seconda Sezione ha ritenuto di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell'art. 618 c.p.p..
4. Con decreto del 29 maggio 2009, il Presidente Aggiunto assegnava il ricorso alle Sezioni unite.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo appare infondato, perchè all'atto della scarcerazione la D.I. dichiarò domicilio in (OMISSIS), senza precisare, a differenza di quanto fatto in precedenza in sede di elezione di domicilio, "presso Br.Tu."; sicchè, prevalendo tale successiva dichiarazione sull'antecedente elezione di domicilio (v. Cass., sez, un., 17 ottobre 2006, Clemenzi), e non essendo stata l'imputata ivi rintracciata, legittimamente, ai fini dell'avviso di udienza per il giudizio abbreviato in primo grado e in appello, si è effettuata la notificazione al difensore di fiducia a norma dell'art. 161 c.p.p., comma 4.
Anche ipotizzando che la successiva indicazione di domicilio nella volontà dell'imputata fosse in realtà ripetitiva della precedente elezione e che per mera svista non fosse stata reiterata la menzione del domiciliatario, essa non si può dolere del fatto che l'ufficio abbia fatto eseguire la notificazione attenendosi alla volontà successivamente esternata; tanto più che la ricorrente neppure deduce che a seguito della consegna della copia al difensore essa non sia venuta a conoscenza degli atti in tal modo notificati.
2. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite, implicata dal secondo motivo, è la seguente:
"Se l'interrogatorio di persona detenuta, non svolto in udienza, sia inutilizzabile, qualora non documentato con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva, non solo contra se ma anche erga alios". 3. Occorre partire dal testo della norma della cui interpretazione si discute, l'art. 141 bis c.p.p., inserito dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 2: "Ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza, deve essere documentato integralmente a pena di inutilizzabilita, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti".
Giova premettere che la questione controversa, come ricorda la stessa ordinanza di rimessione, è stata già affrontata da Sez. un., 25 marzo 1998, D'Abramo, che ha affermato il principio di diritto secondo cui qualunque dichiarazione resa in sede di interrogatorio non svolto in udienza da persona detenuta, quale che sia il titolo detentivo, e anche se relativa a fatti privi di connessione o di collegamento con quelli per cui l'interrogatorio è stato disposto, deve essere documentata con le formalità previste dall'art. 141 bis c.p.p. (riproduzione fonografica o audiovisiva) a salvaguardia di chiunque possa essere coinvolto in ipotesi comportanti responsabilità penali; con la conseguenza che, mancando dette formalità, l'atto è inutilizzabile sia nei confronti della persona che lo rende sia nei confronti di terzi.
Nella sentenza si argomenta al riguardo che la ratio della norma è rappresentata dalla necessità di evitare qualsiasi rischio di coartazione della volontà del detenuto che, per la sua particolare condizione, possa essere indotto, come sottolineato nel corso dei lavori parlamentari, a "suggestioni comportamentali che possono dar luogo a verità ma anche a menzogne", avuto riguardo non solo agli addebiti mossigli ma anche a quei fatti riferibili a soggetti diversi dal dichiarante da cui, attraverso interrogatori non garantiti, possa derivare, nei loro confronti, un'affermazione di responsabilità penale.
Il tutto in consonanza con l'unanime dottrina, che non ha mancato di sottolineare che il particolare rigore documentativo imposto dall'art. 141 bis c.p.p., nella palese intenzione del legislatore del 1995, fosse anzi diretto a garantire soprattutto i soggetti terzi "chiamati", potenzialmente lesi da eventuali pressioni dirette o indirette esercitabili sull'indagato "chiamante", versante in condizione di soggezione psicologica derivante dallo stato di detenzione, in un contesto al quale essi e i loro difensori erano rimasti estranei.
4. Le Sezioni unite non ravvisano motivi per discostarsi da detto principio di diritto.
5. Le decisioni che si sono espresse per la riferibilità della sanzione di inutilizzabilita esclusivamente alla posizione del dichiarante non offrono, infatti, spunti ermeneutici idonei a scalfire le limpide argomentazioni della sentenza D'Abramo.
E' il caso di avvertire che quasi tutte le sentenze richiamate nell'ordinanza di rimessione come appartenenti all'orientamento "riduttivo" (Sez. 6^, 24 maggio 2001, Trenta; Sez. 5^, 10 aprile 2002, Condello; Sez. 1^, 10 novembre 2005, Distante) non menzionano nemmeno la sentenza delle Sezioni unite, e paiono comunque equivocare sul contenuto di alcuni precedenti richiamati, in cui si precisava, senza perciò porsi in contrasto con la sentenza D'Abramo (ed anzi in perfetta sintonia con questa: v. par. 3 della parte dei "Motivi della decisione"), che l'art. 141 bis c.p.p. non si estende ai casi di informazioni formalmente e sostanzialmente testimoniali, rese, ai sensi dell'art. 362 c.p.p., da un soggetto detenuto per fatto non collegato in alcun modo a quello sul quale egli viene chiamato a rendere dichiarazioni.
Anche la sentenza della Sez. 4^, 4 aprile 2006, Di Ronza, appare pienamente in linea con la sentenza delle Sezioni unite (v. ivi il già richiamato par. 3), dal momento che essa riguardava un caso di dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria, non qualificabili come atto di "interrogatorio", e quindi non inquadratali nel paradigma dell'art. 141 bis c.p.p..
In realtà, la sola decisione che esprime un consapevole contrasto con la sentenza D'Abramo appare essere quella della Sez. 4^, 14 gennaio 2008, Di Domenico, che peraltro, come registrato dall'ordinanza di rimessione, oltre a dare atto che si era "formata una giurisprudenza ampia e difforme dall'orientamento delle SS.UU." (venendo al riguardo menzionate le sentenze di cui sopra si è dato conto), si limita ad affermare, senza sostegno di sviluppi argomentativi, che "la registrazione fonografica o audiovisiva è posta a tutela della persona interessata, e non di terzi", soggiungendo poi che "l'interrogatorio non è prevalentemente un mezzo di prova, ma costituisce l'atto processuale tramite il quale la persona indagata o imputata è posta a conoscenza dell'imputazione a suo carico e degli elementi probatori o indiziari a base dell'addebito, in modo da garantirgli una difesa ampia a tutela del principio costituzionale di cui all'art. 24, comma 2".
Ora, a prescindere dalla individuazione della natura dell'interrogatorio, che è certamente una occasione in cui può esercitarsi la difesa, ma costituisce anche normativamente un atto di indagine (v. art. 375 c.p.p.), appare non perscrutabile la ragione per la quale una simile puntualizzazione influirebbe sulla delimitazione dell'area di incidenza dell'art. 141 bis c.p.p., una volta riconosciuto che questa norma risponde all'esigenza di assicurare la genuinità e l'attendibilità delle dichiarazioni rese dall'indagato detenuto attraverso forme di documentazione (registrazione fonografica o audiovisiva) che rappresentino al massimo grado di fedeltà tecnologicamente possibile il contesto e le modalità attraverso cui tale soggetto risponde alle domande rivoltegli.
Deve essere quindi ribadito che la norma in esame prescrive la specifica e tassativa formalità di documentazione ivi prevista anche con riferimento alle dichiarazioni rese erga alios dal soggetto sottoposto a interrogatorio, a pena di inutilizzabilità delle stesse.
6. Venendo all'esame del caso concreto, va osservato che la questione di diritto su cui si è formato il contrasto giurisprudenziale del quale si è detto, e che è stata sin qui esaminata per esigenze metodologiche, in realtà, stando alla fattispecie rappresentata nel secondo motivo di ricorso, non appare avere sicura incidenza sulla relativa decisione.
6.1. Nel caso in esame, le dichiarazioni del chiamante V. M. erano state rese in sede di interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p. (verbale del 24 aprile 2003, a fol. 25).
Dall'esame dell'atto appare, a stampa, una indicazione circa la effettuazione della formalità della fonoriproduzione, pur mancando il nome dell'ausiliario tecnico sia nella parte tratteggiata sia come sottoscrizione in calce al verbale. Vi è dunque una oggettiva incertezza sulla effettiva attuazione di detta formalità documentativa.
La ricorrente si limita a dedurre, per la prima volta in Cassazione, che il verbale dell'interrogatorio del V. non era corredato dalla "trascrizione delle operazioni svolte" nè dalla indicazione dell'"ausiliario tecnico addetto alla registrazione e alla trascrizione"; ma non assume espressamente che in tale occasione non si sia proceduto alla documentazione integrale delle dichiarazioni con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva, che è la sola formalità in mancanza della quale l'art. 141 bis c.p.p. fa derivare l'effetto della inutilizzabilità.
Ora, la "trascrizione delle operazioni svolte", evocata dalla ricorrente, tanto non è formalità imprescindibile ai fini della regolarità dell'atto di interrogatorio che lo stesso art. 141 bis, all'ultimo periodo, ne prevede la effettuazione "solo se richiesta dalle parti"; e quanto detto in precedenza su ragione e funzione della disposizione in esame rende evidente che in ogni caso la mancanza della trascrizione non importa alcun vizio processuale, nè in termini di inutilizzabilità nè di nullità (v. Cass., sez. 1^, 17 febbraio 2005, Caridi; Cass, sez. 5^, 31 gennaio 2000, Carboni; Cass., sez. 2^, 14 maggio 1998, Perrucci), vizi che non solo non sono espressamente previsti ma neppure sarebbero logicamente collegabili allo scopo di tutela della norma.
Tanto meno può essere addotta come causa di inutilizzabilità o in genere di invalidità dell'atto l'omessa indicazione a verbale dell'ausiliario che assiste il magistrato (v. per tutte Cass., sez. 3^, 4 dicembre 2008, Speranza; Cass., sez. 4^, 9 dicembre 1997, Baci).
6.2. D'altro canto, anche volendo assumersi che sia pure incidentalmente l'evenienza della omessa riproduzione fonografica emerga dal contenuto del ricorso, deve essere ribadito che non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità (o di invalidità) di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (v. tra le altre Cass., sez. 1^, 9 giugno 2009, Bellocco; Cass., sez. 6^, 12 febbraio 2009, Lombardi Stronati; Cass., sez. 4^, 6 febbraio 2008, D'Alterio); tanto più quando la inutilizzabilità o la invalidità dipenda dalla omissione di adempimenti formali (v., proprio in tema di art. 141 bis c.p.p., Cass., sez. 1^, 20 dicembre 2002, Falcicchio), e la questione non sia stata dedotta nei precedenti gradi di giudizio (cfr. anche Cass., sez. un. 20 dicembre 2007, Cassa).
Il mancato assolvimento di tale onere determina infatti la genericità del relativo motivo, che rende inammissibile il ricorso (v. Cass., sez. un., 23 aprile 20009, Fruci).
6.3. Peraltro, poichè il procedimento a carico del V. è stato stralciato a seguito della richiesta di giudizio abbreviato della D. I., per essere certi della mancata effettuazione della riproduzione fonografica occorrerebbe esaminare gli atti di quel procedimento. Ma di ciò avrebbe dovuto farsi carico la ricorrente, dato che, come affermato, in linea con l'art. 187 c.p.p., comma 2, da Sez. un., 17 novembre 2004, Esposito (in tema di acquisizione di decreti di intercettazioni eseguite in altri procedimenti) "per i fatti processuali, a differenza di quanto avviene per i fatti penali, ciascuna parte ha l'onere di provare quelli che adduce, quando essi non risultino documentati nel fascicolo degli atti di cui il giudice dispone"; sicchè nella specie era onere dell'imputata richiedere al giudice del procedimento a carico del V. copia della riproduzione fonografica delle sue dichiarazioni e, eventualmente, produrre nel presente procedimento l'attestazione della mancanza di un simile documento.
In caso di atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perchè appartenenti ad altro procedimento o anche - qualora si proceda con le forme del dibattimento - al fascicolo del pubblico ministero) al generale onere di precisa indicazione deve accompagnarsi dunque quello di allegazione (nel senso di materiale produzione) della risultanza, positiva o negativa, che si adduce a fondamento del vizio processuale.
7. E' poi solo il caso di ribadire che la mera mancata allegazione agli atti trasmessi al giudice di primo o di secondo grado dei supporti contenenti la riproduzione fonografica o audiovisiva non determina alcuna nullità (v. Cass., sez. 1^, 20 novembre 2002, Falcicchio; Id., 22 dicembre 2000, Tropea).
8. Nel merito, il subordinato rilievo della ricorrente circa la impossibilità di ricavare dal verbale redatto in forma riassuntiva "a quali domande il V. abbia risposto e in ordine a quali contestazioni" appare manifestamente infondato, avendo la sentenza impugnata dato conto dei termini della chiamata di correo fatta dall'interrogato nei confronti della D.I. con riferimento alle rapine contestate, alla quale facevano da riscontro le precise circostanze di fatto di cui si è detto all'inizio.
9. Concludendo sul secondo motivo, la censura appare inammissibile:
quanto alla deduzione di violazione della legge processuale, perchè essa denuncia un fatto processuale non produttivo di vizi e fa solo ipotizzare un vizio basato su un fatto non provato dalla parte ricorrente, su cui cadeva il relativo onere; e, quanto al merito delle dichiarazioni accusatorie del chiamante, perchè manifestamente infondata.
10. Le contravvenzioni sub b) e f) sono però prescritte, essendo abbondantemente trascorso il termine massimo pari a quattro anni e sei mesi decorrente dalla consumazione dei reati, rispettivamente, (OMISSIS) (più esattamente, la prescrizione, a far capo dall'ultimo episodio in continuazione, è maturata il 17 ottobre 2007, secondo la previgente disciplina di cui agli art. 157 c.p., n. 5, art. 158 c.p., comma 1, e art. 160 c.p., u.c., nella specie applicabile).
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio limitatamente a detti reati perchè estinti per prescrizione.
Non avendo i giudici di merito operato il calcolo partitamente per i reati in continuazione, gli atti vanno rimessi ad altra sezione della Corte di appello di Roma sul punto relativo alla determinazione della pena.
Per quanto sopra detto, il ricorso va nel resto rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi b) ed f) perchè estinti per prescrizione e rimette gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Roma per la determinazione della pena.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2009