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Intercettazioni su fonte confidenziale: in teoria inutilizzabili, ma .. (Cass. 10670/24)

14 marzo 2024, Cassazione penale

In tema di autorizzazione di intercettazioni telefoniche le informazioni confidenziali acquisite dagli organi di polizia giudiziaria determinano l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni soltanto quando abbiano costituito l'unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità, mentre è sempre consentita l'intecettazione in caso ulteriori elementi; il divieto di utilizzazione della fonte confidenziale non è esteso anche ai dati utili per individuare i soggetti da intercettare (sempre che risulti l'elemento obiettivo dell'esistenza del reato e sia indicato il collegamento tra l' indagine in corso e la persona da sottoporre a captazione). 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

SENTENZA

(data ud. 20/02/2024) 14/03/2024, n. 10670

 

sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a C il (Omissis)

B.B. nato a P il (Omissis)

avverso la sentenza del 19 giugno 2023 della Corte Appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

svolta la relazione dal Consigliere Gabriella Cappello;

lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto Salvadori Silvia, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso, con le conseguenti statuizioni ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen.;

lette le note in replica dell'avv. Alaia Giuseppe Esposito, per A.A. e B.B., con le quali si è insistito per l'accoglimento.

Svolgimento del processo

1. La Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di quella città, con la quale A.A. e B.B. erano stati condannati per il reato di associazione per delinquere, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti in materia di stupefacenti, aventi a oggetto sostanze del tipo cocaina e crack, nella qualità di meri partecipi, oltre che per più reati fine ai sensi dell'art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309/1990, aventi a oggetto sostanze dei medesimi tipi (fatti accertati in N nel 2019).

2. Nella sentenza impugnata si è dato conto, per quanto d' interesse, in relazione ai motivi di ricorso, della sollevata eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, formulata in relazione all'allegata carenza dei presupposti di cui all'art. 267, cod. proc. pen., riguardo al decreto autorizzativo primigenio,nonché della richiesta di riqualificazione dei reati ai sensi, rispettivamente, dell'art. 74, comma 6 e 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990.

Quanto al primo tema, la Corte ha rigettato il motivo di gravame, ripercorrendo la genesi dell' indagine, riportata nella informativa richiamata nel decreto autorizzativo censurato. In particolare, dopo l'arresto di tale C.C. (il 13 marzo 2019), gli investigatori avevano appreso da fonte confidenziale che nel quartiere "(Omissis)" di N operava una "piazza di spaccio itinerante" di cocaina e crack, capeggiata da D.D., il quale si avvaleva per la consegna di due coniugi che agivano a bordo di un'autovettura per effettuare le singole consegne delle sostanze stupefacenti. In seguito a tale notizia, gli inquirenti avevano organizzato un servizio di osservazione e il 29 marzo 2019 avevano controllato i due coniugi a bordo dell'autovettura segnalata, rinvenendo alla B.B.due involucri di sostanza del tipo cocaina, sigillate con modalità simili a quelle utilizzate per confezionare le dosi rinvenute al C.C. qualche settimana prima, nonché la somma di Euro 500,00 e un block notes con annotati nominativi e cifre.

Durante il controllo, sull'utenza cellulare in uso al A.A. era stato constatato l'arrivo di moltissime chiamate.

All'esito, gli investigatori avevano denunciato la B.B.per la violazione amministrativa di cui all'art. 75, D.P.R. n. 309/1990 , ma l'episodio era stato valorizzato in sede di autorizzazione delle intercettazioni quale elemento utile a fondare la sussistenza di gravi indizi di un reato per il quale era consentito l'utilizzo di quel mezzo di ricerca della prova.

Quanto, poi, alla qualificazione giuridica delle singole condotte, la Corte ha ritenuto corretta quella operata dal primo giudice, muovendo dalla verifica del momento genetico associativo, rispetto al quale ha ritenuto pregnante l'accertamento della programmazione dell'attività delittuosa svolta in forma associata, per esaminare, dunque, la possibilità di iscrivere i singoli episodi contestati tra le condotte rilevanti ai sensi dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 . Sul punto, ha operato un rinvio ai principi fissati in materia dalla giurisprudenza, ritenendo che, nella specie, le prove dimostrassero la capacità del gruppo di movimentare significativi quantitativi di droga e di soddisfare le esigenze di una discreta clientela, assicurandosi buoni guadagni, cosicché nessuno dei singoli episodi poteva ascriversi al paradigma delineato nell'art. 73, comma 5, D.P.R. 30971990. Il sodalizio, inoltre, era riuscito a gestire un fiorente mercato di riferimento nella zona orientale del capoluogo partenopeo, ponendo in essere cessioni quotidiane di più tipi di stupefacente (cocaina e crack), movimentato in notevoli quantità, come emerso anche dal rendiconto dei vari pushers 211 D.D., così da restituire "plastica mente", come affermato dalla Corte territoriale, l' immagine di un vero e proprio mercato della droga, pronto a soddisfare le esigenze di un'articolata rete di consumatori e spacciatori.

3. La difesa degli imputati ha proposto ricorso avverso la sentenza, formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta utilizzabilità delle disposte intercettazioni. La difesa ha rilevato che il decreto di autorizzazione genetico, adottato in via d'urgenza, non si fondava su alcuna ipotesi astratta inerente ai reati in contestazione, ribadendo che, nell'occorso, la B.B.era stata solo amministrativamente denunciata, laddove l' informativa si era basata su una fonte confidenziale che avrebbe indicato il D.D. quale promotore dell'associazione.

Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi quanto alla mancata riqualificazione delle condotte in ipotesi rilevanti ai sensi degli artt. 74, comma 6 e 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 . La Corte, secondo il deducente, avrebbe omesso di confrontarsi con le censure veicolate con il gravame, alla stregua delle quali poteva ritenersi il minor disvalore delle condotte contestate. In particolare, quanto al quantitativo delle singole cessioni, la difesa ha contestato, richiamando le censure veicolate con l'appello, che per tutto il periodo di osservazione era emerso un ricavo complessivo di gran lunga inferiore a quello indicato dal giudice, ritrascrivendo il calcolo effettuato per ogni episodio contestato nei diversi capi d' imputazione, per arrivare alla somma finale di Euro 7.625,00, inconciliabile con la ritenuta enormità dei quantitativi di droga smerciati. Ha, inoltre, affermato che lo spaccio era condotto all'interno di un circuito ristretto di persone sulla scorta di un rapporto di conoscenza.

4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Salvadori Silvia, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso con le conseguenti statuizioni ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

È vero che il tema introdotto ripropone una questione di diritto, sub specie di violazione di legge processuale e che, pertanto, essendo incontroverso il fatto, il requisito della specificità risulta soddisfatto in caso di riproposizione della medesima questione interpretativa - anche senza elementi di novità - sempre che risulti pertinente ai contenuti della decisione impugnata e miri a una rivalutazione della "quaestio iuris" da parte del giudice di grado superiore (sez. 1, n. 20272 del 16/6/2020, Bellocco, Rv. 279369, con riferimento al giudizio di appello). Nella specie, tuttavia, deve considerarsi che i giudici del merito hanno puntualmente disatteso le doglianze in termini perfettamente coerenti con i principi più volte ribaditi in sede di legittimità, offrendo giustificazioni ben più ampie di quelle fatte oggetto di critica. E, sul punto, non può che rilevarsi l' inammissibilità di un ricorso fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici e soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (sez. 2, n. 42046 del 17/7/2019, Boutartour, Rv" 277710). In tal caso, infatti, difetta la necessaria correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109-01; sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521-01, in cui si è ribadito il principio, precisandosi che, a tal fine, è insufficiente l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle i n fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti).

Nella specie, ad ogni buon conto, la risposta dei giudici di merito all'eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni è corretta, siccome coerente con i principi più volte affermati in sede di legittimità, la difesa non avendo considerato, nel reiterare la doglianza, da un lato, che - in tema di autorizzazione all'effettuazione di intercettazioni telefoniche - le informazioni confidenziali acquisite dagli organi di polizia giudiziaria determinano l' inutilizzabilità delle intercettazioni, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 267, comma 1-bis e 203, comma 1-bis, cod. proc. pen., soltanto quando abbiano costituito l'unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità, il divieto di utilizzo della fonte confidenziale non essendo esteso anche ai dati utili per individuare i soggetti da intercettare, sempre che risulti l'elemento obiettivo dell'esistenza del reato e sia indicato il collegamento tra l' indagine in corso e la persona da sottoporre a captazione (sez. 6, n. 39766 del 15/4/2014, Pascali, Rv. 26045601; n. 42845 del 26/6/2013, Bonanno, Rv. 257295-01; sez. 1, n. 11640 del 14/5/2019, dep. 2020, Moceo, Rv. 279322-01).

Principio nella specie osservato dai giudici del merito che hanno, infatti, dato conto degli ulteriori elementi riportati nella informativa e, specificamente, anche del controllo che aveva condotto alla contestazione della violazione amministrativa ai sensi dell'art. 75, D.P.R. n. 309/1990 proprio nei confronti della B.B.

Sotto altro, connesso profilo, poi, la difesa ha omesso di considerare che, proprio con riferimento alla gravità indiziaria presupposta dall'art. 267 cod. proc. pen., la giurisprudenza, in linea con la chiara lettera della norma richiamata, ha ormai definitivamente chiarito che i gravi " indizi di reato", presupposto per il ricorso alle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, attengono solo all'esistenza dell' illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicché per procedere legittimamente ad intercettazione non è necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine (sez. 4, n. 8076 del 12/11/2013, dep. 2014, D'Agostino, Rv. 258613-01; n. 42017 del 17/10/2006, Capitano" Rv. 235536-01; sez. 1, n. 2568 del 18/9/2020, dep. 2021, Modaffari, Rv. 280354-01). Pertanto, l'argomento valorizzato a difesa per contestare il ragionamento svolto dalla Corte territoriale, ispirato proprio a tali principi, si scontra con l'evidenza rappresentata dal fatto che la gravità indiziaria non aveva riguardato la B.B.e il titolo della detenzione contestatale, bensì l'attività illecita che quella detenzione presupponeva.

3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

La decisione della Corte territoriale, nella specie, si salda con quella appellata, stante la conformità dei giudizi. Ciò ha evidenti ricadute sulla natura del sindacato di legittimità per quanto riguarda la verifica dell'adeguatezza e congruità del ragionamento giustificativo in ordine alle doglianze formulate anche in punto qualificazione giuridica delle condotte.

3.1 I giudici del merito non sono incorsi, intanto, nella denunciata violazione di legge.

Premesso che il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti costituita al fine di commettere fatti di lieve entità ai sensi dell'art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 costituisce fattispecie autonoma di reato e non mera ipotesi attenuata del reato di cui all'art. 74, comma 1 (Sez. U., n. 34475 del 23/6/20111, Valastro, RV. 250352; sez. 3, n. 44837 del 6/272018, Caprioli Domenico, Rv. 274696), la stessa è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l'attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti l1ella previsione dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 (sez. 6, n. 1642 del 9/10/2019, Degli Angioli, Rv. 278098, in cui la Corte ha confermato la condanna per l'associazione minore, evidenziando che il sodalizio si riforniva di eroina, sempre presso gli stessi fornitori, per quantitativi non eccedenti i 100 grammi per volta, in quanto non aveva capacità finanziaria per acquisti maggiori, che non spacciava sostanze di tipo diverso, che non aveva, sul territorio di riferimento, una posizione di controllo del mercato, che presentava un organigramma estremamente ridotto e che gli associati erano già stati condannati in primo grado per fatti di droga di lieve entità). In altri termini, ai fini d' interesse, non è sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accertati in concreto, ma occorre valutare il momento genetico dell'associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entità, e le potenzialità dell'organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grado di procurarsi (sez. 3, n. 44837 del 6/2/2018, Caprioli, RV. 274696).

Nella specie, il Tribunale (vedi pagg. 216-217) aveva già dato atto delle dimensioni modeste del sodalizio delinquenziale, composto da otto persone, dirette dal D.D., ma anche del fatto che una simile, ridotta organizzazione era stata capace di generare un profitto illecito di assoluto rilievo, quantificato tra i Euro 2500/3000 al giorno, per un ricavo mensile oscillante tra gli Euro 80.000 e i 90.000, altresì stigmatizzando le modalità attraverso le quali il soggetto apicale era solito distribuire la sostanza stupefacente (mediante cessioni a "credito"), così fidelizzando i clienti e inducendoli a rifornirsi di continuo dall'associazione. Di qui l'esclusione di fatti sussumibili nella ipotesi lieve, valutata l'entità e pervasività dell'attività illecita impiantata, dalla quale gli aderenti traevano ragguardevoli fonti di guadagno.

A fronte della doglianza difensiva, la Corte territoriale ha valorizzato la circostanza che il sodalizio trattava sostanze di diversa natura; aveva dimostrato capacità di smaltimento di quantitativi non modesti in poco tempo; gestiva una vera e propria "piazza di spaccio" in una precisa zona del capoluogo partenopeo; movimentava notevoli quantità di droga, ricavando tale informazione proprio dalla rendicontazione che gli spacciatori facevano al capo. A fronte di tali dati fattuali, ha ribadito la non lievità dei singoli episodi, i quali si andavano a inserire all' interno del così ricostruito mercato della droga, senza che l'entità delle singole cessioni potesse svalorizzare il dato rappresentato da quel contesto di riferimento. Tale argomentare offre idonea giustificazione della conclusione per la quale le singole condotte si sono poste in termini di evidente, intrinseca incompatibilità con una volontà dei sodali, al momento genetico dell'associazione, di commettere solo un numero indeterminato di fatti di minore offensività.

3.2. Ma non si rinviene neppure il denunciato vizio motivazionale.

In ipotesi di doppia sentenza conforme nel merito, la denuncia di tale vizio non può tradursi nella reiterazione della tesi difensiva esaminata dai giudici d'appello (sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valeria, Rv. 252615; sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 2, n. 37295 del 2/6/2019, Rv. 277218): il che avviene esattamente quando le sentenze di primo e di secondo grado, saldandosi, formino un unico complesso motivazionale (se i giudici di appello, cioè, abbiano esaminato l e censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione), come accaduto nella specie, e quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata, come è accaduto nella specie. Non pare ultroneo ricordare, poi, stante la natura delle censure, che sono del tutto estranei al giudizio di legittimità la valutazione e l'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito. Se ne inferisce, pertanto, l' inammissibilità di doglianze sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio, secondo diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati come maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; sez. 6 n. 5465 del 4711/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; sez. 3 n. 18521 del 11/1/2018, Ferri, Rv. 273217; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099-01).

Infine, deve precisarsi - stante il tenore dei motivi con i quali si è anche lamentato un asserito "silenzio" motivazionale in ordine a specifiche osservazioni difensive - che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (sez. 1 n. 27'825 del 22/05/2013, Caniello e altri, Rv. 256340; sez. 5 n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò Nicola, Rv. 275500).

4. All' inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2024